giovedì 28 maggio 2009

Su Rosaio d'inverno di Roberta Borsani

recensione di Carla De Angelis


Non perdete un solo rigo del libro di Roberta Borsani Rosaio d’inverno perché ogni verso resterà con naturalezza nella vostra mente a fornire le risposte che ognuno di voi attende quando si guarda dentro. Riflessioni senza riserve donate alla poesia e all’accorto lettore, che trova in esse la genuinità che si riflette nella reltà del quotidiano.
Tutto ciò conferma che la poesia quando è tale ci scorre nelle vene lasciando tracce indelebili.
Roberta Borsani in questo suo viaggio poetico ci fa ritrovare l’essenza della parola, restituendole il significato autentico della comunicazione. Abbiamo la sensazione di ritrovare il paradiso perduto davanti alla sottile eleganza con la quale si muove in tutte le sezioni anche in quella non facile: “Suonano a morte”. Pag. 64: “Amica/ ti sei fatta leggera e furtiva/ da quando?” è una lettura che non intristice, al contrario avvolge come in un sonno tiepido e tranquillo perché tutto il libro ha il profumo della fiaba..
Mi fermo d’incanto sulla poesia che apre la raccolta p. 11 : “mi dorme fra le braccia/ un sogno il cui volto/ bellissimo ignoro/ (…)/ non vivo per non disturbare”, e le parole “sogno” e “sonno” ricorrono spesso in questo bellissimo libro, esse ci riportano alla celebre frase di William Shakespeare: “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e le nostre piccole vite sono circondate dal sonno”.

Il bosco sacro 29 mag

MONTERIGGIONI (Siena) Castello - Giardino di Piazzetta Fontebranda
Venerdì 29 maggio 2009 ore 18.30 inaugurazione della mostra
IL BOSCO SACRO
sculture di
Elena Trissino dal Vello d’Oro
a cura di Alessandra Borsetti Venier

Interverranno:
Bruno Valentini Sindaco del Comune di Monteriggioni
Anna Ballero Assessore alla Cultura del Comune di Monteriggioni
Alessandra Borsetti Venier editore
Antonella Natangelo musicista e cantante che si esibirà con l'arpa classica e celtica

dal 29 maggio al 1 luglio 2009
Info: 0577 2760473/427 Orari: tutti i giorni dalle ore 09,30 alle 19,30 Ingresso libero

http://www.facebook.com/pages/Poggiali-Berlinghieri/45198217276

martedì 26 maggio 2009

Su Nella borsa del viandante a cura di Chiara De Luca


recensione di Vincenzo D'Alessio

La raccolta di poeti e poesie, curata dalla scrittrice Chiara De Luca, Nella borsa del viandante, reca come sottotitolo “Poesia che (r) esiste”. La Poesia gode ottima salute in quest’inizio secolo? Oppure sta conoscendo “lo sfondo così cupo dell’attuale civiltà del benessere” come scriveva il Nobel Montale nel suo discorso all’Accademia di Svezia? Ai lettori spetta la decifrazione dei codici delle numerose poesie passate in rete e racchiuse in questa antologia.
Umberto Eco, emerito professore, nel corso della Fiera del Libro di Torino di questo anno, ha augurato lunga vita al “libro” compagno di viaggio del genere umano. Cosa che ci sentiamo di fare anche noi attraverso le finestre di FaraEditore che nella lungimiranza del fare ha puntato sull’uomo in quanto portatore di Verità rivelata attraverso la Natura dell’Arte.
Simone Molinaroli è uno dei viandanti di Internet passato dal video alla pagina stampata, in questa “diversa” antologia poetica. Di questo autore abbiamo parlato in occasione dell’uscita della sua raccolta Cani al guinzaglio nel ventre della balena (FaraEditore,2008): Non è una Poesia facile, affronta i temi attuali partendo da un lungo Novecento internazionale. Con la tematica “Noi siamo la dolorosa assunzione della verità” Molinaroli conferma la sua vocazione civile tesa a scardinare il linguaggio poetico schematico, pedante, apportando una frammentazione di immagini poetiche che si avvicinano alle scritture di Autori contemporanei più avanti nella ricerca: “Se un confine c’era / l’abbiamo varcato dormendo / con la guardia stanca” (pag. 259). Viene alla mente la bella poesia/canzone di Ivano FOSSATI, la mia banda suona il rock.
L’esercizio costante della ricerca di una poetica costruttiva, post moderna, Madì (fuori dagli schemi di una cornice), forma i versi e le figure retoriche contenute in questa raccolta: “L’eco stentato di promesse folli / (…) e la vita è questa / girandola di lampi / e smarrimento” (pag. 260). La verità di udire. La verità di affrancarsi dagli schemi e dalle consuetudini. La necessità, tutta umana, di nutrirsi del nuovo ogni giorno, donandosi un poco anche agli altri: “E come negare lo spietato dominio/ dell’ambizione alla rovina, / come negare di ciò che / “non può essere detto” (pag. 271). Vengono alla mente le parole sagge, ed oggi dov’è finita la saggezza?, del grande giornalista Enzo BIAGI nel suo lavoro: “Quello che non si doveva dire” (Rizzoli, 2006).
Bene ha scritto la curatrice dell’Antologia: “poesie che mi hanno detto e dato qualcosa” (pag. 8); essenza che nutre la Verità dei giorni di ogni civiltà umana. Caduta oggi in balìa di immagini che irretiscono, della fugace vanità del bisogno, della malasorte di nascere “viandante” su mari e terre non più sicuri. L’uomo che viene fuori dalle poesie di Molinaroli è giunto, senza retorica, ad un baratro pericoloso e fuorviante: “Un giorno forse, come i sassi / non sapremo più parole / ed estranea sarà la verità”(pag. 272). Ci siamo e lottiamo, come Sisifo, contro il dolore che gente senza onore propina in nome del “potere”. L’economia umana dovrebbe ricominciare dalla Verità della parola.

Maggio, 2009

Il vento che rubava cappelli… a Cingoli 28 mag



Il Dirigente Scolastico in occasione della presentazione del libro

Il vento che rubava cappelli…
di Vittorio Graziosi
e gli studenti dell’ Istituto Alberghiero “G. Varnelli” di Cingoli

ha il piacere di averLa come ospite Giovedì 28 maggio alle ore 18.00
presso la Sala Convegni di Palazzo Cima (Corso Garibaldi, 95)

introduce Marco Di Pasquale

Dopo la presentazione saremo lieti di brindare insieme a Lei

con preghiera di diffusione


Marco Di Pasquale
www.marcodipasquale.wordpress.com
www.licenzepoetiche.it




lunedì 25 maggio 2009

Su Il paradiso degli esuli di Gabriella Bianchi


recensione di Guido Passini

pubblicata in respirandopoesia.altervista.org

Gabriella Bianchi è nata e vive a Perugia, dove lavora come aiuto-bibliotecaria. Ha pubblicato quattro libri di versi: L’etrusca prigioniera, Canzoniere, Giardino d’inverno e Cartoline da Itaca, quest’ultimo vincitore nel 2005 del premio per inediti umbri. Ha vinto alcuni primi premi: “Insula Romana”, “Francesco Mauri”, “Giorgio Byron”, “Un solo mondo” e “Vittoria Aganoor Pompilj” (quest’ultimo per la prosa). È presente in varie antologie nazionali:
Poeti per posta Rai Eri 2004, Un mare di cento haiku 2006 e 2007; Il segreto delle fragole, Lietocolle 2007 e 2009; Verba agrestia: il sogno, Lietocolle 2007; Luce e notte, Lietocolle 2008; Vicino alle nubi sulla montagna crollata, Campanotto 2008; Retroguardie – antologia poetica (Limina Mentis, 2009).
Ha collaborato alla rivista «Nel verso» 2007 e 2008, Lulu editrice. Un suo testo è presente nella rivista «Poesia» (novembre 2008) e altri sono stati inseriti da Maurizio Cucchi nella rubrica “Scuola di poesia” de «Lo Specchio de La Stampa» dal 2002 al 2006. Sulla sua poesia così si è espresso Mario Luzi: “le sue poesie le ho trovate buone, un dettato fine e vibrante. Alcune sono vere e proprie riuscite.”


Recensione

Il paradiso degli esuli si presenta un libro dalla doppia faccia, o meglio dalla doppia personalità, già dalla copertina che mostra il gioco di vedute a cui porta il libro. Gabriella è un’autrice colta, lo si nota subito dagli argomenti trattati, da come riesce a giostrare i suoi versi. Condivido molto anche il linguaggio che l’autrice utilizza, alternando parole arroccate sul gergo giovanile d’oggi, con altre più caratteriali, misurate. È una poetica intensa, dedita al cammino che vuole fare percorrere al lettore. Ci sono poesie che riportano alla mente penne importanti per la storia della letteratura, e non solo, poesie che rievocano in un certo senso il passato.
Il viaggio che compie Gabriella in questo libro va oltre lo spazio geografico, va oltre il tempo, oltre l’osservare la vita e raccontarsi. Ora, rileggendo questi versi sono stato attirato dalla figura del gatto ricorrente in più testi. E su questo baserò la visione che ho di questo libro. Anche Gabriella come tanti altri poeti, proprio come Baudelaire a cui dedica una poesia, subisce il fascino dei felini, e ci si immedesima, si lascia accompagnare dalle loro movenze.
Penso che la poesia di Gabriella sia collegabile ad un felino, in quanto ha una proprio carattere, una propria indipendenza. Per comunicare il gatto miagola, soffia, ringhia, fa le fusa, in questo modo esprime sofferenza, gioia, necessità o altri stati d'animo. Allo stesso modo l’autrice sa affondare le unghie e lo fa con delicata noncuranza, mentre in altri testi sembra quasi adagiarsi su un manto d’amore, ma forse è solo apparenza…
Un’antica credenza vuole che un manoscritto morso da un gatto fu destinato ad un grande successo.
Il poeta Aldous Huxley disse ai suoi allievi che gli avevano chiesto il segreto per avere successo in letteratura: "Se volete scrivere, tenete con voi dei gatti."
Quindi il mio augurio si limita a questa credenza.

