martedì 29 giugno 2010

Su Le rondini di Manet di Anna Elisa De Gregorio



Edizioni Polistampa, Firenze, 2010
recensione di Caterina Camporesi

E le rondini turbinavan come spole
canore pel telaio grande dell'azzurro
(Corrado Govoni)

Capita qualche volta di incontrare libri che sorprendono e arricchiscono poiché contengono fra le pieghe dei loro testi cultura raffinata, eleganza composta ed anche uno stile che è felice connubio di contenuto e forma.
Il titolo, Le rondini di Manet, che rimanda al famoso olio su tela del 1873 del pittore francese, porta con sé una ventata di leggerezza e grazia, di giovinezza e maturità e le due rondini che, come segni di croce (…) sembrano svegliare il silenzio del mondo immerso in un’atmosfera rarefatta, sono segno di unione tra cielo e terra.
La raccolta è suddivisa in tre sezioni e, come scrive l'Autrice nella Nota finale, ognuna fa riferimento ad un specifico elemento che in ordine è l'aria per i ventagli, l'acqua per l'imperfezione e la terra per la piccolezza. Ogni sezione termina poi con una serie di haiku, ulteriore testimonianza della sempre attiva predilezione che la De Gregorio ha per le piccole cose.
Il testo di apertura conferma subito la capacità di trasfigurazione che la poesia possiede, riuscendo a trasformare scene di ordinaria quotidianità in momenti di incantevole straordinarietà: un moto inatteso scuote e sovverte l'ordine di una cucina immersa nel silenzio e in un battere d'occhio una severa padrona di casa da cenerentola si trasforma in regina: tre onde di capelli bianchi diventano un piccolo ventaglio che subito è diadema, mentre gli oggetti quotidiani usuali si umanizzano e stupefatti s'incantano ad ammirare la danza di due pantofole di panno.
Come già detto, sono soprattutto i dettagli nella poesia della De Gregorio ad alimentare il processo della metamorfosi e così di testo in testo essi spesso conquistano la pregnante e suggestiva forma del ventaglio, coacervo di infinita polisemia.
Il ventaglio occhieggia in ogni dove, ed esso, come afferma l’Autrice nella Nota alla fine del libro, “ha corpo di vento, scheletro di stabilità. Gioco di prestigio: è una matita, con un giro di mani diventa conchiglie, rose, colombe. Ridotto cono di luce su un mondo dipinto che si richiude nell'ombra.”
Nella inesauribile capacità di rinascere ogni volta da minute tracce, sempre diverse agli occhi di chi sa vedere, esso può suggerire di volta in volta oggetti le cui forme e i cui significati sorprendono sempre per originalità.
Fra gli haiku che chiudono la terza sezione ce n'è uno, Povera strada / sull'asfalto cucite / toppe più scure, la cui potenza simbolica ha portato la mia mente in Bolivia, nelle strade della sua capitale, La Paz, dove vive un personaggio davvero speciale, quello dell'Aparapita, l'elemento archetipo della città stessa.
Anch’egli, come l'adorabile adolescente de La giacchetta di Arlecchino protagonista di un altro testo significativo della raccolta, indossa una giacca composta da tanti pezzi diversi per forma, dimensione e colore.
Essi però sono tenuti insieme per necessità dai materiali più disparati che vanno dal filo, alla corda, ai lacci di scarpe e altro ancora, nel senso che qualsiasi cosa idonea alla funzione va bene.
La giacca indossata dall'Aparapita, utilizzando i tanti e diversi materiali, rispecchia anche la struttura urbanistica della città dove caos, ordine e improvvisazione coesistono e si confondono alla massima potenza.
Si potrebbe dire che questa magica giacca nel suo fondere insieme frammentarietà e molteplicità, richiama in un certo senso la peculiarità della letteratura moderna che sempre di più utilizza la tecnica di incorporare materiali ricavati da altre opere.
Insomma la giacca dell'Aparapita è un mondo composto parti in continua evoluzione, in quanto attraverso il lavoro della separazione, dell'unione, del fare e disfare realizza la preziosa arte della riparazione.
Ne consegue che l'atto del riparare mantiene vivo il germe della continuità, il quale, mescolando opportunamente il vecchio con il nuovo, ri-crea sempre qualcosa di diverso.
Lo stesso avviene nella manutenzione delle strade, quando, scassate e screpolate, vengono rattoppate con pezzi dalle forme sempre diverse per dimensione e colore.
Questa attività di aggiustamento rappresenta un significativo antidoto al disfacimento totale e rassicura sulla continuità, testimoniando che, niente si perde nel nulla ma anzi tutto si trasforma nel divenire.
Il volume è introdotto da un'esaustiva e densa Prefazione di Alessandro Fo, che aiuta il lettore a districarsi fra le sue pagine non sempre di facile lettura se non si tengono presenti i tre criteri che in qualche modo lo orientano: “un oggetto, un concetto astratto (e relativo), una condizione; il ventaglio, l'imperfezione, la piccolezza. Tre dimensioni, secondo cui ordinare il possibile caos in una miniatura perfetta nel suo ventaglio di offerte.”

lunedì 28 giugno 2010

Su La tirannia dell’Intimità di Francesca Mannocchi

Fara editore 2010, € 11,00

recensione di Narda Fattori
 
Non lo scampa nessuno. Per fortuna. Intendo l’incontro che sconvolge l’esistenza, la smuove dai cardini, fa desiderare di mutare noi stessi, il mondo e poi ci fa avvertire la fragilità che ci abita, lo smarrimento davanti agli eventi, la perdita delle certezza, gli scricchiolii di un’anima sottoposta alla prova più dura: l’abbandono dell’amore.
Là dove splendeva un canto, ora nenia un lamento, là dove il corpo esuberava, si ha bisogno di una doccia per ripulirlo e risentirlo intero sotto le dita. Il mondo appare all’innamorata un dono prezioso, ricco di incanti e incantesimi, poi ad amore sconnesso, assume fattezze di incompletezza, di miseria, di inutile crudeltà.
L’opera di questa giovane poetessa, dolente ma autorevole per l’argomento che la attraversa e per le forme che restano armoniche anche quando il dolore spezza canti e legami, merita una lettura attenta anche perché non è difficile leggere, sotto la facies di Eros, l’aspetto dell’uomo e delle sue scorribande sul terrestre territorio. Le parole di Francesca a suo dire “sono colpi di fioretto / sillabe d’alabastro vestite a lutto/ mentre cerco di capirle mi scopro ferite/ dappertutto”. Ma le ferite che la devastano sono anteriori al possesso della parola, la parola le rende dicibili, ma non esaustive; c’è sempre una soglia oltre la quale non si riesce a passare, c’è troppo non detto all’interno delle persone. Né può essere diversamente per quanto ci si adopri a sprofondare, a acuire la visione: “le ombre a recitare un confuso de profundis/ nell’imbrunire tra sedie vuote e bottiglie aperte/ mi dedicavo il profumo del cedro e lo scintillio dei tetti bagnati/ nel ricordare che quando si uccide non si deve esitare”; dunque la consapevolezza è chiara ma l’azione e lo struggimento tentennano, si flettono e quando si rialzano mostrano nuove piaghe , nuove fragilità.
Da sé si apre le ferite e le scruta, il mondo s’è ridotto ad un solo frammento che contiene tutto il dolore possibile così è “Difficile per noi perdersi / nel funerale del pensiero”; ma chi è protagonista sulla scena può ben dire:  “E lascio che un canto nasca / sulle ceneri ingannevoli di parole zittite.”
Le poesie  utilizzano una serie di termini che consentono di seguire il percorso del poeta: dimezzata- precipizio- strapiombo- superbia- sangue- graffi- inganno- resa- rabbia-… , e ancora a fare una cernita si coglie un campo semantico di strazio, anche se non arreso; anche dal dolore può risorgere una nuova consapevolezza, una nuova resistenza, per giungere a queste meravigliose poetiche conclusioni: “Da oggi penso a te come a un tuffo nella Senna”;  “ … se puoi, digiunami.”
La raccolta si chiude con una citazione di Gramsci: “la verità è sempre rivoluzionaria”. Ed è così: la verità scardina, spettina, capovolta opinioni, pensieri, sentimenti, comportamenti e sicurezze; una volta raggiunta spalanca un mondo alieno, diverso, e chi è pervenuto alla verità è persona nuova, rinnovata, pronta a nuove menzogne, comunque a correre nuovi rischi. Ovvero a vivere.


Erika Corsara vince il Premio Montano 2010!

Con  IUS

Erika  Corsara vince il Premio Montano 2010
sez. raccolta inedita.
Complimenti anche ai finalisti:

Antonella Doria, Millantanni; Mario Fresa, Aura; Carolina Giorgi, Leggendo Emily Dickinson; Alberto Mori, Financial; Guido Turco, Qui non è più adesso; Giovanni Turra Zan, Le costrizioni

IN PURISSIMO AZZURRO newsletter Luglio 2010


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website: http://inpurissimoazzurro.wordpress.com
direttore: Maria Di Lorenzo

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SOMMARIO

EDITORIALE

Nel nostro Vero Luogo di Marco Guzzi

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/06/22/nel-nostro-vero-luogo/

SCAFFALE ALTO

Svolta di respiro. Spiritualita' della vita contemporanea di Antonio Spadaro

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/05/11/svolta-di-respiro-spiritualita-della-vita-contemporanea/

Dove lei non e' di Roland Barthes

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/05/06/dove-lei-non-e-roland-barthes/

LETTERATURA COME VITA

Scrittori e Vangelo di Carlo Bo

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/06/27/scrittori-e-vangelo/

E Rimbaud converti' Claudel

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/05/01/e-rimbaud-converti-claudel/

A PIEDI NUDI NEL VERSO

Il vero e il falso di M.Teresa Santalucia Scibona

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/06/24/il-vero-e-il-falso/

Giovedi' Santo di Mariangela De Togni

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/06/13/giovedi-santo/

Roma contemporanea di Elio Fiore

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/05/24/roma-contemporanea/

CELLULOIDE

Preti di celluloide: la mostra e il libro

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/06/04/preti-di-celluloide/

CORSI E CONCORSI

Leggere per raccontare. Master di scrittura creativa

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/05/06/leggere-per-raccontare-master-di-scrittura-creativa/

SPAZIO FRANCO

Dentro la terra, il cielo. Un colloquio con il poeta Marco Guzzi

a cura di Maria Di Lorenzo

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/05/14/dentro-la-terra-il-cielo/

LA PAROLA INTERIORE

Il fresco presagio di Gherardo Del Colle

a cura di E. Andriuoli

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/06/20/il-fresco-presagio/

PER RICORDARE ROSARIO LIVATINO

Stiamo raccogliendo testi per lo speciale di settembre, dal titolo Giustizia vulnerata, necessaria memoria. Il numero che andiamo a preparare nasce per ricordare il ventennale della morte del giudice Rosario Livatino, barbaramente trucidato a soli 37 anni dalla mafia in Sicilia, ma naturalmente il discorso si allarga a tutte le sollecitazioni che il tema della giustizia ferita porta con se' insieme alla necessita' del ricordo. Partecipate tutti con i vostri testi (poesie, racconti, riflessioni) a questo nuovo numero monografico della nostra - e vostra - rivista. Il termine ultimo di invio degli elaborati e' fissato al 31 luglio 2010.

http://inpurissimoazzurro.wordpress.com/2010/05/27/giustizia-vulnerata-necessaria-memoria/

Grazie per la vostra preziosa collaborazione.

