giovedì 31 luglio 2008

Su In cerca

recensione di Guido Passini in altramusa

Su Poemetto dei bambini di Giovanna Fozzer


Edizioni Polistampa, Firenze 2008, pp. 48, € 6

recensione di Sandra Di Vito

Poemetto dei bambini è la più recente raccolta di Giovanna Fozzer, foce in cui confluiscono acque poetiche, narrative e critiche dell'autrice. Il volume raccoglie, oltre al poemetto eponimo, il racconto Estati e inverno, che si apparenta al genere di narrazione lirica proustiana, e un testo (esplicativo o autobiografico) Sul poemetto e sul racconto. La prefazione è di Gennaro Mercogliano.
Il poemetto è composto di trentatré strofe, disuguali e di metri vari, intervallate da dodici brevi ritornelli di due o al massimo quattro versi ciascuno, in cui prevale la ripetizione con variatio: Tu canti nel cuore/ piccola voce di fanciullo - Tu canti nel cuore/ creatura gioia-serena (rispettivamente primo e secondo ritornello). Quasi ogni strofa corrisponde ad un cortometraggio che si snoda come un'orazione di lode, il cui segno stilistico distintivo è l'enumerazione incontrollata, «forma del linguaggio liturgico», «correlativa all'ebbrezza spirituale che travolge il lodante» – secondo la definizione proposta da Giovanni Pozzi (L'alfabeto delle sante, in Scrittrici mistiche italiane) – ed elemento di continuità con l'opera precedente dell’autrice, Repertorio d'infinito. Anche qui gli occhi sono l'organo conoscitivo e creativo privilegiato, da cui sgorga la poesia del poemetto e del racconto lirico. Occhi che, come le arcate di un ponte, vedono e lasciano vedere pezzi di cielo, di terra, «occhi di elezione, dato che scoprono e rivelano», come direbbe Maria Zambrano: che qui mostrano, in trentatré sequenze, il regno dei bambini, oggetto reale e mentale del guardare.
Per lo più, bambini si vedono/ per un attimo solo, per via: volti/ d'infanzia, dal contorno addolcito,/ occhi sovente incantati, distratti/ tra il sonno e il vedere-senza-sapere/ il mondo scorrere ignoto.
Il guardare è proprio di chi ha elaborato in sé il distacco, attraverso uno spossessamento – l’esperienza interiore del pensiero mistico speculativo, che traluce nell'intera opera dell’autrice. Il non-possesso, che scaturisce dalla morte dell'io psichico (già testimoniata nelle poesie cosiddette eckhartiane della raccolta precedente) e dalla nascita del vero io, quello spirituale: Mai ha fine il sogno/ di contemplare, ascoltare da vicino/ senza esserci, senza interferire/ con la vita-vita di creature iniziali;/ o forse,/ essendoci con uno sguardo lieve/ di simpatia, di amore-libertà. Lo sguardo lieve, senza possesso o appropriazione, rimanda indirettamente al pensiero di Margherita Porete, o al Maestro di Turingia: «L'uomo distaccato, l'uomo nobile cammina in questo mondo perfettamente in patria nel presente come nell'eterno, ma insieme assolutamente estraneo alle cose, non nel senso di indifferenza o disinteresse, ma nel senso di non avere appropriazione».
Frutto maturo di ragione mistica e passione, Poemetto dei bambini ha le sue radici nelle opere precedenti. Svuotata la mente dall'ingombro dell'io c'è il ritorno all'infanzia, nel poemetto come in Estati e inverno: racconto «dell'antica felicità infantile a Vigolo Vattàro, nelle lunghe vacanze estive». Lunghissimo ponte del tempo/ verso l'infanzia scriveva l’autrice nel breve testo Attesa (Un tuffo al cuore, 1998). Ma riferimenti al regno dei bambini si trovano sparsi in tutta l'opera: già nella prima silloge, Piazza d'Orbetello (1987), nel componimento dal titolo A un bambino molto amato, leggiamo: Di quel pianto/ (dell'esser nato/ dice il poeta amato)/ consolato t'avrei giorno per giorno. In Senza perché (1997) il poeta istituisce un'analogia tra i santi e i bambini: Sono i Santi/ come bambini innocenti. Opera dunque non di rottura ma di continuità, come ha sottolineato Mercogliano nella bella introduzione al Poemetto.
La continuità si tocca con mano non solo nell'oggetto reale e mentale della contemplazione e della memoria, ma nell'aderenza al reale, nel conoscere anche attraverso il soffrire: Siamo stati roccia d'accoglienza/ d'infinito dolore, orrore sofferto narrato (4 ottobre, componimento presente ne La forma quieta, 2001). Questa via di conoscenza accomuna tutte le raccolte poetiche e narrative dell'autrice, e fa di una poesia apparentemente narrativa e descrittiva una poesia eminentemente spirituale, non nel senso dell’avere, ‘avere fede’, ma nel senso dell’essere, l’eckhartiano e poretiano ‘essere nell'essere’. Il regno della visibilità, senza annullare la sua realtà oggettiva, si fa ponte del celestiale. Non a caso “azzurrità” è parola-ponte che ricorre in tutta l'opera poetica della Fozzer, e chi più di un bambino, dei santi e dell'artista, capisce che – come anche scrive Anna Maria Ortese in Corpo celeste – «il mondo è un corpo celeste, e tutte le cose, nel mondo e fuori, sono di materia celeste»? Attraverso gli occhi, contemplando a distanza, il cuore-culla accoglie così in un abbraccio cullante ogni creatura del creato a qualunque regno appartenga, anche le creature disamate e terribili a guardarsi: vi sono bambini/ già adulti, aggressive/ le pieghe del naso, del volto; tragici/ occhi già duri, lontani. Come/ guardarli?
Tu ardi nel cuore, creatura disamata