Fara a Libri in piazza 29-21 maggio


www.comune.traversetolo.pr.it






Librinpiazza 2009
4 edizione mostra media e piccola editoria

Per il quarto anno consecutivo ritorna a Traversetolo Librinpiazza la mostra della piccola e media editoria. Tre giorni di incontri con gli autori, tavole rotonde, presentazione di libri e di case editrici.
Ecco il programma nel dettaglio:

Venerdì 29 maggio

ore 15,30 - Inaugurazione e Apertura stand
Intervengono: Alberto Pazzoni, Sindaco di Traversetolo e Gianni Guido Bellini, Assessore al Commercio e Attività Produttive di Traversetolo.

PRESENTAZIONE LIBRI E INCONTRI CON GLI AUTORI
dalle 16,00 - 19,00:
A scuola con il cuore - Mauro Reggiani - IL LIMOGRAFO
Ciao bella fuga, romanzo atipico per lettori edonisti e (poco) bigotti - Vincenzo Gueglio; Appuntamento con il drago - Enrico Rovegno; La strada era tortuosa - Don Luigi Canessa - GAMMARò EDITORE
Luigi Beccarelli: da Borgotaro a Cronovilla passando per Parigi - Anna Mavilla - Centro Studi Valli del Termina
William Shakespeare ovvero John Florio, un fiorentino alla conquista del mondo - Saul Gerevini PILGRIM EDIZIONI

Sabato 30 maggio
PRESENTAZIONE LIBRI E INCONTRI CON GLI AUTORI
dalle 10,30 alle 12,30:
“Viaggiando intorno al Monte Fuso”; “Matilda dei Gratiasi Quid Est”; “Dal catasto al terreno, ricostruzione cartografica del territorio di Campora - Adriano Cappellini - Centro Studi Val Termina
La Signora dei Vini - Stefania Cavazzon - PUBBLISFERA
Ricette di Guerra 1940-1944 per una Cucina semplice semplice; Le ricette di Maria Montessori cent’anni dopo - Leonardo de Sanctis e Giovanna Alatri - FEFè EDITORE

dalle ore 15,00 alle 19,00:
I merli del giardino di San Paolo - Giancarlo Baroni - CASA EDITRICE MOBYDICK
Senza fiato. Poesie e testimonianze (sulla fibrosi cistica) - Guido Passini; Fragile (una storia di anoressia e angeli) - Laura Bonalumi; Il primato della pietà (racconti che fanno epoca) - Nino di Paolo; Il silenzio della poesia (l’evoluzione dei versi) - Riccardo Burgazzi; Nella borsa del viandante. Poesia che (r)eiste - Chiara de Luca (curatrice), Luca Ariano, Martino Baldi, Anila Resuli, Matteo Fantuzzi, Fabiano Alborghetti, Francesca Matteoni, Daniele Mencarelli - FARA EDITORE
Templari - Salvatore Vasta - ARMANDO SICILIANO EDITORE

dalle 21:00: presentazione sestina finale del premio nazionale Bancarella

Domenica 31 maggio

PRESENTAZIONE LIBRI E INCONTRI CON GLI AUTORI
dalle ore 10,00 alle 12,30:
La luna sporca - Dina Ravaglia; Il mosquito d’Isola Serafini - Stefano Longeri - CASA EDITRICE EDIZIONI PONTEGOBBO
Ragguaglio delle antiche misure: il rapporto fra le vecchie misure dei ducati di Parma-Piacenza e Modena-Reggio Emilia col moderno sistema metrico decimale - Vittorio BOcchi -ANTICHE PORTE EDITORE
dalle 11,30 fino a fine degustazione:
Nduja - Antonio Pugliese - ARMANDO SICILIANO EDITORE (presentazione libro e degustazione)

dalle ore 15,00 alle 19,00:
Il segreto del poeta (romanzo sulla vita di Chrétien de Troyes) - Paolo Galloni; Il rosaio d’inverno (poesie a piedi scalzi) - Roberta Borsani; Il resto a voce (liriche) - Colomba di Pasquale; Prima vita (poesie/racconto) - Stefania Crozzoletti; Vita in rosso...un cuore violento (ruggiti poetici) - Stefano Cattani; Fashion (quando il verso si fa moda) - Alberto Mori - FARA EDITORE

dalle 17,00 alle 18,00:
Tavola rotonda: Un contrappunto di voci nascoste: dietro al successo di un libro - Natascia Pane, Sergio Auricchio, Piero Spotti, Teresa Giulietti, Erica Boffi; Tavola rotonda: Il gazebo delle lettere. Cara Jo - Rosa Gargiulo; Cesare Paradiso - autore indedito; Cotta di Dio - Luigi Raciti; Mauro Ursino - autore indedito; L’ora più silenziosa - Claudia Sfilli - CASA EDITRICE CONTRAPPUNTO

dalle 18,00 alle 19,00:
Lo stadio più bello del mondo - Luca Farinotti - CASA EDITRICE CLANDESTINE

LE CASE EDITRICI E LE AGENZIE PRESENTI

AGENZIA CONTRAPPUNTO (Torino)
Contrappunto è uno Studio di professionisti agenti letterari e consulenti editoriali internazionali specializzati nel management culturale, letterario ed editoriale. Nato a Torino nel 2002 Contrappunto opera al fianco di scrittori e saggisti come di editori, di organizzazioni come di imprese culturali. Caratterizza lo Studio un approccio fortemente orientato all’economia, all’inquadramento dei processi editoriali nel più generale contesto dei mercati culturali, all’attenzione per i flussi relazionali e all’aggiornamento continuo e costante dei professionisti afferenti. Sul mercato italiano, distingue inoltre Contrappunto un impegno decisamente rivolto all’innovazione dell’identità e del ruolo della Literary Agency. Contatti: tel. 011 197 198 29 - Fax: (+39) 011 197 198 43 - info@agenziacontrappunto.com; http://www.agenziacontrappunto.com
ANTICHE PORTE EDITRICE (Reggio Emilia)
Nasce nel 1997 con l’obiettivo di recuperare la storia, l’ambiente e le culture locali che impreziosiscono le mille realtà d’Italia. Ha all’attivo tante pubblicazioni legate a questi argomenti, organizza inoltre appuntamenti, incontri e convegni legati a questi temi che vuole sviluppare perseguendo una qualità sia formale che sostanziale. Pubblica inoltre un trimestrale chiamato Gli appunti dove questi argomenti sono sviluppati in forma maggiormente divulgativa.
ARMANDO SICILIANO EDITORE (Messina)
Quest’anno l’Armando Siciliano Editore festeggia i ventidue anni della sua esistenza. Nel 1987 inizia con collane una collana di sociologia, per coninuare poi con testi di filosofia, romanzi e poesie.
Molti i libri di forte denuncia sociale: Le mani sull’Università, Le origini della mafia sui Nebrodi, Figlio di partito, Presidente per una notte, Tra Separatismo ed Autonomia, Il caso Spanò, Graziella Campagna, ecc.
Tanti altri sul recupero della tradizione: Civiltà contadina, Indovinelli siciliani, Alla ricerca delle radici, Vendemmia e mietitura nella Sicilia del Novecento, Messina prima e dopo il terremoto. Tra gli ultimi: Quando gli Americani scelsero la Libia come “nemico”, Isole Eolie. Storia, tradizioni, cucina, A tavola con lo chef, La memoria e la parola. Contatti: http://www.armandosicilianoeditore.it - tel. 090/71.13.59 - fax 090/71.13.59
CASA EDITRICE PUBBLISFERA (Cosenza)
La casa editrice Pubblisfera di San Giovanni in Fiore Prov. Cosenza, opera nel settore dell’editoria da circa un ventennio. Le sue pubblicazioni comprendono testi di interesse scientifico, naturalistico, storico, letterario, poetico, ecc.. di autori vari. Ha pubblicato alcune opere di ricerca e statistica di interesse nazionale per conto di Enti Pubblici (CNR , Università ecc.).
Sebbene operi in tutto il territorio nazionale, promuove soprattutto quello calabrese, e in particolare San Giovanni in Fiore, nella figura di Gioacchino da Fiore collaborando da molti anni con il Centro Studi Gioachimiti con il quale ha pubblicato opere di interesse internazionale sul l’Abate calabrese.
CENTRO STUDI VALLI DEL TERMINA (Neviano degli Arduini - Parma)
Il Centro Studi “Valli del Termina” è nato per riportare alla luce la storia e le tradizioni del Comprensorio delle Valli del Termina, cercando di riscoprirne le origini, la cultura e le risorse naturalistiche. La passione che unisce i Soci trova motivazione nel desiderio di trasmettere alle nuove generazioni le conoscenze ed i valori del passato da cui trarre, quale comune patrimonio ereditario, spunti preziosi per rivitalizzare la nostra terra in modo equilibrato e rispettoso delle sue vocazioni.
Contatti: www.parmaest.it/centrostudi
EDIZIONI CLANDESTINE (Marina di Massa)
Edizioni Clandestine propone un catalogo con oltre 200 titoli suddivisi in narrativa, classici, saggistica e poesia; dal 2007 la casa editrice si è sempre più orientata verso la pubblicazione di storie vere e saggi d’interesse internazionale, affiancati a romanzi, italiani e stranieri, di alta qualità.Contatti: tel. 0585 784698; http://www.edizioniclandestine.com
EDIZIONI PONTEGOBBO (Piacenza)
La casa editrice nasce nel 1994 con l’intento di pubblicare guide turistiche di località spesso ignorate dal grande pubblico ma ricche di fascino, bellezze naturali e opere d’arte. Nasce così la collana “Itinerari di Natura e d’Arte”. L’altra collana di punta è “I girasoli”, una pubblicazione quadrimestrale distribuita anche nelle edicole e all’estero, suddivisa in 4 filoni: storia (resistenza), saggistica, biografie e humor. Il catalogo comprende inoltre libri sportivi, per bambini, narrativa e noir.
Contatti: info@edizionipontegobbo.com, http://www.edizionipontegobbo.com
Fara Editore (Rimini).
è nata nel 1993. Il suo marchio è un carattere cinese arcaico che significa “parola, dire, esprimere”. Il nuovo millennio ha bisogno di idee che non siano meri ed astratti fantasmi, ma la sintesi di valori fondanti che possano aiutare l’uomo a crescere in consapevolezza e in capacità di azione. I libri di Fara vorrebbero aiutare a rendere un po’ più chiaro e definito il senso delle parole chiave dell’uomo. Contatti: http://www.faraeditore.it; info@faraeditore.it
FEFè editore (Roma)
è una società di servizi editoriali e della comunicazione, attiva anche nell’ideazione e gestione di eventi culturali. E’ nata nel dicembre 1991. Dal dicembre 2005 FEFÈ EDITORE ha intrapreso un nuovo ramo nella propria attività, pubblicando i primi titoli di due collane a carattere letterario. Contatti: fefe.editore@tiscali.it -
Gammarò editori (Sestri levante)
Il mercato della editoria globalizzata è saturo di prodotti, ma povero di occasioni; noi desideriamo fornire ai lettori ciò che non trovano in quel mondo: incontri con temi, opere, autori importanti ma trascurati dalla grande editoria: sorprese, curiosità, piacevolezze, qualche volta provocazioni, sempre onestà intellettuale. Gammarò può aprire il proprio dialogo con la cultura italiana: con le persone che in questo paese pensano, scrivono, leggono, cercano di capire se stessi e il mondo. Contatti: http://www.gammaro.it; info@gammaro.it, http://gammaroeditorisestri.blogspot.com
Il limografo (Parma)
La Casa Editrice offre un servizio di Print On Demand di stampa digitale indirizzato alle scuole e finalizzato a soddisfare ogni esigenza di pubblicazione a tiratura limitata per la stampa di libri e materiale didattico realizzati da alunni ed insegnanti. Si occupa di tutte le fasi di pubblicazione. Contatti: book@limografo.it; www.limografo.it.
MOBYDICK EDITORE (Faenza)
Mobydick è una realtà fondata nel 1985 che si concretizza inizialmente con la pubblicazione della rivista “Tratti”. Ma rapidamente l’editrice allarga il proprio raggio d’azione, muovendosi verso tutti quei lettori interessati a scritture inedite, non omologate. Nascono così I Libri dello Zelig - narrativa contemporanea, italiana e straniera; Lenuvole - in cui si dà spazio alla poesia, anche in dialetto e in lingue minoritarie; Lunaria è la collana di “classici” in prima traduzione per l’Italia; Con l’originale collana di audio-libri Carta da Musica si è ricercata la reale commistione di note e parole per progetti diventati poi spettacoli. Contatti: Telefono e Fax 0546.681819; info@mobydickeditore.it; http://www.mobydickeditore.it/