Un caro saluto a tutti :-)

La redazione di In Purissimo Azzurro
http://inpurissimoazzurro.wordpress.com
<mailto:inpurissimoazzurro@gmail.com>
 

Senza saperlo nemmeno sotto l'ombrellone

pagina libri RD a cura di Giorgia Galanti
scheda del libro di Enrica Musio qui

domenica 27 giugno 2010

Su Contratto a termine di Luca Ariano

Edizioni Farepoesia, Pavia, 2010

di AR

Del grandioso romanzo in versi a cui sta lavorando da anni, Luca Ariano ci offre con Contratto a termine un exemplum particolarmente riuscito e sfolgorante (cfr. anche l'intensa e acuta prefazione di Francesco Marotta), pur essendo immerso in una realtà padana spesso grigia (e non solo in senso atmosferico) e “nebbiosa”: gli ideali e le ideologia del passato sono morti o moribondi e si rischia di perderne definitavmente memora con la scomparsa degli ultimi interpreti di una stagione politica che pare lontana secoli, le aspettative delle nuove generazioni sono appunto “a termine”, disilluse e prive di entusiasmo. In questa “storia” liquida e cedevole si muove la scrittura, direi cinematografica, del poeta vigevanese ma ormai parmense di adozione. Si tratta in fondo di una poesia epica, nonostante il tono dimesso e la presenza di antieroi, di personaggi “normali” che interpretano una quotidianità talvolta persino sciatta eppure con esiti anche drammatici: solitudini, suicidi, malattie “contratte” sul lavoro (e qui il “termine” acquista una tragicità non solo economica ma esitenziale), fughe nella droga e nell'alcolismo, sesso come sfogo o come mezzo di scalta sociale, “eroi” del recente passato dimenticati e abbondonati… Lo sguardo di Ariano, come quello di un regista del primo dopoguerra, non edulcora la realtà, la registra facendo “parlare”, con i loro tic anche linguistici (abbastanza frequenti i corsivi nel dialetto della Lomellina, quello ascoltato da fiulìn, il personaggio che è l'alter ego dell'autore) l'Enrico, l'Anna, l'Emilio, l'Elio, l'Ada… insomma tutti i personaggi di quella fetta di Padania, prossima al Ticino o alla via Emilia, ben nota al Nostro.
Passaggi di assoluta poesia costellano questa grandiosa opera in progress di Ariano che potrebbe altrimenti rischiare di risultare prosastica o cronachistica e invece, e lo ribadiamo, è un vero poema epico contemporaneo. Passaggi, dicevamo, che ci pare di poter identificare in particolare in quei versi in cui natura, storia, emozioni, sguardo d'insieme e analisi degli eventi si fondono in parole pregne di simboli e in metafore dalla forza visiva spiazzante.
Solo alcuni esempi fra i tanti.
Dalla prima sezione “Transazione»: «e ti porti sulla via Emilia una lunga / discussione da filrm, / col nome uscito da un cartone, / in un'aria di neve che domani / impasterà le strade» (Sulla Via Emilia, p. 13); «Si rasano i prati spulciati da merli / e i tuoi capelli cadono sulle zampe / d'un cane che assalta il tremore / delle ginocchia» (Bambini, p. 15); «In un panorama che gela le tonsille / distribuisci versi in quella quiete ambrata» (Panorama, p. 16); «negli istanti fracassati del corsaro / all'Idroscalo di Ostia: / le parole non erano ancora profezie» (Trent'anni dopo, p. 18).
Dalla seconda sezione “Calendario giuliano”: «Un vecchio osserva le cosce d'una ragazza / e ritorna ai frettolosi amplessi / tra macerie e sirene quando un bacio / poteva essere l'ultimo prima del calar del polvere» (Atto II, p. 22); «rapido lo sguardo dei passanti / e troppo secca la tua retina / appanna i mattini» (Lo hanno ucciso sul divano, p. 26); «Il vento ti seguirà con passo di cane» (Appena ti incontrò, dopo mesi, forse anni, p. 27); «Nell'inaspettato tepore settembrino / il gelato è un affresco di fine stagione» (La caccia al cinghiale, p. 28); «La nebbia di quelle stagioni lascia / sempre un cattivo gusto / ma il primo tepore del mattino risveglia le ciglia» (È già il secondo matrimonio, p. 29); «Il transito nella galleria ha lasciato / solo un vento ad accapigliare i giornali / del giorno prima e il pietrisco del fogliame» (Lei con semplice candore, p. 31); «Le strade s'abbrustoliscono di castagne» (È un'altra di quelle mattine albine, p. 32); «e nascere in Lomellina è un sospiro crepuscolare» (Tornare è un po' come morire, p. 35); «ti racconterai a uno sconosciuto / che già s'è scordato la tua storia: / tanto domani s'ammazza» (Ti sei preso un biglietto, p. 37).
Dalla sezione eponima: «ma poi i nodi vengono al petto e ogni sabato / sotto quelle lenzuola un altro respiro» (L'hai fatto in quel parcheggio vuoto, p. 46).
Dalla quarta sezione “Nuovi contratti”: «Si alza il gomito della cura e per te, / uomo di pianura, un po' di ansia dietro ogni / accelerata, lontano dalle tue orme infinite» (Un arcobaleno – come quello, p. 56); «Pietro se le ricordava bene le torture / della banda Koch  – in viale Romagna; / vent'anni dopo in una sera di dolce vita romana, / s'è gettato dalle scale di un casermone» (Dal mare sono arrivati guidati da Hasting, p. 62); «il professore adnrà a quella festa / portato per inerzia di una barba tagliata male / e sonnecchiando distillerà / gioie di galaverna prima del solito nuovo anno” (Gh'è una nebia del Cristo, p. 68).
Dall'ultima sezione “Genti dolorose” (chidue poi il libro un omaggio  al partigiano e poeta Gorgio Piovano): «Teresa coi suoi occhi di febbre danza di tosse / ma dal lucernaio della mansarda la nebbia / mescola le case come un brano d'opera» (Ogni benedetta mattina all'Emilio, p. 74).

Un poeta che “risveglia” il reale: con la sua scrittura tersa e obiettiva, Ariano è un po' il periscopio che indaga con sguardo sinestetico un trancio di storia che ci riguarda e ci dice che nonostante la “nebbia” non possiamo far finta di niente. Un libro davvero bello che anche i più giovani possono gustare nel suo saporoso understatement, se hanno il piccolo coraggio di prendere un mano un libro di poesia.

sabato 26 giugno 2010

[ESAUSTO]


[ESAUSTO]

per una storia consegnata ai registri del pentimento

come quella dell'inespresso

o di questo presunto esserci

il suonatore d'organetto

scioglie nella notte

tutto lo straziante repertorio dei suoi rulli

e da dietro una graticola

quanti contrasti, vedete mio signore

si avvertono negli uomini tristi

ogni qualvolta

calante e impraticabile si fa la loro postura,

mentre crescente e abbondante

ora s'affaccia la luna, che ammicca e strizza l'occhio all'esausto

costringendolo a sporgersi

su un pozzo ad orologeria

su quel buio

profanato come una bocca

che per fame ha inghiottito i suoi denti

barattato le sue tonsille

ed è rimasta cavo, esofago

vuoto continuamente sfondato

gradino che dà sull'inferno


Sebastiano Adernò

@foto: Marco Moranzoni

venerdì 25 giugno 2010

Antonietta Gnerre sul nuovo numero del Ponte

Il ponte - settimanale Cattolico dell’Irpinia, del 19-6-2010

premio “Poesie al mondo” 20 lug

Il premio prevede la partecipazione gratuita con tre poesie inedite a tema libero;
- ai tre finalisti sarà donata una targa ricordo e un’opera d’arte e solo a primo sarà pubblicata gratuitamente una sua raccolta di poesie;
- sarà inoltre pubblicata un’antologia del premio con le opere dei poeti finalisti e selezionati;
- l'assegnazione di altri eventuali premi verrà comunicata solo in sede di cerimonia di premiazione;
- scadenza 20 luglio 2010, ore 24.00.
Per il regolamento e per informazioni rivolgersi al curatore e/o segreteria del Premio: Matteo Marangoni - Cell. 339.4248865 - Skype id. matteomarangoni74 - www.poesiealmondo.org

In allegato la locandina/regolamento del Premio.

giovedì 24 giugno 2010

Su Colibrì di Anna Maria Tamburini

recensione di Narda Fattori

io lei e la romagnaIl primo volume di poesie della Tamburini è un canto all’armonia e alla bellezza delle creature, sempre in sommovimento, sempre nel suo farsi fragile, sempre col rischio del suo disfarsi. Chiama alla sua visione le piccole e le minuscole cose e creature che coglie nell’immersione della luce, prima che l’ombra le risucchi nel suo spregio di energia, nel suo sfregio di bellezza. Le coglie prima, appunto, e le deposita sulla pagina. Così i delfini capriolano al largo, osano cavalcare l’onda e accordarsi alla musica del cosmo mentre l’uomo si dis-spera, si dis-piace nel frastuono.
Le creature marine che la poetessa chiama a testimoniare la bellezza e l’intreccio fecondo dell’amore può, deve?, additare l’amore alla madre, al bimbo dove l’innocenza si sgrana negli occhi e si riflette nel cielo. Ma ci sono le altre creature (il fiore, la libellula, l’orso…) di poca considerazione a essere poste sotto un grandangolo e a parlare dell’immensità dell’universo, dei micron che siamo e insieme immensi, e che a noi pongono solo domande: “qual è la misura del tempo, rispetto a quale parametro, in vista di quale scopo?” Ma ancora, per dire come il semplice nutra il complesso, chi è “Carne all’incrocio delle acque”: Dio, uomo o creatura?
Ma tutta la breve silloge si muove in canti paralleli di estremo rigore musicale e di tenue contenuto che pure rimanda all’eterno; e, dunque non è difficile riconoscere il sussurro di sottofondo della Dickinson, sovrastato da una voce ferma ma non contrastante, bensì accordata su quel ritmo, sulla stessa visione, su un insaziato dire del mondo dietro casa.
Le poesie di Anna si tengono in un rosario che non cede, di pari tensione e voce, canto vivo e sommesso, che dal basso sempre si eleva a significante alto.
Dentro una teofania delle minimalia, traluce in sottofondo Teilhard de Chardin nella sua concezione evolutiva dell'amore a cui è pervenuto: considerando che esso non sia un fenomeno limitato solo all'umanità, bensì sia presente nel momento stesso in cui si scende verso le radici dell’ “albero della vita", Teilhard esprime la convinzione che ciò che noi chiamiamo amore esiste addirittura a livello delle semplici molecole e che è proprio quello stesso amore che si manifesta al livello umanizzato nelle nostre vite perciò se l'amore non fosse presente già nelle forme più semplici o meno evolute dell'universo, non potrebbe manifestarsi come forza universale nemmeno ai suoi livelli più alti e più complessi. E là nel “centro dei centri” si situa il Cristo che chiama tutto e tutti a sé e che è anche la fine del mondo, nei secoli tanto paventata e invece cantata da Giovanni nell'Apocalisse.
La poesia della Tamburini coglie lo spirito di ciò che muove realmente la natura, coglie l’interiorità all’interno delle cose che l’amore fa tutte convergere al punto “omega”, finale e iniziale perché non si dà fine senza inizio.
Allora il colibrì, il più minuscolo degli uccelli, muta in rappresentazione dell’amore divino e della sua disseminazione su tutto e tutti: “quanto misura un giorno? /e la misura a chi, a cosa? / Cosa importa lo scarto della vita – / le percentuali di riuscita – / alla matematica / dei cicli misteriosi/ che la vita feconda?”
All’uomo non resta che prendere atto e attualizzare la grandezza e la magnificenza e “bene / dire /ogni amore”, prendere atto che è carne, fragilità, pochezza, ma è anche senziente, vedente e visionario, in grado di pensare all’infinitezza del Cielo e di ritrovarsi e riconoscersi creatura nell’infinitamente piccolo e meraviglioso così come nell’infinitamente caro.
La creazione è abitata da un numero incommensurabile di creature ed eventi che all’uomo è concesso apprezzare, impossibile capire il tutto: la nescienza è il riconoscimento dell’umiltà dell’uomo di fronte alla creazione divina.
Molto e tanto di potrebbe aggiungere ad questa silloge di poesie fortemente coese dal convincimento interno, dal filo che tutto le attraversa, ma anche dalla maestria del ritmo, dalla commistione naturale di un lessico ora basso ora alto, e il contrappunto, quasi un dialogo con esse o con un riferimento culturale o circostanziale, che accompagna molte poesie.
Raccolta tutt’altro che improvvisata, direi colma di maestria e di una grande tensione poetica tiene sempre alto l’oltranza della vista della poetessa.