Su Le mie scarpe sono sporche di sabbia anche d'inverno


di Stefano Leoni

“Ma non si chiama amore – dicono – /una cosa così”, scrive Stefano Bianchi a chiusa di una delle poesie della sua ultima raccolta Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d’inverno, edita da Fara Editore. E questi versi credo suggeriscano una delle possibili chiavi di lettura.
L’autore parla d’amore, di rapporti con il prossimo, di giornate che scorrono, di personaggi innestati nel paesaggio della propria città e lo fa utilizzando un linguaggio che rimane in bilico, alternando una descrizione distaccata a un sottile impatto emotivo. Come guardare le cose, anche le proprie, da un punto d’osservazione esternizzato, opacizzato quasi, che permetta all’osservatore di passare i messaggi, anche quelli del proprio ambito personale, con la distanza che occorre a renderli principio e non cronaca.
Anche il rapporto con l’amore di coppia pare a tratti lambire il disincanto, che comunque permea l’intero libro e oserei direi diventa visione persino asessuata. Non ne scaturisce la passionalità, il trasporto, il desiderio: la visione è sempre quella seguente, il dopo, l’abitudine, la fine, il ricordo.
Il punto di vista, appunto, di chi osserva le vicende non nel momento della loro esplosione vitale ma nel rendiconto fintamente a-sentimentale dell’accaduto.
Anche l’amore, come le altre immagini evocate, diventa un parlare a se stessi, una interrogazione di sé a chiedersi cosa valga davvero la pena vivere per contrastare l’inevitabile; il tu, l’altro da sé cui l’autore si rivolge o che descrive è un filtro per tentare di comprendere la propria esistenza, i propri sentimenti, per indagare i propri segreti e supporre che la verità, e la serenità conseguente, non abitano il quotidiano ripetersi dei gesti.
Il linguaggio usato tende a fare a meno della metafora, prediligendo una sequenza visiva delle vicende, il verso si fa dimensionalmente irregolare, trovando una musicalità propria nel linguaggio sussurrato col filtro di in una intima introspezione, contraendosi ed espandendosi laddove si renda necessario descrivere una immagine per poi definirla con un aggettivo o un sostantivo e fissarne il significato.
Trovo in Stefano una tenera timidezza di vivere che a volte si fa rassegnazione, addirittura malessere in versi forti come nella poesia I due vecchi dove “… il male che li porta / è questo tumore d’esser nati /…” oppure rassegnata impotenza come nella poesia Il dubbio dove il poeta afferma “…// Che non c’è colpa od errore se un viaggio finisce / è solo tempo che passa ed è passato. //…” o senso di incapacità a godere della bellezza come in Giornata n. 8 quando giunti alla notte sale la “… paura non aver vissuto che un film e da / comparsa / non essersi accorto degli sguardi / …”.
Eppure complessivamente in questa raccolta si scorge come Stefano in fondo sappia dove si nasconde ciò che da un senso preciso alla esperienza dell’esistenza, quello che giustifica i gesti, le piccole mète: “Quel che sei non è / se non riflette gli occhi di chi guarda.”
Quindi l’amore e la stima degli altri, gli amati specularmente, divengono ciò che può dar spirito vitale alla vita stessa.
Rimane la curiosità della scelta del titolo del libro: prima di leggere le poesie contenute si può pensare ad un omaggio alla città dove è nato e vive, Rimini, a quel mare che fisicamente e metaforicamente è sempre presente in chi è figlio di una città costiera. Poi però viene il dubbio che le scarpe “sporche” sempre di sabbia indichino che il poeta si senta di camminare su un terreno che pur nella sua delicata e suadente consistenza è per sua natura instabile e destinato a modificarsi, corroso dal mare, terreno dove le impronte lasciate possono essere cancellate o modificate con facilità dai venti e dall’acqua.

Su Solchi e nodi di Caterina Camporesi


di Franco Casadei
Il nuovo libro di poesie di Caterina Camporesi, Solchi e nodi, ha un titolo che è già un merito. Credo che solo la Camporesi possa inventarsi titoli simili, con la sua capacità di scandagliare l'anima, sua e di chi le sta intorno: sequenze di vita sospese, vene in dirupi, i deserti insanguinati, le gole piagate.
Solchi, cioè ferite, tagli che chiedono di essere sanati; ma anche fenditure, aperture nel cuore della terra, pronte alla seminagione, alla protezione profonda delle cose. Nodi, cioè ostacoli, resistenze, vincoli; ma anche punti fermi, stabilità, coraggio.
È, il suo, un linguaggio che implica un impegno intellettuale e… affettivo alla parola e alla situazione, non permette distrazioni. Non è una poesia riposante (non deve esserlo mai, in un certo senso!). Ha dentro una forza che scava, che snida. Descrive il tormento, la ricerca, si guarda intorno. Tuttavia è anche una poesia piena di rispetto, di pietà; non fredda, né oggettivamente analitica. Si avverte dentro il vibrare della sua persona, la vicinanza che si fa compagnia e sostegno. E spesso in un respiro ampio che si apre al cielo, al vento, agli scialli di nuvole, alle rifiorite praterie, ai segreti ruscelli dietro i canneti, fino alle preghiere alla luna. Caterina Camporesi apre varchi che sfiorano l'insondabile, quindi sempre con l'anelito ad una ricomposizione, ad una pace da conquistare dentro la battaglia del vivere.
Solchi e nodi, la conferma di una voce profonda e discreta, un’ulteriore prova di maturità umana e poetica.

Cesena 22 luglio 2008


(ndr)

Cogliamo l'occasione di complimentarci vivamente con Franco Casadei per aver vinto a Lucca il 28 giugno scorso il Premio Giovane Holden 2008, organizzato da
Giovane Holden Edizioni

CLASSIFICA FINALE
Sezione poesia
1. Casadei Franco - E io di tre anni
2. Zabonati Annalisa - Nebbia intorno
3. Leone Laura - Apnea

martedì 22 luglio 2008

Autori a Interno4 Rimini

ecco alcune foto gentilmente scattate da Paolo Braschi, che ringraziamo, relative all'incontro del 4 luglio a Interno4


i tre poeti: Caterina Camporesi, Stefano Bianchi e Nicoletta Verzicco


lettura di Stefano


lettura di Caterina


lettura di Nicoletta

Ladolfi su Raccolta di Mori

v. qui

lunedì 21 luglio 2008

LA POESIA RACCONTA!!

pubblicato da Elena Varriale in cercodiogene

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La poesia racconta (a cura di Alessandro Ramberti), Fara Editori, 2008

Mi è arrivato oggi il volume edito dalla Fara editore dedicato agli 11 vincitori (tra cui...udite, udite...anche io) della VII edizione del concorso Prosapoetica.

Nel volume, curato da Alessandro Ramberti, ci sono i racconti e le poesie selezionate dai giurati.

Se vi state chiedendo cosa sia la prosapoetica....ecco cosa scrive nella sua postfazione, Morena Fanti:
" Molti tra i cultori della poesia, storceranno il naso di fronte a questo genere misto, che forse genere non è. Parole che si avvicinano alla poesia pur avendo la forma di prosa? O viceversa, versi che raccontano pur senza la completezza e il rigore di uno scritto prosastico?
[...] Ma un genere letterario non fisso e schematico, si può definire genere? O, piuttosto, non corre il rischio di diventare uno scritto ibrido che non affascina i lettori?
Credo che questi testi debbano la loro piacevolezza proprio nella non appartenenza, nel non essere né l’uno né l’altro, qualità che conferisce loro un’attrattiva in più, anche per l’effetto sorpresa e la piacevole fruibilità che regalano a chi legge.”

elenucciavaria

Fotoracconto sulle Emozioni

foto gentilmente inviate da Stefano e Marina Leoni (v. anche il grande servizio fotografico di Andrea Parato) relative all'incontro a Castel Sismondo e alla susseguente pizzata.
E questi versi sono di Alessando Buccioletti che ci ha accompagnato con il suo virtuosismo alla chitarra:

Pioggia

Mentre l’acqua crepita
nell’acqua
vedo in questa pozza
le colline
bagnate di nubi
che affondano nel tempo
come io affogo nell’acqua.