Pilgrim Edizioni. Pellegrini dell’Anima (Massa)
Collane di Narrativa, Poesia e Saggistica, Narrativa fantastica e fantascientifica. Testi iniziatici, olistici e metafisici.
La Pilgrim, come un pellegrino accorto di ritorno verso casa, ci ricorda che non occorre andare lontano per trovare ciò che migliora la nostra vita, per donare amore. A Casa Pilgrim coltiviamo il Qui e l’Ora, piante magiche del nostro giardino.
info@pilgrimedizioni.com; www.pilgrimedizioni.com.



Date da venerdì 29 maggio 2009 15.00 a domenica 31 maggio 2009 20.00
Luogo Piazza Garibaldi, presso Lino's coffee, Traversetolo (PR)

venerdì 22 maggio 2009

La bellezza, un luogo dell’anima



Appuntamento, Venerdì 29 Maggio 2009 alle ore 18.30 presso la sala della Libreria MONDADORI, in Piazza delle Erbe 9/A, a VICENZA, dove si svolgerà un incontro centrato sul tema della bellezza, così come può essere colta, espressa e dare testimonianza della nostra domanda interiore attraverso due delle forme espressive più diffuse inventate e continuamente rivisitate dall'uomo: la scrittura poetica e il segno pittorico.
Organizzato dal Laboratorio di Lettura e Scrittura Poetica di ARTEMIS, in collaborazione con l’Alliance Française di Vicenza a partire dal volume Il Grande Spazio di Yves Bonnefoy (ed. Moretti e Vitali), nel quale il grande poeta e saggista francese ci introduce, con la sensibilità del suo sguardo poetico, alla lettura di alcuni capolavori del Louvre, l’evento si propone di indagare come la bellezza possa essere un’esperienza condivisibile e in quale modo e misura il linguaggio pittorico e la scrittura poetica riescano a coglierne, almeno in parte, l’essenza, trasmettendoci la sensazione di poter attingere a una parte di assoluto, attraverso la forma.
L’incontro, aperto al pubblico, intende aprire un dibattito rivolto a quanti si dedicano e a chi semplicemente ama l’arte, consapevoli che introdurci in tali argomenti con una guida d’eccezione come Bonnefoy significa fare l’esperienza dell’arte non come turisti né come critici, ma come persone innamorate della bellezza.

Intervengono:

Flavio Ermini : poeta, saggista, direttore della Rivista di Ricerca Letteraria ANTEREM
Stefano Guglielmin : poeta, saggista, insegnante
Francesca Ruth Brandes: critica e curatrice d’arte, poeta
Lettura dei testi a cura di Jean de Jaegher
Coordina Ivana Cenci: traduttrice, responsabile del Laboratorio di Lettura e Scrittura Poetica di Artemis

Ivana Cenci 20 Maggio 2009

giovedì 21 maggio 2009

Intervista a Franco Loi, in assenza di Franco Loi.

di Flora Restivo

Sembra un gioco di parole, non troppo originale né tanto intelligente, in realtà si tratta semplicemente di un ritratto del tutto personale del grande poeta che io farò, senza certezza di ottenere il suo consenso, ma speranzosa di ottenerlo.
Sarà, comunque, una vera intervista, pertanto le risposte che verranno date alle mie domande saranno tutte assolutamente, parola per parola, di Franco Loi.
Il problema, se così volessimo chiamarlo, riguarderebbe solo la mia idea di quello che è questo grande artista, indipendentemente da ciò che, di lui, si conosce.
Dirò qualcosa di nuovo, non dirò nulla che già non si sappia? Non lo so, ci provo.

Qualche anno fa fui invitata a presentarlo nel corso di una manifestazione. Onestamente mi sembrò un compito piuttosto difficile, ma, disgraziatamente, amo ciò che è difficile e accettai.
Decisi che avrei dato a questa presentazione un piglio consapevole, ma privo di paludamenti. Conoscevo la poesia, ma non la persona, non avevo ancora Internet, quindi non mi erano pervenute immagini di come fosse fisicamente, ma non pensavo a questo come ad un fatto importante e, difatti, non lo è.
L’incontro non si verificò, causa una furiosa eruzione dell’Etna e tutto finì lì.
Dopo un paio d’anni, mi giunse notizia di un suo viaggio in Sicilia, così mi diedi da fare e mi sorbii parecchi chilometri per avere il piacere di conoscerlo.
Non era un momento della mia vita particolarmente felice, ma era troppa la voglia di vederlo e, magari scambiare due opinioni con lui, che andammo, io e mio marito, corredati di invito, all’elegante “location”, scelta per l’occasione.
Arrivammo prestissimo e, zitti zitti, ci sistemammo, dopo un discreto giretto per i viali, nella saletta, preparata per l’evento.
Improvvisamente mi sentii bussare, con lievità, ad un spalla, mi voltai e mi trovai di faccia ad un signore alto, viso ascetico, occhialoni e… sandali ai piedi (in aprile).
Chiesi: “Lei è il professore B.?” (la gentilissima persona, nonché fine poeta e letterato, che si era presa la briga di mandarmi l’invito e anche di informarlo della mia presenza). “No” mi fa, “Sono Franco Loi e ho pensato di scendere in sala una mezz’oretta prima, giusto per scambiare due parole con lei.”

Fu subito amore, per questa immediatezza, semplicità, assenza di spocchia, capacità di entrare in sintonia con l’altra persona…
Purtroppo, io e mio marito, dovemmo lasciare la sala, prima del tempo, a causa di una sgradevolissima telefonata che annunciava uno sgradevolissimo avvenimento, ma la maniera di porgersi, di questo grande, di avvicinarsi, la capacità di far comprendere a chiunque, con una lettura particolarmente scandita e intensa, il dialetto in cui scrive, la grazia e l’interesse con cui aveva accettato alcune trasposizioni in siciliano, che avevo elaborato da sue poesie, mi lasciarono un’impronta fortissima.

Col tempo, piano piano, i nostri rapporti si sono evoluti, hanno preso un tono incentrato sull’affettuosità, sicché un giorno, gli ho detto: “Prima o poi scriverò di te, a modo mio.”
“Bene, bene – mi rispose, con quella particolare tonalità di voce velata assolutamente inconfondibile – aspetto.”
Sarà venuto il momento giusto? Non lo so, non faccio la giornalista, non conosco le regole del gioco, ma quel che voglio dire è che il Franco Loi che ho l’onore di conoscere,
possiede in sommo grado una qualità che pochi hanno: la considerazione per chi è altro, in tutti i sensi. Ciò porta ad una limpidezza di comportamenti per cui solo chi non vuole capire non capisce il suo pensiero.


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“Buongiorno maestro”, io.
“Di maestri al mondo ce ne è stato solo uno”, lui.
“Allora, come devo chiamarla?”, io.
“ Franco”, lui.
Ecco, in questo piccolo scambio di battute, si pennella il personaggio.

Sono passati alcuni anni, da allora, tuttavia io ho sempre un gran bel batticuore quando lo chiamo o mi chiama e, occorre dire che non sono facile ai “batticuore”.
Ho conosciuto sua moglie, una donna bella, piena di fascino, dinamica ed estremamente… milanese: una coppia affiatata.
Ma adesso, la contumacia del poeta è giunta alla fine, ora occorrono domande e risposte.

Non sono davanti a lui, non ho un registratore, non so stenografare, ma l’intervista mi piace farla.
Ci siamo:
“Buongiorno Franco, spero tu stia bene perché ti porrò alcune domande, quindi, magari, metterò a dura prova la tua pazienza. Non penso che saranno originali, dato che sei avvezzo alle interviste, ma procedo ugualmente.”
“ Vai, pure, ti ascolto.”

D. “Tu, sei ritenuto il più grande dei dialettali viventi, a parte il fatto che scrivi anche in italiano, come ti poni di fronte a questa affermazione?”

R. “Come vuoi che mi ponga? Anzitutto la grandezza di un uomo non la stabiliscono mai i contemporanei e, forse, non si può sancirla. Magari qualifichiamo «grande» quello che è semplicemente un uomo. Voglio dire che siamo così abituati alla mediocrità, che il semplice proporsi di un uomo ci stupisce. Poi, perché usare il termine «dialettale»? Non è un discrimine? La cultura è una. A me piace molto De Sanctis, che imposta la sua Storia della letteratura italiana comprendendo scrittori, scienziati, poeti, filosofi, tutti coloro che scrivono. Forse che la poesia ha bisogno di questi distinguo? E Dante non era un «dialettale»?
Quando si stabiliscono tali distinzioni, non si finisce più di discutere. Proprio voi, in Sicilia, non discutete su cosa e come considerare «siciliano»? Koinè? Localismo? Ecc… La poesia non è che poesia in qualsiasi lingua sia detta e, come vedi, uso un termine che si riferisce al parlare e non allo scrivere, proprio perché i suoni e il ritmo ineriscono all’individualità orale. Lo scrivere è già una traduzione.”

