sabato 27 febbraio 2010

Pasquale Martiniello (1928-2010), poeta nazionalirpino


Vincenzo D’Alessio

Quando scompare un poeta si vorrebbero dire tante cose. Si vorrebbe che il corpo, la voce del poeta restasse sempre in mezzo a noi e cantasse, cantasse, senza spegnersi. La Natura ferma ogni canto, anche quello sublime del poeta e allora nasce la memoria in quelli che lo hanno conosciuto e per quanti avranno l’esigenza di conoscerlo. Ho conosciuto il poeta Martiniello come preside del Liceo Classico di Vallata (AV) quando, dopo il terribile sisma del novembre 1980, giravamo l’Irpinia con il professore Antonio D’Urso (alias Rischiatutto) ed il suo editore Nunzio Menna di Avellino.
Da quell’incontro nacque la nostra collaborazione. Prima partecipò, ottenendo i migliori risultati al Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra”. Poi divenne membro della Giuria dello stesso Premio e realizzammo, insieme, la bellissima Antologia dell’VIII Edizione del Premio, nel 1990. Ho continuato a frequentare la sua casa di Mirabella Eclano e i suoi famigliari.
Vorrei ricordare Martiniello, così come lo vidi attraverso i suoi versi, nell’agosto del 1997, in occasione di una presentazione, in suo favore, a Manocalzati (AV):

Nel contribuire all’incontro di questa sera tra poesia e musica, in questa realtà irpina di Manocalzati, intendiamo sfatare il luogo comune che incrina da qualche tempo le manifestazioni culturali. In primo luogo: la critica che viene realizzata per i lavori letterari sembra essere quasi sempre benevola e sostenitrice delle nuove voci poetiche. Ma la stessa critica è anche contestazione dei lavori sdolcinati, prosastici, impastoiati da brutte contaminazioni. Nell’affermare questo concetto ribadiamo, a coloro che accusano i critici di essere di parte, amichevoli, condizionati, che il lavoro critico rimane serio e sereno, improntato all’ufficialità del messaggio che testimonia l’impegno culturale di ciascuno autore. A questi accusatori prezzolati, che inquinano la Cultura dei nostri giorni, rivolgiamo l’invito a rileggere il Manifesto dei Poeti Irpini, promulgato nell’aprile di quest’anno e i cui effetti non tardano a farsi sentire.
In secondo luogo: intendiamo chiarire che la poesia è un veicolo potenziale di idee, non è utile per accumulare né gloria né denaro, soltanto, ed esplicitamente, ad unire più esseri umani che avvertono lo stesso sentire, il medesimo dolore, nella partecipazione all’esistenza tra gli uomini. Per i poeti che questa sera onorano il nostro incontro, chiediamo di fare a meno delle citazioni, poiché sono divenute un’arma contro le menti libere e genuine, quasi che si dovessero conoscere tutti e tutto il mondo poetico da Ovidio a Ramat, passando per i premi Nobel.
Il primo poeta a raccontarci la sua passione per l’Irpinia è Pasquale Martiniello, originario di Mirabella Eclano, dalla prima raccolta di versi intitolata Testimonianze Irpine  (Tipografia Irpina, Lioni,1976) per finire a quella dei I canti della memoria, Ibiskos Editrice,1995. I versi di Martiniello rivelano l’anima di un poeta-contadino, antica, perché intrisa di malanimo nel vivere presente, ribellandosi continuamente alle perverse ambizioni di una oligarchia di sciacalli che schiaccia il corso naturale delle vicende di un’intera provincia, la Nostra.
Ricordiamo che l’argomento scelto, questa sera, verte su «Irpinia:terra di memoria» e lo scopriremo attraverso le alterne interpretazioni che gli autori propongono nel corso della loro produzione poetica. Siamo convinti che, per un’analisi attenta e severa della poesia, si devono tenere in debito conto le origini letterarie dell’autore. La prima raccolta poetica di Martiniello reca il titolo di Testimonianze Irpine il che la dice lunga sul come, dove e quando il Nostro abbia scelto di scendere in campo e segnare il solco del proprio passaggio.
Il come è intuibile nella parola testimonianze: testimone, cioè, di una intera provincia, realtà, umanità, che nel poeta assommano ad una gerarchia di voci. Nel tempo (il quando), gli anni settanta, che segnavano un rapido passaggio tra avvenimenti lenti di un dopoguerra e l’incalzare della frenetica corsa al benessere materiale, cancellatore di sana moralità e princìpi di Fede. Martiniello, anche se aveva iniziato a scrivere in anni giovanili, pubblica in quel particolare momento, (il dove) in cui sente minacciate le antiche radici della memoria e racconta questo scontro nel modo più semplice, con il richiamo alla bellezza dell’Arcadia, come nei versi a pag. 5 della raccolta:
«Non cercate le nuvole tossiche e nere,
non mutate il nostro arcadico cielo
con i crateri fumanti delle ciminiere.
(…)
Dai tortuosi e malefici meandri, o dea Mefite,
irata agli audaci speculatori dite:
– È terra di Cerere, di Fauni e Ninfe : Uscite!» (da Testimonianze Irpine)
Nello scorrere questa prima raccolta di versi ci accorgiamo che le tematiche sono le stesse che si svilupperanno, a mano a mano, nel racconto bucolico del poeta Martiniello. Le figure retoriche, gli aforismi, gli ossimori, che si svelano nel corso della produzione poetica, le stesse concitate forme dialettali che vorrebbero prendere il sopravvento sulla lingua italiana, riscattando il mondo di voci interiori del poeta, prendono corpo e forma da questa prima raccolta come la terra, vera, sincera, serena, che alimenta ortiche e grano, allo stesso modo, senza che l’uomo intervenga. La passione, come pathos, profonda e metaforica, per troppo tempo arginata nei canoni dialettici della professione scolastica, trova finalmente sbocco nell’alveo del “fiume” interiore del poeta, paragonabile al fiume Calore che ha intriso l’infanzie ei giochi del Nostro.
La figura del padre, analogia della terra e del fiume rigeneratore, domina dalle pagine delle raccolte poetiche di Martiniello, come colui il quale ha svelato, per primo, i segreti antichi della terra e dell’uomo, creando nel poeta i legami tra storia passata e presente angosciante, legando il reale al mito, alle leggende, indebitando il Nostro nel riscatto intervenuto tra contadino e scrittore. Scrive a proposito nella prima raccolta, nella poesia Padre, a pag.7:
«Quel fanciullo, tuo paggio
nei campi, non più ti scioglie
o lega le ciabatte e gli scarponi
né ti porta a spalla, la sera
stanco, la zappa e la vanga,
che a veneranda età ancora onori.» (da Testimonianze Irpine)
scriverà, poi, sullo stesso tema nell’ultima raccolta, I canti della memoria (1995) a pag. 13:
«Tu padre, nel sereno divinavi
i temporali, le dissonanze.
Quando io svirgolavo dall’orbita
mi rincorrevi. Era tardivo lo scatto.
Bene mi stavi fuori rotta.
conclude dicendo:  (…) Ora che ritorno,
lo scanno di quercia è così (e forse più d’ allora)
in silenzio, fradicio di collera.»
Possiamo comprendere e condividere la collera che si sprigiona nel racconto poetico di Martiniello?
Supponiamo che sia possibile!
Il Nostro scrive per farsi leggere poiché all’uomo invia i suoi versi ed è testimone, come quarant’anni prima, del suo tempo. Non altro si potrà chiedere al poeta se non la coerenza dell’amore verso le radici della memoria, come si contrastano le differenti scelte di vita. Il filo conduttore del racconto di Martiniello si arricchisce di una sequenza molto bella riguardo alla descrizione che fa delle donne e dell’amore: un tema insolito, quello della donna, per la dimensione che aveva negli anni settanta, in un’ area, l’Irpinia, dove solo oggi si avvertono, lievi, i ruoli femminili.
A tale tema appartiene la poesia Donna del Sud,  dalla raccolta Verso il giudizio, Ferraro Editore, 1997, a pag. 19:
«(…)
tacite e dignitose,
incidono su pagine di sabbia
il diario degli stenti e le fatiche.
(…)
Sempre più ti scorgo sola,
donna del mio Sud, nell’ora spoglie,
che grida l’abbandono.»
A scapito di quella critica miserabile che vuole per forza scorgere nella poetica del Sud piagnistei e biasimo, questi versi dimostrano quanta dignità si scorge in chi ha scelto, e sceglie ancora oggi, di restare al Sud, nella propria terra, dove l’abbandono è stato massiccio, per un esodo in luoghi migliori, sfuggendo la dura legge che chi possiede ha sempre ragione. L’Irpinia, il Sud di ogni luogo, cantato da Martiniello, con versi bucolici, montaliani, moderni, è ancora in attesa dei cambiamenti come il nostro poeta scrive, a pag.45, della citata raccolta I canti della memoria:
«(…) Fiorivano orti di speranza e sentieri
di fuga. Scontavo penitenze non mie per radici
povere di terra. Il grosso secchio scendeva e saliva
a colpi di reni. Quante volte un Ave e un Pater
sputavo con veleno! Quando pensavo al fiume,
che dava il suo latte a padroni senza cuore.»
Anche per noi, purtroppo, quei padroni sono rimasti gli stessi. Padroni che non lasciano alla nostra terra, generosa di forze verdi, il giusto destino. Uniamoci civilmente, per offrire a chi resta, a chi parte, a chi lo desidera, un cammino nuovo di speranza.
agosto, 1997