La lettura di Stefano Leoni



la lettura di Guido Passini


qui e sotto da sx in senso più o meno orario: Giuliano, Francesco Accattoli, Guido Passini, Stefano Leoni, Caterina Camporesi, Morena Fanti, Brunella Bruschi, Lara Lucaccioni, Angela Barlotti, Luca Ariano, Stefano Bianchi, io medesimo e Subhaga Gaetano Failla








Caterina Camporesi, Lara Lucaccioni, Marina Leoni, Angela Barlotti e Morena Fanti

Sull'incontro vedi anche
sequestocosmo.wordpress.com
alessandroseri.wordpress.com

Su Emozioni che danno Sollievo

Storie, poesie, musica e arte dal vivo

Castel Sismondo – Sabato 19 luglio 2008 – dalle ore 16,00 alle ore 20,30
v. qui, v, anche il resoconto di Morena Fanti

Le foto che insieriamo qui sotto sono state gentilmente scattate da Andrea Parato (v. anche le foto inviate da Stefano Leoni qui)

articolo molto bello di Guido Passini (grazie :) pubblicato in AltraMusa – 19/07/08

Ho avuto il grande privilegio di essere invitato a questa Kermesse di poesia, tenutasi a Rimini Sabato 19 luglio, e condotta da Alessandro Ramberti, o meglio l’anima di Fara Editore.
I lettori scuseranno questa mio articolo (soprattutto per l’inizio, la tipica “presa alla larga”) ma come ormai ben sapete mi piace scrivere a modo mio, tentando di portare quello che possono essere le emozioni provate e in questo caso per stare nel tema, il sollievo che a mano a mano ho riscontrato nella giornata.

Castel Sismondo è una fortezza che ha richiesto ben nove anni per essere costruita (1437-1446), nata dalla caparbietà e dal grande segno di potere che voleva imprimere al prossimo quello che fu anche l’architetto del castello, nonché proprietario: Sigismondo Pandolfo Malatesta. Iniziato in un momento di forte prosperità economica per la signoria e di grande celebrità personale per Sigismondo, fu concepito come palazzo e fortezza insieme, come degna sede per la corte e per la guarnigione, e soprattutto come segno di prestigio.

Prestigio.

Proprio come quello che Alessandro con grande serietà e umiltà ha cercato di imprimere al mondo della poesia. Ha raggranellato autori emergenti con autori già consolidati, li ha uniti con un solo scopo, quello di organizzare una serata all’insegna della poesia, delle emozioni, dell’arte, e soprattutto al sollievo, un lasciarsi andare per qualche ora, non pensare al dolore, ma solo ascoltare, imparare e entrare nell’intimo di ogni autore presente, toccando le giuste corde, ritmando i versi che piano piano ci fanno vibrare, ovviamente chi più, chi meno (i gusti sono gusti), ma in ognuno dei presenti esisteva la forza di credere in quello che si scriveva, si recitava, si declamava: la voglia di emozionarsi.

Tanti gli autori presenti quindi, e tante le poesie lette. Cito tutti quelli presenti nel Volantino della Manifestazione, presenti e non (così non sbaglio!!) in ordine alfabetico crescente in modo da non fare preferenze:

Amadei Filippo, Argnani Davide, Ariano Luca, Babbore Eziana, Barlotti Angela, Bianchi Stefano, Borghi Daniele, Brogna Gianluca, Camporesi Caterina, Casadei Franco, Cattani Stefano, Vincenzo, De Angelis Carla, De Luca Chiara, D’Intino Giulia, Di Pasquale Colomba, Failla Subhaga Gaetano, Fattori Narda, Federico Pietro, Gnerre Antonietta, Leoni Stefano, Lucaccioni Laura, Montebelli Ardea, Moscè Alessandro, Musio Enrica, Olivieri Maristella, Parato Andrea, Patuzzo Mariagloria, Ritrovato Salvatore, Sanchini Stefano, Seri Alessandro, Vacca Nicola, Variale Elena, Verzicco Nicoletta e a sorpresa Passini Guido (nda - che poi sono io -).

Il tutto con un grande contorno di musica di un bravissimo Chitarrista (anche se lui non si definirebbe cosi): Alessandro Buccioletti (v. foto a fianco), che con una particolare tecnica studiata in America ha dato veramente sollievo a tutti i partecipanti della serata. Personalmente non ho mai visto nessuno carezzare le corde di una chitarra in quel modo: in alcuni frangenti sembrava quasi avesse dei tasti sotto le mani. Una musica leggiadra, che ha portato una ventata di aria fresca, mettendo in risalto una cultura mista di suoni e sensazioni.

Così tra le mura larghe di una sala del castello, la poesia l'ha fatta da padrona. Svariati temi sono stati toccati e credo che tutti rispecchiassero a loro modo “Emozioni che danno sollievo” o “Il dolore”.

Ogni persona, ogni autore, ogni artista, vive a modo suo il sollievo, vive a modo suo l’emozione. Emozione è una parola a mio avviso Poliedrica (tanto per farci un po’ di pubblicità :)), fa parte dell’uomo, e non è solamente il sorriso, il dire che carina questa poesia.
Emozione può essere rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa, perché no può essere anche disgusto, gelosia, delusione, rassegnazione, speranza, dolore e chissà quante altre cose ancora.
Il sollievo dalla sua parte vorrebbe vedere solo parole allegre, sicure, dolci, ma anche questa è una cosa soggettiva, quanti di noi dopo aver avuto una giornataccia,urlano di rabbia e dopo si sentono sollevati, hanno scaricato i nervi.

Questo credo sia stato il vero messaggio che Alessandro Ramberti ha voluto lanciare in questa manifestazione. La differenza delle opinioni, del vivere le emozioni, del confrontarsi con il prossimo, il mettersi in discussione sempre e comunque.

Personalmente credo che ogni poeta abbia un’anima da custodire, da incentivare, da arricchire, e questo lo può fare solo vivendo, leggendo, ascoltando gli altri e saper cogliere quello che di buono c’è e metterlo nel cassetto del cuore. Nel momento in cui la penna inizierà a strofinare su di un foglio bianco questo cassetto darà i suoi frutti, ed allora sarà poesia.