mercoledì 23 giugno 2010

Degustazione poetica 25-26 giu Dozza-Castel S. Pietro Terme

Su Percorsi paralleli di Domenico Cipriano, ne Le amorose risonanze

Antologia di arte-poesia a cura di Mario Fresa

recensione di Vincenzo D'Alessio

La poesia di Domenico Cipriano mi appartiene per terra e per sangue. Abbiamo nelle dita gli stessi appigli. Disegniamo con la croce le stesse stanze. Le poesie comprese nell’Antologia “Le amorose risonanze”, curata da Mario Fresa, per conto delle Edizioni L’Arca Felice, di Salerno, compongono il novero della ricerca poetica che il Nostro sta realizzando dalla sua comparsa nel contesto della Letteratura Italiana del nuovo secolo.
La vita: insostenibile metamorfosi di forme, di energia, di inumane sofferenze, è il binario parallelo di un’altra identità, di un’altra strategia di alterità, che gli umani definiscono Poesia. Solo utilizzando questa chiave di lettura si aprono a giorno i versi “morbidi nel tono” della raccolta qui presa in argomento. La solitudine del poeta è la verifica costante della posizione assunta, nella catena che lega, chi scrive, a chi ha già scritto. Capita sovente di ritrovare, nei versi del Nostro,il richiamo ai poeti del Novecento e ai contemporanei.
L’originalità è nella limpidezza del verso. Nella musicalità della cadenza. Nella proposizione dei temi ineludibili dell’esistenza: il viaggio, i personaggi, l’ironia, lo smarrimento, la ricerca. “Pendolando” è il verso che Cipriano utilizza per raccogliere l’essenza della materia che affronta e per delineare l’alternanza degli eventi, passati, che scorrono nell’equilibrio del tempo presente. Un pendolo che oscilla tra mistero e rivelazione onirica.
“Abbiamo sempre bisogno di guardare oltre le cose”, questa è l’introduzione che l’Autore pone all’inizio della raccolta. L’indicibile e la realtà. Il pensiero poetico che permette a questa strada di essere percorribile. Allora la raccolta presenta al lettore il flusso continuo delle cifre, il metodico uso dei mezzi urbani, la vita dinamica/statica di chi lavora ad un computer, la mancanza di identità che si rivela nelle fabbriche,i volti incontrati e descritti, ma più di ogni altra immagine emerge il divario tra paese e città.
Il poeta non dimentica le sue radici, l’infanzia,”Il continente perso”, lasciato alle spalle. Tanto che, anche il semplice momento della pausa pasto, diventa il ritorno alla materia delle cose conosciute:

(…)
Solitario
al silenzio di questo tavolo in fòrmica
della carta residua dei panini, del cetriolo
scartato e del bicchiere marcato Coca Cola

sfoglio una rivista d’Arte.
(pag. 20)

Il tempo trascorso a dare una mano al padre, commerciante di mobili, ricompare nella disamina dei materiali e delle vetrine. Temi affrontati anche nella prima raccolta. Le metafore e le analogie inchiodano il lettore alle immagini che il poeta scioglie dal ghiaccio della memoria e le rilascia in fresche acque che dissetano:

Sono cresciuto tra i suoni, di notte
nei vagoni ampi della metropolitana
dove le luci sono la spina dorsale

del corpo rigonfio di sonno.
(pag.20)

analogia del viaggio di Pinocchio nel ventre della balena
ancora:

Volti ammutoliti fissano
l’indigesta esistenza, la barba
si fonde alle pareti grigie
della metropolitana (pag. 21)

l’umanità trasfusa ad un mezzo meccanico
riprende:

È un passaggio nella notte
senza sosta per riflettere
tra le facce della metropolitana
dove sonnecchio senza fretta

raggomitolando rumore.
(pag. 22)

l’impossibile pace e la mancanza del silenzio creativo.
Il viaggio è condizione di conoscenza. Lo ricorda la poesia di Giorgio Caproni: “Il mio viaggiare / è stato tutto un restare / qua, dove non fui mai” (Biglietto lasciato prima di non andar via). La città in contrasto con il paese: “sui muscoli / indolenti si appoggia la città” (pag. 20) e in altri frammenti poetici, dischiusi tra le poesie di questa raccolta, si affaccia l’identità “simbolo del mercato globale” che è la città.
Cipriano ha nel cuore, e nei versi, la musicalità del paese. La semplicità della luce solare nei vicoli. Gli odori che permettono di mitigare la “strada di ogni giorno”.
Il mio pensiero va al poeta calabrese Franco Costabile, della raccolta La rosa nel bicchiere (Qualecultura, Mesoraca,1985), alla sete di terra e di amore che lega la voce del primo a quella di Cipriano, quando scriveva nella raccolta Via degli ulivi (a Roma, 1950) l’impatto con la città:

Tu non puoi
intendere le notti
del marciapiede,
la mia vita alla luce
delle insegne luminose:
erro, con passo

da soldato sconfitto.

Riconosco la purezza del dettato poetico, in queste “Vite parallele”, che il Nostro ha voluto affidare all’editore salernitano. Un altro pezzo della bella storia poetica nazionale, nata da una voce della verde terra dell’Irpinia.

lunedì 21 giugno 2010

[DELUSA]

[DELUSA]

come una malattia

che s'attacca e non lascia

perchè vuole diventare grande

stando appesa alle tue carni

così ti porti al collo
come una croce stanca di fallite quaresime
sei solstizio non sostenibile
nulla da festeggiare,
si potrebbe al limite provare
per concederti vere lacrime
a sostituire le tue palpebre
con quelle di un papavero
oppure
con una siringa
spingerti un sorriso direttamente sulle gengive
fare un contratto da precario al tuo specchio
così da licenziarlo per tempo,
ammazzare nel sonno con un cuscino
il tuo orgoglio
e mettere tanti semini
da innaffiare col pianto
sotto le foto di famiglia
tutto questo occorrebbe tentare
anzichè rimuginare

i dissapori di una vita
che ti vendettero per vaniglia

e che tu

non daresti da mangiare neanche al tuo cane


Sebastiano Adernò

Franca Fabbri II al Poseidonia-Paestum 2010

Con la sua nuova raccolta poetica Sto consumando l'ultima casa, Franca Fabbri si classifica Seconda al Premio Poseidonia Paestum
Complimenti e ad maiora!

Objects a Cremona 2 luglio

Venerdì 2 luglio alle ore 18:00  
Libreria Ponchielli 
P.zza A.M. Zaccaria 
Cremona

Alberto Mori

presenta


Objects (Fara  Editore)

Sarà presente l'autore   con una  performance   Lo sguardo di Alberto Mori sulle “cose” è obliquo e tagliente, sa far  da loro riverberare quella luce che “svela” i tic della nostra società  postglobale, e ci coinvolge con una serie di immagini e di suoni che  creano uno spazio scenico alla parola.  

«A queste poesie non è possibile applicare un giudizio di bello o di  brutto; sarebbe riduttivo, dequalificante e, consentitemelo, un filino  meschino da parte mia. Ma posso affermare, con sicurezza ed in completa  pace con la mia coscienza, che queste poesie attirano, incuriosiscono,  suggestionano il Lettore in maniera ipnotica. Mi piacerebbe domandare  ad Alberto – che è anche performer e videopoeta – come e cosa sceglierebbe  per “accompagnare” le sue parole. Mi piacerebbe guardarlo nella fase di  allestimento, e sono sicuro che da dieci le domande diventerebbero  cento. Di questi tempi, credo che quanto sopra rappresenti un pregio  non indifferente.»
 (dalla Prefazione di Stefano  Martello)

Info su Objects: http://www.faraeditore.it/html/siacosache/objects.html

Alberto  Mori  è nato a Crema (CR) nel 1962.
Poeta Performer Artista. Dal  1986 è autore di molteplici pubblicazionidi libri di poesia. Effettua  performance, reading, letture pubbliche, installazioni,fotografie,  video. Collabora a progetti d’interazione della poesia con tutte  le espressioni artistiche. I suoi testi sono raccolti su riviste,  e-book ed in diverse antologie, anche on line. Nel 2001
e nel 2006 è  stato tradotto e pubblicato in Spagna.
È tra i fondatori del Circolo  Poetico Correnti,che dal 1995 è attivo nella divulgazione
della poesia  e dell’arte. Nel 2003 fonda la SempreCreativaPoetica con l’artista visivo  Gino Ginel. Nel 2007 è finalista con segnalazione per la poesia inedita  della XXI edizione del premio di poesia “Lorenzo Montano”di  Anterem.
Nel 2008 e nel 2009 è stato segnalato dallo stesso premio per  i libri Raccolta  e Fashion

Su Contratto a termine di Luca Ariano

recensione di Giuseppe Marchetti pubblicata sulla «Gazzetta di Parma» del 16-6-10
per ordinare il libro qui

domenica 20 giugno 2010

su La caduta di Bisanzio di Alessandro Rivali

Jaca Book, 2010
di AR

Questa nuova raccolta del poeta genovese ci conferma la indubbia qualità della sua scrittura, giustamente definita visionaria e sontuosa da Roberto Mussapi in quarta di copertina. Aggiungerei senz'altro l'aggettivo che secondo me meglio caratterizza la poetica di Rivali: epica. Non solo per la capacità di rendere mitici gli eventi storici di un passato più o meno recente, ma anche per la forza a tratti direi “impietosa” con cui vengono indagati, attraverso gli eventi e i loro esiti “schiaccianti”, i più intimi recessi dell'animo, del cuore e della mente dell'uomo.
Il libro si apre con tre poesie-prologo in cui già veniamo introdotti al modus scribendi del Nostro: gli oggetti diventano simboli, le visioni rivelazioni, i sentimenti paradigmi della condizione umana. La prima, in cui si parla (come ci viene rivelato nelle note in appendice) della peripatetica Tazza Farnese, ci offre subito esempi dell'inconfondibile stile di Rivali: “Era segno dell'armonia primaria, / come gli occhi di un donna / o le matematiche del cosmo. / (…) / Passato e presente si penetravano / seguendo il pendolo delle capitali” (p. 7). E nella seconda: “Sono rossi gli occhi dei mistici. / Metti la lingua nella loro brace: / muoverai le sorgenti dei secoli” (p. 8). E nella terza si intrecciano storie di famiglia (la fuga dalla Barcellona devastata dalla guerra civile nel '36)  con il presente esangue del porto di Genova e i pervasivi riferimenti biblici che sono peraltro sparsi per tutta la raccolta. Ha poi inizio la sezione “Pompei” in cui la distruzione della città campana richiama la scomparsa di Atlantide e più in generale la consistenza tuttosommato effimera delle anche più grandi opere dell'uomo  così come dei più vasti disegni “imperiali” (come sempre, è questa una cifra di Rivali, fatti particolari si mescidano a rivolgimenti storici epocali, la storia stessa viene per-corsa con scarti spazio-temporali che frantumamano l'aristotelica unità di luogo-tempo-azione): “Poi una cortina di fuoco cancellò / Thira, la regina del mare, / il passato si adagiò sui fondali” (p. 13); “Durante gli scavi trovarono / l'ultimo spettatore del teatro / chiuso nel mantello di pietra” (p. 18); “Pensa all'intreccio degli scheletri / sotto il porticato di Ercolano, / ogni schiena sul proprio bene, / figli, schiavi o chirurghi / con i ferri per curare la carne” (p. 20).
Segue la sezione fondamentale del libro “Bisanzio 29 maggio 1453” con la descrizione quasi giornalistica e fotografica della brutalità bellica: “Furono sepolti in schiera, / sulla linea dove erano caduti: / le lance uscivano dalla fossa / sollevando una diga spettrale” (p. 28); “La notte i tamburi della guerra / torcevano le anime degli assediati; / fu invariato l'intreccio del ferro: / nei casolari piansero i padri / suppliziati al cospetto della luna” (p. 29); “Scavarono canali sotto le mura, / trasformando uomini in zanne” (p. 31); “Cadono grasso e sangue, / le balestre hanno lacerato / anche il costato del cielo” (p. 34); “Ricorda / i dadi sul sesso del nascituro / e le spade che scucivano i ventri” (p. 36). Segue una sezione mistica intitolata “Giovanni della Croce”: “Lo chiusero nella gabbia / per miniare la sua schiena / con discipline di ferro” (p. 42); “Ripetevano che era l'oscuro, / quando abitava lo splendore, / che gemeva nella tenebra, / mentre scriveva / un cantico sempre nuovo” (p. 44); “vedo le pareti dei secoli incendiarsi / come cotone trascinato dal vento” (p. 48).
Approdiamo quindi alla sezione “L'Eldorado” (con rifermento ai grandi navigatori e al Nuovo Mondo): “Più della seduzione dei colori / operò l'ossessione della prima via / da tracciare a Occidente / e il nome slanciato nei secoli” (p. 55); “Il sovrano si copriva di resina / per adagiarvi sopra la polvere aurea” (p. 60).
La sezione successiva si intitola “Sacrari”: “La selva aveva inghiottito / e solo Ungaretti era rimasto, / per scrivere del San Michele, / del drago che ruotava la spada” (Monte San Michele, p. 66); “iniettavano canfora nelle vene / per svegiare le tarantole interne” (Kolyma, p. 67); “Dio accarezza i perduti / con la mano di un cieco / che sfiora angoli e onde / e ritorna sul volto degli amici” (Passo del Turchino, p. 69).
Abbiamo poi la sezione “Persepoli” che si apre con versi ispirati al mito di Babele: “In principio furono / una lingua e una parola sola: / poi mescolarano mattoni e bitume / per un ponte contro il cielo” (p. 73). Mentre a pagina 81 troviamo una poesia che offre una chiave importante della archittettura poetica di Rivali sempre in bilico fra tragica o atarassica (stoica) “descrizione” dell'immanente e una tensione ad una luce trascendente che sia (evangelicamente ardua) Via di salvezza: “Secondo le storie degli Sciti, / nell'ultimo dei giorni / avrebbero legato profeti alle ruote, / incendiato carri e timoni / per lanciarli nella pianura, / come comete in fuga / sulla piana assiderata dal vento”. La sezione non a caso si chiude con versi ispirati a Ezechiele 37,7-10.
Le ultime tre sezioni si intitolano “La terra dei serpenti”, “La terra di Lamec” e “Atlantide”. Citiamo alcuni versi della penultima: “cercava la teologia nella storia, / dove risiedesse / la fonte dei cicli e dei ritorni” (p. 99); “Scelse la notte come lezionario, / ripensò ai moti millenari, / ai crani affioranti sulle dune, / ai grani ordinati dal vento / per nutrire le rose del deserto” (p. 100); “Ricordò Molokai, / il lebbrosario dove i dannati / oscillavano con specchi e lame, / per esaminare il morbo / e separare la carne dalla necrosi” (p. 105).
Dell'ultima sezione ci hanno particolarmente colpito questi splendidi versi: “Roveti bruciavano senza consumarsi / quando il profeta dialogava con Dio. // Nulla sapeva del suo nome, / se non che era e ascoltava / e volentieri fermava la sua tenda / accanto ai pali di quella dell'uomo, / che masticava l'esilio e la polvere / e come fossero lontane le sorgenti, / la terra dei datteri e del miele” (p. 112); “Mentre si spezzavano i sigilli, / sospirava il ritorno del profeta, / (…) / e poter dialogare da figlio, / senza più diaframma o roveto, / sfiorando con le dita la bocca di Dio” (p. 113); “Era conclusa / l'alternanza tra sogno e sangue, / contemplava infine / l'epicento e la bellezza del fuoco” (p. 123).
Sicuramente questo libro è una tappa importante, la conferma di uno stile, di una voce, di uno sguardo che sa profetizzare, che sa cioè farsi portavoce di una riflessione filosofica e, soprattutto, teologica sul senso della storia, con la forza di una narrazione sostenuta da un ritmo vibrante come le visioni (così simili come approccio a quelle degli antichi profeti su quali cadeva il “peso” di rivelarle) che danno fuoco alle pagine che le contengono.