sabato 20 febbraio 2010

Su Sto consumando l'ultima casa di Franca Fabbri

recensione di Vincenzo D'Alessio


La raccolta poetica di Franca Fabbri che reca come titolo Sto consumando l’ultima casa è un tesoro prezioso agli occhi del lettore: restituisce l’immagine vera di una pietas et humanitas da troppo tempo assenti nella società contemporanea. L’umana memoria è debole; a volte gli uomini non vogliono ricordare i grandi dolori per non vedersi sfiorire quelle gioie, già poco durature, che l’esistenza offre. Sono poche le gioie, tante le sofferenze del quotidiano, perché lasciarsi prendere dal dolore?
C’è una epigrafe apposta sopra la lapide di un grande teologo e filosofo del XVI secolo: “UT MORIENS VIVERET VIXIT UT MORITURUS” nella Chiesa di San Domenico Soriano a Solofra (AV). Sembra questo il filo conduttore della tanatologica raccolta della Fabbri. Vestita d’ironia la nostra compagna di stanza non ci abbandona. Ci lascia l’unico scampo imprevedibile: restare nella memoria attraverso la parola poetica.
Illuminante, e insostituibile, è la prefazione di NardaFattori: “Franca Fabbri nutre i suoi versi di grande compassione e di umana pietas; pur attenendosi ad un registro quotidiano raggiunge le profondità del sentire”(pag. 9). E a pag. 11: “Ancora una volta ci trattengono su questa terra le cose note e amate, là dove si andrà si spera terra benedetta, il favore del cielo.”
Bastano queste semplici frasi per aprire la “stanza” dove dimorano gli spiriti cari alla Nostra poetessa.
Divisa in due sezioni, la plaquette poetica, ha nella prima parte riferimenti alla quotidianità, all’esecuzione dell’esistenza con tutti i suoi orpelli; le dolorose soste nei luoghi della sofferenza; l’immagine della Natura che si svela all’uomo quasi ignaro, oggi, degli eventi che nel bosco si rinnovano: “La pioggia lavava / tronchi, rami, rovi, / come si fa con i morti, / prima della sepoltura”(pag. 36). Chi conosce la Morte conosce le stanze della vita. Come molti grandi poeti la Nostra poetessa guarda dalla sua stanza la grandezza dello spettacolo naturale e la pochezza dell’essere umano: “Solo gli uomini / s’attardano / sotto il lenzuolo/ a prendere confidenza / con la morte” (pag. 37).
Più forti sono i registri dell’organo poetico utilizzati nella seconda parte della raccolta. Forti di vivida fragilità di fronte alla morte dei propri cari, delle immagini affioranti dalle foto come testimoni dei tempi buoni, dei tempi consumati, delle poche gioie che l’esistenza offre a chi un cuore porta veramente nel petto come seconda anima assetata di Umanità: “Nella mia vecchia casa / ho anche la stanzina dei morti”(pag. 53). L’accostamento alla poesia di Giovanni Pascoli è forte, realizzata appieno è l’immagine della purezza eterna di quel “fanciullino” che guarda stupito le meraviglie del Creato e del suo farsi giornaliero. Come pure la fiducia nella Fede e nella Poesia quali uniche armi per superare la ferocia del dolore tutto umano. Compaiono metafore e analogie. Accostamenti sintattici e assonanze. Ossimori e metonimie. Come nei versi della poesia a pag. 57 che sembrano riportare alla mente i versi della poesia L’Aquilone di Pascoli: “Non vedrò più gli occhi di mia madre / seguirmi ovunque andassi. / Non vedrò più il corrucciato viso / di mio padre, / carico d’anni, / non 'accettare' la morte.”
E il richiamo è anche nella stupenda immagine della poesia Ritornare dedicata al fratello quando riprende la scena sempre della poesia, citata, del Pascoli “ti pettinò co’ bei capelli a onda / tua madre… adagio, per non farti male”. E nei versi pag. 61: “È da allora / che mi stupiscono, / ad ogni primavera, / i fiori ritornati a sbocciare.”
Ricorrenti sono le anafore per accentuare il cammino che l’essere umano sembra scegliersi ma che in fondo è guidato verso l’ultima casa, quando ci si ravvede, dalla nostra compagna di stanza, che non ci ha mai lasciati da soli.
La poetica della Fabbri richiama la vita nella sua perfetta forma di dono, dei talenti offerti da fare fruttare, per essere riconsegnati alla Natura che li ha concessi a noi, per il nostro cammino, che si completa in quello degli altri. Credo che i versi più belli da utilizzare per concludere, momentaneamente, l’anabasi di questa raccolta possano essere presi in prestito, ancora, dal Pascoli: “E tu, Cielo, dall’alto dei mondi / sereni, infinito, immortale, / oh! D’un pianto di stelle lo inondi / quest’atomo opaco del Male!”(X agosto)

giovedì 18 febbraio 2010

LETTERA APERTA AL POETA MICHELE LUONGO

Vincenzo D’Alessio e G.C.F.Guarini

Caro Michele sono passati trent’anni da quel tragico 23 novembre 1980, quando cercammo tra le macerie i resti dei nostri cari e quello che rimaneva della Civiltà Contadina che già stava scomparendo. Uno spartiacque terribile. Un immane velo grigio steso dagli Appennini al Tirreno, passando per quella terra dimenticata ch’è la Nostra. Terra a cui siamo stati legati per il vincolo della nascita nostra, dei nostri padri, dei nostri figli. Un evento che ha fatto nascere la Protezione Civile Nazionale: eppure c’erano stati già altri eventi simili negli anni precedenti.
Mi vengono alla mente tutti i ricordi. Le persone umili che abbiamo aiutato a sollevarsi da quel tragico momento. La splendida figura del presidente Sandro PERTINI, in mezzo a noi, che chiese scusa per i ritardi. Ma il ritardo c’è ancora oggi. Siamo sommersi dalle macerie dei rifiuti ideologici; dalle macerie degli abbandoni; dalle macerie degli investimenti ,politici, sbagliati sul territorio;dalla corruzione a tutti i livelli; dall’emigrazione che dissangua la migliore gioventù che Guido DORSO voleva fosse la nuova classe dirigente della terra Nostra.
I politici hanno le stesse facce di allora. I mafiosi hanno le stesse facce di allora. Gli amministratori e i preti locali hanno le stesse facce di allora. Noi siamo rimasti “la turba dei pezzenti quelli che strappano al Potere le maschere coi denti!” E continuiamo a lottare e, a pagare ,nell’assoluta solitudine, come dei partigiani. La Nostra terra cambia il colore delle camicie, come scriveva Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo, ma non cambia il suo tenore di vita. I nostri “Fiori del Sud”, fioriti dal silenzio, gridano l’ingiustizia sociale, le prevaricazioni, l’impossibilità di trovare occupazione e formare una famiglia. Sentono il peso delle raccomandazioni. Vogliono andare via dalla Nostra terra per avere un riscatto, dal “perenne ricatto” perpetrato quaggiù.
Caro Michele che Speranze hai tu nel Trentino da offrire ai Nostri giovani Fiori del Sud? Quale tracciato devono seguire fuggendo dall’Irpinia terra del Sud? La tua poesia ha nutrito e riscattato tanti giovani. Oggi qual è il ruolo della Nostra poesia? Sono tanti i dubbi e chi bussa alla mia porta trova pochissime risposte. Oggi ho visto Paolino e parlato di te, della tua poesia. Mi ha stretto tra le braccia, lui che viaggia dalle Alpi alla Sicilia e mi ha sorriso, i capelli grigi e gli occhi chiari, limpidi: andare via dal Sud ,per affermare coraggio e dignità, che i Poeti del Sud portano nel proprio cuore, insieme al calore di questa Nostra terra. Poi…tornare?