D. “Quale molla è scattata in te, e dallo studio della filosofia, ti ha portato alla poesia?”

R. “Il mio intento era la ricerca della verità. Quando ero bambino, tra i nove e i dieci anni, scrivevo racconti, facevo sceneggiature di romanzi, che poi, noi bambini recitavamo nei cortili, indossando costumi ritagliati nella carta, dalle bambine. Leggevo molto, fumetti, romanzi, fiabe. Solo molto più avanti, dopo i vent’anni – se si eccettua la mia lettura di Marx a diciotto anni – ho cominciato ad occuparmi di teatro e di filosofia.
Forse ha contato molto anche la mia precoce partecipazione a quella vicenda sociale – la guerra, l’antifascismo, la rivendicazione operaia – che noi chiamavamo «impegno politico». Volevo capire e far capire. Ero indignato dall’ingiustizia sociale, come scrive Vittorini, «per il mondo offeso». Ero preso anch’io da «astratti furori» e dalla ricerca della verità. Così, dopo Marx, Mozart e Leopardi dei miei 16-18 anni, venne lo studio sistematico della filosofia. Intanto scrivevo racconti e tentativi di romanzo.
Come si fa a dire «cosa è scattato in me?» Forse non è scattato niente. In realtà non ho mai smesso di scrivere e di studiare e, nello stesso tempo, di «partecipare».
Nel 1963, Virginio Puecher ed alcuni attori del Piccolo Teatro mi proposero di scrivere una satira politica che avrebbe dovuto andare in scena durante l’estate. Ma io, che intanto avevo vissuta tutta la delusione del primo crollo dell’ideologia marxista – ero uscito dal PCI nel 1954 – proposi una satira anticomunista. Lavorammo a quel testo teatrale dal settembre ’63 al giugno del ’64. Cito questo episodio perché fu la prima volta che scrissi dei testi teatrali anche in milanese. Naturalmente Op là bandiera rossa! non andò in scena, né allora, né mai. Ci fu il veto di Grassi, più tardi quello di Dario Fo e, infine, in modo molto più chiaro e onesto, di Franco Parenti – che mi disse di essere condizionato dalle sovvenzioni dei partiti Socialista e Comunista.
Così, l’anno dopo, 1965, mi capitò tra le mani l’edizione Vigolo dei Sonetti del Belli. Tra un filosofo e l’altro, la lettura di quelle poesie mi colpì molto. Trovavo, finalmente, un poeta che “partecipava” alla vita di un popolo. Avevo letto qualcosa di Carlo Porta, ma soltanto più tardi, sono penetrato nella sua poesia. Sono stato indotto a provarci anch’io, ma fu davvero il Belli o fu il cambiamento che, intanto, era avvenuto in me? Tanto è vero che incominciai a scrivere in italiano. Scrivevo e stracciavo. Mi accorgevo di scrivere con la testa e con la memoria dei poeti che avevo letto; secondo quel che intendevo dire, riconoscevo Leopardi, Pascoli, D’Annunzio.
Come ho già detto varie volte, volendo parlare di personaggi operai e vittime della guerra, pensai che non avrei potuto farlo in italiano, che dovevo usare la loro lingua e così, per una seconda volta indotto dalla materia di cui volevo trattare, volli scrivere in milanese. Fu così che scopersi di avere il milanese dentro di me, più di quanto pensassi e, per la prima volta, scopersi la poesia. Non scrivevo più secondo quanto la mia consapevolezza dettava, ma, se così posso dire, mi lasciavo scrivere, era tutto me stesso che partecipava all’evento – corpo, anima, memoria conscia e inconscia – e, proprio come dice Dante, «dettava dentro» e in una lingua che non era la mia usuale.”

D. “Mentre scrivi, pensi a chi ti leggerà, cerchi di individuarne il punto debole?”

R. “Quando scrivo, non penso. È difficile far comprendere – come tutte le cose di cui non si è fatta esperienza – cosa è avvenuto in me negli straordinari momenti in cui ho scritto poesia.
Dice Leopardi, nella lettera alla sorella Paolina: «In tutto questo tempo ho cincischiato con le parole… Finalmente mi ha ripreso l’allegrezza dello scrivere poesia».
Si tratta di un evento in cui siamo coinvolti pienamente, non di un discorrere o un chiacchierare e nemmeno di un far letteratura. D’altra parte mi leggerà chi avrà la mia stessa passione per la verità e la stessa spinta a conoscere sé stesso. Non conosco abbastanza con precisione neppure i miei «punti deboli», figurati se posso individuarli negli altri! Non mi preoccupo né degli altri, né di altro.”

D. “Quali letture sono state illuminanti perché nascesse il poeta Franco Loi e quali accadimenti di vita?”

R. “Chi può dire cosa conti nella nostra vita? A volte può essere un accadimento insignificante a riportarci a noi stessi, a volte un dolore, a volte una gioia. E c’è un criterio con cui valutare ciò che conta e ciò che non conta?
Infine, poeti si è, non si diventa. I bambini, sino a tre-quattro anni, sono quasi tutti poeti. Forse si tratta di rientrare in noi stessi, forse non sono state le letture, nemmeno quella del Belli in sé; forse è un modo di essere di cui ti accorgi, forse hanno contato di più i giornalini e i libri che ho letto tra i quattro e i dieci anni – ho cominciato a leggere a quattro anni, forse Socrate ha contato più di Dostoevskij e forse Bach più di Vivaldi e di Rossini. Certo è contato il modo con cui sono entrato in rapporto con le persone e le cose e l’attenzione a me stesso e agli altri. Quando avevo 21 anni, ho conosciuto uno scrittore e poeta, Giulio Trasanna, che mi portava, insieme ad altri ragazzi, nei caffè e nelle osterie e mi diceva: «Prova a guardare la gente… e poi dimmi, di ognuno, che età pensi che abbia, che professione fa, cosa esprime la sua faccia…» Poi ho scoperto che la stessa cosa faceva Flaubert con i suoi giovani amici. Quanto ha contato questo? Certo ci sono stati accadimenti straordinari. Ho vissuto la guerra, i bombardamenti, ho visto fucilare, ho visto gli uomini buttati sui marciapiedi, come sacchi insanguinati, ho vissuto il dopoguerra, la ricostruzione della città di Milano, ho partecipato ai cortei, alle lotte operaie, ai moti del 1948, a quelli del ’68, sono stato persino in prigione, a Venezia, per accuse politiche, ho conosciuto uomini di qualità: Ungaretti, Vittorini, Sereni, Fortini, Davide Turoldo, Lorenzo Milani, ho partecipato a discussioni e battaglie politiche, ne sono uscito sempre sconfitto. Non posso dire che la mia vita sia stata senza eventi e tutti mi hanno segnato o hanno influito, ma non è stato, piuttosto, che il mio modo di partecipare a questi fatti e a questi rapporti, sia stato influenzato dall’essere un certo tipo di uomo e, forse, un poeta?”

D. “Che peso ha ed ha avuto, nella tua poetica il ruolo di figlio, padre, marito, nonno e da cosa è stata provocata la tua sterzata verso una ben delineata forma di religiosità?”

R. “Beh, questa è una domanda da romanzo. Intanto bisogna distinguere due domande in una: quella sul peso dei rapporti umani, familiari e non e l’altra, sulla religiosità.
Mio padre aveva fatto la quinta tecnica. Rimasto orfano ad otto anni, della madre e ad undici del padre, fu allevato da un fratello, a Genova, e mia madre, orfana di padre a diciotto anni, aveva fatto solo le tre elementari.
Mio padre ha fatto il marinaio, il disegnatore meccanico, lo spedizioniere e poi è stato assunto, come direttore dello Scalo Merci di Milano Smistamento, da una ditta di appalti ferroviari. Mio padre non l’ho mai visto con un libro in mano e, però, era un intenditore di musica lirica, mentre mia madre, oltre ad amare anche lei la musica lirica, leggeva di tutto, dai libri della Delly a Delitto e Castigo.
Da piccolo io leggevo i libretti d’opera e ascoltavo musica. Può anche darsi che questa educazione musicale abbia influito su di me, ma non gli darei un valore decisivo. Certo, tutto può aver contato. Come ho detto in un’altra risposta, la vita di un uomo, fin dagli inizi, è un’incessante scoperta e non si può distinguere tra un evento, anche insignificante e un altro a cui la nostra mente può dare più importanza. Così è anche per la moglie, i figli ecc. Facciamo parte di un tutto e tutto penetra in noi e ci condiziona. La libertà consiste, appunto, nel non lasciarsi condizionare totalmente.
In quanto alla religiosità, sia mio padre che mia madre non andavano mai in chiesa e, però, mi hanno sottoposto a tutti i riti cattolici. Sono stato persino cresimato dal Cardinal Schuster.
Credo, comunque, che una imprecisata religiosità sia sempre stata in me.
Religio, dalla cui radice si può risalire ad una lex che, insieme ha significato di legge, di leggere e legare, mettere insieme, raccogliere. A me piace quel “mettere insieme” e “legare”, che vale, sia per le persone, che per le cose, insomma un’unità cosmica di cui la parola di Dio è un misterioso agente.
Così le lezioni di catechismo hanno fatto crescere in me quello stupore del mio rapporto con ogni cosa e ogni persona, che, fin da piccolissimo, mi facevano stare incantato ad ogni evento della natura, il muoversi di un ragno, il dondolare di un fiocco di neve o il pulviscolare della luce dai vetri di una finestra.
Certo, poi, la mia religiosità si è andata sempre più affinando nella mente, ma, sostanzialmente, non si è mai allontanata molto da quello stupore davanti al mistero del vivere.
Per me la parola «Dio» è un’emanazione del silenzio in cui sono avvolte le cose e, nello stesso tempo, forse per abitudine infantile, non posso fare a meno di rivolgermi a quel silenzio, come fosse una persona. Certo, come ho scritto in una poesia: «Dio non è un pensiero, non è un’idea, ma un filo di spada che ti attraversa il cuore» e ancora in un’altra poesia: «Più lo penso e più gli sono lontano».”