sabato 19 giugno 2010

da Il libro degli haiku e dei Tanka (di Andrea Garbin)

Haiku n.1

Nido di picchio
sulla vecchia corteccia
tre fori neri.

Haiku n.2

Le cinque rose
cresciute sul selciato
sfidano il vento.

Haiku n.3

Nel fontanile
il sole spacca l’aria.
Volo d’upupa.

Haiku n.4

Debole cade
dall’anello distante
la spora bianca.

Haiku n.5

Bianche cicale:
una greca leccornia
dei nostri avi.

Haiku n.6

Un contadino
succhia un filo di paglia.
Puntura d’ape.

Haiku n.7

Sulle tue mani
serpentine di timo,
sole d’autunno.

Haiku n.8

Tempo di caccia,
si accende un battibecco
nel quagliodromo.


Tanka n.1

O libellula
sei delicata luce
su questa foglia

nell’inverno che verrà
il buio ci traduce.

Tanka n.2

Nel mio torace
un leone si scaglia
ma di profilo

sottopelle si smaglia
il fiato in un filo.

Tanka n.3

Vermiglie rose
lascive le tue labbra
ambiguo volto

intorno ad occhi di
porcellana dipinta.

Tanka n.4

Cadono api
negli occhi di ginestra
sguardi congiunti

contigue nuvole
piovono miele.


Gli 8 haiku pubblicati nel rispetto delle regole tradizionali sono risultati vincitori del Biennale di Como - sezione haiku. I 4 Tanka (da 31 morae) sviluppano il tradizionale effetto contrastante, in questo caso vissuto nel lavoro a quattro mani, secondo una vecchia tradizione giapponese, che Andrea garbin ha sviluppato insieme a Manuela Dago.


Andrea Garbin vive e lavora in provincia di Mantova. Ha pubblicato le raccolte di poesie Il senso della musa (Aletti, 2007) e Lattice (Fara, 2009) e racconti sulle antologie Per natale non esco (TranseuropaLibri, 2008) e Il rumore degli occhi (Edizioni Creativa, 2009). Nel 2010 ha curato la seconda edizione del romanzo La fonte del fabbro (Lampi di Stampa) di Fabrizio Arrighi, e la prima edizione di Anche ora che la luna (Multimedia Edizioni - Casa della poesia) di Beppe Costa. Dirige gli incontri letterari presso il Caffè Galeter di Montichiari, in provincia di Brescia, dove collabora con poeti ed artisti locali. Tra le tante esibizioni del Galeter si ricordano anche Elisa Biagini, Alexandra Petrova, Mark Lipman e Antonieta Villamil. Collabora inoltre con Beppe Costa e con Casa della poesia di Baronissi, in particolar modo con Jack Hirschman e Paul Polansky. Nel 2010 l’incontro con Fernando Arrabal per cui traduce, in dialetto mantovano, il poema La mia idolatrata fellatrice. È membro della compagnia teatrale bresciana I Saggi e i Folli. Insieme a loro ha collaborato con il Living Theatre of NY e collabora con l'Odin Teatret di Holstebroo sul territorio bresciano.

Manuela Dago, nata a San Felice del Friuli, vive e lavora a Milano. Scrive poesie e partecipa a reading e poetry-slam. Con l'associazione VersiUmani organizza le serate "LSD (libero spazio di) COMUNICAZIONE POETICA".

giovedì 17 giugno 2010

La lingua del poeta (leggendo i versi di Antonietta Gnerre)

di Vincenzo D'Alessio

Quando leggiamo una poesia, riconosciamo in quei segni i versi che la compongono, nella sequenza dei versi percepiamo la musica che li anima, attraverso il nero segno dell’inchiostro eleviamo lo sguardo dell’anima fin dove la lingua del Poeta è giunta. Attraverso i segni scritti il Poeta raggiunge le immagini che appartengono alla mente dell’uomo. Attraverso la declamazione dei versi la voce, primo e più antico strumento melodico, ci trasmette le emozioni che solo la lingua nascosta del Poeta sa realizzare.
C’è, dunque, una lingua madre di tutti i segni dell’uomo. C’è un setticlavio poetico che regola la melodia universale, dei versi, agli uomini. C’è nella cadenza della lingua, e del viso, la mimica che trasmette le sensibili sequenze anche ai sordi. Come e perché nasce la lingua del Poeta? Seguendo i versi delle raccolte di Antonietta GNERRE tenteremo di raggiungere qualche esito.
Leggiamo nella prima raccolta, Il silenzio della luna (1994), i versi che aprono la porta sulla “stanza” dove GNERRE ha riposto la lingua poetica dell’infanzia; la riprende e la usa per iniziare il cammino di conoscenza, sovente a ritroso, analizzando passo dopo passo quanto le è appartenuto:

Infanzia dove ti sei nascosta?
e perché non mi appartieni più?
vari ricordi
giocano al girotondo
nella prima stanza
dove tutto è sottosopra
dove non vi è nessuna bambola. (pag.8)

La ricerca è, nella Nostra, il magma che risale per comporsi nella versatilità. C’è la sete di irrigare quel deserto, il deserto dei mancati affetti, con un’acqua che non smetta di dissetare. C’è la ricerca, nei versi, dei diritti che ogni creatura, perché parte attiva dell’universo rigenerato in sostanza, ha di partecipare alla vita:

In questo Universo
ciascuno ha diritto
ad una malattia
ad una paura.
Ciascuno ha diritto
di piangere nel grande giardino
sapendo di inquinare. (pag.8)

La lingua poetica è stata attivata e non si fermerà più. Una volta affidata alla lingua di altri uomini, che sentono di farla propria, trasmette tutta l’energia che è deposta in quell’Universo (scritto con la u maiuscola) che ha comandato alla Nostra di aprire la porta sul fare, sul ricreare, l’energia musicale della Vita. Sono passati sedici faticosi anni dell’esistenza di Antonietta GNERRE, non esenti da prove, che hanno affinato la lingua poetica, generando una dimensione auratica, segnata dall’originario rapporto con una divinità pantocrator. Così nella raccolta Anime di foglie del 1996. Continuata nella raccolta Fiori di vetro del 2007. Per raggiungere il patrimonio di una sicura poetica, fondata sull’uso sapiente, e filosofico, dei versi, senza perdere la purezza compositiva degli interrogativi che hanno spinto l’Autrice ad aprire le stanze dell’anima. La raccolta di cui parliamo è PigmenTi del 2010, pubblicata dalle edizioni L’Arca Felice di Salerno.

(…)
Eppure vorrei mutare pianto
nel passo che cementa
il tuo nome, quella solitudine
immensa che guarisce il mondo.


Si riconosce l’Eterno conflitto tra l’energia percepita dai sensi e l’energia ultraterrena. Si riconosce la lingua pura dell’infanzia che, nel girotondo del “sottosopra”, rincorre le mancate risposte ai troppi perché inevasi dall’assenza di un’entità che traduca il vuoto dell’immenso nella bellezza di una sete inestinguibile di bene. Lo dicono i versi che seguono, dalla medesima raccolta:

(…)
Eppure, sento, che non hanno riparo
queste mie pene. Nascono dalla
tua materia, per restare sul rigo
di un grande motore umano.
La mia carne.

Ogni epoca ha una lingua adatta a trasmettere l’unicità dei segni che diventeranno Poesia. Spesso chi li redige neanche se ne accorge. Così è capitato a GNERRE. Così è stato nei secoli per quelle poetesse che svelavano, passo dopo passo, il loro cammino. Ascoltiamo la lingua di Emily DICKINSON: “(…) Non sono abituata alla speranza – / potrebbe intrudere nella - / sua dolce processione – profanare il luogo / destinato alla sofferenza -” (Poesie, Mondadori,2006). Ascoltiamo quella di Alda MERINI: “(…) quando l’anima è satura dentro / di amarezza e dolore / diventa incredibilmente bella / e potente soprattutto” ( I miei poveri versi, Mondadori, 1998). Ultima ad essere ascoltata la lingua di Maria Luisa RIPA, coetanea dell’Autrice, scomparsa precocemente: “(…) Digli che hai voglia di morire / Nella gioia della contemplazione / Delle nuvole / E del cielo / E dell’aria / E dell’amore / E non dentro al dolore…” (Parole dal silenzio, 2003).
La lingua nascosta del Poeta traduce, in segni reali, quell’infinito mondo impraticabile che è il sogno della Poesia. La Poesia è un “corrimano” a cui tendere, per non cadere nel più cupo impossibile realizzato dalla vita caotica degli uomini. C’è la lingua di Wislawa SZYMBORSKA a farcelo ascoltare: “(…) La poesia - / ma cos’è mai la poesia? / Più di una risposta incerta / è stata già data in proposito. / Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo / come alla salvezza di un corrimano” (Ad alcuni piace la poesia, Mondadori,1998).
Il Poeta è dunque colui che svela il patrimonio della Lingua facendolo suo e nel contempo, inconsapevolmente, destinandolo a restare nell’armonia che regola l’intero Universo generato.

mercoledì 16 giugno 2010

lunedì 14 giugno 2010

Su Storie minime di Maria Pina Ciancio



recensione di Pierino Gallo
pubblicata su «Il fiacre» n. 9 (settembre 2009)


Maria Pina Ciancio, Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro, Fara Editore, Rimini, 2009.