mercoledì 17 febbraio 2010

Su Objects di Alberto Mori

nota di lettura di Alessandro Assiri

Sugli spaesamenti della quotidianità, nel tentativo di dissoluzione dell’ovvio, procede la ricerca di Alberto Mori che dissimulando negli oggetti la propria versatilità da vita a un opera quasi sonora, dove una vitalità rumorosa si pone come controaltare di un osservazione metodica e attenta al “gesto delle cose”. Mori ci rende partecipi dell’accadere delle proprie connessioni anch’esse utensili, strumenti del servire. Un servire che confeziona una realtà dove l’uso diventa necessità e scopo dell’oggetto stesso. Alberto stabilisce una relazione per l’agire, una consequenzialità che delimita tempi e logoramenti, una relazione che colloca nella funzione l’indispensabilità degli oggetti che tramite il loro nome sembrano svelarsi all’utilizzo. “il cavatoppe deriva direttamente dai calzoni bucati”: Objects è tutto qui nell’agilità dell’impiego.

sabato 13 febbraio 2010

Su LA POESIA RACCONTA2

di Vincenzo D'Alessio

Il limite tra prosa e poesia c’è. Sorelle, per mano, sconfinano nel cielo dell’Arte. Chi raccoglie i passi lasciati lungo il confine è l’editore Fara di Rimini con il concorso annuale Prosapoetica terra/ di/ nessuno. Il concorso 2009 ha raccolto, in verità, delle voci stupende. Giovani e meno giovani. Tutti muniti di “Una scrittura splendida” (pag. 13) come ha scritto Roberto Cogo nei giudizi su uno scrittore/poeta partecipante al concorso. Ho letto d’un fiato i primi tre racconti poetici. Il primo, “I giorni della ferita” di Francesco Jonus è scritto sul filo della scrittura contemporanea, rapida e sincretica, che lascia pochissimo spazio alla debolezza dei sentimenti. La città è una ferita, vista dall’alto, con la sua purulenta massa di cicatrici che la civiltà umana lascia. Un vissuto da vivere, scambio tra narratore e narrato. Asciutto, crudele, quasi spettrale. Luogo/non luogo del vissuto.
Stupenda è la “Pioggia” di Barbara Rosenberg. “Mi piace la pioggia”, così inzia questo scenario di pace che richiama tanto la scrittura tra sogno e sospensione di Massimo Bontempelli. Stato onirico e ipnosi, transfert, attraverso i sensi metaforizzati: la vista “prima poche gocce che lasciano piccole macchie”; poi l’udito “Anche il suono mi piace, si svela lentamente”; infine l’olfatto “E quell’odore (…) Ti sembra un retrogusto,qualcosa di dimenticato,un ricordo.”
Più surrealista di così! Pagine che trasmettono codici che, nell’infanzia, pescano emozioni: i fuochi di San Giovanni, la pula e il grano da trebbiare. Il ricordo della morte, il pensiero presente della notte che ci avvolgerà nell’eterno. Sopra tutte le cose terrene, il dolore. La guerra. La sofferenza. Il contrapposto della pace. Il purpureo sangue messo al confronto con la dolcezza della pioggia. Anche sul nemico scende la pioggia. Anche il nemico è un uomo che ha gli stessi nostri pensieri. Ma chi è veramente il nemico? Ce lo chiediamo dalla vicenda biblica di Caino e Abele. Eppure l’uomo dimentica. La pioggia scende e parla con il vento. Il vento la porta sul mare. Il mare è l’Umanità sempre in movimento. La memoria delle nuvole dov’è? Pagine meravigliose queste della Rosenberg. Mi riportano alla mente la scrittura di un’altra grande autrice del Novecento, Mariateresa Di Lascia, con il suo unico romanzo Passaggio in ombra : “La casa dove vivo, mi fu lasciata da mia zia (…) Con queste poche cose, io vivo, senza sentire alcuna privazione (…) L’una e l’altra preoccupazione mi appaiono inutili astrazioni, tanto indifferenti all’esito del mio destino quanto le stelle che splendono nel cielo.” (pag.  62)
Il terzo racconto “Canto del bosco masticato” di Graziano Turesso è un tuffo nella ricerca e nella rivelazione. Ricerca di un Dio che completi l’uomo e la sua natura di distruttore. Rivelazione di quanti danni irreversibili sta producendo la sostituzione del Dio contadino con il dio uomo, avvinto alla sua unica passione terrena:sopravvivere a tutti i costi, a tutti gli altri esseri viventi. La meditazione che ne scaturisce in questo dialogo tra scrittore e Natura è inversa a quei bei versi “O Natura, Natura perché di tanto inganni i figli tuoi”. I figli della Natura sono diventati gli aguzzini della Natura. I figli dell’uomo sono divenuti i peggiori esseri viventi su questo azzurro pianeta. Vuoi per quella che chiamano sopravvivenza. Vuoi che si autoconvincono di combattere i fenomeni naturali: gli uomini, non sono disposti a morire. Vogliono essere eterni. Potenti ed eterni. Poi quando il bosco (la Natura) diviene una belva e si ribella allora i figli dell’uomo si accorgono che è naturale morire perché il ciclo dell’esistere è così. Bella lezione questa di Turesso. Bella la sua espressione: “e qualcuno bisogna che di vergogna paghi.”
Bastasse la vergogna, saremo tutti nell’Età felice dei bambini. L’uomo deve ritornare bambino per attraversare la cruna della Stella più vera?

venerdì 12 febbraio 2010

Tracce di Toscana 19 feb

Le BEATITUDINI di Gesù, sorgente di gioia


Omelia del giorno 14 Febbraio 2010


VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)





Se c'è un bene che tutti cerchiamo con ogni mezzo è la gioia o felicità.

A nessuno piace essere infelice, da qualunque parti si arrivi....e sono tante le cause di infelicità.

Direi che la ricerca della gioia è un segno che ci portiamo addosso, come doveva essere nella mente di Dio quando ci creò: ci fece 'a Sua immagine e somiglianza' e chi, se non Dio è pienezza di Gioia? Il guaio nostro è che siamo portati a cercarla nelle creature o nelle cose che, a loro volta, non la `possiedono' e difficilmente possono darcela, se non in 'briciole', con poca durata.

E il mondo in cui viviamo, soprattutto oggi, indicandoci la via della ricchezza, del benessere, della potenza e di quanto altro si voglia, tutto può offrire... tranne quella che è vera felicità.

Ricordo quando ero ragazzo - ma non si possono fare confronti con il passato, visto il grande progresso dell'uomo attraverso la scienza, il mercato, ecc. - si viveva in tanti in famiglia. Era tanta la povertà, ma tuttavia non turbava la serenità.

Direi anzi che il poco per vivere, allontanava il poco benessere che si vedeva e non si sognava! Ricordo che il più bel Natale l'ho vissuto quando in casa non c'era nulla. La vigilia con papà mi recai da una zia, che aveva una macelleria, per trovare qualche avanzo. Tolse quel poco che era rimasto agli ossi dei prosciutti... e con quel poco si fece un bel Natale. O quando, giovane diacono, mandato a dare una mano al Parroco, in una parrocchia rosminiana, a Milano, alla fine della Messa di mezzanotte, una famiglia alla porta della canonica chiese qualcosa, poiché non aveva nulla. Il Parroco, di gran cuore, si affrettò in cucina e le diede l'unico panettone e il poco di carne che avevamo.

`Ma per noi?...è rimasto poco o nulla!' gli feci notare. Quel santo sacerdote rispose con un sorriso: `Abbiamo il vero dono del Natale: la gioia di Gesù... e poi la Provvidenza arriva sempre'. E così fu. La mattina dopo un signore ci portò carne e panettone, augurandoci: 'Buon Natale!'.

È bene, oggi, tornare alla memoria, tutti, che si stia bene o no, per scoprire quello che più conta nella vita, la vera sorgente della felicità. Quanta gente c'è tra noi, oggi, che sta bene, a cui non manca nulla, ma è priva della gioia!

Gesù scelse, venendo tra noi, proprio il disinteresse o distacco dalle cose umane: nacque in una grotta a Betlemme, deposto in una mangiatoia e visse in una famiglia povera di Nazareth... Lui, per il quale, afferma il Vangelo di Giovanni, 'tutto era stato fatto e senza di Lui nulla esiste'. È veramente il Signore!... ma, appunto perché la felicità di Gesù non poteva che venire da altro, ossia dall'amore, volle spogliarsi di tutto fino a dare Se stesso sulla croce. La sua ricchezza era vivere per amare e fare felici noi.