Ho tanto da imparare ancora nel mondo della poesia, e ammetto che questa giornata mi è servita, ho captato anche solo piccoli versi che facevano scoccare scintille nell’anima, ho sentito la necessità di creare, di capire come sono scaturite alcuni scritti, da cosa sono stati scaturiti, per questo credo che l’incontro sia stato (per me almeno) una poesia vera e propria.
Cosa volete farci, io sono buono, trovo in tutto e in tutti un qualcosa di bello, che valga la pena di seguire e di vivere, cosi è stato anche per questa giornata. Anche dagli autori che magari non mi sono particolarmente piaciuti, o da alcuni versi che non s’intonano ai miei gusti personali, credo abbia imparato un qualcosa di importante, (magari anche cose da non fare o non dire :))

Non sto qui a citare poesia per poesia, anche perché la Kermesse è durata quattro ore e mezza e scrivere tutto mi richiederebbe altrettante ore, quindi posso solo dire che ne è davvero valsa la pena esserci. Per di più il caro Alessandro mi ha fatto davvero arrossire (a proposito di emozioni, in questo caso il sollievo è giunto solo alla fine della mia “performance” :)) quando a cinque minuti dalla fine mi ha chiesto di prepararmi per salire sul palco. Credo di aver sfiorato tutti i colori dell’arcobaleno con il viso mentre mi cimentavo al volo a creare una poesia inedita sul momento.
Ho vibrato, sudato, ho letto con la voce tremante 5 poesie (4 erano sul tema Fibrosi Cistica… più dolore di quello) e con la testa bassa per la vergogna sono tornato a sedere nel mio angolo. Quasi non ho sentito gli applausi, coperti dal mio cuore che batteva forte (questa volta ho davvero battuto l’amica Nicoletta in questo). Questa è poesia, questa è emozione, questa è vita.
Un sentito ringraziamento a tutte le persone che hanno partecipato all’incontro.




Vincenzo Celli


Stefano Leoni


Stefano Bianchi


Pietro Federico


Nicoletta Verzicco


Narda Fattori


Morena Fanti


Maristella Olivieri


Luca Ariano


Lorenzo Mari


Lara Lucaccioni


Giulia D'Intino


Subhaga Gaetano Failla


Franco Casadei


Francesco Accattoli


Filippo Amadei


Eziana Babbore


Enrica Musio


Colomba Di Pasquale


Chiara De Luca


Caterina Camporesi


Carla De Angelis


Brunella Bruschi


Ardea Montebelli


Angela Barlotti


Andrea Parato


Alessandro Seri



Premiati al Montano 4 poeti editi da Fara

Quattro fariani premiati con segnalazione alla 22^ edizione del Premio al Montano

Gladys Basagoitia, La carne / El sueno, Fara 2007

Brunella Bruschi, Lune persuase, Fara 2007

Caterina Camporesi, Solchi e Nodi, Fara 2008

Alberto Mori, Raccolta, Fara 2008

L'Attesa di Pablo Gozalves


Postfazione di Caterina Camporesi

LA POESIA, GRAZIE AL MISTERIOSO INTRECCIO DI SUONO E SENSO, possiede il meraviglioso dono di comunicare l'essenza al di là del suo significato letterale.
Pertanto la musicalità, sottesa ai testi poetici di La Espera, è stata da me percepita e apprezzata nonostante l'ancora poca famigliarità con l'idioma castigliano.
È nel giusto Andrea Zanzotto, quando sostiene che i poeti costituiscono una specie di setta segreta, all'interno della quale si intendono attraverso il comune codice condiviso: il ritmo.
Il lettore può intuire la cifra spazio-temporale nella quale l'opera poetica di Pablo Gozalves si svilupperà già dal titolo nel suo duplice significato di attesa e speranza e dall'incipit:

Una zattera di passaggio incrocia l'orizzonte
lo attraversa nel tunnel che preannuncia la notte.
Nella debole e lenta navigazione della sua orma
la soglia si estende celebrando l'abbraccio.
Poi restano in silenzio,
scompaiono clamorosamente nell'estasi,
nella lontananza necessaria a questa attesa.

Il poeta romantico inglese John Keats, nella sua lettera a George e Thomas Keats del 21 dicembre 1817, ha coniato il significativo termine concettuale negative capability (capacità negativa) per connotare lo stato di passività, inerzia, vulnerabilità, insicurezza, sospensione, idoneo a creare le condizioni favorevoli a fare emergere ciò che ancora è sconosciuto.
Oscurità, silenzio, ombra, esilio, sospensione, smarrimento, estasi sono alcuni fra i tanti stati d'animo che segnano e accompagnano il cammino verso i confini dell'ignoto.
Bion, uno psicoanalista inglese, particolarmente attento alla genesi e allo sviluppo della mente che può “pensare i pensieri” a più livelli di verità, ha ripreso la concezione di Keats trasferendola nel contesto relazionale fra analista e analizzando.
La condizione per raggiungere l'altra sponda del Sé e del mondo è, comunque, quella di potere sostare nella confusione caotica e negli abissi del vuoto “senza memoria e senza desiderio”. Privi del supporto dell'oggetto e della sua rappresentazione mentale e non dotati di una forte capacità di tollerare il dolore mentale e la frustrazione nell'incontro con la contraddizione e l'incoerenza è molto facile imboccare scorciatoie che, portando un momentaneo sollievo, forniscono solo risposte premature.
Tuttavia solo il contatto con la propria verità emotiva profonda e con la realtà che comporta “fare cammino dove cammino non c'è” conduce sia verso l'apertura al mondo, con i suoi infiniti significati potenziali, sia verso il nulla:

Un terzo Occhio
ri-dirige il mio sguardo,
fertile e profondo,
ha la forza di ricostituirmi in un uomo nuovo

Uno più autentico, rivitalizzato;
che mi mette nuovamente al mondo
catapultato dai miei sensi
alla ferita alla quale mi unisco.

Quando la traversata oltrepassando le colonne di Ercole raggiunge la meta, il naufrago si accorge che il percorso, anziché rettilineo, è stato circolare, e la lentezza accompagnata dallo scarto fra l'attesa e l'evento ha riempito di senso l'esperienza. Forse “ si è diretti sempre verso casa” (Novalis) dal luogo dal quale si è partiti per ricongiungersi alla ferita originaria dove, grazie all'esperienza dell'attendere, si ritorna ad investirlo di nuovi significati conquistando in questo modo la possibilità di rinascere come “un uomo nuovo”. La lunga e penosa gestazione del silenzio e le onde che hanno agitato gli abissi hanno donato a Pablo Gozalves sia la parola giusta a dire, sia la cadenza musicale, facendo di La Espera un'opera poetica ove la componente 'intenzionale-razionale' è felicemente coniugata con la componente 'genetico-ritmica':

Nasce una canzone
nello spasmo dove abita il silenzio.
Apertamente squarcia i paramenti
profana lo spazio trattenuto,
per vibrare e risuonare nella matrice
che alimenta questa attesa.