Mi abitano i paesi spopolati/e il vento//la luce che scorre in un istante/e frana nella crepa dei calanchi//nella carne. Ancora “abitano”, dunque, “incidono”, “riallacciano”… e fanno scrivere versi. Non per un cardarelliano Homo sum, bensì per un’inconfondibile vocazione alla poesia delle piccole cose, dell’arcaicità, dei gesti. Questo, il nuovo itinerario di Maria Pina Ciancio, Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro, Fara Editore, Rimini, 2009. E vi si entra piano, come a voler chiedere di abitare coi versi, forse per timore di sgualcirne l’incanto o per il dubbio scontato di restarne incagliati. Ebbene, l’incanto arriva presto, ed è quello della parola, performativa, rituale, conativa, e pur sempre fortemente icastica. La poetessa lo sa e ci accompagna nel viaggio; la paura è che I cartelli stradali sono tutti uguali stanotte e la piaga dell’assenza gela il cuore. Assenza di uomini e donne sradicati alla terra e proiettati sul mare per tragitti di sogni, quelli evaporati … di valigie di cartone cotte al sole (da Partenze). L’emigrazione, il silenzio, le speranze spezzate attraversano dunque lo spazio liminale dell’oceano e, con esso, quello della pagina, bianco, rugoso. Così che solo di ombre può nutrirsi chi resta ed osserva. Poi il sentimento del vuoto si fa distaccamento, rottura e dall’anima di chi scrive passa a disegnare la forma del verso, tanto che il “frammento”, costante crepuscolare del non-senso, diventa imperante in molti luoghi testuali (frammento di Primavera, frammento d’Inverno, frammento d’Estate, pp. 24-25). È in un bellissimo esempio di correlativo oggettivo che si coglie appieno un siffatto pensiero: È nella crepa grande/quella priva di intonaco e calce/che il cedimento talvolta arriva… Si sono spaccate le tegole rosse (p. 30).
Meravigliose vette artistiche si raggiungono, infine, ne Una poesia per Rocco Scotellaro: Se non ti addormenti figlio posso raccontarti/la storia di un poeta che morì a trent’anni/e che a venti era già sindaco di paese/con il cuore rosso e l’anima di un padre (p. 39). La vita rimane, imponente e affaticata mole di abbracci, consolazioni, sguardi, ricordi… Poiché è nel ricordo che rivive la carne, nel ricordo che scrivono i “grandi” ed affondano gravide penne, ricolme d’inchiostro. Per scrivere storie o, meglio, la Storia. Di un sud o dei sud, della terra o del cuore.

Su La tirannia dell'Intimità di Francesca Mannocchi

articolo di Matteo Fantuzzi, pubblicato su «La Voce di Romagna» del 14-6-10

scheda del libro qui

Gabriella Bianchi finalista al premio “Città di Castrovillari – Pollino”

Accademia Delle Arti – Dipartimento Letteratura
Premio Internazionale di Poesia “Città di Castrovillari – Pollino”
Info linea diretta:  (+39) 328.3721649  /  (+39) 339.2671341
Fax internazionale (+39) 06.233217470
info@accademiadellearti.org          www.accademiadellearti.org            

Premio Internazionale di Poesia - Biennale “Città di Castrovillari – Pollino”
Sezione Libro Edito – ed. 2010

Votazione Finale

La giuria del Premio Internazionale di Poesia “Città di Castrovillari – Pollino”, Sezione Libro Edito, composta da:

Karl Lubomirski – Presidente (Austria)
Elena Sgondea (Romania)
Leonardo Alario (Italia)
Padre Eulalio Gomez (Celaya – Mexico)

tra tutte le opere pervenute (si allega in fondo l’elenco completo) ha, come da regolamento, scelto la seguente rosa di cinque finalisti (in ordine alfabetico) con un ex aequo:

Bianchi Gabriella – ITALY
Il Paradiso degli esuli Fara Editore

 Cote Andrea - COLOMBIA

“Porto in cenere” Lieto Colle
Traduzione: Spagnolo / Italiano di
Giulia De Sarlo

D’Ambrosio Salvatore – ITALY
“Barcollando nell’indicibile” Bastogi

Guido Cinzia - ITALY
“Bersagli di cera” Kimerik

Napoli Adriano – ITALY
“Memoria dell’albero capovolto” Lampi di stampa

Rosati Luca – ITALY
“Frammenti mistici” Albatros – Il Filo


La graduatoria finale è la seguente:

1° Cote Andrea – COLOMBIA, “Porto in cenere”, Lieto Colle, Traduzione: Spagnolo / Italiano di Giulia De Sarlo

2° Napoli Adriano – ITALY -  “Memoria dell’albero capovolto”, Lampi di stampa

3° ex aequo
D’Ambrosio Salvatore – ITALY, “Barcollando nell’indicibile”

Bastogi Rosati Luca – ITALY, “Frammenti mistici”, Albatros – Il Filo

4° Guido Cinzia – ITALY, “Bersagli di cera”, Kimerik

5° Bianchi Gabriella – ITALY, Il paradiso degli esuli, Fara Editore

Pertanto vince la V Edizione del Premio Internazionale di Poesia – Biennale – Edizione 2010, Sezione Libro Edito:
 

Cote Andrea - COLOMBIA
“Porto in cenere” Lieto Colle
Traduzione: Spagnolo / Italiano di Giulia De Sarlo


La premiazione si terrà a Castrovillari il 26 giugno 2010, alle ore 19, presso l’atrio della Sala “Francesco Varcasia”; chiedere della Chiesa di San Francesco, al centro della Città, l’atrio fa parte del Convitto della Chiesa, dove ci sono gli alloggi dei Frati.
Per l’albergo, di ottima qualità / prezzo, vi consigliamo:
Hotel La Falconara (anche ristorante) tel. +39.0981.44109, qualificarsi come partecipanti al premio. Al fine di prenotare i posti in sala, Vi preghiamo di confermare la presenza, mandando una mail a:
info@accademiadellearti.org, accademiadellearti@alice.it, o mandare un fax a: 06.233217470.
 

ELENCO COMPLETO DELLE OPERE PARTECIPANTI

Alberti Rafael – SPAGNA
“Canzoni dell’Alta Valle dell’Aniene” Ellis Edizioni
A cura di Veronica Torres

Aloisio Gabriele – ITALY
“Il Signore non si stanca mai di cercarmi” Albatros – Il Filo

Angelini Vitaliano – ITALY
“I canti del vento” Edizioni Helicon

Antonelli Mina - ITALY
“Il sogno del Sud” L’Autore Libri Firenze

Antonioli Gilberto - ITALY
“Verona e il suo fiume”+ Qui Edit

Aveni Rosario – ITALY
“Christine amava le rose” Albatros – Il Filo

Basti Daniela - ITALY
“Nelle vie” Lieto Colle

Berrino Angela – ITALY
“Pa-ro-le” Albatros – Il Filo

Bertocchi Simona - ITALY
“Anima Nuda” Giovane Holden Edizioni

Bianchi Gabriella – ITALY
Il paradiso degli esuli Fara Editore

Bissacco Diego – ITALY
“Ogni istante com’è” Albatros – Il Filo

Bracci Barbara - ITALY
“Libra” Il Filo

Brigante Maria Donata – ITALY
“L’ardore e il coraggio” Albatros – Il Filo


Buratta Fabrizio / Faraon Meteosès - ITALY
“Il dolce cammino – Fermate a richiesta” Aracne Editrice

Calamassi Gianni - ITALY
“Angeli Stanchi” Libro Italiano Word

Canini Gerardo - ITALY
“Il sentimento” Il Filo

Cantafio Rocco – ITALY
“Tenerezze” Meligrana Giuseppe Editore

Capozza Luigi – ITALY
“Ilo Sud non sa leggere” Museo della Poesia

Capri Manuela – ITALY
“Al molo delle nuvole” By Fenalc


Carlotto Carlo – ITALY
“Diari e inventari” Albatros – Il Filo

Cascini Valerio – ITALY
“Ereva curaggio” Altrimedia Edizioni

Cavallo Loris – ITALY
“La verità dello sciamano” Albatros – Il Filo

Ciancio Maria Pina – SVIZZERA
Storie Minime Fara Editore

Coppo Ernesto – ITALY
“Una giornata di pioggia” Il Filo

Corsalini Nicoletta – ITALY
“Di fronte al destino” Edizioni Masso delle Fate

Cote Andrea - COLOMBIA
“Porto in cenere” Lieto Colle
Traduzione: Spagnolo / Italiano di Giulia De Sarlo

Crocetti Umberto - ITALY
“Il Canto delle bambole” Edizioni Masso delle Fate

Cuccarese Edvige ITALY
“Mistico Incanto” Edizioni Penne D’Autore

D’Ambrosio Salvatore – ITALY
“Barcollando nell’indicibile” Bastogi

De Luca Chiara – ITALY
“La corolla del ridicolo” Kolibris Edizioni

De Rosa Mario - ITALY
“Canti del Pollino” Montedit

Di Biagio Carlo – ITALY
“Pausa tra le nuvole” Albatros – Il Filo

Domenella Mauro – ITALY
“La Danza dell’Anima” Montedit

Durkic Tavaglini Marina – ITALY
“Poetica della donna” Il Filo

Ercolani Marzia - ITALY
“Diversamente abile” Joker

Fabbri Franca – ITALY
Sto consumando l’ultima casa Fara Editore

Falcone Marcella – ITALY
“Ali spiegate” Pagine

Ferlini Vanes – ITALY
“Schegge di silenzio” Carta e Penna Editore

Fragomeni Emilia - ITALY
“Il respiro del tempo” Montedit

Frazzoni Gianluca – ITALY
“Il Bianco degli occhi” Albatros-Il Filo

Frenguelli Anna Chiara – ITALY
“Mentre il mondo dorme” Albatros – Il Filo

Galluccio Pasquale – ITALY
“Una diga la mente” Editrice Uni Service

Garzoni Annarosa – ITALY
“Frammenti di Vita” Albatros – Il Filo

Giangoia Rosa Elisa – ITALY
Sequenza di dolore Fara Editore

Giovannini Paolo - ITALY
“Nuvola rossa” Seneca Edizioni

Giovelli Maria Francesca – ITALY
“Sul sentiero dell’anima” I 2 Colli

Gueli Calogero - ITALY
“Una ballata per Pio” Incontri Editore

Guido Cinzia - ITALY
“Bersagli di cera” Kimerik

Isolani Francesco - ITALY
“Frammenti di vita” Albatros - Il Filo

Labate Vera – ITALY
“Un viaggio sul treno dei sentimenti” Albatros – Il Filo

Le Piane Fausta Genziana – ITALY
“Gli steccati della mente” Edizioni Penna d’Autore

Lippo Angelo – ITALY
“Elogio dell’ebbrezza” Edizioni Lepisma

Lo Iacono Nino - ITALY
“Stizzi” Pungitopo

Longo Rosalina – ITALY
“Riflessioni Poetiche” Albatros – Il Filo

Macidi Gabriella M. - ITALY
“Cerchio di Vento” Vitale Edizioni

Manola Alessia – ITALY
“Il posto del cuore” Albatros – Il Filo

Mazza Nicolò - ITALY
“Silenzi Versati” MJM Editore

Mellone Salvatore – ITALY
ELe scaglie intorno” Albatros – Il Filo

Mercutello Alfredo – ITALY
“Versi di vita” Albatros – Il Filo

Merz Klaus – SVIZZERA
“Le radici dell’Aria” Mobydick

Mezzalana Lucia – ITALY
“Cuore Sacro” Edizioni Sabinae

Minniti Rita - ITALY
“Così vuole il cuore” Giraldi Editore

Montemurro Antonietta - ITALY
“L’uscio è socchiuso” Edizioni Tracce

Mortillaro Daniela - ITALY
“Sogni di Latta” Promopress

Musio Enrica – ITALY
Senza saperlo nemmeno Fara Editore

Napoli Adriano – ITALY
“Memoria dell’albero capovolto” Lampi di stampa

Nasr Meeten – ITALY
“Al traguardo di Malaga” Lieto Colle

Nigri Francesco - ITALY
“Oltre l’inverno” Stampa Propria

Osorio Antonio – PORTOGALLO
“l’ignoranza della morte” Campanotto Editore
A cura di: Marco Bruno

Ottaviani Paolo - ITALY
“Il felice giogo delle trecce” Lieto Colle

Papa Grazia – ITALY
“Immagini di vita” Il Filo

Pecorella Francesca - ITALY
“paravento di pansé” Stampa Propria

Penati Carlo – ITALY
Sincronaca Fara Editore

Raimondi Daniela – GRAN BRETAGNA
“Entierro” Mobydick

Ray Cony - ITALY
“Interno 4” Autoprodotto - Indipendente

Riccobono Ubaldo – ITALY
“All’amica infedele e altri frammenti poetici” Stampa Propria