D. “Ami la vita?, quanto, come e perché?”

R. “Certo che amo la vita. Come si possono separare amore e vita? Si respira, si sta attenti, si è vivi. Un mio amico diceva: «L’amore è movimento» e cos’è la vita? È proprio il movimento verso le cose, gli altri, sé stessi e non è questa la natura stessa dell’amore? Dall’attenzione a questo movimento, nasce la poesia. Proprio come dice Dante, ascoltare la vita e dire quel che il nostro essere vive. Non con la mente, ma esprimere col corpo e con lo spirito, quel che esce da noi, per effetto stesso dell’amore vivente. Dice Raimon Pannikar: «Se la parola non dice solo ciò che prima è pensato, se non va solo a rimorchio del pensiero, ma dice ciò che l’Essere è e, dicendolo, lo manifesta, allora poniamo le basi realmente al regno della libertà». Questo è, appunto, ciò che fa la poesia e tutte le arti. Non è il versificare, ma «fare», poiein, come non è imbrattare tele o emettere rumori – suoni.”

D. “Sei un caotico, pieno di fogli, appunti, frasi, segnati dove capita o lavori metodicamente?”

R. “Scrivo dove e quando mi capita. Ma non sono caotico. Come dice Shakespeare, nell’Amleto: «C’è del metodo nella sua pazzia.»
Non ci sono regole nel fare arte, se non quella del lasciarsi dire. Certo che occorrono cultura, preparazione, mestiere. C’è stato un periodo in cui mi sono divertito a imbrattare coi colori, ma, per esempio, intendevo mettere un verde-foglia e invece ne veniva fuori un verdaccio inqualificabile, sognavo di dipingere la trasparenza d’un cielo e, invece, ne usciva un blu opaco e pesante.
Ma, per tornare alla tua domanda, a volte scrivevo anche per 14 ore, girando per casa, recitando e memorizzando quanto usciva da me, a volte scrivevo sul tram o per strada, appunto su foglietti o nei miei quaderni, a volte ascoltavo la gente nei posti di lavoro, nelle osterie, negli ospedali ecc… Spesso la gente diceva cose straordinarie senza nemmeno accorgersene. Persino i suoni erano perfetti.”

D. “Le espressioni «forti» che, spesso usi nelle tue poesie, le usi anche nella vita o nascono mentre metti in versi le tue sensazioni?”

R. “Cosa intendi per «espressioni forti»? In poesia non ci sono distinzioni fra le parole.
Il popolo ha sempre distinto le parole soltanto dal tono con cui vengono pronunciate. Tanto è vero che, spesso, una stessa parola ha significati diversi secondo il tono. Se io dico fica o figa, invece di vulva, questo può offendere le orecchie di qualcuno, ma è una semplice questione di mos o costume. In poesia conta soltanto ciò che voglio esprimere con quel suono. Quando eravamo bambini si faceva un gioco che non so se i bambini d’oggi conoscono: si ripeteva una parola, per esempio pane, fino a quando si perdeva la significazione e rimaneva il suono.
Il poeta non perde di vista il significato, ma lo assume come suono o insieme di suoni. Ne nasce uno scorrere ritmico e musicale, tuttavia significante, che chiamiamo «verso».
Certo che, in società, non uso fica o figa, userò un eufemismo, dettato dai costumi, per non offendere nessuno, ma questo è dovuto al savoir faire d’obbligo in ogni società, non perché la parola in sé sia «forte» o offensiva per un qualsiasi pudore. Tanto è vero che, nell’intimità, credo siano pochi ad osservare le regole del galateo. Ma questo fa parte di una certa ipocrisia sociale, non ha fondamento nella parola.”

D. “Per chi attribuisce un qualche peso all’astrologia: tu sei dell’Acquario, segno improntato ad un fortissimo senso della propria libertà e autonomia. Quanto ritrovi di te in questa’immagine?”

R. “Beh, spero che tu non voglia parlare dell’astrologia dei giornali e della televisione. Anche Dante usa spesso nei suoi versi l’Astrologia, antica scienza che studiava l’influsso degli astri sulla natura umana. Cominciamo col dire che non soltanto l’essere nato nel mese dell’Acquario impronta un carattere; ci sono gli ascendenti, l’influsso della luna, degli altri pianeti ecc. ecc. Quasi sempre occorre anche la perspicacia o la chiaroveggenza di chi pratica la lettura di un tema natale. D’altra parte, chi non si picca di avere «un alto senso della libertà e di sentirsi autonomo»?
Una visione cosmologica non può prescindere dall’Astrologia nell’indagare sulla natura umana, ma si tenga presente quella bella osservazione di Einstein, a proposito della scienza: «Non si perviene alle leggi universali per via di logica (…), ma per intuizione (…) e l’intuizione è possibile nel rapporto simpatetico con l’esperienza». Che differenza c’è con la dichiarazione poetica di Dante: «I, mi son un che quando/ Amor mi spira, noto e a quel modo/ ch’ei ditta dentro vo significando». È ancora l’amore a muovere l’intuizione.
Perciò non bisogna mai concedere all’opinione di massa né sulla scienza, né sull’astrologia, né sulla poesia o altro…
Siccome io non so chi sono e, però, ho tante e diverse opinioni di me stesso, non mi limito a quell’impronta astrale. Come ho già ripetuto mille volte, sono uno che cerca.”

D. “Le donne, madre, moglie, figlia, nipote sorella, la figura femminile in genere, quanto incide nel tuo essere uomo e poeta? Come ti poni nei loro confronti?
È l’altra faccia di una precedente domanda.”

R. “Questa è una domanda alla quale non so rispondere. D’altra parte sarebbe come chiedere: quanto influisce il sole o la luna o la natura tutta?
Quando avevo quattro anni, una bambina della mia stessa età, figlia di amici dei miei genitori, mi prese per mano, mi condusse nella sua brandina, nel sottoscala di una casa nei carugi e mi disse: «Tuccame chie…», toccami qui a e portò la mia manina sul suo sesso. Poi mi strinse fra le sue braccine. Cosa provai? Una gioia, ma non perché toccavo il suo sesso o ero abbracciato da una donna, semplicemente mi piaceva essere amato.
E, siccome mia madre non era mai stata particolarmente effusiva, forse la mia gioia era pari a quella che avrei provato dal suo abbraccio. Penso che la gioia venisse dall’amore; sicuramente non aveva niente a che fare col sesso. Nell’infanzia ho avuto questo tipo di incontri con molte bambine. Forse qualcuna di loro era più maliziosa di me, ma io lo prendevo come un gioco – infatti qualcuna mi ha fatto giocare “al dottore”, qualche altra mi ha regalato dei bacini, qualcuna mi ha semplicemente invitato a giocare a palla o ad altri giochi.
Fu, sicuramente, molto più avanti – avevo 14 o 15 anni – che gli amici più grandi mi insegnarono a masturbarmi e mi parlarono del sesso con le ragazze.
Tu hai l’abitudine di fare domande impossibili. Cercherò di separare i diversi aspetti.
Di quella che ora è mia moglie, mi innamorai follemente quando avevo 21 anni e lei, a differenza delle bambine della mia infanzia, mi ha fatto molto penare. Soltanto sei anni dopo, acconsentì al fidanzamento. Ora sono 52 anni che siamo insieme. Penso che, quanto ad influsso sulla mia vita, sia sufficiente!
Veniamo ora alle donne. Quante ne ho amate e ne amo! Questo, però, non vuol dire necessariamente, che ci sia andato a letto.
Ho imparato da bambino ad amarle. Come ho scritto in una poesia: «mi piace toccarle, parlare con loro, vedere i loro occhi che brillano, quel dolce dormire fra le loro braccia». Tutto mi piace di loro e, certo, anche «farci l’amore». Ma questo è un aspetto secondario del mio amore per loro.
Certo ho scritto anche poesie, da loro ispirato, c’è persino un poema: Teater, che tratta dell’amore per una donna, ma ho scritto anche poesie per i miei figli e una per mia figlia Maddalena. Ho scritto fiabe che le mie due figlie Francesca e Maddalena, hanno illustrato con i loro disegni.”

D. “La sessualità quanto conta e ha contato nella tua vita e che incidenza ha avuto nella tua poesia?”

R. “Chiedere della sessualità ad un uomo che ha quasi 80 anni, è quasi una crudeltà. Scherzo. Beh, non bisogna mai scindere l’uomo. Tutto l’uomo, intero, sesso e cuore e mente e… altro, formano quello che noi chiamiamo persona. Perciò anche la sessualità ha una sua funzione energetica nel moto poetico. La sessualità non è generativa?”

D. “Poesia in dialetto, poesia in italiano, in quale ti senti più Franco Loi e perché?”

R. “Io scrivo poesia in lingua milanese. Ha un significato? Scrivo in Italiano soltanto prosa, narrativa, teatro, critica. Dove sono più Io?
Certo, in milanese avviene il miracolo: non è più il mio ego o la mia consapevolezza o la mia mente, ma sono tutte queste cose assieme e, forse, anche ciò che non so individuare di me che sudano le parole. Forse si può dire: «Io più Dio.»
Sicuramente la gioia che mi è esplosa durante il «fare» poetico è quella che cerco ancora oggi e penso mi esprima di più.”

D. “Cosa pensi della poesia in dialetto dei nostri giorni e chi, se puoi dirlo, ritieni sia
in grado di lasciare una traccia significativa, nel tempo?”

R. “Cosa vuoi che pensi? Come ho già detto e ripeto, anche Dante ha scritto in dialetto, fiorentino e non solo, se pensi alle tante parole lombarde e venete del suo poema. Tuttavia posso aggiungere che il periodo tra il ’60 e l’80 è stato particolarmente favorevole alla scrittura dialettale, se penso a Raffaello Baldini, Franca Grisoni, Tolmino Baldassari, Nino Pedretti, Tonino Guerra, Albino Pierro, Franco Scataglini, Bianca Dorato, Santo Calì, Amedeo Giacomini, Mauro Marè, Achille Serrao, Sergio Atzeni, Benvenuto Lobina e tanti, tanti altri… Tutti poeti di grande qualità, che soltanto la miopia e l’ipocrisia politica della discriminante italiota non sa prendere in degna considerazione.
Non mi piace porre ulteriori separazioni e non mi piace dare voti. Basta leggere la bella antologia in tre ponderosi volumi che Franco Brevini ha preparato per i Meridiani, per rendersi conto di quanto tutti questi poeti, in modo diverso, abbiano contribuito a dare un’immagine del loro tempo.”