Ogni volta che penso al Suo Natale, deposto in una mangiatoia, o povero nella casa di Nazareth, per me, ma penso per tanti, la Sua scelta di vita, non solo rende meraviglioso Dio, ma diventa una lezione per noi, oggi. Noi, che ci abbarbichiamo alle cose, che non hanno il potere di dare la serenità che si trova nella povertà di spirito.

Quando poi Gesù iniziò la sua missione evangelizzatrice tra di noi, subito ci diede il codice della gioia, rovesciando i nostri cosiddetti valori.

E nacque il famoso discorso della montagna: le beatitudini.

Giorno benedetto, allora, è quello in cui la Chiesa fa riecheggiare ai nostri animi la sequenza squillante delle beatitudini evangeliche. Gesù, per annunciarle, sceglie come cattedra la montagna – il monte delle beatitudini che tanti abbiamo visitato e contemplato nel pellegrinaggio nella Terra di Gesù - . Lo circondano gli apostoli, e questi le hanno trasmesse a noi.

Gesù è il profeta che parla, lì, della vita presente e futura. Annuncia il suo programma in sentenze limpide, che condensano tutto il Vangelo. Così il regno della terra, su cui ora viviamo, e il Regno dei Cieli hanno nelle beatitudini il loro codice iniziale e finale_

Ascoltiamole con profonda riflessione e preghiera, fino ad incarnarle nella vita di tutti i giorni, come regola di felicità. Troppo belle per non essere conosciute e, soprattutto, per non essere vissute. Sembra di vedere la terra coniugarsi con il Cielo, rendendo tutti, se le viviamo, veri figli di Dio, lontani dal contagio drammatico del mondo.

`Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

Gioite ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt. 5, 3-12).

Sembrano davvero una dolce sinfonia, semplice regola per il Cielo.

"Chi non ha ascoltato le beatitudini - afferma Paolo VI - non conosce il Vangelo; chi non le ha meditate non conosce Cristo.

Gesù ha esaltato le beatitudini non tanto delle misere condizioni umane, quasi siano fine a se stesse, ma piuttosto ha predicato delle virtù magnifiche, che da quelle misere condizioni prendono il nome e che mediante quelle possono fare buono e grande l'uomo pellegrino. E perciò ha fatto scaturire dal suolo arido e sterile delle nostre debolezze e delle nostre sofferenze, stupende energie morali e spirituali; ha portato a termine la scoperta che i più alti spiriti umani avevano intuito, quella nobiltà sacra e misteriosa del dolore, quella inestinguibile grandezza dei poveri in spirito e dei perseguitati, quella dell'eroismo di chi dà la vita per la giustizia e la verità, quella dell'affermazione trionfante, che esistono valori e solo quelli del Regno di Dio, per cui la vita può essere spesa senza timore, l'affermazione cioè della legge del morire per vivere, la legge del sacrificio redentore. Chi ha compreso questa meravigliosa e difficile lezione, e l'ha applicata alla propria vita, è un santo, è il perfetto, è il beato. Resta che la lezione del Vangelo è difficile.

La perfezione per il Vangelo ha queste due facce: una di rinuncia e penitenza qui e una di pienezza e di gaudio lassù e anche qui. Il mondo che ci circonda ed in cui siamo immersi, e sta voltando le spalle a Gesù, dimentica la Parola di Gesù, la deride, facendo dell'illusoria felicità del presente, lo scopo prevalente di ogni umana fatica, mentre talora gli stessi credenti, partiti magari per portare un ordine cristiano nella nostra società, sembra che non abbiano altre promesse da farle che quelle di un benessere temporale, legittimo, sì, e doveroso, ma insufficiente a fare felice e buona l'umanità, e non sanno offrire agli uomini del nostro tempo le più alte e vere promesse, quelle dei beni morali, dei beni del Vangelo. Ricordare e meditare le beatitudini per capire che qui è l'umanesimo vero, qui il cristianesimo autentico, qui la beatitudine vera.". (5.1.1964)

Allora non sono un'utopia le beatitudini, ma il segreto della felicità a cui tendiamo: è qui che Gesù gioca le sue carte per noi e, contro di Lui, satana gioca le sue.

A noi scegliere da che parte stare!

Mons. Tonino Bello, con profonda efficacia, così commentava alcune beatitudini:

"E c'è, finalmente, il modo legittimo di leggere le Beatitudini. Consiste essenzialmente nel felicitarsi con i senzatetto e senza pane (gli affamati) come per dire: 'Complimenti, c'è una buona notizia! Sì, tutti si sono dimenticati di voi, ma Dio ha scritto il vostro nome sul palmo della sua mano, tant'è che i primi assegnatari della casa del Regno siete voi, che dormite sui marciapiedi e i primi cui verrà distribuito il pane caldo di forno siete voi, che ora avete fame. Felicitazioni a voi, che a causa della vostra mitezza vi vedete continuamente scavalcati dai più forti o dai più furbi. Il Signore, non solo non vi scavalca, nelle sue graduatorie, ma vi assicura il primo posto nella classifica generale dei meriti.

E auguri a tutti voi che sperimentate l'amarezza del pianto e la solitudine dei giorni neri; c'è qualcuno che non rimane insensibile al gemito nascosto degli afflitti, prende le vostre difese, parteggia decisamente per voi e addirittura si costituisce parte lesa ogni volta che siete perseguitati a causa della giustizia. Ed infine, su con la vita voi, che sfidando le logiche della prudenza carnale, vi battete con vigore per dare alla pace un domicilio stabile sulla terra. Dio avvalla la vostra testardaggine."



Antonio Riboldi – Vescovo –
http://www.vescovoriboldi.it/
email: riboldi@tin.it

giovedì 11 febbraio 2010

Poeti profeti? rilfessione conlcusiva

di Vincenzo D'Alessio (articoli precedenti quiqui e qui)


Mi congedo da questa Antologia, poetico profetica, col ringraziare tutti gli autori che si sono confrontati e hanno dato a quest’opera le ali per volare nel pensiero dei lettori. A Giorgio Mazzanti, Antonio Spadaro, Ardea Montebelli, Caterina Camporesi, Caterina Trombetti, Giovanni Nassi, Rosa Elisa Giangoia, Alessandro Assiri, David Aguzzi, Matteo Fantuzzi e Nino di Paolo.
Tutti hanno concorso al buon esito della domanda: Poeti Profeti?
Emblematica resta l’introduzione del curatore, padre Bernardo, che riporta il tragico episodio dell’attentato all’Antica Accademia dei Georgofili, nel 1993, oggi ritornato alla ribalta per gli intrecci tra Mafia e Stato. Il profeta Pasolini l’aveva annunciata l’era delle bombe nelle nostre città, ma pochi gli avevano prestato attenzione. Anzi la politica di turno l’aveva diffamato, boicottato, forse ucciso, pur di non lasciargli credito presso l’opinione pubblica. Oggi il Poeta/Profeta Pasolini è un pietra miliare per tutti i profeti contemporanei e futuri. I politici di allora, come quelli odierni, resteranno il male peggiore, perché privi di Poesia per la Vita.
Bella l’esperienza didattica della poesia “nel carcere” di Caterina Trombetti. Come le sue poesie dedicate alla città di Firenze: luogo fortunato, terra amata e cantata da una schiera infinita di Poeti, prima e dopo Dante Alighieri. Un luogo dove si sono forgiate le lingue della Libertà: le giubbe rosse. Mario Luzi, citato tantissimo in quest’opera, ha parole di pace. Ma avverte che è difficile “scavare nel macigno nero del loro cuore” (riferendosi agli attentatori di quel maggio 1993).
L’uomo non conosce la Pace. Conosce bene la Guerra e quanta economia consegue a questa scelta. C’è perfino chi l’ha cantata come “unica igiene del mondo”. Mi accontento di ascoltare e tenere sul cuore questo bellissimo coro a più voci.