Il contenuto del libro si è presentato simultaneamente all'autore e solo per ragioni organizzative è stato suddiviso in quattro momenti. Così, partendo dalla dimensione metafisica che si manifesta nel primo momento, via via si percorre il processo creativo con un particolare riguardo a quello della scrittura per proseguire poi con le emozioni legate all'attesa dell'innamorato e concludersi con il contesto che fa da cornice all'esperienza vissuta. La dimensione metafisica che sostanzia il primo momento permea anche i successivi.
L'erotismo, secondo Georges Battaille, è la capacità di abbandonarsi alla vita dentro la morte. Nell'amplesso il soggetto, anziché affermarsi, si perde e la comunicazione fra gli amanti avviene attraverso la contemplazione delle loro ferite e del nulla. L'erotismo rappresenta l'epifania del sacro che aspira alla nudità gioiosa che disdegna ogni forma di potere per avvicinarsi all'esperienza mistica dell'estasi:

Desidero circoscrivere i miei passi alla tua ombra
e percorrere il mondo a partire dai tuoi confini.
Lasciarmi andare tra le tue gambe
come cometa intempestiva accerchiando l'infinito.

Inscrivere le mie mani nella tua pelle
come un fantasma,
come esile sospiro che accarezza la notte,
come satiro eccitato nel cielo estivo.

Nel quarto e ultimo momento il tempo si restringe e lo spazio si dilata: La Paz è il grembo e la culla che accoglie e custodisce la fecondazione del nuovo, che contiene il travaglio che porta alla nascita di un io ancora aperto all'avventura nell'incontro con la realtà e con la verità della vita:

È mezzogiorno…
La Paz odora d'asfalto caldo
tra vapori e sudori
la città si dissolve nello specchio.

Uomini di cera abitano vie e strade,
avanzano,
straripano la giuntura delle mani.
Goccia a goccia
si sciolgono all'orizzonte.

Il riflesso delle calamine ghermisce il fuoco.
Io inseguo lo splendore sottile delle selci,
saltando da un angolo all'altro,
per un momento ballo solo,
come trottola
che scende dalle cime.

Il mezzogiorno se ne va con una tazza di caffè forte,
si dissolve in un bicchiere d'acqua.
Io mi nascondo nella penombra delle stanze,
protetto,
per contemplare la vetta innevata
che resta impavida
come se nulla fosse.


Altre poesie e un'intervista a Pablo Gozalves sempre a cura di Caterina Camporesi, si trovano nel numero due di Fili di Aquilone.

Poliedrica estate foto 8 luglio

Ecco alcuni scatti dei Colomba Di Paquale (che ringrazio) dell'incontro dell'8 luglio a Forlì nell'ambito del ciclo organizzato da Poliedrica



giovedì 17 luglio 2008

io (alla deriva) nello specchio poetico


recensione di Emilia Dente

… amo e odio gli specchi, li cerco, li attraverso, veli lucenti li indosso, in essi raccolgo il mio pensiero liquido e la mia poca verità. Lo sa Alessandro Ramberti che si è specchiato nei miei occhi nel breve incrocio dei nostri passi, conosce Alessandro la mia passione e il mio tormento per il riflesso specchiato e l’amichevole e provocatorio omaggio di questo Specchio poetico ha la pericolosità e il fascino di una rete sottile tesa all’agguato… mi piacciono le sfide… imbraccio la mia sacca da viaggio – dentro solo poco pane e la voglia di ascoltare – e mi imbarco sul mio malconcio vascello di emozioni (non c’è spazio – non in questo naufragio – per armi affilate e strumentazioni complesse, nemmeno una bussola per orientare la rotta, nulla, solo il nulla a cui aggrappare brandelli di pensieri) alla deriva tra onde increspate di sentimenti e parole, silenziosamente alla deriva in un oceano blu notte.
Sulla tela dei marosi dipinti di vita, chiudo gli occhi assaporando i pensieri, mi invade la sensazione dell’acqua che inabissa la mente tra i volteggi e le contorsioni di trame poetiche vicine e distanti nelle intenzioni programmatiche (quando e dove ci sono programmi), nei percorsi lirici, nelle scelte metriche; testi, frammenti ricamati su tessuti esperenziali differenti, a volte antitetici, verbi estranei che si incontrano e scontrano in dimensioni lontane in cui il diverso non esiste e l’abbraccio dell’essere avvolge e riscalda tutti nel tepore della poesia.
… alla deriva… nel silenzio rivoli caldi fluiscono dai versi di Andrea Parato e mi lascio lambire, compagna nell’ombra di una stanza bianca dove la terapia del dolore brucia la mente e il cuore sussurrando la verità del pianto nell’urlo muto della poesia… è eco lontano e conforto la voce di Daniele Botturail solo modo di fare pace col passato è scrivere, che sembra essere il solo modo per parlare –. È lunga la terapia del dolore, attraversa i nodi delle stagioni e le camere del buio inseguendo la morte, scrutandola nel tumulto dei sensi, duellando con lei per ri-avere la vita… e la vita, col suo frastuono, con il suo disperato bisogno di presenziare il tempo mi travolge, cavallone inaspettato e potente, dai versi liberi ed inquieti di Carmine De Falco che vaga sicuro in intricati labirinti lirici seminando parole e schegge appuntite di vita e realtà che feriscono il lettore, lo lasciano stordito sul baratro dell’oltre... incalza furioso il vento e mi trascina tra gli scogli ruvidi dei versi di Paolo Fichera in insidiose acque verdi, torbido il fondo nella verità delle pietre e vivo come coltre di cenere che cova semi di fuoco… sulle labbra corallo lasciano un sapore salmastro le riflessioni stillate dal Romanzo di Adriano Padua nel riflesso forte di un dialogo specchiato tra l’uomo e il poeta alla ricerca dell’essere vita… nuda, prepotentemente sanguigna mi avvince la carnalità di Paola Castagna che, nella sua esasperata necessaria autenticità femminile racconta l’unicità e la contraddittorietà dell’io e dei sentimenti. Ammiro il suo indomito coraggio tra i flutti dell’essere. Navighiamo, naufraghiamo, troviamo riparo, Paola ed io nelle acque calde del “placido mare” di Davide Romano che imbavaglia la luce nella tessitura armoniosa dei versi, laddove nemmeno la sofferenza e la rabbia che squarciano la tela dei ricordi macchiano la serenità del cielo azzurro che l’uomo e il poeta sanno dipingere… tumulto… ancora tumulto di parole e passione, un salto improvviso, un tonfo, sull’orlo di alte cascate, trascinata ancora dal bagliore volubile della versatilità poetica ed esistenziale, un attimo, un alito di vento, si infrange lo specchio e la parete lucente si incrina nel groviglio di sillabe e pensieri di Pietro Pancamo che con le parole, seriamente divertito, ci gioca, costruendo e distruggendo il suo l(')abile castello di emozioni. È il sincero inganno del giocoliere il suo poetare ma nella parata dei versi con la poesia no, non ci gioca, e al lettore che non si lascia fuorviare dalla sua ironica giostra con(sonantica) offre gemme colorate di speranza… con lui a braccetto, su sentieri di lettere smarrite, immagino Daniele Bottura che, con la saggia leggerezza del dire aforistico, ci racconta e si racconta la vita. Io, cauta li seguo da lontano, arenandomi a tratti nella sabbia fine e profonda dei loro pensieri.