D. “Cosa pensi dei premi letterari?”

R. “Dei premi letterari non posso che apprezzare lo sforzo di molti emeriti uomini di lettere per segnalare nomi e testi di qualità. Però si sa che un premio è spesso determinato dalle amicizie dei giurati, dal gusto e dalle motivazioni di un’epoca, di scelte politiche ecc. Tanto più il Premio è prestigioso, cioè gode di stampa e notorietà, tanto più tutti gli elementi citati incidono sulle scelte. In genere, una buona giuria fa un buon Premio; ma il Nobel, per esempio, ha spesso premiato più per scelta politica, che per scelta letteraria.
In quanto ai «dialettali», è mai stato preso in considerazione Carlo Porta, Gioacchino Belli o Delio Tessa? Non credo che la giuria del Nobel sappia chi sia Raffaello Baldini. D’altra parte è stato premiato Montale e non Ungaretti.
La Sicilia è terra di grandi poeti e di grandi scrittori. Basti ricordare Antonio Veneziano, Giovanni Meli, Domenico Tempio, Vann’Antò, Nino Martoglio e poi Pirandello, Verga e i più recenti Buttitta, Santo Calì, Giovanni Battaglia, Nino De Vita.
Le questioni del dialetto sono così dappertutto, non solo in Sicilia. Se poi anche i poeti in lingua regionale si mettono a discutere tra loro su koinè e localismo, come sul piano nazionale si discrimina tra poeti in lingua e poeti in dialetto, ne nascono equivoci e distorsioni dannose.”

D. “Il termine «cultura», cosa significa per te?, come intendi, tu, la cultura?”

R. “Passiamo, ora, all’altra domanda sulla cultura. La cultura non è, forse, una? Viene da colere, coltivare, venerare. Ci sarebbe, semmai da discutere sull’abitudine – purtroppo anche scolastica – d’intendere la cultura come erudizione, come somma di saperi e sarebbe più attinente dire: «somma di libri ingurgitati».
Levi Strauss, in uno dei suoi libri, mi pare Il pensiero selvaggio, parla di un botanico francese, grande erudito e ottimo studioso della natura, che va in Africa, in cerca di una pianta, ormai scomparsa in Europa. Il capo tribù lo fa accompagnare da un bambino, che, appena al limite della foresta, comincia a correre, ogni tanto si china e raccoglie qualcosa e il botanico riesce a malapena a tenergli dietro e, quando tornano al villaggio protesta col capo tribù.
Ma il bambino rovescia davanti a lui tutto ciò che aveva raccolto e non c’era soltanto la pianta che cercava, ma tutte le varianti di quella specie, che il botanico neanche conosceva.
La cultura ha, dunque, due aspetti: l’attenzione alla vita – l’ambiente in cui si vive, le cose e le persone con le quali entriamo in rapporto, l’effetto che questi rapporti hanno su di noi, cosa accade in noi mentre viviamo. Quindi colere, coltivare i rapporti che abbiamo con la vita e con noi stessi e venerare, rispettare tutto ciò che ci circonda, esercitare la conoscenza e onorare il mistero di ciò che non conosciamo.”

D.“Il prossimo anno, compirai ottant’anni, una tappa anagrafica importante. Se fosse possibile, cosa diresti al Franco di vent’anni, a quello di quaranta o a quello di sessanta? Sono anni indicativi, potrei dire quindici, trenta, cinquanta o settanta.”

R. “Non saprei cosa dire. Intanto, come accade anche ai figli, bisognerebbe capire se sarei stato in grado di ascoltare. La vita si impara vivendo. Se si sta attenti.
C’è anche gente che a 80 o 90 anni ne sa forse meno che a 20. Io ho tre figli, ma ognuno è cresciuto come ha voluto. Sì, forse avrei potuto parlare di più con loro, ascoltare di più le loro esigenze, ma la storia e la letteratura dimostrano, spesso, che la natura del figlio è quella che conta di più. Ci sono padri degeneri che hanno figli meravigliosi e padri stupendi che hanno figli mostruosi.
Per esempio, Marco Aurelio cosa è riuscito a fare del figlioccio Commodo? E Seneca, del discepolo Nerone? Il personaggio di Dostoevskij, Netoska Vesvanova, era figlia di un ubriacone e lei era amorosa e moralissima, Re Lear non ha, forse, tre figlie, una diversa dall’altra? E anche il nostro codardo Re Vittorio Emanuele non ha avuto una figlia coraggiosa come Jolanda?
Hanno detto le figlie di Vittorio Sereni: «Nostro padre non era pedagogo con le parole, ma con l’esempio». Ma loro, forse, erano attente e aperte. Sì, certo, ognuno di noi pensa che, con l’esperienza dell’età, si può evitare di fare certi errori o di prendere decisioni più corrette in certe situazioni, ma per quanto mi riguarda, penso che la mia vita non sarebbe stata diversa. Certi difetti li ho ancora adesso, alcuni rapporti li patisco ancora oggi.
Sarei davvero in grado di dare delle svolte alla mia vita? Ho fatto quello che ho potuto,
nelle condizioni in cui mi sono trovato, con il carattere e la coscienza che ho avuto, con i mezzi che avevo a disposizione. Anch’io, alcune volte dico: «Se avessi saputo…» Ma non è detto che quello che ho fatto non mi abbia insegnato qualcosa. Forse sono come sono, proprio anche per come sono vissuto, errori compresi.”

D. “Come hai vissuto e come vivi il cosiddetto «successo»? La riconoscibilità, l’essere, in una parola, «importante»?

R. “Ma tu credi nel «successo»? Non vuol dire «accaduto» o, addirittura, succeduto o morto? I miti del nostro tempo sono: sesso, successo, sia nel senso di fare i soldi che in quello di essere ammirato da molti. Vedi, c’è, tra i tanti difetti che ho, un’aberrazione che non ho, la vanità e l’invidia.
Certo, dispiace non essere amato. Il desiderio d’amore lo abbiamo tutti. Così come quando si pensa di dire o fare cose utili a tutti, si vorrebbe che tutti ne usufruissero. Ma vale anche qui la regola del libero arbitrio: non posso imporre la mia parola, non posso aspettarmi di essere capito e amato.
Ma cosa vuol dire «successo», al di là di ciò che è stato già detto e mi pare sia più significante? Vuol dire che ne parlano i giornalisti, che compari in TV ecc., ma, più profondamente, che sei apprezzato dal Re o dai potenti, infine, che sei accetto al capobranco.
Nessuno dei grandi del passato ha avuto questo «beneficio». Cristo è stato ucciso, Socrate anche, Dante ha dovuto fuggire, condannato a morte, Campanella è stato incarcerato ecc. ecc.
Se dovessimo fare l’elenco degli scrittori, scienziati, poeti, musicisti che, sotto il capobranco Stalin, hanno pagato con la vita, la prigione o hanno dovuto scappare, dovremmo scrivere un libro.
Un uomo è importante per quanto è o fa o per quanto dice la gente? Uno è eroe perché gli danno una medaglia o perché ha coraggio? Io ho scritto una poesia che comincia: «Oh, quanta gente è morta su una strada/ senza che la storia se ne sia accorta» e, nelle scuole, dico ai ragazzi: «Pensate ai vestiti che mettete, al cibo che mangiate. Li ha fatti qualcuno che non conosciamo. Le cose più essenziali alla nostra vita, le ha fatte qualcuno, con il suo talento, il suo lavoro, la sua umiltà.»
È che viviamo di sogni, siamo così intenti al sonno, che non ci accorgiamo della vita. Fa dire Shakespeare ad un Re: «Forse conviene che pochi veglino e i molti dormano». Se conviene non lo so, ma, di certo, così accade.”

D. “Ti ho fatto stancare, ti ho annoiato, ti ho costretto a smussare qualche spigolo nelle risposte? Hai mai avuto voglia di mandarmi elegantemente, a quel paese?”

R. “No, per niente. Altrimenti non avrei risposto alle domande. In quanto agli spigoli, non me ne sono nemmeno accorto.
Questo genere di dialoghi aiutano anche a riflettere, almeno per quanto mi riguarda. E qui mi fermo.”


È andato tutto bene, il consenso c’è stato, Franco Loi è stato cordiale e disponibile. Bello: lui da una parte, io dall’altra, una forma di intervista anomala.
Mi dice che si è divertito, che le domande non erano ritrite, anzi che, alcune, nessuno gliele aveva mai poste.
Trattengo a stento un moto di orgogliosa commozione… Grande Franco!
E dire che si tratta della mia prima intervista!
Non vorrei che fosse anche l’ultima.


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Flora Restivo, trapanese, poetessa, scrittrice, autrice di prefazioni, recensioni, note critiche, collabora con noti e apprezzati artisti. Sue opere sono presenti, da anni, in antologie e importanti riviste del settore. Ha al suo attivo due sillogi in dialetto siciliano, in corso di pubblicazione una raccolta di racconti e una silloge in lingua italiana. Persona alquanto schiva, ritiene di dover parlare più con ciò che fa, che di ciò che fa.



Su Cocci d'ombra di Vincenzo Celli

recensione di Guido Passini in respirandopoesia.altervista.org



farapoesia.blogspot.com

Cenni biografici

Vincenzo Celli nasce a Rimini il 2 luglio 1960, città in cui vive. Dopo avere conseguito il diploma di maturità tecnica e dopo una breve parentesi, come dipendente, entra nel mondo del commercio, attività che svolge ancora oggi. Nell’ottobre 2005 scopre alcuni siti di scrittura su internet ed inizia, prima, a leggere le poesie degli altri autori, poi, a cimentarsi nello scrivere le proprie.