D'Elia, Ferri e Sanchini a Cattolica 18 feb

mercoledì 10 febbraio 2010

Marco Bagnoli, Sonovasoro, S. Miniato

Marco Bagnoli, Sonovasoro, 1996-2010

UÖM (OA) Suono composto ed installato da Giuseppe Scali

Carissime amiche e amici di San Miniato al Monte,
con grande gioia Vi comunico che fino alla fine del mese di febbraio, ad eccezione della domenica mattina, nella navata centrale della nostra Basilica, proprio in corrispondenza del riquadro dello zodiaco, è possibile ammirare una splendida installazione di uno dei più significativi artisti europei, Marco Bagnoli, ormai da decenni attivo sulla scena internazionale con notevoli e ammirati interventi in diversi musei, spazi urbani, contesti religiosi e paesaggistici.
La presente esposizione del lavoro di Marco Bagnoli si inserisce in una più ampia iniziativa promossa dal Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato in collaborazione con la Sovrintendenza speciale per il Polo Museale di Firenze e denominata «ALLA MANIERA D'OGGI. BASE A FIRENZE. OTTO ARTISTI CONTEMPORANEI IN UN PERCORSO STORICO-MUSEALE» (cfr. http://www.centropecci.it  ). A me pare evidente come questa iniziativa si debba considerare quale un recentissimo capitolo di quella secolare ed irrinunciabile «collaborazione» e «amicizia» fra la Chiesa e gli artisti, così come si esprimeva nel lontano 1964 papa Paolo VI. E agli artisti, in chiusura del Concilio Vaticano II, l'8 dicembre 1965, lo stesso papa Paolo indirizzava queste ispirate parole, recentemente ricordateci da Benedetto XVI: «A voi tutti la Chiesa del Concilio dice con la nostra voce: se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici!». E ancora: «Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani… Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo»
» (http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2009/november/documents/hf_ben-xvi_spe_20091121_artisti_it.html  ).
Carissime e carissimi, siamo dunque grati a Marco Bagnoli che ha arricchito di senso, di bellezza e di mistero la nostra Basilica, i suoi raffinati simbolismi, i suoi ponderati orientamenti cosmologici, innalzando 5 misteriose anfore in legno e alabastro che disposte su quella mirabile raffigurazione del microcosmo che è il nostro zodiaco musivo, lasciano sgorgare, con estrema suggestione, antiche melodie gregoriane, raccolte e mescolate da Giuseppe Scali con altri suoni, di carattere quasi ancestrale, ctonî e terragni. Su una di essa, quella in alabastro, si posa radente una fascio di luce dorata a raffigurare un essenziale e stilizzato Noli me tangere.
Non ho certo competenza e sensibilità adeguate per decrittare come si dovrebbe la notevole portata anche semantica, oltreché formale, dell'installazione di Marco Bagnoli, proviamo dunque ad ascoltare la sua parola che in una sua lettera assai evocativa ci fornisce una sorta di affascinante viatico, assai necessario per meglio comprendere e apprezzare il suo lavoro:

caro Bernardo
ora per me si tratta di deporre cinque nuovi vasi sulla ruota dello zodiaco al centro del pavimento marmoreo della Basilica.
e il quinconce è la  prima idea.
la chiesa è decorata secondo questo motivo geometrico,
che rappresenta le quattro direzioni
dello spazio e il centro.
ma v'è di più nel luogo.
la porta si apre su un nord simbolico, indicato sullo zodiaco dal capricorno.

Ma se la porta viene nominata come Janua Coeli, il nord vero guarda l'acquario e indica una torsione su di
sé, forse a caso la nostra nuova era ?
quella torsione da un simbolo a un essere,
crea un campo di apertura nella soglia  e conferisce una forza
dinamica al quinconce dei vasi.
l'ho immesso in una spirale sferica a partire dal centro anch'esso
spostato verso la circonferenza.
L'ultimo vaso dei cinque insiste sul settentrione vero in corrispondenza
con l'acquario all'alzata del sole
è in alabastro bianco sonoro e in luce.

un'ombra bianca lo abbraccia .

è il profilo del noli me tangere, lo stilita della
processione dei magi, figura cara
che indica il cielo

ora non è che un colpo di luce che si dilunga in diagonale a toccare
l'altare
...che resta irraggiungibile...
allora lo dissi :  pietra scartata dai muratori.

qui s'invera il canto e invoca la profezia
sulla ruota del vasaio che riduce in polvere il vaso orribile.

sul mio sonovasoro invece s'intrecciano profili asimmetrici impossibili a

girare sul tornio , ma sì sulla ruota dello zodiaco a cui è imposta la svolta.

gli altri quattro sono in legno  intarsiati come vedi sugli
equinozi e i solstizi e muti in attesa.
vasi comuni sottoposti alla forma , abbandonati come dervisci alla danza
del cielo sulla terra, per amore rotanti nelle mani dell'amato.

OPUS SUPER ROTAM

marco

Vi allego inoltre due contributi critici sulla stessa installazione e il programma generale della manifestazione in corso.
Con l’amicizia e l’affetto che sapete Vi attendo qui a San Miniato al Monte per ammirare una felice intersecazione fra memoria e contemporaneità,
Bernardo

P.S.] Si parlerà di San Miniato al Monte nella conferenza che il prof. Hans Honnacker, docente di letteratura italiana presso l'Università di Modena, terrà il giorno 10 febbraio alle ore 17.30 presso l'Hotel Mediterraneo a Firenze. Honnacker, che è da anni amico della comunità monastica, parlerà dei luoghi danteschi in Firenze con l'ausilio di proiezioni.

Premio “AMICI SENZA CONFINI” 31-3-2010

PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA E NARRATIVA

A favore del progetto di scolarizzazione dei bambini disagiati

L’Associazione Amici Senza Confini Onlus nasce dal comune desiderio di 5 donne di aiutare, concretamente, i tanti bambini che vivono in condizioni di povertà, degrado sociale e analfabetismo ad avere la possibilità di studiare e di avere una vita dignitosa.
L’idea del premio letterario nasce a sostegno degli attuali progetti promossi dall’Associazione a favore dei bambini che vivono nella favela di Canabrava (Salvador de Bahia - Brasile) e nella Scuola agricola di Chico Mendes (nello stato del Tocantins - Brasile) ed ha, come scopo primario, quello di sensibilizzare le persone alle problematiche legate all’istruzione di questi bambini.
Si vuole, inoltre, stimolare anche tra le giovani generazioni la riflessione sul valore della solidarietà, dell’istruzione e della conoscenza delle differenti realtà culturali e sociali esistenti nel mondo.

BANDO DI CONCORSO
Scadenza 31 MARZO 2010

ART. 1) SEZIONI DEL PREMIO
Il premio, aperto a tutti i cittadini di qualsiasi nazionalità, si articola in quattro sezioni:
A) Poesia Senior: si può inviare una sola poesia a tema libero, della lunghezza massima di 35 versi, dattiloscritta. Possono partecipare solo persone che abbiano già compiuto i 18 anni di età al momento dell’invio del componimento. Si ricorda che i partecipanti di Stati esteri dovranno inviare l’opera con testo in lingua madre accompagnata da traduzione italiana a fronte.

B) Poesia Junior: si può inviare una sola poesia, sul tema “L’amicizia”, di lunghezza libera, dattiloscritta o scritta a mano con carattere stampatello. Possono partecipare solo ragazzi di età compresa tra i 6 ed i 14 anni. Si ricorda che i partecipanti di Stati esteri dovranno inviare l’opera con testo in lingua madre accompagnata dalla traduzione italiana a fronte. È obbligatorio per il concorrente della sezione “B” allegare al componimento l’autorizzazione dei genitori compilata e firmata, pena l’esclusione dal concorso.


C) Narrativa Senior: si può inviare un componimento esclusivamente in lingua italiana, in forma di racconto o di lettera, sul tema “I desideri dei bambini”. Il testo non dovrà essere più lungo di 3 pagine dattiloscritte. Possono partecipare solo persone che abbiano già compiuto i 18 anni di età al momento dell’invio del componimento.

D) Narrativa Junior: si può inviare un componimento esclusivamente in lingua italiana in forma di racconto, fiaba, lettera o filastrocca sul tema “I desideri dei bambini”. Il testo non dovrà superare la lunghezza di una pagina dattiloscritta o scritta a mano con carattere stampatello. Possono partecipare solo ragazzi di età compresa tra i 6 ed i 14 anni. È obbligatorio per il concorrente della sezione “D” allegare al componimento l’autorizzazione dei genitori compilata e firmata, pena l’esclusione dal concorso.


ART. 2) MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE
Ogni concorrente potrà partecipare ad una o più sezioni del premio inviando in busta chiusa n. 7 copie dell’opera, dattiloscritte o scritte a mano con carattere stampatello, di cui 6 copie anonime ed 1 copia firmata. Nella stessa busta si dovrà inserire il modulo predisposto allegato al bando (All. A) compilando i dati anagrafici completi: nome, cognome, luogo e data di nascita, scuola e classe (solo per chi concorre nella sezione Junior), indirizzo (via, numero civico, cap, città, provincia, stato), recapito telefonico e/o cellulare, eventuale indirizzo di posta elettronica, in cui risulti l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai sensi del D.Lgs. 196/2003. È inoltre necessario specificare la sezione per cui si concorre. Nello stesso plico dovrà pervenire fotocopia del versamento del contributo di partecipazione.