Nell’alchimia misteriosa dell’incontro, nei colori accesi del ricamo che le mani esperte dell’editore-ricamatore hanno saputo fecondamene intrecciare, al fondo, nella deformità e nella trasparenza della fragile parete dei sensi, si incarna il riflesso luminoso che è poesia.

Montefusco, 13 luglio 2008

Del viaggio preferisco le soste

quattro nuove poesie di Gabriella Bianchi qui

Siamo tutti Fariani

articolo di Nicola Vacca (che si assume la responsabilità egli encomi :) e che ringrazio)
qui nicolavacca.splinder.com

martedì 15 luglio 2008

Kermesse a Castel Sismondo in Rimini 19-7-08


Nell’ambito dell’Estate al Castello
organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini (0541/351629, ufficiomostre@fondcarim.it)

sabato 19 luglio 2008 dalle ore 16:00 alle ore 20.30
sala Isotta di Castel Sismondo, Rimini

Emozioni che danno sollievo
Storie, poesie, musica e arte dal vivo

a cura di Fara Editore
in collaborazione con Fondazione ISAL – Rimini
ingresso libero
v. locandina e programma

Versi e narrazioni di: Stefano Bianchi, Ardea Montebelli, Filippo Amadei, Enrica Musio, Stefano Cattani, Eziana Babbore, Salvatore Ritrovato, Maristella Olivieri, Andrea Parato, Chiara De Luca, Subhaga Gaetano Failla, Angela Barlotti, Gianluca Brogna, Nicoletta Verzicco, Alessandro Seri, Mariagloria Patuzzo, Stefano Leoni, Colomba Di Pasquale, Luca Ariano, Caterina Camporesi, Pietro Federico, Elena Varriale, Alessandro Moscè, Narda Fattori, Francesco Accattoli, Carla De Angelis, Davide Argnani, Antonietta Gnerre, Vincenzo Celli, Giulia D'Intino, Stefano Sanchini, Lara Lucaccioni, Franco Casadei, Brunella Bruschi, Lorenzo Mari, Morena Fanti. Con la parteciapazione di Nicola Vacca.

Intermezzi e accompagnamenti musicali alla chitarra di Alessandro Buccioletti
Espongono gli “Artisti riministi”, Cecilia Coppola con “Ceramiche d'arte” e Giorgio Cicchetti con “Schegge in mostra”.

lunedì 14 luglio 2008

Fantuzzi a Forlì 15-7-08

carissimi, martedì 15.07 alle 18,30 presenterò kobarid a forlì, giardino orselli - p.zza cavour 7
nell'ambito di poliedrica estate.

filippo amadei presenterà a sua volta l'editore raffaelli.

vi aspetto!!!
matteo

home page:
www.facebook.com/pages/Matteo-Fantuzzi/12641386586
UniversoPoesia www.universopoesia.splinder.com

Commento alle poesie di Vincenzo D'Alessio

pubblicato da Armando Santoro in www.poetare.it/commenti.html

Devo ringraziare Vincenzo perchè oggi mi ha fatto omaggio di una sua raccolta di poesie che io definisco bucolicamente "stupenda".
Mi devo scusare con questo poeta per avere ignorato le sue prime poesie pubblicate su poetare.
Un vero peccato che mi siano sfuggiti i suoi versi così intensi e così tremendamente reali e sempre attuali.
Rocco Scotellaro ha cantato le miserie di un Sud amaro, Vincenzo ce le ripropone e ce le fa rivivere attraverso i suoi personaggi che sono attori veri di una terra ancor'oggi ingrata.
Se oggi non avessi avuto tra le mani il suo piccolo volumetto, povero nella veste ma ricchissimo nel suo contenuto, avrei continutato ad ignorarlo ancora e me ne vergogno.
Ma gli amici che mi conoscono sanno che io leggo molto velocemente, alle volte ignoro, ma poi torno "al tratturo antico di poetare" e lo ripercorro per scoprire le "delizie" che mi sono perse.
E per farmi perdonare da Vincenzo trascrivo la prima poesia del suo volumetto Padri della terra, pubblicato nel 2007 per i tipi della Fara Editrice di Rimini, senza voler però sminuire la grandezza delle altre, perché mi sembra doveroso offrire un saggio della sua bravura:

All'alba ritorneranno
le mie donne quelle che
troppe volte hanno chiamato
schiave nel fuoco del giorno
con la falce nel fieno
e un figlio in grembo come
nuovo grano. Ritorneranno
coi padri della terra
a rovistare lungo gli argini
dei solchi in cerca del verde
da cuocere con l'aglio
negli occhi di vipere a riposo
Cadranno i templi di cemento
il tripode ritornerà sul fuoco
mi sveglieranno dal sonno eterno
finalmente mi daranno riposo
Vivremo nell'intensa giovinezza
di questa terra antica di oltraggi
sentiremo la pecora e l'agnello
il volto del nostro paesaggio
Ritorneremo saggi senza lutti
padri di madri senza tempo
saremo immensi quanto il cielo
rosso che ride del nostro tormento.

Versi scritti con scarsa punteggiatura, quasi a rifiutare l'ortografia e ci fa pensare un attimo allo stile adottato anche da Walt Whitman che rifiutava la poesia chiusa negli schemi classici e nelle regole che la letteratura impone.
Ma sono versi profondi che vanno al contenuto e colpiscono il cuore.
Grazie, Vincenzo, del bel regalo che mi hai fatto (ma devi sentirti in colpa perché adesso devo recuperare le due ore che ho sottratto al mio Bando Letterario).

sabato 12 luglio 2008

Ho respirato acqua / tentando d’affogare (Guido Passini)


I versi di Guido Passini sono di impronta classica (a volte anche il lessico ha forse troppe reminescenze letterarie o pop-musicali e suggerirei la scelta di termini più quotidiani, essenziali e personali), e sono versi essenzialmente lirici. Troviamo momenti in cui l'autore emerge con la sua voce più autentica, con vibrazioni che sanno farsi strada nel lettore con sicurezza e verità (per la mente e per cuore): «Tinte sgargianti / racchiudono baricentro / di logora esistenza / rendendole giustizia.»; « Ho annusato attimi / di vita vissuta / rimpiangendoli secondi dopo.»; «Ma lo spirito / mi tiene legato / all’altra sponda.»; «come goccia di rugiada / che s’inerpica sulle foglie / così vorrei / le tue labbra su me».
C'è dunque una humanitas profonda in questo poeta che dovrà solo dare risalto (togliendo qualche scoria, qualche iterazione e qualche pleonasmo o stilema amoroso magari più adatto a testi per canzoni) e rifinire un filone bello e cristallino che sa emozionare nel profondo.