Recensione


Cocci d’ombra è la prima opera di Vincenzo Celli, un autore che potete trovare su vari blog di poesia con i suoi testi. Vincenzo è uno di quegli autori che conosco da qualche tempo, artisticamente parlando, e devo dire che affrontando la lettura di questo libro mi aspettavo un altro genere di libro. Ero abituato a leggerlo diversamente, mi era forse sfuggita la sua costante crescita poetica e il suo rincorrere un verso pulito dal punto di vista strutturale, ed una certa cadenza del suono rispetto all’immagine.
Ho ritrovato un Vincenzo dalla vena ermetica, una vena che più leggevo e più andavo paragonando a Verlaine, seppure con qualche cambio dettato dal linguaggio in epoche differenti. Come per tutti i poeti neosimbolisti ho colto la poesia libera di Celli, libera non solo dalle forme metriche e retoriche tradizionali, ma anche dai temi proposti, celati in maniera sagace. Ricorre un tema centrale che è un senso della vita vista in maniera malinconica ma al tempo stesso accattivante. In più di un testo, a mio sentire, ho trovato un senso di sconforto, un prendere coscienza d’essere un mezzo della moderna civiltà di massa, una regressione nel contrasto con la realtà quotidiana.
Questo libro è molto intimo, su certi aspetti arriva ad una secchezza del verso, portando all’esasperazione lo stato d’animo. Il punto di vista è spesso un valore della vita sfiduciato, senza tante illusioni.
La poetica di Vincenzo diventa così un sinonimo di sinestesia, o di analogia.
A rafforzare questa mia tesi, il titolo del libro Cocci d’ombra. I cocci infatti sono pezzi di terracotta di basso pregio, che poco sanno portare ombra…
Una raccolta poetica che ha del carattere e si lascia gustare con flessibilità.
Lieto di leggerti finalmente su carta Vincenzo.

Guido Passini

Colomba Di Pasquale a Recanati 23 mag

Alla XX Mostra del libro di Recanati

SABATO 23 MAGGIO

Ore 16.30 – Atrio Comunale – Poeti per un'ora: scrittura creativa per
bambini dagli 8 ai 10 anni - a cura di Colomba Di Pasquale

Ore 17.30 – Atrio Comunale – Viaggio nella poesia d'autore: per ragazzi
dai 10 ai 13 anni (laboratorio a numero chiuso max 20 persone, prenotazioni
in mostra) a cura di Colomba Di Pasquale

martedì 19 maggio 2009

Sebastiano Adernò vince!

Con l'opera “Ricordo” Sebastiano Adernò si classifica secondo al Premio “L'ora della poesia”: complimenti e ad maiora!


lunedì 18 maggio 2009

POESIE SENZA ADSL – new thread

Girolamo Grammatico e Alessio Maria Claudio Curatolo autori di Poesie senza adsl – sentimenti ad alta tecnologia (Giluio Perrone Editore) il libro che ha umanizzato la tecnologia rendendola meno asettica, si rimettono a lavoro per il secondo libro su cui raccogliere le migliori poesie dedicate all’ hi-tech alle quali verranno affiancate nuove metafore visive della nostra tecnosfera.

Come nel primo progetto (Poesie senza adsl) gli autori posteranno sul blog percezionesociopatica.blogpost.com ogni settimana una poesia “senza adsl” ad opera loro o dei lettori. Alla fine di Agosto la raccolta dei nostri autori sarà composta anche da alcune tra quelle pervenute per vedere la luce nelle libreria verso la fine di Settembre.

Quindi prendete la vostra tastiera, cominciate a digitare i primi versi e mandateli a
poesiesenzadsl@gmail.com
Ci sarà spazio anche per opere musicali e visive dal sapore prettamente net, purché il leit motiv rimanga sempre il rapporto che intercorre tra tecnologia e sentimenti.

Coloro i quali non avessero letto il primo libro e volessero maggiori informazioni sul progetto precedente possono collegarsi a
www.myspace.com/poesiesenzadsl
o mandare un poesia (se tecnologica è meglio!) all’indirizzo di posta elettronica di cui sopra
e ricevere, gratis, il pdf del libro Poesie senza adsl!


Supposizioni

Ho amici che non conosco,
taggati nella mia mente
da idee collettive.

Euristiche digitali
allertano che se lanciassi
il mio messaggio
in questo mare di surfisti
non sempre sconnessi
molti Rispondi
avrebbero di che stupirmi.

E da pari a pari
rifletterei
su quei sentimenti
che credevo solo miei
e invece condivisi
da rizomatiche comunità
tra i server della conoscenza.

girolamo & alessio

Su Salutami il mare di Carla De Angelis

articolo di Antonietta Gnerre pubblicato su «Il ponte dell'Irpinia» del 16-5-09

scheda del libro qui

(cliccare sull'immagine per ingrandirla)


Voce e suoni di due poetesse della Stella del Sud a Roma 22 mag

Nuovi Orizzonti Latini

La Dott.ssa Stefania Massari, Direttore dell’ Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, Il Ministero per i Beni Culturali in collaborazione con l’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti latini presenta:

Voce e suoni di due poetesse della Stella del Sud

La S.V. è invitata al recital di due poetesse latinoamericane venerdì 22 maggio alle 17.00 presso la Sala delle Conferenze dell’Istituto Demoetnoantropologico (Museo delle Arti e Tradizioni Popolari), Piazza Marconi, 8/10 Roma.



Rayen Kvyeh è nata a Huequén (Chile) e occupa un posto molto particolare all’interno del panorama, in continua espansione, degli autori di origine mapuche. Ha studiato Diritto del Lavoro presso l’Università di Concepción e contemporaneamente, all’inizio degli anni anni Settanta, ha seguito studi di teatro presso il Laboratorio Sperimentale della stessa Università. Durante la dittatura militare di Pinochet ha sofferto il carcere e la tortura e nel 1983 è stata costretta all’esilio in Germania dove ha collaborato attivamente alle attività politiche e culturali della comunità cilena. A Friburgo mette in scena, con la compagnia Las Hormigas, Historia de los Desaparecidos. Successivamente, alla metà degli anni Ottanta, svolge un progetto di ricerca in Nicaragua sulla cultura miskita. Farà ritorno in Cile soltanto nel 1987 dove vive da allora a Temuco.
Rayen presenta in Italia in questi giorni la sua nuova raccolta poetica intitolata Luna de cenizas/Luna di cenere - (tradotta dallo spagnolo dal Prof. Antonio Melis), Edizioni Gorèe, 2009.
Rayen ha voluto scrivere Luna di cenere in spagnolo, quasi per non contaminare il suo mapudungun, la lingua dei mapuche, con le parole tristi legate all’esperienza del carcere.
Interverrà Annalisa Melandri


Gladys Basagoitia, peruviana, con cittadinanza italiana, vive a Perugia. Biologa, poeta bilingue, performer e traduttrice. È stata premiata più volte in concorsi di poesia nazionali e internazionali. Ha pubblicato le sue poesie in Perú, Brasile, Argentina, Messico, Nicaragua, U.S.A., Portogallo, Colombia, Italia, ecc.
Ha tradotto il libro di poesia: La sorte/ la scelta di Mariella Bettarini. Ha inoltre tradotto altri poeti dall’italiano allo spagnolo e poeti dallo spagnolo all’italiano, soprattutto poesia femminile.
Questa importante poetessa è inoltre impegnata nella difesa dei diritti umani e dei diritti delle donne. In quest’occasione ci leggerà alcune sue poesie (in spagnolo e italiano) e ci presenterà la sua ultima opera: Il fiume senza foce, Fara Editore.

Info: 3337548526 – www.nuoviorizzontilatini.it



venerdì 15 maggio 2009

Su Fashion di Alberto Mori


recensione di Franco Gallo

Nella nostra comune interpretazione il “sistema della moda” e il “sistema vestimentario” tendono a confondersi: le pratiche convergenti ma in origine distinte della produzione sociale della moda come processo di valorizzazione e della gestione personale o di gruppo dello stile e del vestiario come processo di riproduzione e di comunicazione sono viste come connesse. Ciò per la circostanza, fattuale ma comunque precaria, della pervasività capitalistica della valorizzazione che si spinge, ineluttabilmente, fino all’obsolescenza programmata dei beni primari e alla loro trasformazione da beni pluristagionali a oggetti fungibili per un arco temporale ben più ridotto.
La disponibilità (illusoria perché squilibrata e di breve termine, ma oggi de facto) di una molteplicità sovrabbondante di capi ben al di là degli autentici bisogni vestimentari diretti comporta la possibilità di un’esagerata articolazione linguistica dell’abbigliamento. Di qui la comparabilità tra gli ibridismi della lingua d’uso contemporanea e il sistema vestimentario, la formazione di un gergo dell’abito generazionale e internazionale, le potenzialità metaforiche crescenti delle materie nel loro impiego per la realizzazione del prodotto abito (o accessorio o gadget) soprattutto se in congiunzioni inattese, a volte zeugmatiche, con altre materie (pelle e cotone, pelo e plastiche etc.).
Tuttavia tale versatilità linguistica dell’abbigliarsi sarebbe impossibile senza la circolazione indefinita della merce-abito dentro il sistema capitalistico della valorizzazione; l’analisi del sistema della moda non può pertanto limitarsi all’aspetto della gergalità o della purezza della dizione vestimentaria, ma deve inoltrarsi nella considerazione dei processi sociali di produzione e nella sociologia dell’identificazione dell’abito come marca di rango, status o classe.
Il sistema della moda, dunque, come processo di valorizzazione, rappresenta un caso borderline tra l’industria culturale e l’industria tout court, un luogo (affine a quello del design e del mobile) dove l’interazione tra sollecitazione e creazione del bisogno mediante operazioni simboliche e il soddisfacimento del bisogno reale assume contorni nebulosi, a meno che non si accetti, come opzione metodologica di fondo, la tesi dell’insussistenza del bisogno come dato naturale e della sua manifestazione soltanto come estrinsecazione di un immaginario contaminato dalla catena sociale dei segni e dalla sua mimesi.
Da un lato industria, da un altro parte del processo del lavoro riproduttivo (in quanto l’abito comunque ha decorsi di obsolescenza imprevedibili, in quanto riparabile, riattabile, trasferibile etc.); da un lato creazione di segni e marche, dall’altro captazione di sviluppi autonomi di significazione vestimentaria; da un lato custode di una soglia invalicabile tra alto e basso, dall’altro sempre più attento ad esplorare valichi e comunicazioni tra le due dimensioni; tutto questo rende il sistema della moda una realtà di estremo interesse psicologico e culturale e ne fa un tema inaggirabile per la poesia di Alberto Mori.
Mori ha da tempo intrapreso una lotta a corpo morto con la simbologia e la prassi sociale del consumo e dell’industria culturale, in altri termini con la modernità tardocapitalistica e le sue logiche dissipative e immaginarie, affrontando i temi del rifiuto, della scena urbana, dei non-luoghi, della tecnologia (per citarne solo alcuni); con Fashion si riporta alle tematiche viste sia in Bar sia in Distribuzione sotto l’aspetto duplice del meccanismo linguistico delle scelte compositive e della tematizzazione centralità del gesto e del corpo nei processi di identificazione.
Il meccanismo linguistico della modernità è concepito da Mori come una sorta di gigantesco procedimento mimetico-incorporativo, in cui per accumulazione il linguaggio della quotidianità affastella termini sempre meno corposamente riferibili a fatti e oggetti e sempre più vagamente correlati, piuttosto, a situazioni iconiche, stati d’animo ed esperienze immaginarie che sono suggerite dai canali della multimedialità (dalla carta allo streaming).
Tutto ciò non è privo di quell’effetto narcotico proprio del postmoderno, di quella cancellazione della coscienza critica che tanti intellettuali, da Jervis a Timpanaro, hanno giustamente denunziato; tuttavia ciò che preme a Mori, la cui posizione umanistica è quanto di più lontano dalla lode acritica del postmoderno, è preservare gli effetti estetici per lo più involontari che il postmoderno produce nella sfera di una creazione poetica originale.
Identificandosi dentro abiti e gesti, collegando questi ultimi a monikers e marchi, sloganizzando la propria corporeità gli uomini ovviamente si oggettivizzano a loro volta, ma la sintesi estetica di questa loro metamorfosi, umanisticamente una diminutio, non è necessariamente nella sua spersonalizzazione un disvalore; né lo è, se si considera a quale identico destino l’umile materia vada incontro nello spietato processo di uso e produzione che la nostra specie ha istituito - e sovvengono versi memorabili di Rilke sulla vera vita che l’abito guadagna a volte anche rispetto a colui che lo indossa, nelle particolari circostanze simboliche e sociali del suo uso:

E tu dunque, cara,
tu, sul quale gioie fascinose
mute rapide passarono. Forse
le tue frange sono felici per te-.
O sul tuo giovane robusto petto
La seta dal color verde metallo
Si sente infinitamente scacciata e di nulla sente la mancanza.
Tu,
sempre sull’equilibrio di una bilancia oscillante
posasti il profitto dell’indifferenza mercanteggiato
spesso sulle spalle. (V Elegia Duinese)

Il dramma della moda è appunto esemplare per il calvario splendente che la materia coinvolta in esso subisce: il filato elaborato dalla grezza risorsa vegetale o dalla manipolazione tecnologica di sintesi si eleva a segno, diventando metonimia della capacità umana di dare lustro e splendore con la parola alla natura propria e altrui. Certo nella moda, come in tutta la dinamica della valorizzazione capitalistica, questa dimensione è piegata alle logiche dello sfruttamento, del profitto, dello spreco e della disuguaglianza; ma non si può negare che in quella effimera radianza che il nostro immaginario produce (in noi ed altri) attraverso la fidatezza piena del nostro rapporto con l’abito ci sia anche, per quanto pervertito, il segno di una promessa di comunicazione, di potenziamento e rafforzamento della comunanza tra l’uomo e la natura.
La materia, come il batuffolo di cotone di cui Mori poeta, continua a lasciarsi soggiogare, sia pure con resistenze crescenti dovute alle limitazioni incombenti, pe ragioni antropiche, sulla sussistenza della sua stessa disponibilità. Noi peraltro stessi cadiamo vittime della fascinazione immaginaria della valorizzazione capitalistica e della fuga verso identità improbabili dentro le pieghe della libertà puramente virtuale del sistema vestimentario.
La poesia osserva il processo, salva le parole, si fa custode della possibilità, sempre latente, di un rilancio del gioco linguistico del postmoderno fino a restituircene le chiavi, a renderci quanto meno attenti alla crescente passivizzazione nel parlare e nel vestire, e a suggerirci una possibilità d’uso alternativa e concorrente.
Con strumenti espressivi articolati rispetto alla tecnica del found poem, al futurismo, a un persistente gusto preziosistico e manieristico per l'invenzione (soprattutto aggettivale), Mori ha composto un altro episodio di quell'epica della modernità dell'immaginario, del corpo e del consumo che è ormai poetica di una vita.

scheda del libro qui


La bellezza a Vicenza 29 mag



Reading di Licenze poetiche 16 mag

SABATO 16 MAGGIO 2009 ore 22.30
SAN SEVERINO MARCHE
CHIOSTRO S. DOMENICO

NOTTE BIANCA DEI MUSEI

READING NOTTURNO DI LICENZE POETICHE
partecipano MANUEL CAPRARI, MARCO DI PASQUALE, LARA LUCACCIONI, RENATA MORRESI, ALESSANDRO SERI

NON MANCATE!!!


Marco Di Pasquale
www.marcodipasquale.wordpress.com
www.licenzepoetiche.it

È uscito Il fruscio secco della luce di Marco Di Pasquale

FINALMENTE SU CARTA!

Carissimi tutti!
Finalmente “Il fruscio secco della luce” prende corpo cartaceo e diventa il mio primo libro!!!

Il fruscio secco della luce

Il fruscio secco della luce

La prima uscita ufficiale sarà durante il Licenze Poetiche Festival VIII edizione e avverrà al Pathos Café di Macerata, mercoledì 20 Maggio alle 18.00.
Spero di incontrarvi lì e poter condividere con voi questo splendido momento!

LICENZE POETICHE FESTIVAL VIII

A voi manifesto e programma dell’ottava edizione del festival internazionale di poesia Licenze Poetiche. Mi raccomando: NON MANCATE!!!

Licenze Poetiche Festival

Licenze Poetiche Festival

Scarica il programma


giovedì 14 maggio 2009

Luigi Metropoli finalista al premio Scriba 2009


Claudia Bartolotti, Tebe Fabbri, Luciano Foglietta, Wilma Malucelli, Ariella Monti, Maria Filippa Zaiti, componenti la giuria del Premio Over Cover Scriba per la prefazione a un libro di poesie, a seguito di attenta valutazione delle prefazioni a volumi concorrenti di varie case editrici, esprimendo apprezzamento per l’ottimo livello di molte delle prefazioni pervenute, ha scelto quale vincitore DANTE MAFFIA di Roma per la prefazione a “Fenicia sogno di una stella a nord ovest” di Giuseppe Limone – Lepisma Edizioni, e quali finalisti: Angelamaria Golfarelli di Forlì per la prefazione a “L’ombra del lupo” di Matteo Nicolucci – Soc. Editrice Il Ponte Vecchio, Giorgio Linguaglossa di Roma, per la prefazione a “L’Angelo della morte e altre poesie” di Chiara Moimas – Ed. Scetttro del Re, Luigi Metropoli di Castel San Giorgio (SA), per la prefazione a Vorrei imprimere un vuoto nell’aria di Carlo Penati – Edizioni Fara, Stefano Valentini di Padova per la prefazione a “Testa e croce” di Silvia Zoico – Valentina Editrice.

PREMIO LETTERARIO NAZIONALE “CITTA’ DI FORLI’” – 6a EDIZIONE
www.anardia.it


In memoria di Michael Ricciardelli: Solofra 21 mag




Su Ricciardelli

Su Cocci d'ombra di Vincenzo Celli

recensione di Vincenzo D’Alessio

Dare una veste critica ad una raccolta di poesie fare in modo che dalla lettura dei tanti versi nasca nell’animo del critico una voce solista, forte, vibrante che scandisca tutti gli accenti al punto giusto e generi il piacere dell’ascolto. Scriveva Luciano ANCESCHI negli anni Sessanta del secolo scorso, a proposito dell’orizzonte della Poesia affacciata alla fine del Novecento: “Tutto contesto di improntitudini sconvolgenti, e di delicata, riflessa sapienza, di violente improvvisazioni e di calcoli preziosi, di avventure precipitose e di meditate ricerche…” (pag. 240). Nel leggere la raccolta Cocci d’ombra, di CELLI, risento queste tematiche affermarsi dal titolo della raccolta fino all’ultimo verso.
Il Nostro è un poeta maturo, scaltro nell’uso della parola, immediato nella liricità dei versi. Ascoltiamo: “Come vorrei dirti /( … )/ ma dimmi, / almeno tu ci credi / a questi cocci d’ombra / (… ) / così fedeli ai silenzi dopo gli spari?” (pag. 15). Non vengono alla mente di chi legge questi versi: “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato” etc.?” Ma siamo solo all’attacco della poetica del Nostro perché il paniere è ricolmo di molti frutti profumati che si spandono nelle liriche leggere e frante, provviste di un verso aguzzo, forte, eversivo: “dell’infanzia ricordo l’assenza / (…) / ed era solo il vento / che spingeva la mia altalena vuota / (pag. 14). Forme delicate e violente al tempo stesso. Fragili figure evanescenti di forte calore emotivo. Colori impressionisti che emergono dai versi: l’azzurro (tanto caro ai poeti francesi); il giallo (caldo e violento); il viola (caro al blues e al gospel dell’America afrocubana).
“Una poesia / nasce così / solo guardando il coraggio / di una casa a picco sul mare” (pag. 28) ed ecco l’aggancio al Novecento: “sul rialzo a strapiombo sulla scogliera” (Montale). Ma non vogliamo solo citare le contaminazioni poetiche quanto suggerire che “la quotidianità”, di cui parla nella prefazione Morena FANTI, è solo una “zattera” che trasporta il verso nella luce nera della notte incontro al chiarore della luna. Il nostro autore è armato di un grande dettato interiore “maturo e secco” pronto per essere immesso nella corrente della poesia contemporanea. Le figure retoriche, molte le metafore, somministrano ai versi una scabrosità che non sempre riesce gradevole a chi ascolta. Ma è sostanza poetica per chi legge. Scrivere è, come dice il Nostro, “mi sento parlare” (…) mi fondo e sparisco” (pag. 47).
Credo fermamente che la poetica di Vincenzo CELLI meriti grande attenzione. Sono versi che creano nel lettore necessità di pensiero, sedimenti di attese, accelerazioni positive verso un bene non definitivo, animano quella terra di nessuno che spesso si spegne negli occhi dei più deboli in questo inizio secolo. Noi siamo veri se non ci lasciamo andare all’indifferenza del “lascia stare”. L’esistenza, ripresa nei versi di questa raccolta, potrebbe sembrare “una scusa” ,“un urlo fatto di vento”. L’importanza che rivela è l’unica identità degli esseri chiamati uomini:”non puoi dividere due persone che si amano” (pag. 77). Questo è il senso dell’Eterno.

Maggio, 2009