Le opere potranno essere inviate anche tramite Mail a HYPERLINK "mailto:sciandi68@libero.it" sciandi68@libero.it o HYPERLINK "mailto:info@amicisenzaconfini.eu" info@amicisenzaconfini.eu con file formato Word, allegando la scheda d’iscrizione compilata (All. A) e la fotocopia del versamento del contributo di partecipazione.

Le opere concorrenti dovranno pervenire entro e non oltre il 31 marzo 2010.


ART. 3) REQUISITI DI AMMISSIBILITA’
Le opere partecipanti al Premio possono essere edite o inedite, anche premiate in altri concorsi. Per i testi in lingua straniera è obbligatorio allegare la traduzione italiana a fronte.
Alle opere della sezione “Junior” dovrà essere allegata l’autorizzazione firmata del genitore.


ART. 4) TUTELA DEI DATI PERSONALI
Ai sensi della legge 675/96, i dati personali dei partecipanti saranno utilizzati esclusivamente ai fini del Concorso. Tali dati non saranno comunicati o diffusi a terzi a qualsiasi titolo.



ART. 5) MODALITÀ DI SPEDIZIONE
Gli elaborati dovranno essere spediti in busta chiusa con raccomandata A/R a:

Associazione Amici Senza Confini Onlus
Casella Postale n° 11/119
Ufficio Postale Roma Montesacro (Roma Nord)
Viale Adriatico n. 136
00141 Roma (RM) ITALIA

In alternativa le opere, unitamente al modulo di iscrizione (All. A), potranno essere inviate per e-mail a HYPERLINK "mailto:sciandi68@libero.it" sciandi68@libero.it o HYPERLINK "mailto:info@amicisenzaconfini.eu" info@amicisenzaconfini.eu con file formato Word, allegando la fotocopia attestante il versamento del contributo di partecipazione (vedi ART. 6).

Gli elaborati non saranno restituiti in nessun caso.

Il plico inviato dovrà contenere l’opera/le opere di un solo partecipante, pena l’esclusione dal concorso.



ART. 6) CONTRIBUTO DI PARTECIPAZIONE
È richiesto un contributo con bonifico postale sul c/c intestato a: Associazione Amici Senza Confini Onlus, Poste Italiane S.p.A., Codice IBAN  IT90 O 076 0103 2000 0000 1359 639;

per le sezioni A o C € 20,00, per partecipare ad entrambe le sezioni € 25,00;
per le sezioni B o D € 10,00, per partecipare ad entrambe le sezioni € 15,00.

Il pagamento di tale quota potrà essere effettuato:

o con bonifico bancario sul c/c intestato a: Associazione Amici Senza Confini Onlus, Banca Prossima, Codice IBAN  IT55 U 033 5901 6001 0000 0007 697;

o con bonifico postale sul c/c intestato a: Associazione Amici Senza Confini Onlus, Poste Italiane S.p.A., Codice IBAN  IT90 O 076 0103 2000 0000 1359 639;

o con bollettino di ccp n°1359639 intestato a: Associazione Amici Senza Confini Onlus, Via Solunto 5, 00183 Roma.

Nella causale è obbligatorio indicare la dicitura: Premio Letterario di Poesia e Narrativa “Amici Senza Confini” edizione 2010.

Il pagamento della quota di partecipazione dovrà essere nominativo e relativa a un solo partecipante, pena l’esclusione dal concorso. Copia della ricevuta del versamento dovrà essere spedita unitamente agli elaborati.

Il ricavato sarà interamente devoluto a favore dei progetti dell’Associazione.


ART. 7) PREMI
Ai primi tre classificati delle sezioni A e C verranno assegnati targa e diploma su artistica pergamena.
Ai primi tre classificati delle sezioni B e D verranno assegnati coppa, libri e diploma su artistica pergamena.
Ai concorrenti che si classificheranno dal 4° al 30° posto sarà consegnata una menzione di merito.

Oltre ai premi principali ed alle menzioni di merito, nel corso della premiazione verrà assegnato anche un riconoscimento speciale alla migliore opera composta da autore straniero.
Gli organizzatori del Premio letterario e la Giuria si riservano di decidere sull’assegnazione di ulteriori premi ai concorrenti ritenuti più meritevoli.
Tutti i premi dovranno essere ritirati personalmente da ciascun vincitore; in caso di impedimento è ammesso il ritiro tramite delega scritta che dovrà pervenire presso la segreteria dell’associazione almeno 7 giorni prima della cerimonia ufficiale di premiazione. In nessun caso è previsto la spedizione dei premi.


ART. 8) LUOGO E DATA DELLA PREMIAZIONE
La Cerimonia di premiazione avrà luogo a Roma, sabato 24 aprile 2010 presso la Sala ‘Mons. Di Liegro’ a Palazzo Valentini (sede centrale della Provincia di Roma) in via IV Novembre 119/a - 00187 Roma. Alla cerimonia saranno invitate personalità del mondo istituzionale, della cultura e dell’associazionismo.


ART. 9) GIURIA
La giuria, la cui composizione sarà resa nota nel corso della premiazione, sarà formata da persone qualificate ed impegnate nel campo della letteratura, dell’arte e della formazione scolastica.
Il giudizio della giuria è insindacabile e inappellabile; ad essa spetta pronunciarsi sui casi controversi e su quanto non espressamente previsto dal presente regolamento.

ART. 10) ACCETTAZIONE DEL REGOLAMENTO
La partecipazione al Premio implica la conoscenza e l’accettazione di tutte le clausole del presente regolamento.

ART. 11) INFO E COMUNICAZIONI
Ai vincitori delle quattro sezioni ed a coloro che si classificheranno dal 4° al 30° posto sarà data tempestiva comunicazione a mezzo posta, telefono o indirizzo di posta elettronica.

Per eventuali comunicazioni o richiesta di ulteriori informazioni relative al Premio letterario contattare l’organizzatrice del premio Federica Sciandivasci al numero di cell. 320/0676213 o inviare una mail a:
sciandi68@libero.it
info@amicisenzaconfini.eu

Le informazioni circa l’andamento del Premio saranno pubblicati anche sui siti:

http://www.amicisenzaconfini.eu
http://www.sciandivasci.it
www.lucedellarte.it

Ninna nanna

di Domenico Lombardini

il tuo sorriso ancora da imparare,
per te non solo riflesso forse,
ma già relazione di occhi
che altri vogliono incontrare.
il tuo sorriso che da ore
in ore s'illumina cangiante
di luci nuove, e nuovo lucòre
getta, trasfigurando la vita,
sorpresa dell’intermittenza del cuore.
quello stesso sorriso mai visto
e noto, come impresso prenatale,
come ricordi di luoghi visti
e ancora da visitare.
quel sorriso che alla vita
aggiunge vita, che in una
spera si vorrebbe confinare,
per paura che la troppa luce

la possa al fine consumare.
ma alla luce l’elianto
volge la corolla, l’esule
lo sguardo al mare, un
pastore errante alla polare...

Quale Bellezza salverà il mondo? 19 feb

Incontro con

Prof. Giovanni Fighera
Autore del saggio La bellezza salverà il mondo (Ed. Ares, Milano 2009)

Introduce: Prof. Marco Di Matteo, Presidente Associazione Veritatis Splendor


Venerdì 19 febbraio - ore 18,30
Aula Magna - Chiostro del Convento dell'Immacolata
Piazza S. Francesco - Salerno


Per informazioni:
Associazione Culturale Veritatis Splendor, Via G. V. Quaranta n. 8 - 84123 Salerno
tel. 089226919 - cell. 3295667973
info@veritatis-splendor.net         
www.veritatis-splendor.net                 dimatteomarco@libero.it



martedì 9 febbraio 2010

Pro/Testo a Roma 11 feb

Biblioteca Vallicelliana - Giovedì 11 Febbraio - ore 17.00 - ingresso gratuito

Presentazione di PRO/TESTO [antologia di versi civili a cura di L.Ariano e L.Paci, Fara Editore, 2009]
Interverranno:
Serena Guarracino -Università Orientale di Napoli
Maria Concetta Petrollo - Direttrice Biblioteca, poetessa
Letture di: Dale Zaccaria, Fabio Orecchini, Carmine De Falco, Faraon Meteoses, Luca Paci

Essere famosi: Coelho e Bottoni

scheda del libro qui

Francesco Gaggi finalista al Ceppo

articolo pubblicato sul «Nuovo Diario Messaggero» di Imola del 5-1-2010
scheda del libro qui



lunedì 8 febbraio 2010

Nota a Figli di Vincenzo D'Alessio

di Enrica Musio

Il libro di poesie  FIGLI di Vincenzo D'Alessio, su BluarteNel libro di poesie Figli scritto da Vincenzo D’Alessio, ho trovato delle meravigliose liriche, scritte con passione e intensità.
Il libro descrive la vita dell’autore, i ricordi, le emozioni, la nostalgia, i sentimenti, la malinconia, la morte del figlio del poeta.
Un bellissimo libro.
Ho apprezzato anche la meravigliosa prefazione della poetessa Emilia Dente, che ha descritto molto bene il testo.
Consiglio a tutti di leggere questo libro.