Anima nel vento


Praterie verdi di speranze
ammiccanti l’ego
d’agreste sentire
cullante vita.

Vespri purpurei
s’intingono d’emozioni
di cuore pulsante
dominando sguardi.

Volta celeste
avvolge anima
librante nel vento
di bianco adorna
sfuggendo a sentori bui.

Tinte sgargianti
racchiudono baricentro
di logora esistenza
rendendole giustizia.

Acque marine
respiro insaziabile
gustando
saline di me arrese.

Opalini cristalli
scendono
depurando sorrisi
defraudati dall’odio.

Di colori ne son pieno
io sono la natura…


L’acqua che cura il mio respiro

Ho respirato acqua
tentando d’affogare
anima cruenta
che mai s’arrende.

Ho inalato sogni
risollevandomi
per poi lasciarmi ricadere
stremato nell’illusione.

Ho annusato attimi
di vita vissuta
rimpiangendoli secondi dopo.

Ogni giorno colmo
il petto instabile
d’ingrata verità
ingannando la mente
che per dispetto
sbatte nel corpo
incauto come ruspe.

Mi demolisce poco a poco
l’ineffabile dono divino.

Pulsa il diniego
sento l’inarcarsi
torcendomi viscere.

Rimango piegato
inginocchiato al destino.

Lacrime copiose
cadono a terra
forgiando lago salato
dove l’anima
possa fluttuare…

Incurante del peso
che sopprime ogni volta
il corpo si muova
sfioro la sensazione
di leggerezza dell’essere.

E quando le lacrime
esaleranno
il mio respiro
andrà con loro.

M’abbandono
al volere del sovrano
che insistente mi cerca.

Ma lo spirito
mi tiene legato
all’altra sponda.

Guerra sacra
al mio interno
usciranno vincitori
e periranno vinti.

Intanto
continuo a piangere…


Buona notte amore… (stasera che tu non ci sei)

Vorrei abbracciarti dolce amore
in questa notte
ch’accarezza il tempo
soave come un respiro
che dalle tue labbra
s’intaglia tra le mie.

Vorrei sentire la tua testa
poggiarsi sul mio petto
e respirare il profumo
effervescente della tua anima

Vorrei stringere le tue mani
poggiarle sul mio cuore
e senz’alcun timore
sussurrarti t’amo
mentre delicato
t’abbraccio
ti stringo
ti desidero

Vorrei sfiorare i tuoi fianchi
con le mani, con le labbra
con il respiro.

Vorrei sentire il calore
della tua pelle
sulla mia,
agognando una tua carezza

Vorrei spogliarti delle vesti
per poter mirare
la femminilità che t’avvolge.

Ed ancora, ancora
vorrei, non sai quanto vorrei
fare l’amore
in questa notte
che diabolica
ammanta ogni mio pensiero

Vorrei averti qui,
ora,
scoprire il tuo seno
e vivere della tua vita.

Vorrei,
ma questa notte non sei qui
non mi resta che abbracciare
questo cuscino
sperando venga presto domani.

Buona notte mio dolce amore.


Sete d’amore

Fauci arse,
labbra screpolate dal vento,
gola che sfrigola
sotto il cielo rovente.

Ho sete,
ho sete di te,
dolce peccato,
di un tuo respiro
che sovente rasserena l’anima.

Dissetami con il tuo amore
come goccia di rugiada
che s’inerpica sulle foglie
così vorrei
le tue labbra su me

Perché ho sete,
ho sete d’amore


Oleandri

Tra gli oleandri
e le coprenti palme
slanciate nella loro imponenza,
un fazzoletto di rossa terra,
calda, morbida,
profumata come la tua pelle.

E così vorrei,
vorrei fare l’amore
nel caldo di questo pomeriggio
che poco concede,
se non la forza
di riportarmi da te.

E così vorrei,
vorrei fare l’amore
madidi di sudore
avvolti l’un l’altro.

E così vorrei,
vorrei sentire il sussurro
che dolce come sirena
tra le onde del piacere
mi richiama a te.

E così vorrei,
vorrei abbandonarmi
ad ogni tuo desiderio
vivendo del tuo respiro,
gioendo dell’attimo
in cui sarò tuo.


Un alito d’amore

Un alito d’amore
plasma le mani
che carezzano le gote
bramate da sempre
sfiorate da mai

Un alito d’amore
come creta tra le mani
genera labbra
su cui perdere
il mio respiro

Un alito d’amore
intinge il cuore
d’ambrata essenza
in una notte
buia di stelle.

Un alito d’amore
che ricama
lingue di fuoco
sul tuo ventre
di desiderio

Un alito d’amore
per gridarti
io t’amo.



Guido Passini nasce a Bologna il 22/11/1978, da sempre rincorre il suo sogno personale: il respiro. Da qui derivano molti dei suoi scritti, per lo più introspezioni. È la salute compromessa che lo avvicina alla poesia, infatti si sfoga gettando le proprie emozioni su fogli bianchi che s'intingono dei colori più svariati. Questa passione gli dà nuovi stimoli nella vita, capisce di avere un altro sogno nel cassetto: portare le proprie emozioni alle altre persone. Ecco perché abbina il suo nome ad un pensiero: “Non mi arrendo, indosso nuove ali e ricomincio a volare.”
Queste semplici parole sono alla base della poetica (misera) e dell'uomo Guido Passini. Cerca di imprimere il proprio pensiero in ogni suo verso, cercando di dar vita ad un messaggio che arrivi dritto all'anima del lettore.
Ad oggi ha partecipato a due soli concorsi, di cui uno ancora in corso "il premio Laurentium", mentre nel 2004 partecipa quasi per gioco al concorso "Il Navile" di Bologna. Da settembre 2007 decide di scrivere con continuità e inizia a pubblicare sul web. Da febbraio 2008 è Capo Redattore del sito AltraMusa e partecipa più o meno attivamente a diversi altri siti e blog di poesia.

venerdì 11 luglio 2008

Su Solchi e nodi di Caterina Camporesi


recensione di Stefano Leoni (scheda del libro qui)