Rocco Luigi Carlo – ITALY
“Perle nere sono i tuoi occhi” Editrice   La Vallisa

Rosati Luca – ITALY
“Frammenti mistici” Albatros – Il Filo

Santamaria Franco - ITALY
“Radici Perdute”
Edizioni Kaìròs - Napoli

Santamaria Matteo - ITALY
“Il Cigno” Edizioni del Rosone

Saya Marco - ITALY
“Situazione temporanea” Puntoacapo

Sbardella Alberto – ITALY
“Comunque Ulisse” Alpes Italia


Scanavini Giorgio - ITALY
“Poesie di carta” Albatros – Il Filo

Scarselli Veniero – ITALY
“Triofo delle anime artificiali” Genesi Editrice

Seboni Barolong - ITALY
“Nell’aria inquieta del Kalahari” Lieto Colle
Traduzione – Inglese / Italiano di Marisa Cecchetti

Serofilli Valeria - ITALY
“Chiedo i cerchi” puntoacapo

Statzu Marco – ITALY
Tra disastri e desideri Fara Editore

Tafuri Antonietta – ITALY
“Non sa tempo l’Amore” Global Press Italia

Tortora Agostino – ITALY
“L’amore non muore mai” Alfredo Guida Editore

Urrano Raffaele - ITALY
“Poesie” Marcus Edizioni

Venuti Silvia - ITALY
“Oltre il quotidiano” Moretti & Vitali

Verdone Mario – ITALY
“Il Cantalupo in Sabina” Versi e Memorie, Edizioni Sabinae

Vettorello Rodolfo - ITALY
“Arcobaleni” a cura di: Centro Culturale Il Golfo

Vitolo Antonio – ITALY
“Bardo al crepuscolo” Ripostes

giovedì 10 giugno 2010

Su Bisanzio di Alessandro Rivali

articolo di Alessandro Zaccuri pubblicato su «Avvenire» 8-6-2010


Alessandro Rivali ha precedentemente pubblicato con Fara La Riviera del sangue

Su Senza saperlo nemmeno di Enrica Musio

nota di lettura di Marcello Tosi, scheda del libro qui

Costante meditazione sul fare poetico (“Strano il poeta /  sopravvive / sfilando il telaio / delle sue parole”), è stato presentata il 22 maggio al Salone Snaporaz, nel corso del reading che ha visto protagonista Umberto Piersanti, la nuova raccolta di versi di Enrica Musio: Senza saperlo nemmeno, recentemente edita da Fara.  
Per l’autrice santarcangiolese, scrive nella postfazione Caterina Camporesi, la scrittura diventa cooperazione alle evoluzione di noi stessi: “Già nei versi di apertura ne indica i passi ‘attraversare un mare di nebbia’, stazionare nella solitudine, coltivare la speranza, sfociare in un approdo”.
Un impegno fedele all’elaborazione delicata e sottile di versi che tornano, dolci e tenaci, a confondersi con la vita, come le note musicali di “Notturno in mi bemolle di Chopin” (“Il tuo volto compassato / una finestra di luce…”)  
Un “Viaggio al centro del mondo”, intessuto di “parole levigate / giorni della fatica quotidiana”, assidue memorie da riscrivere “come un destino di parole”.


mercoledì 9 giugno 2010

Vincitori e segnalati del concorso Pubblica con noi 2010

Vincitori sez. Poesia (v. anche la sez. Racconto e l'attestato dei vincitori)

Fara Editore e i giurati del concorso Pubblica con noi 2010 
scheda del libro qui

Daniele Bottura, Elena Varriale, Maristella Olivieri, Patrizia Rigoni e Stefano Martello per la sezione racconto; Agostino Cornali, Daniela Terrile, Matteo Fantuzzi, Nicola Lorenzetto,
Paolo Gambi e Sebastiano Adernò per la sezione poesia;
sono lieti di premiare i seguenti autori con la pubblicazione nel volume Pubblica 2010

classifica sezione Poesia
4 i vincitori che saranno pubblicati (tutti a pari merito)

Tra sogno e veglia 
di Antonella Catini Lucente (Roma)


Nata a Viterbo il 29 dicembre 1962, Antonella Catini Lucente, dopo la maturità classica si trasferisce a Roma per studiare giurisprudenza. Ha sempre profondamente amato le parole e il loro suono e crede profondamente nella loro forza di cambiamento e di penetrazione. Solo nello scorso febbraio scorso ha iniziato ad inviare alcune sue opere a concorsi letterari.
Finalista – con proposta di pubblicazione – della V edizione del Premio Logos – Giulio Perrone editore – con la silloge Perle nere.
Selezionata per l’Antologia del Premio Marguerite Yourcenar 2010 con le poesie respiro cosmico, cogito ergo sum, interstizi, tratte dalla silloge tra sogno e veglia.


Respiro cosmico

Ti tocco con un fiato
mentre stringo tra le ciglia l’Universo
gonfio del tuo respiro


La voce del pensiero

Oggi hai voce tua
Pensiero vivo
mio necessario nudo compagno, mio obbligato disperato amore
mio tremore temuto e bramato, mio orrore generato e nutrito

Hai voce sonora
sei la mia voce
e rombi e rimbombi nell’arena comune
come carne di tori in disperata agone

Oggi sei tu, insopportabile grido
Pensiero inquieto
che compari inatteso a confondere il giorno
e deflagri improvviso con la veste d’untore

Oggi sei tu
Necessario Amore
sei risate sonore, consigli spirati
sei stanche sommosse, sproni tentati, inattese carezze, sopite speranze

Oh tu
Folle follia
delirio lucido dopo silenzi e sonno
calda illusione sbocciata dal niente,vaticinio vago di sonnolenta sapienza
rimprovero crudo e impietosa condanna
fuga dal mondo o viva saggezza, tiepide perle disperse nei giorni
grida di folle, bocca di madre

Tu
sei il pensiero che pesa, il pensiero che vive, il pensiero che sogna
quel pensiero che sento parlare, che sento gridare
più vivo del giorno
Più della vita


Sogni consapevoli

Sulla porta del giorno
ho rincorso brandelli di sogni
a stento ne ho trattenuto le vesti
serrate e braccate tra spire di pelle

Cieca
ne ho succhiato l’odore
rifugiatosi acre negli interstizi del fiato
fuggiasco indomito nei labirinti del nulla

Erano vivi
erano veri
sguardi scrutanti, indocili mani, odorose pelli, notturne falene
corpi selvaggi perduti in amori, sospinti beati in estatiche fughe
schegge di vita, scorie di sogno, disperse e disciolte in insondabili voli

Sono svaniti all’alba
quasi pulviscoli di polvere
posata su sfilacciati residui
di accennati sospiri


Alta marea

Rotola
nei rivoli ritorti dell’orecchio la burrasca
marea gravida
remota di sale roboante e grondante di scaglie di sole
rolla le urla di grida lontane
trascinate a riva da barche in deriva

Rimbomba
schegge di ruvido vento tra la rena e gli abissi
risucchiati al margine dell’orizzonte
dai flutti dei sogni

Sbatte
ringhia
e arrotola dispersi rifiuti
che poi striglia con verghe di vento come cocchiere ardito
e sparge nell’aria note stonate di disperanti rotte

Dissonanze ruvide
sibilanti negli orecchi del nulla
mani rugose chetate su occhi rotti di veglie
e grida urlanti ancora
come estremi relitti di reietti randagi
come scarti di pioggia di qua dal ventre del buio

Rulla a riva
livida di ragli e gracidii
rifiuti liquidi che irridono risa, sezionate ad ali di gabbiani

È l’alba
briciole di luce si insinuano negli interstizi ritorti della mente


Cogito ergo sum

È risorto il pensiero dal sonno
il sudario
giace vuoto
sulla soglia del giorno

Noi
disperati gridiamo
soffocati
da un insostenibile affollamento di idee


Commenti dei giurati 
«Il piglio dell'epopea sostenuta dal respiro di chi rema senza affanno verso dove gli dissero si dovrebbe trovare la verità. Un fiato regolare, come quello del lettore innamorato da ogni suono.» (Sebastiano Adernò)
«Deliranti, filosofali, mistiche, queste vivissime poesie sembrano in continua espansione per poi condensarsi in perle di saggezza e d’amore. Trovano la loro coerenza in quella irrinunciabile impellenza di esistere, ma direi anche in una scrittura estrosa che alla fine magnetizza.» (Nicola Lorenzetto)
«Ottima trasposizione poetica del tema postmoderno del binomio sogno/realtà, che focalizza il corollario dell’esilio dei ‘veggenti’, di coloro che riescono a vedere al di là del velo, nell’illusione della realtà, in un elogio della folle follia che rende questa raccolta di poesie un ottimo esempio di centralismo dell’onirico.» (Paolo Gambi)


Il glomerulo di sale 
di Gaetano Giuseppe Magro (Catania)


Gaetano Giuseppe Magro è nato a Donnalucata (Scicli) nel 1966. È professore Associato di Anatomia Patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania. È autore di 160 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali di patologia, prevalentemente nel campo della diagnostica cito-istopatologica dei tumori della mammella, tiroide, tessuti molli, del colon-retto e dell’età pediatrica. È appassionato di filosofia del linguaggio e di poesia. In campo letterario ha pubblicato tre sillogi poetiche, Fontana delle ore (A&B editrice 2001), Non sbagliò il vento (Libroitaliano 2002), Impermanenza (Il Giornale di Scicli Edizioni 2005) e il romanzo Il mare metafisico di Punta Corvo (Manni Editore 2005). È pubblicato in due antologie della casa editrice LietoColle (Verba Agrestia VII ed. 2009; Rosso tra erotismo e santità, 2010) e in sette antologie della casa editrice Giulio Perrone Editore (2009-2010). È stato selezionato per la pubblicazione di un’antologia della casa editrice Bel-ami Edizioni con una breve silloge di n. 10 poesie dal titolo il verso cancellato. La sua attività quotidiana di diagnostica e di ricerca consiste essenzialmente nell’esaminare, al microscopio ottico, cellule e tessuti benigni o maligni. È inevitabile che questa formazione/deformazione biologico-professionale rappresenti una “finestra privilegiata” da cui osservare la vita e tutti i suoi fenomeni. La poesia diventa così uno strumento di ricerca che utilizza, al posto del microscopio, la parola. E le parole del poeta spesso stanno al posto delle cose: “La parola non sarà mai la realtà della cosa che indica ma soltanto il suo riflesso umano”. E-mail: g.magro@unict.it




Sinapsi

La magrezza delle porte
che attraverso mi fanno cane
e forse per questo ho il destino
di bestia da terra
non senza il paradosso
d’aver avuto un nome.
Io sono io, pur sfiorando
di poter essere stato
qualunque altra cosa possibile
che oggi si divertirebbe
a guardarmi al posto mio.
Nella migliore delle ipotesi
sono una sinapsi di sonno
poggiata su un glomerulo di sale.



Il mestiere di poeta

La masturbazione metafisica davanti
ad un’immensa gonade primitiva di cicogna,
senza cordoni sessuali, arriccia le mie poesie.
Il mestiere di poeta è quello di non dare
alle divinità il tempo di ritirarsi senza aver lasciato
sul foglio, almeno, qualche verità.
Ma poi t’accorgi che l’escremento divino
è ciò che non vogliamo Montaliano
o meglio l’inquietudine dello scarso che scriviamo.


Il peccato

le poesie sono
le mie puttane
che non smetto
d'amare
le pago per farmi
male
per rinnovare il peccato
che a nessun prete
potrò mai confessare


La matita

io vivo
all’ombra delle poche parole
che scrivo
agguanto vento passeggero
e scarico
lampi da notti furfanti.
Ho un millepiedi giocoliere
che m’insapora d’alibi
le labbra scultrici d’amore
come un bambino capriccioso
tempero la matita dentro l’orecchio di Dio.