La poesia mentre si fa 12 feb

Su Carla De Angelis e Guido Passini in Poeti profeti?

di Vincenzo D'Alessio (articolo precedenti qui e qui)

Nella lettura del volume, curato da padre Bernardo Francesco M. Gianni, sulla valenza profetica della Poesia, compaiono due campioni della lotta all’insana passione della società contemporanea di ignorare “gli invisibili”: badate, non sono soltanto coloro che furono scelti per essere sterminati nei lager nazionalisti tedeschi, italiani e russi, durante il secondo conflitto mondiale, sono coloro che per l’avversa sorte naturale sono portatori di una diversità fisica: down, disabili, ammalati cronici, anziani e poeti, sono considerati “un male”, “un peso”, per la società civile che corre sui treni super veloci, nelle metropolitane, sugli aerei… e chi ha tempo per interessarsi a questa specie di uomini? C’è il volontariato! C’è la pietà comune! Le virtù teologali? Non c’è niente di niente.
Così si ritrovano accanto due campioni, o meglio una campionessa e un campione, che hanno iniziato, dalla nascita del loro amore per la vita, la battaglia della diffusione di un diverso linguaggio. Ecco lo spunto offerto da Carla: “Il benessere della parola”. Ci credo! De Angelis trova nella parola poetica la forza per dire sì all’esistenza ogni giorno, per sollevare dal cuscino il capo dei deboli, per affrontare l’imparità sociale che le viene sbattuta in faccia ad ogni porta chiusa:“Se questo silenzio trovasse un lume, / il lume trovasse un fiore, / ti donerei la scintilla / per la stanza delle parole.” (pag. 121)
Avete letto bene: ti donerei. Darsi senza chiedere nessun compenso se non l’Amore che ritorna verso chi l’ha dato.
Guido Passini è un archeologo del respiro: cade in fondo alla tomba, emerge con i suoi reperti di parole, non si arrende: “Lo spirito non mi molla mai”. Questa è la semiotica della sua poetica: “uno strano brusio / (…) Non capto le parole / ma sto pregando Dio.” (pag.163)
Segni antichi per vincere la lotta contro il tempo che lo inchioda ad una croce dalla quale vedere cadere i suoi amici, i suoi affetti, uno dopo l’altro e non potersi schiodare dalla posizione assunta perché è simile a quelli che cadono. Come non amare chi si difende dall’ignoranza della maggioranza delle persone? Come vivere, ignorando il dolore di chi lotta? Ebbene quasi tutti oggi lo fanno: l’indifferenza per difendersi dal male sociale. Poi si donano due euro, anche di più, per i terremotati, i senza tetto, i disoccupati, via telefono e si è in pace con quella che si potrebbe definire coscienza.
Bisogna condividere la povertà. Bisogna conoscerla. Bisogna avere subìto almeno una volta la sofferenza di uno shock anafilattico, essere in fin di vita e ritornare, per capire chi scrive poeticamente: “La mia forza sta nella malattia, / nella sua volontà” (pag. 165). La vera poesia è questa, questa che crede nella vita propria e da donare agli altri. Non ci sono grandi figure retoriche. L’unica metafora resta la coerenza Poesia-Vita. A questi due amici poeti vorrei dedicare i versi di Nazim Hikmet, che dedico anche a chi mi è stato tolto ed era a me molto caro: “(…) Un giorno, madre natura dirà:”Mia creatura / ha già riso, hai già piano abbastanza”: / E di nuovo, immensa / sconfinata, ricomincerà / la vita, senza occhi, senza parola, senza / pensiero…”.

On-line il numero 11 di Carte nel Vento

http://www.anteremedizioni.it/print/on_line_il_numero_11_di_carte_nel_vento On-line il numero 11 di Carte nel Vento http://www.anteremedizioni.it/montano_newsletter_anno7_numero11 , che propone un variegato panorama della poesia italiana contemporanea, attraverso una scelta di opere presentate al Premio Lorenzo Montano. Inoltre contributi teorici legati alla saggistica e alla letteratura nel web, recensioni e immagini.
 
http://www.anteremedizioni.it
 

domenica 7 febbraio 2010

«Il tempo / da trascorrere non è troppo / lontano»: ricordando Antonio D'Alessio



Autore prematuramente scomparso a soli 32 anni, musicista, persona attenta e  disponibile nei confronti dei più deboli e dei meno fortunati, «Antonio ci ha lasciato nella carne, ma il suo spirito vive oltre lui, nell'aria, nei ricordi, nell'amore della sua famiglia, nei versi che, già ordinati e scelti di suo pugno, ha donato alle mani che avrebbero aperto il cassetto con i fogli dattiloscritti; le mani di suo padre desiderano renderli pubblici…» (così Narda Fattori nella partecipata Prefazione al libro che li raccoglie, La sede dell'estro, Edizioni G.C. “F. Guarini», Montoro Iferiore, 2009).
I suoi versi sono fotografie di un animo che sa raggiungere l'essenza più profonda delle cose.


Camminando: e riascoltare
il mio cammino.
(p. 18)

***

Da piccolo cercavi calore;
oggi ho capito che il fuoco
è dentro di me.
(p. 21)


***

Il piccolo randagio ora più che mai
vaga da solo e non trova via
d'uscita al labirinto.

Emarginato dal branco per il suo
essere, viaggia nella sua pazzia
che lo rende sempre più fragle,
anche se il guerriero incute
timore.

Forse solo l'amore pure potrebbe
rendere docile il piccolo cucciolo
che, anche se stanco di leccarsi
le ferite, non si cala nelle
leggi dell'uomo.
(p. 38)

venerdì 5 febbraio 2010

Uno sbuffo di fumo (di Enrica Musio)

una silloge inedita dell'Autrice che ha appena pubblicato Senza saperlo nemmeno

POETA

Uno sbuffo di fumo,
e un Negroni
con il tuo sorriso ironico
racconti speranze
sogni e illusioni
con gli occhi di un uomo
che vede oltre il mare
con la sigaretta sulle labbra
e un bicchiere da svuotare.


***

Un bastimento avanzava troppo lentamente,
nel grigio della nebbia
appare una città velata
un porto strano
emigranti
accalcandosi e inferocendosi
solo qualche gruppo di italiani
vestiti di nero
ridicoli
urlanti
parole di libertà
ma solo ringhiano questi
feroci italiani vestiti
di nero.

***

SCHIZZA UN DISEGNO CELESTE,
IL MIO PECORUME
TRA I LIBRI DI SCUOLA
PRESTO SOLO
IN QUESTO
AVVAMPATO
SFASCIUME.

***

AL COLORE ROSSO

La mia rabbia rossa tutta piena di ira,
gli occhi rossi infiammati dalla brutta
congiuntivite
buone ciliegie rosse che aggusto
una mela rossa da mangiare alla sera
per stare bene e dimagrire
una cinquecento rossa parcheggiata a ore
il mio sangue rosso quando vado a fare gli esami
sole rosso quando tramonta
fuoco rosso zampillante nella stufa rossa di coccio
una bocca rossa da baciare
le scarpe rosse che camminano sull’asfalto
i rosso neri che battono
gli sfortunati interisti.

***

SUICIDIO

Un triste congedo
sentirsi poi
un ricordo
guadagnare prima la morte
un rifiuto cittadino
non indiferrenziato
una sola via di uscita.

(a Stefano Benassi) 



COME IL LIBRO

Ad ognuno
la propria storia
da leggere:
un proprio libro
da sfogliare
pagina dopo pagina
dove gli autori passivi
manichini protagonisti

nelle mani di un
editore
poi solo decide
alla nostra uscita
di scena.

***

[ricordando Ilaria]

LA PASSEGGIATA

Pedalo con una bici nera
un cesto traballante di vimini
vedo un lungo ponte
affronto una irta salita
vedo il negozio pieno di fiori
il corso pieno di negozi
quello degli orologi
l’ortofrutta di Angela
l’erborista
il cartolaio di fiducia
dove faccio fotocopie
la posta
in piazza l’edicola
poi al ritorno
il cimitero
con alti cipressi
qui
la casa di legno
dove è deposta
la mia cara
sorella.