Le sequenze brevi di doppi versi in questa nuova raccolta di Caterina Camporesi spingono la lettura a un ritmo che rende ansimanti: si aspetta una congiunzione, un segno di punteggiatura che ci dia tregua, una pausa che ci permetta di respirare, di deviare il pensiero. E invece il verso seguente si fa elencazione, stimolante disturbo fino alla chiusa improvvisa. Per riprendere poi nella poesia successiva. Non è concesso nulla di definitivo, nemmeno una maiuscola a iniziare un discorso, né un punto a chiudere una frase.
Sgomenta, come trovarsi di fronte un pensiero che si fa spirale, che travolge e inghiotte, nella nostalgia o nel presente che non varia dal passato, affondando nella constatazione di una certa vanità del vivere pur alternandosi continuamente a una possibile “visione”, qualcosa che può divenire motivo sufficiente a sospendere “… la vita il suo dolore / in aiuole dove il fango si fa colore”.
Caterina sente “l’ideale come stella cadente / sull’asse del tempo / imporpora pori di reale / lasciando segni nell’aria” e nella dannazione di una realtà breve, contraddittoria e deludente, trova il dono laddove appunto “l’ideale se pur tradito… / calce viva a disinquinare il nero / … / in cuori in cerca dell’umano”.
In cerca dell’umano appunto contrapposto alla inevitabilità della fine. La parola, la poesia dunque anche, può farsi traccia, tentativo d’eterno.
Forse azzardo nel pensare che Caterina, psicoterapeuta di lunga esperienza, che certamente ha fatto della parola un antidoto per i suoi pazienti, che con il pensiero, l’ascolto, la sintesi e la metafora ha aiutato gli altri a districarsi dai lacci di esperienze difficili, di dubbi e di paure, nel solco di fratture che inghiottono e disperano, abbia in questo libro ribaltato il suo orizzonte. Dopo anni di ascolto e offerta di soluzioni, di lotta e di speranzosi ideali è ora lei, Caterina, a porgersi come paziente, come persona bisognosa di sciogliere i propri nodi affidando al lettore la fatica, e la speranza, di essere ascoltata, capita.
E forse proprio con questo inconsapevole intento offre a noi lettori una scrittura che travalica le regole del parlato, che si palesa in questi distici irregolari, irruenti e difficili.
Al lettore tutta la fatica di interpretare la sequenza affannosa dei versi, come a dire che ora non è più affar suo semplificare le cose e dare loro una soluzione possibile. È come se Caterina affondasse le mani dentro la propria esistenza, ne estraesse il groviglio di esperienza e di pensiero e lo riversasse sul nostro tavolo alla rinfusa nella – forse illusa – speranza di essere ricomposta o ben sapendo che la poesia, la parola, nella sua sintetica enormità può lasciare “livori… /…. all’avara terra” e “ri-nascere al tramonto / dentro spazi aperti” e “sonora…” uscire “dai denti di drago / feconda…”.
Il titolo del libro rimane una affermazione e una condizione dell’umano dove però il lettore – l’altro di sé e da sé – può ricercare un senso che ne sovrasti l’abisso o il picco, porto da Caterina con un'apparente solidità che forse nasconde una richiesta.

giovedì 10 luglio 2008

bando “In cammino con… Gesù” 30-10-08

V Rassegna di Testimonianza Letteraria
In Cammino… con Gesù



SITI INTERNET

Editoriale

il Bando

Tema specifico V edizione 2008:
La Famiglia che porta a GESU’

Madrina d’onore
CLAUDIA KOLL

INTERVERRANNO OSPITI DI RILEVANZA NAZIONALE

Tema specifico V edizione 2008: La Famiglia che porta a Gesù

La giuria
La giuria sarà composta da sacerdoti,
religiosi e laici impegnati nella pastorale
parrocchiale e diocesana, che saranno
presentati il giorno della premiazione.
Tutti gli Autori sono chiamati a
partecipare alla presentazione delle
opere Domenica 23 Novembre
2008, in occasione delle feste del
Santo Patrono, alle ore 15.30 nella
Pieve romanica di Strada in
Casentino (AREZZO).

Premiazione: Domenica 16-11-08

E-mail: parrocchia.strada@libero.it

V Edizione della
Rassegna di Testimonianza Letteraria
“In Cammino… con Gesù”


Presentazione (del Parroco don Roberto BRESCIANI)

La fede e l’esperienza religiosa è vissuta dalla persona in maniera più intensa e profonda quando è partita con un sostegno familiare.
Proseguendo nel tempo, la Rassegna di Testimonianza letteraria “In cammino con Gesù” quest’anno aprealla realtà della famiglia. La famiglia prima cellula della società è di fondamentale importanza anche nella trasmissione della fede e nella testimonianza cristiana.
Se il bambino, l’adolescente, il giovane ricevono in quest’ambito, una testimonianza autentica, è probabile che nel loro cuore la fede si sviluppi, maturi e che essi stessi diventino testimoni del cristianesimo.
In un mondo in cui i messaggi che ricevono i soggetti in crescita sono così diversi e contraddittori, la testimonianza della vita di persone significative, quali i genitori, risulta sempre più necessaria.
Coloro che hanno ricevuto la vocazione al matrimonio, devono considerare che essi sono decisivi per l’evangelizzazione del modo e per le future generazioni.

Schema del bando

La partecipazione alla Rassegna di testimonianza Letteraria In Cammino… con Gesù, di Poesia e Prosa è gratuita e aperta a tutti i "laici Cattolici".
I testi, poetici o narrativi, dovranno essere inediti, in lingua italiana in forma dattiloscritta cartacea o elettronica e attinenti al tema specifico della V edizione: La Famiglia che porta a GESU’

Sezioni
a) Poesia intesa come forma di "Preghiera"
b) Narrativa intesa come forma di racconto di una "Esperienza di fede "
personale o altrui.

Ogni sezione si suddivide in fasce di età o "Ambiti":
1. Ambito Prima Comunione – Dedicato ai bambini che si stanno preparando alla prima comunione
2. Ambito Cresima – Dedicato ai ragazzi che si stanno preparando alla Cresima
3. Ambito Giovani – Dedicato ai giovani fino ai 30 anni
4. Ambito Adulti – Dedicato agli adulti laici.

SEZIONE AGGIUNTA
Comunicazione mediatica. Dedicato a tutte quelle forme di comunicazione
nuove che si appoggiano ai sussidi informatici, ed in particolare ai siti Internet parrocchiali.
Le opere, o la segnalazione del sito internet, dovranno pervenire alla
Segreteria della rassegna In Cammino… con Gesù, presso la
Parrocchia di San Martino a Vado, Via Pieve n°1 - 52018 Strada in Casentino (AR) entro il giorno 20 ottobre 2008,
preferibilmente per e-mail (parrocchia.strada@libero.it) o anche per posta.
Per maggiori informazioni e formulazione
integrale del bando:
Don Roberto Bresciani: 0575/572602
Antonio Fani: Cell. 328/8317156
e-mail: parrocchia.strada@libero.it

INVIACI LA SEGNALAZIONE DEL SITO DELLA TUA PARROCCHIA!!!