giovedì 9 luglio 2009

Su Ma nulla ci saziò di Giorgio Mazzanti

Edizioni Polistampa, Firenze, 2007

di AR

Raccolta divisa in sei parti (forse con tensione verso la compiutezza biblica rappresentata dal sette), questa opera è caratterizzata da una maturità stilistica e da una claritas del dettato che ne fanno (oso dire per l'autore stesso) una tappa fondamentale e pienamente riuscita di un cammino poetico sui generis (per quanto intriso senz'altro della migliore poesia del Novecento, in particolare da quella di Mario Luzi). L'afflato spirituale di Giorgio Mazzanti non può prescindere da una carnalità pulsante (e qui ci viene in mente Agostino Venanzio Reali) che è poi quella che dà appunto materia e “personalità” alla nostra anima, rendendola non già una bolla ideale, ma una memoria (i verbi sono quasi sempre al passato remoto o al futuro, che è il luogo che la memoria desidera) radicata nella storia, nella vita.

Nella prima parte, “Sguardi”, troviamo subito versi che presentano con evidenza la vis poetica del Nostro:

«Stemmo / tra dramma / e attesa / tra ferita / e sogno / sapemmo il manto / gettato sulla nostra /nudità / – non subito / rimargina la ferita / né matura il seme –» (p. 17)

«sfioreremo mai / la libertà / l'estrosa voluta / dello spirito / che plasma la creta / la nostra, / sfioreremo mai / l'infinito…» (p. 21)

Nella parte successiva, “Storia e cammino”, il discorso si amplia in senso orizzontale, “scorazza” sensualmente nel quotidiano che chiede al Cielo (in maniera a volte implicita ma evidente) i perché dell'umana esistenza, il senso dell'incarnazione:

«può così tanto un fragile / soffio / fiato scambiato / come apnea di fame / infinita / vorace il desiderio / morde sorsi d'eterno» (p. 27)

«impossibile tutto / eccetto l'urlo / che svuota / viscere e sentimenti / e diverremo un buco / un vuoto spazio / e la fine sarà / l'inizio» (p. 30)

«Ci attardammo su impronte / lasciate su croste di terra / (…) / ma ci sfuggì / il profumo / ancor denso / sui sentieri da Lui percorsi:/ (…) / e perdemmo il suono / la sua voce ancora diffusa» (p. 33)

«respiriamo accanto /gli uni / dentro gli altri / pulviscolo e luce / mescolati / il vuoto e il colmo / intrecciati / così mio il tuo!» (p. 34)

«un Viandante / ci indicherà casa e strada / e molta luce / e altra e altra…» (p. 39)


In “Trapassi”, la terza parte, si indaga il mistero dell'oltre ma sempre con i piedi per terra (con affermazioni che sono in realtà domande):

«quando sapremo tutte / le affaticate scorciatoie / l'inutile peregrinare / dei sentimenti / (…) / sapremo lo sguardo / e il sapore del pane / condiviso / là in alto» (p. 52)

«siamo noi / a creare / il corso del giorno / o caliamo dentro / piste tracciate da tempo» (p. 53)


Nella quarta parte, “L'agguato”, la parola si apposta e il lettore si sente un po' sua preda:

«è altro la vita? / che l'essere a ridosso / dell'urgenza / del transito: / impedita / è la sosta, / appena una pausa, / poi di nuovo / gli anni / e altri tornanti / fino alla cima / fino alla fine: / cessazione / e approdo?» (p. 59)

«Costruiremo ponti / su fughe di silenzio / inarcato su smarriti / giorni / divisi / da eventi» (p. 60)

«non ci riuscì il volo / esatico dell'orazione / né l'inabissarsi ebbro / nel visio più infimo / (…) ( ma nulla ci saziò / mai bevemmo / fino in fondo / né salimmo mai / alla cima» (p. 65)

«non fummo che / nulla / ricoperto di terra / e rimpianto» (p. 66)


Le ultime due parti, “Nulla concluso mai” e “Fino a che punto”, ricapitolano un po' il percorso fatto fin qui, con fiammate avvolgenti, di timbro qoheletiano:

«vivi senza vita / – sempre altrove / sempre dopo – / cresce tutto così in fretta / e uguale e sparisce tutto / allo stesso modo» (p. 76)

«Abbiamo vissuto a fatica / il giorno / strappando / a morsi il respiro / dal tempo» (p. 85)

«Ha rantoli di morte / la vita / putrefatti germi / già nel sangue» (p. 92)

«– e mai una / giusta / affondata nella carne, / divaricati / impediti / allo slancio / straccati» (p. 95)

«partiremo / da questa sponda di storia / incompiuti / (…) / nulla di noi / e della nostra creta / ha raggiunto la propria / forma» (p. 96)

«sotto gli occhi / solo transito / non il disegno completo / non la traiettoria e il destino» (p. 98)


Ecco, ci pare proprio che alcuni passaggi nodali di questo lavoro davvero intenso, sapientemente tornito, coraggioso nelle mettere a nudo l'intimo del poeta, forse a tratti appena insisitito nel porsi e porci davanti le questioni fondamentali dell'essere, sia colorato dallo sguardo più disilluso che distaccato dell'Ecclesiaste: la vita è un mistero, e così anche il divino che la crea e la coltiva è come un tarlo ben nascosto che si rivela nello strato più profondo del nostro desiderio. Ma c'è la salvezza (la risposta esaustiva a ogni nostro assillo) di un Viandante: il problema è che spesso non riusciamo ad avere quella certezza della Sua presenza che è come ostacolata dalla nostra, un volerci essere che così faticosamente cerchiamo di “comporre”, anche se sappiamo che nulla, tranne Lui, ci può saziare. Un libro che dà alla parola poetica una forza reale, una forma essenziale (a volte ci ricorda quella “biblica” di Ardea Montebelli o “analitica” di Caterina Camporesi), un suono che si va ad annidare come un seme fruttifero nei recessi della nostra anima.






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