Il vizio

La poesia ha un vizio, il tuo vizio
di mangiar le unghie ai destini degli amanti
rematori di gran sonno che sforzano la bocca
nella direzione dell’ontologica diserzione.
Spiata è la rosa che ride nel mio giardino
da ieri il suo compagno è un usignolo
che se la spassa al vento e mi guarda
mi coglie impacciato nel vile atto
-ma non può dirlo a nessuno-
giustiziere di gatti nati inutili alla notte.
Arrivano lente, ma arrivano, due albe difettose
seguo la loro piacevole coda di noce dura
mi porta sotto una croce di cigno onesto
senza altari pagani, disattenti ai vizi della morte.
Si festeggia cautamente l’arrivo dell’autunno
un calice d’argento alzato, una mano tiene un ombrello
per ripararsi dalla pioggia e dalle sue arzille streghe.


La mossa

Armadi pieni di trote ovalari e baffute
affetti da disordini endocrini sconosciuti,
le tende signorine rimaste sole a rimirare
il vento scapolo che li ripassa a memoria,
la penna finge, fingendo, l’assenza d’ispirazione,
la vita è caccia erotica alla mossa delle sirene
che si rotolano sulla nullità di coda.
S’impenna, nonostante tutto,
la sofisticata giocoleria carnale
dell’ippopotamo che mi rappresenta,
raddrizzo il verso, sento che arriva
la scocciatura della diastole e non solo.


Le donne dei poeti

Le donne che i poeti amano
sono lunghe statue di sale
creature marine
stanate da paffute calligrafie,
e per sbaglio inseguono
una crociera di cernie motivate.
Le poesie ingannano
perché della lepre hanno
il passo breve sulla neve
ed io che ancora indago sull’ultimo rigo
additando il vento sazio che lo riporti al taccuino.
Prenderò la rincorsa
prima che quel vuoto di donna
si chiuda in osso liscio di cosa:
il mio dolore a rovescio
è quest’afasia di grandine.

Commenti dei giurati

«La carne e il sangue, la mente e il corpo, il pensiero e la vita. Queste poesie riassumono in modo eccellente l’umanità nel suo amplissimo spettro, fino a raggiungerla nella sua più sincera crudezza. Umanissimi vizi, sapori scientifici, e reminiscenze mistiche mostrano come lo strumento poetico è stato usato per raccontare la parabola umana in modo sopraffino.» (Paolo Gambi)
«Di questa raccolta convince soprattutto l'originalità di tutti i testi presentati. Nonostante alcune cadute ("La masturbazione metafisica davanti / ad un'immensa gonade primitiva di cicogna"), la provocatoria  vis comica che anima tutte le poesie convince quasi sempre,   soprattutto negli stravolgimenti del più classico dei temi della tradizione poetica italiana, l'amore, scongiurando così il pericolo di una scrittura scontata e banale. Pericolo di solito ancora maggiore in quelle poesie che parlano della poesia stessa, ma anche qui il poeta se la cava con abilità (penso soprattutto a Il vizio e Le donne dei poeti), per quanto questi siano forse i testi più deboli di tutta la  silloge. Bellissime le poesie dedicate alla madre e al padre.» (Agostino Cornali)
«Uno sguardo disincantato, esperto di vizio e mestiere. La necessità di pensare, perché tutto deve frollare per essere meglio masticato.» (Sebastiano Adernò)


Topografia della solitudine. Diario Newyorkese 
di Sergio Pasquandrea (Perugia)

Nato a San Severo (FG) nel 1975, Sergio Pasquandrea da oltre quindici anni vive a Perugia, dove nel 1999 si è laureato in Lettere con una tesi sull’opera saggistica di Italo Calvino. Dopo aver insegnato nelle scuole medie e nei licei, nel 2007 ha conseguito il dottorato in Linguistica presso l’Università di Pisa. Attualmente lavora come assegnista di ricerca presso il dipartimento di Scienze del linguaggio dell’Università per Stranieri di Perugia. Collabora, come giornalista e critico musicale, con il bimestrale «Jazzit» e con i blog Nazione Indiana e La poesia e lo spirito.


INTROITO

Si entra in una città sconosciuta
come in un vestito nuovo

avvolti in un guscio lucente

si immagina di parlare con il noi
nell’aria senza sfregi

si possono percorrere con lo sguardo distanze
inverosimili.



Non è facile ricordarsi che New York è un'isola.
Dall'aereo, a seconda che si arrivi di notte o di giorno, appare come un tappeto di brace bianca e fredda, oppure come un'incrostazione umana senza soluzione di continuità, su un piano privo di ondulazioni.
Eppure, Manhattan per gli Irochesi era “l'isola delle colline”. (Qualcosa ne rimane. A Central Park, per esempio: tranci di granito che emergono dalla terra obliqui, come pinne di pesci sotterranei).
New York cresce su se stessa, una fungaia, una barriera corallina.



QUELLI CHE ARRIVARONO QUI, PER PRIMI

Attraverso i loro volti si specchiava un cielo
di dimensioni impreviste.
Poteva essere vuoto
o popolarsi di braccia tatuate.

L’unico oro, quello dei tramonti.
Il resto grigio
ispido pelame
infestato dagli occhi e dai tamburi.



PRIMO RISVEGLIO A MANHATTAN

Mi piacerebbe che la morte fosse proprio così
un’espansione
svegliarsi materia sottile

potrei colonizzare spazi finora preclusi
le fughe i margini dell’unghia

o anche i grandi intervalli del mattino
le sincopi della luce
quelle che ti scavano fino al fondo delle orbite.



Le prime due settimane le passai camminando.
C'è un particolare tipo di gioia nell'assecondare le strade rettilinee di Midtown, o nell'osservare il Financial District dopo le cinque del pomeriggio, quando di colpo si trasforma in una tomba di cemento verticale.
Oppure nel tagliare diagonali per Central Park, con i suoi colori già pronti per la pellicola e i suoi scoiattoli dalle code smisurate.
Oppure Brooklyn, dove volti odori accenti mutano senza tregua, di isolato in isolato.
Ogni tanto si apriva una prospettiva di magazzini dismessi, che sfociava su un fondale di grattacieli, minuscoli oltre l'East River vasto come un oceano.



70, WASHINGTON SQUARE SOUTH

Difficile guardare
guardare e basta. Si cercano sempre scampoli
di significato familiare
anche nel catrame unto di fumo salato
o nella luce che rimbalza a ferirti
al primo attraversamento di Madison Avenue. E invece
bisognerebbe che tutto fosse indifferente.

La mente è una trappola.

Lo scoiattolo si affaccia alla finestra
e guarda dall’alto l’incastro dei rumori
la luce gli sfina la coda
e tutta New York è un piano inclinato di intersezioni
e alleanze.
Il giorno finiva sempre all’imbocco della strada
anche se durava ancora al vertice

e il non capire aiutava
si era nudi come nei sogni
che ti tradiscono il respiro tra le costole.
Eri un atlante le membra sparpagliate
nessuno a ostacolarti il circolo
virtuoso dei pensieri
l’impigliarsi trionfante sempre nello stesso
crocicchio la combustione gioiosa.


Commenti dei giurati

«Raccolta che emerge fra tutte per l’equilibrio della struttura formale che regge il testo e per essere un’opera che sa muoversi all'interno di un paesaggio. È sottesa la conoscenza del Novecento e di quello che sta accadendo oggi in Poesia. È una lunga analisi delle inquietudini e dei limiti dell'uomo.  Testo maturo, concreto, capace.  Scarti, attenzione per i particolari, tratti decisi ed altri discorsivi. Testo davvero accattivante.» (Matteo Fantuzzi)
«Di gran lunga, a mio giudizio, la silloge migliore tra tutte quelle presentate. La raccolta convince sotto tutti gli aspetti, a partire dallo splendido titolo. A livello tematico ne ho apprezzato molto la compattezza, essendo tutta incentrata sulla città di New York; a livello strutturale, l'alternanza di frammenti in versi e in prosa non spezza l'unitarietà della raccolta, anzi, rende ancora più mosso, originale e interessante il viaggio nel quale il poeta accompagna il lettore. Il linguaggio utilizzato, se per certi aspetti è vicino alla prosa narrativa anche nei frammenti in versi, costruisce spesso delle immagini splendide, e mai banali. Ma l'elemento più apprezzabile è senza dubbio l'approccio dell'autore alla realtà che descrive: lo sguardo del poeta penetra al di là della patina scontata, turistica o cinematografica, della New York che conosciamo tutti, e arriva ad aprire squarci memorabili e, direi, commoventi, come il brano in prosa che inizia con "A letto, mi cullava la musica dei carburatori..." o la bellissima "Sotto New York". E allora emerge il vero volto della città, quello più oscuro, disperato, che trasmette lo stato d'animo tipico delle metropoli occidentali: la solitudine. E anche noi possiamo contemplarlo grazie alla mappa topografica disegnata da quest'autore.» (Agostino Cornali)




Cose da dire 
di Serena Zugna (Settimo Milanese)

Nata a Trieste nel 1959, Serena Zugna si trasferisce a Milano nel 1966 per motivi di lavoro del padre, mantenendo per decenni con la sua città natale una frequentazione assidua e sempre un sentimento di amore e di nostalgia. Ha iniziato a scrivere poesie all’età di 12 anni ed esse sono state inizialmente il mezzo migliore per riuscire ad esprimere emozioni e sentimenti. Dopo la maturità scientifica ha lavorato per qualche anno come impiegata ma, dopo essersi diplomata come Educatore Professionale alla Scuola per Operatori Sociali di Milano, ha scelto di lavorare come educatrice con persone disabili adulte all’interno di Centri Socio-Educativi e con pazienti psichiatrici presso un Servizio di psichiatria. Da poco ha smesso di lavorare e si dedica alla lettura, alla scrittura ed alla fotografia. Nel corso del tempo, le sue poesie, da sempre chiuse nel cassetto, hanno assunto la valenza di una voce per comunicare con gli altri, e le poesie altrui quella di una voce che desidera farsi ascoltare. Per questo ultimamente ha iniziato a partecipare a reading poetici, sia per ascoltare, che per far sentire la sua voce.



(foto di Luciano Teruzzi)

La casa sulla collina

È rimasta chiusa per tanto tempo
la casa sulla collina
Cieca con quelle imposte serrate
e soffocata dai rovi
stonava sulla collina verde
come un dolore a vent’anni

Ora hanno riaperto le finestre
e danno aria alle stanze


Cose da dire

Le senti arrivare
urgenti
con forza
con dolore
non le puoi fermare
pulsano al ritmo del tuo cuore
Vivo
si agitano nell’animo
cercando le parole per uscire
– ecco…
cose da dire


Quarta età

Spalanco gli occhi
ed ecco il mio presente
ma com’è dolce
riaprire porte ormai dimenticate
e con gli occhi socchiusi
sfidare le leggi del tempo…
Ora
mi raggiungono tutti i volti della mia vita
e le loro voci si sovrappongono
… confuse
Ora
seduta di fronte a questo nulla
tutta insieme la vita ritorna
e i ricordi inciampano
correndo veloci nella mia mente…
perché non c’è più tempo


Dote

Mi hanno regalato delle lenzuola di pizzo
ma io non volevo usarle
per non sciuparle
per farle durare tutta la vita
… e oltre

Mi hanno regalato delle lenzuola di pizzo
e io le ho riempite
di briciole
di marmellata
e di sudore
nelle ore passate a letto
a fare colazione e merenda
ed a farci l’amore
Mi hanno regalato la vita
ed io l’ho usata tanto
da consumarla tutta


La palla da bowling

La palla da bowling è lanciata
e per vincere
deve fare strike
Deve andare diritta e decisa
verso la meta
senza lasciarsi distrarre da nulla
che la faccia deviare dal suo scopo…
e il suo scopo è lì
a un passo dalla morte
senza più tempo per altro

Che bluff la vita…
non c’era nessun birillo!