LE CROSTE

I tuoi dipinti di dolore
finiscono
ora tutti
quanti nella soffitta
nella bella mansarda.



MERAVIGLIA DEL CREATO

La tua mano di artista,
ha ricamato
un prato
un bell'arcobaleno
quella tua
mano di artista
ha colorato.



MANI

Tue mani esili
un tuo primo capello bianco
ci siamo parlate
senza guardarci
ho capito era
solo
un caro sogno.



DOLORE TEMPORANEO

I brividi nel mio cuore
urlo al dolore
piango solo la tua morte
era una illusione
che va oltre ogni
mio infinito.



RAGNATELA

Ti ricorderò sempre,
negli scivoli delle mie fragili
emozioni
ho camminato
senza mai capire
ho seguito il mio cuore
ora posso sussurrare
con te parlo una nuova
lingua
hai slegato
i fili
di questa mia assurda
ragnatela.



INSEGNAMI A ASPETTARTI

Quando arrivi
non fai mai tanto rumore
sei svelta come un topo di campagna
hai il viso pallido
le tue dita sono tutte gelate

quanto tempo
c’è stato a coprire
bene tutte le tue scarpe nuove

che tu poi mi donasti
una mattina al chiaro del cielo
della primavera aprilina!

da allora fioriscono
ignare rose e margherite
su un ceppo di legno
dove manca tanto di cuore.



SEI FATTA DI CIELO

Come una bella nuvola
guardi il mare
e sorridi
mentre con le mani
accarezzi i monti

sei nel canto del ruscello
lungo un erto sentiero
con il tuo magico pensiero
prendi le scorciatoie del cielo
e malinconica
volgi lo sguardo alle ultime
stelle
seguendo poi
una lacrima
sulla mia pelle.

***

LA PREGHIERA DI ILARIA

Anima mia,
leggera come
una piccola candela
timida
scrivi a caso
Ilaria Musio,
è ancora tra i vivi
anima mia,
vai in cerca di lei
tu sai che darei
ancora la incontrassi
per una bella strada.

Su Il pudore dei gelsomini di Adele Desideri

Raffaelli Editore, 2010

recensione di Vincenzo D'Alessio

La varietà dei sentimenti, che scivolano nell’ampolla (quasi clessidra temporale) della raccolta Il pudore dei gelsomini, costituiscono il segno colorato di un’armonia desiderata tra umano e naturale. Dal punto di vista semantico la parola è divenuta strumento spazio/temporale per misurare la propria e l’identità del creato, visto con gli occhi puri del Poeta. La traboccante sessualità trasfusa nei versi non è che visionaria passione per l’esistere in sé e nell’appartenenza agli altri. Il corpo non è che un tramite del multiforme strumento dell’anima.
Tutte le composizioni affondano nella mitologia greca e latina, variegando di divinità e creature favolose, l’incontro tra Amore e Dolore. Ritroviamo la favola di Esiodo dell’allodola e dello sparviero (callida iunctura); il re Salomone con il Cantico dei Cantici “Entri il mio diletto nel suo giardino” – mentre la nostra poetessa dirà: “Non sono il giardino del tuo cantico.” (pag. 16) – Sodoma,Gomorra, Babele; Tantalo, Itaca, Tebe; il Tigri e l’Eufrate (antico Eden); i luoghi del genocidio armeno (cristiani) perpetrato dai Turchi dal 1915 al 1918 e poco ricordato dalla Storia: a differenza degli Ebrei gli Armeni hanno minori possibilità economiche per farsi ricordare.
Quattro sono le parti che compongono la raccolta. La più drammatica è “Elegia” dedicata al padre. Questa lunga melopea, segnata da anafore, resta nelle coordinate sentimentali dell’intera raccolta come il punto di attracco nella terra poetica della Nostra: “Padre, io amo. / Esisti / e sei un altrove.” (pag. 37)
Pudore di essere cosciente del dramma che il corpo comporta: il tempo tramanda le forme solo nella mente, mentre il corpo lento scende a divenire la polvere che è: “Io morte, / io lucida insegna / io sola detergo / le membra, ma poco, / e veglio il dolore / o meglio il sapore / di vita che muore.” (pag.41)
Accolgo questi versi brevi, taglienti ad ogni chiusa, caustici, come l’ultima offerta accesa accanto al sepolcro del morto, dopo che lo strigile ha deterso l’estremo sudore. La tragedia è sul proscenio del mondo, sotto lo sguardo di tutti, ma nessuno sa comprenderla.
Il tripudio dei gelsomini, tra Sacra Scrittura e mitologia pagana. Semiotica di un linguaggio perduto e poi ritrovato con la fatica del divenire. Il fiore profumatissimo che dura meno di una primavera. Un attimo nascente, un fiore a stella, che dura solo l’attimo di un profumato respiro. Giovinezza eterna perché colta nel suo attimo più forte:nascita del mito. Tutte le poesie cantano una poetica colorata di vita intensamente vissuta e dolorosamente ripiegata nella valigia del viaggio. Dei viaggi intrapresi dalla Desideri, verso l’antica terra calabro-greca, la cittadina di Soverato annoda il dialogo annunciato dal prefatore Tomaso Kemeny, “evoca l’intenzione di trasfigurare la natura nei giardini di una grazia antropomorfa, e/o di mutare l’umano in una leggenda vegetale.” (pag. 5)
In questa poesia scritta sulla terra calabra, l’accoglienza, il sorriso degli altri, l’incontro con la semplicità parlano ancora la lingua dei segni che l’Autrice ricerca da quando ha scopeto di sé il seme della difficile via dello scrivere: “Tra le mele mature, nel mio fiore di zucca, / sei germogliato come il gelsomino / quando profuma, pizzica l’aria/ e si nasconde tra il pudore delle foglie.” (pag.16)
Nei versi sono tante le figure retoriche, gli stratagemmi poetici per annunciare al lettore il canone dell’intera commedia. Gli ossimori spingo a capire: “legni di vetro, giorni appesi ai chiodi”; le sinestesie svelano tratti: “il cuore balbetta, veglio il dolore, bruciare i crocefissi”, ma gli attori siamo noi, i lettori, che assistiamo allo svolgersi delle scene attraverso la pantomimica e i segni divenuti suoni che l’infinito spettacolo della Natura (compresa quella umana) ci offre attraverso l’alfabeto della Poesia.

giovedì 4 febbraio 2010

Autorevolissimevolmente a Pero marzo-aprile 2010



                                                                                                                  
Assessorato alla Cultura
Biblioteca Comunale
INCONTRI CON GLI AUTORI
Aperitivi Letterari (In vino veritas)

PuntoPero
via Sempione, 70 - PERO
la domenica mattina dalle ore 10,45


DOMENICA
7 MARZO 2010

PUNTOPERO
ORE 10.45

DONNE DA ANTOLOGIA

ADELE DESIDERI con “Il pudore dei gelsomini” e “La poesia, il sacro e il sublime”

MARIA GRAZIA MONTESANO con “India, il mio passato e il mio futuro”

CHIARA BERTAZZONI con “Frittology” e “Bloody Hell”



DOMENICA
14 MARZO 2010

PUNTOPERO
ORE 10.45

DAL PROFONDO DELL’ANIMA

ALESSANDRO BASTASI
con “La fossa comune”

FRANCO BUFFONI
con “Zamel”

CLAUDIO MORANDINI
con “Rapsodia su un solo tema e “Le larve”


DOMENICA
21 MARZO 2010

PUNTOPERO
ORE 10.45
TRENT’ANNI:
POCO PIU’, MOLTO MENO

CESARE ALLIA
con “Matricola 423”

ENZO MARIA NAPOLILLO
con “ Remo contro”

BARBARA ROSENBERG
con “Pioggia” da “La poesia racconta 2


DOMENICA
11 APRILE 2010

PUNTOPERO
ORE 10.45
PROFETI A MILANO ?
FRANCESCO GALLONE
con “La metropoli stanca”

ANDREA FERRARI
con “Milano muta”

CARLO PENATI
Con “Sincronaca


DOMENICA
18 APRILE 2010

PUNTOPERO
ORE 10.45
FESTIVAL DELLE MUSE
ESTER MISTO’ con le pieces  “Sipario su un personaggio noto. Le ombre di don Abbondio” e
“Dalle 8 alle 5. Ogni riferimento a luoghi o persone è puramente casuale”.

OTTAVIO ROSSANI , curatore del blog “Poesia” del Corriere della Sera, con “Inediti”

GIANLUIGI FALABRINO con “Kugluf”

ITALO MAZZEI presenta la pubblicazione
“4° Biennale d’Arte a Pero”

                                         

                                            in collaborazione con