mercoledì 23 maggio 2007

Su Contrappunti e tre poesie creole


Il parere di Carlo Santulli in Progetto Babele

Quel che l'ermetismo novecentesco ci ha dato, è stata la coscienza del peso delle parole, particolarmente necessaria e forse urgente per un popolo di gente spesso logorroica, e che getta a volte le frasi a casaccio nel discorso, senza possibilità né speranza di riciclo. Quel che invece ci ha tolto, è il gusto della provocazione verbale, dell'ironia che spiega e che rivela, che è molta parte della tradizione poetica, anche italiana: basti pensare a molti poeti del nostro ottocento, dal Giusti a Remigio Zena.
Usciti da questo secolo bello e terribile, va fatta un'opera di ricomposizione, che era già iniziata, un po' in sordina, anche in poeti apparentemente ancora legati alla nostra tradizione ermetica (penso per esempio a Giovanni Giudici e Franco Fortini). L'idea è quella di conservare, e magari offrire nuova, la serietà d'intenti alla poesia, che prima dell'ermetismo tante Arcadie e dannunzianismi rischiavano di offuscare, ma ridarle il dono di sorridere della vita, ed anche di se stessa.
In questo senso, la silloge di William Stabile può dirsi utile, se quest'aggettivo si presta ad una raccolta di poesie: non si può dire di uscire dalla lettura senza aver portato con sé una forte sensazione di compiutezza; l'autore preferisce alla sperimentazione fine a se stessa, la capacità di dire, o meglio sperimenta anche, laddove questo lo può aiutare a portare nuovi risultati, a dare nuovi sensi alla materia di cui si serve. Non sono poesie facili, quelle di Stabile, ma l'asprezza e la concettosità non è mai voluta né cercata: è il contrappunto che è la vita, come acutamente l'autore osserva. Non ci sono soluzioni semplici nella vita, o meglio ciò che è semplice è approssimato, quindi, parlando di sentimenti e di situazioni reali, ingannevole.
L'occasionalità del componimento, necessaria ed essenziale per un "poeta che vive", rimarcata più e più volte in questa silloge, con una minuta notazione del momento e del luogo di ispirazione, non impedisce che il verso sia sempre elaborato e profondamente scavato. Così, anche in componimenti polemici e dichiaratamente politici, d'impegno civile, per così dire, come "Addio capitalismo", è l'argomentazione a piegarsi alla poesia e non a soffocarla.
Mi fa piacere parlare di questa raccolta di William Stabile anche per un altro motivo: recentemente in Italia si inizia a recepire, dopo decenni di silenzio, dovuti probabilmente alla pesante eredità autarchica della dittatura, l'importanza della letteratura di frontiera, divisa tra due o più culture, e debitrice di qualcosa ad ognuna (in realtà, siamo tutti debitori di qualcosa a chissà quante culture ed esperienze diverse, a meno che non decidiamo, come capita purtroppo spesso, di ignorarlo). Contro molti pregiudizi deve scontrarsi chi lascia il proprio paese, o vive vite parallele in paesi diversi, che è il caso, non privo di fascino, di Stabile, pregiudizi che nascono dall'incomprensione, ed in fondo da quel provincialismo che certa nostra cultura poetica non riesce a togliersi di dosso. Nella nostra letteratura, non mancano esempi di poesie scritte all'estero, ma è sempre l'idea, un po' turistica, del "poeta che si sposta", e spesso ne esce fuori (mi vengono in mente certe poesie dell'ultimo Caproni) la sensazione che il riferimento geografico serva più a cambiare registro, che altro: una coloritura, in certo senso.
Invece, da quelle poesie di Stabile dove per esempio la realtà londinese è più radicata, esce una metropoli sommersa e perfettamente riconoscibile, finalmente fuori dalla nostra opaca oleografia da "rivoluzione industriale", la città di quel Jean Charles de Menezes, fatto fuori dalla polizia, soltanto perché "was looking weird" (sembrava un tipo strano: cosa che Stabile non dice, ma che mi permetto di aggiungere io). In una società dove, malgrado tutta la nostra correttezza politica (a parole), la "weirdness" è ancora un fatto squisitamente culturale (ti temo, ho paura perché sei diverso da me), aprirsi ad una conoscenza profonda delle diverse facce del mondo, che lo rendono quel che è, diviene essenziale. È essere Creolo, variare umori, melodie, fare della propria mixitude un punto di forza. Ecco, William Stabile ha il coraggio, ed anche il fiato, in termini poetici, di farci viaggiare, di scrivere grafi sulla sabbia, perché non dimentichiamo, ed ha il merito di farlo in poesia, raccontando del dolore come abito collettivo, ma senza vittimismo né rassegnazione, con un'ironia stesa qua e là sulle parole che è in fondo dignità, e comprensione. Chiudono il libro tre poesie di William Wall, poeta irlandese, di cui Stabile è competente ed appassionato traduttore: il fatto che non si avverta alcuna cesura tra le poesie e le traduzioni dimostra, se ce ne fosse bisogno, il conseguimento da parte dell'autore/traduttore di uno stile consapevole e sicuro.

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