***


L’anima
intrappolata tra una sveglia ed un file
non gode più
L’anima
quel buco nero
dove per guardarci dentro
devi avere la libertà del vento
e i suoi confini
l’anima oramai
è muta
La realtà gelata
ha interrotto ogni emozione
e non ha lasciato scampo



Uomini

Uomini
ticchettio del tempo
gocce di pioggia lungo una breve finestra
sudore asciugato dal sole…
comunque uomini
frammenti d’infinito



Il mio pezzetto di bello
(a S.C. - paziente psichiatrico)

Conservo il mio pezzetto di Bello
nel mio cuore
lo racchiudo
come in una cassaforte
lo difendo dai venti devastanti
della mia follia
che quando soffiano
travolgono ogni cosa
spazzandola via
Un giorno essi si placheranno
lasciando la desolazione…
io quel giorno lo pianterò in un vaso
… e potrà fiorire


Commenti dei giurati 

«Ho apprezzato in modo particolare l’accenno alla bellezza, quel pezzettino di beltà che va protetta.  Tutti i sentimenti e le emozioni sono rappresentate, ma chiaro è il distacco, la necessità, quando si parla di bellezza, di avere un occhio di riguardo, quasi fosse un momento unico da preservare. Il vero scopo della vita è riconoscere, ricordarsi della bellezza per poterla innalzare, valorizzare ed ampliare. E proteggerla nel nostro cuore.» (Daniela Terrile)
«Lo stile qui fa da maestro e dona a queste poesie una notevole autorevolezza. Uno sguardo lucido alla realtà, senza artificiose soluzioni, senza pretestuose evasioni; oggettivamente la vita, frammenti di Bello che fiorisce. Un vero omaggio ad Alda Merini.» (Nicola Lorenzetto)


Opere segnalate

Gli umili di Massimiliano Bardotti, Castelfiorentino (FI)

La vita imbarazzata in mezzo ai parcheggi
le chiese abbandonate dai fedeli e da Dio.
Le tue opinioni sui venditori ambulanti
le spiagge abusive e i detriti.
Quando la notte libera le mani ai demoni
i bambini piangono.
Notti bianche nelle metropoli occidentali
notti in bianco di genitori affamati.
Sale sulle ferite
derive i lembi della pelle.
In mezzo i fiumi delle collere di ieri
gli istanti trascorsi a coprirsi dal freddo.
E non basta mai.
Sciarpe esistenziali
costumi da esseri umani
il nome di un tizio sulle tue mutande.
Non farlo mai più
non credere a tutto quello che dicono.
Respira di nuovo con il tuo naso
strofina la pelle.
Sei vivo
non ti serve ciò che non hai.
Così domani il sole avrà lo stesso colore di sempre
l’amaro è amaro nella bocca degli stolti
e dei geni.
Le lasagne di tua madre fan resuscitare i morti.
Dio è nelle cose più semplici.
E tu non sarai mai
più vivo di adesso.

***

Siamo donne a pagamento
nei locali a perdifiato.
Coni gelato lasciati a morire
ai bordi delle autostrade
subaffittati come appartamenti
alle periferie di tutti i mondi.
Sinonimi della parodia
contatti umani negli incidenti stradali.
Le nostre facce negli specchietti retrovisori del tempo.
La vita come quando fuori piove.
E pioverà per sempre
sulle nostre marmitte non catalitiche.
Come rianimare i morti nelle fabbriche d’amianto.
Il trapianto dell’anima
fare lifting alle nostre tessere scadute
liposuzione ai nostri ricordi.
È un passato di tenebra la grande promessa
il futuro la misera bugia.
Non si tocca l’adesso
non si ferma il momento
siamo di passaggio
gli intrusi in un miraggio.
E un misero bacio può farti perdere la rotta
nelle partenze e nei ritorni
dal sogno alla realtà.
Così la vita si muove su linee immaginarie
e non accade qui
ma altrove
dove si toccano i sogni
e si realizzano fantasie di neonati.
È un’assenza di cose la più bella del reame.
È l’ultima sigaretta
prima di ricominciare.

***

Una messa finisce nella chiesa deserta
qualcuno prende vita stanotte.
Siamo spie nelle veglie al chiaror delle stelle.
Pagani e cattolici battono i piedi
rivendicano la loro identità.
Indissolubile il legame tra il bene e il male.
Io pratico il malessere
mi educo al disordine
ne sono artefice.
Con mani di neve raccolgo il coraggio
come fosse rabbia.
Non c’è pace qui
la cercherò altrove.
Nelle veglie diurne
nelle fiere delle vanità.
Siamo bambini in attesa di allattamento
siamo poeti di una lingua sconosciuta.
Fumo sigarette al sapor della brina
rinasco.
Aspetto il tocco delicato dello sciamano
il futuro nelle linee di una mano.
Scorre la lingua sul corpo arreso del silenzio.
Siamo tutti preti
siamo profeti.
Le nostre voci si innalzano in un canto post-rock.
Mi abbracciano tutti i martiri dell’apocalisse.
Tutta questa morte
è la mia vita.
La paura che mi governa
mi domina.
Gli attacchi di panico
morirò di crepacuore
mentre recito la vita.
Scrivo in nero queste parole neutre.
Le labbra di tutte le donne
i piedi in marcia verso la terra promessa.
Il domani è il nostro ricatto
quando arriverà saremo astemi.
Calici di plexiglas sbattono fra sé
senza fare rumore.
Così fanno le voci del riscatto.
Gridano la loro vendetta
e nessuno le ascolta.

(…)

Commenti
«Un ritmo serrato, indice di una patologia: idiosincrasia, avversione a quella situazione metropolitana in cui gli umili, col sudore, forniscono la giusta dose di lubrificante al meccanismo capitalistico.» (Sebastiano Adernò)
«La silloge rivela un buon mestiere.» (Matteo Fantuzzi)



Ho scelto di Gloria Gaetano, Castelvolturno (CE) 

HO SCELTO

Guardai stelle
irrigate dai fiumi, da rugiade impreviste
e scelsi un amore.
Da allora dormo sonni notturni.
Tra le onde, un'onda
altre onde,
mare freddo, foglie e gelo verdi,
scelsi quell'onda unica
l'onda trasparente del tuo corpo.

E allora le gocce, le luci,
le radici della terra
vennero a guardarmi
giorno e notte.

Volli sfiorare i tuoi capelli,
scelsi il tuo cuore ardente
tra tutti i frutti della terra.

Io ho scelto solo un'onda
solo un canto che sa di lontano.


CAREZZA LUNGA

Carezza lunga,
mare alle sabbie;
rombi iridati,
spume fra gli scogli.
E il volo stridulo
del gabbiano, la pace
dei pomeriggi nella
brezza,
lieve
alitata dal largo.
Sognano le rupi,
immobili ombre,
misteriosi sciacqueggi
dalle grotte a fior d'acqua
vigilate
da stillii lucidi, screziati
alambicchi, reti
d'irreali bellezze, tremole.
Nel sogno la tua visione,
limpida più dell'acqua
limpidazzurra translucida,
nell'onde verdeazzurre di Amalfi.


NON HO PAURA

Per me sei conforto
consolazione rifugio.
Tu mi sei caro
perché tempesta e vento
dell'anima.
Tempesta e non quiete,
tu, fuoco, gelo,
tagli come una spada
il mio petto.
Sei quanto di meglio
ho in me.
Notte d'estate senza fiato,
nessun cielo scava
così in profondità,
nessun lago, quando la nebbia
dirada, illumina come te.
Serenità risplende di immensa calma,
come in questo momento,
quando i limiti della solitudine
si annullano
e gli occhi si fanno tersi,
le voci cantano come vento.

Niente si deve celare.
Non ho paura
so che non ti perderò mai,
custodito come sei
nell'angolo più segreto di me.
Tu quiete, tu tempesta,
tu canto, tu ferita.

Non ho paura.

(…)

Commento
«Delicato articolarsi di versi poetici immersi in ciò che ci circonda, in una natura che rende il punto di vista dell’autore un gentile sguardo sulla realtà. Compare però, in questo contesto genuino e semplice, un “tu” che illumina la realtà strappandola dall’anonimato, e facendo di queste poesie un gradevole tuffo nella migliore delle visioni, che è quella filtrata dai sapori fanciulleschi.» (Paolo Gambi)


Quarto di luna di Ernesta Galgano, Genova

QUARTO DI LUNA

Nel cielo equatoriale
il quarto di luna
è una culla d'argento.
Ricordo l'emozione
di vederla penzolare
pel velluto del cielo.
Il raggio di una stella
potrebbe sollevarmi e
depositarmi con garbo,
il brivido della notte
potrebbe cullarmi.
Non mi volterei verso la terra.
Muoverei la mano
per accarezzare
altre luci splendenti.
Sentirei il suono dell'Universo.
Il mio sorriso meravigliato
sarebbe di gioia e
rorse di preghiera.
Se dovessi piangere
di commozione
lascerei lacrime- diamanti
come ringraziamento.


IL CIRCO DEL MONDO

Sono diventata un' equilibrista:
cammino sul filo
nel Circo del mondo.
Mi ha allenata la Sensibilità,
maestra precisa ed attenta.
Mi ha detto: ti aiuterà
il Sentimento vero,
tienilo con dolcezza tra le mani
e spostati sicura.
Non chiederti se verranno
o no gli applausi,
spingi avanti il cuore
e seguilo, non cadrai.
Attenta, ad un certo punto,
potresti anche saltare,
addirittura ballare sul filo,
nel Circo del mondo.


TERRA

Il colore del sole,
la carezza del vento,
il profumo del mare
sono per tutti:
anche per chi non ha fede,
per chi non ha amore,
non ha pane, né casa.
Mentre cammino sola
in questa luminosa
domenica d'inverno
mi sento parte del tutto.
Domani pioverà
e l'acqua bagnerà
le pelli bianche e quelle nere:
che io lavata possa sentirmi
madre e sorella.
Il dolore dà ad ogni popolo
medesime lacrime amare
e dalle ferite gocciola
sangue dello stesso colore.
Piccolo pallone rotante,
rabberciato da tante frontiere,
terra, non essere troppo superba:
ricordati che non sei niente
senza il Sole.


PORTO

Il porto è un luogo che
ogni barca desidera e cerca.
Il porto è da sempre
in attesa di navi,
prima delle infrastrutture
esisteva da tempo un'insenatura
a forma di abbraccio.
Le navi non conoscono
le città vicine,
ma si cullano beate
nella certezza di un riparo.
Mi sono sempre sentita
una barca libera nell' onda.
a sperare nell' alba,
a scaldarmi nel sole,
a rincorrere i colori
infuocati dei tramonti,
controluce, per lavare
le mani e gli occhi
delle lacrime e delle spine
e asciugarmi nel vento
e non essere vista da riva.
Così ho veleggiato la vita,
senza fermarmi a nessun approdo
Chissà cosa cercavo,
forse il traino di una nave fantastica
con tutte le vele rigonfie di sogni.
Adesso per gli anni
un poco più saggia,
con i segni del sole
sulla pelle riarsa,
vorrei piuttosto essere un porto
e sapere dare aiuto a chi
viene per cercare
un riparo di pace.


PERLE

Sono nate
da un piccolo insulto,
comunque un dolore.
Sono diventate
perle bellissime.
Le più preziose
illuminano soltanto
il guscio dell' ostrica,
troppo profonde
per essere pescate.
Le conosce bene
unica l'acqua
che le lava
e le accarezza:
somiglia nel gusto
alle lacrime.
Ma la certezza
di questa ricchezza
fa fremere di gioia
tutto il mare.


Commenti
«Poesia di emozioni, scritta di getto, figurativa, dove gli elementi della terra, il mare, il sole, le onde, la sabbia giocano un ruolo fondamentale nel quale lo scrittore/trice si identifica per poter esprimere le proprie sensazioni. Una velata tristezza quasi chi pensa e scrive fosse stanco di vivere e continuasse aiuto per continuare il proprio viaggio.» (Daniela Terrile)


Ricominciare a cominciare di Enrica Musio, Santarcangelo (RN)


Ogni giorno,
provo a recitare
la mia morte
ma c’ è sempre un
gran bel finale
la vita.


Una passante

Una via stordiva urlava,
a lutto tutto sontuoso
a grande dolore
passa una donna
mostrare lo smerlo
nobile
io con il viso contratto degli
stravaganti
non ti rivedrò
nell’eternità
contavo
tardi
forse
guardo
dove io fuggivo
e dove
io poi vada.



LADRI DI PAROLE

Ladri di parole,
sono i poeti
colgono così
verso una strada facendo
passati
in una via
accade con le parole
e il poeta
ne coglie
ancora una bella
magia.


MENDICANTE

Raccatto briciole di amicizia
cadute da tavoli
per altri ricche
ed imbandite.


GUIDATA DA UN CIECO

Puntini di sospensione:
punti fermi quasi mai
una serie
infinita
di polisindeti.



SINTASSI DELLA MIA VITA

Non più una donna sbagliata,
ma avere sbagliato
questo mio sconosciuto
ausiliare
cambia solo un tempo troppo a me composto
errando
come mai a negarlo
non sono errata
potenza del gerundio
e nella fissità di un
participio.



DOMANDA INNOPPORTUNA

Scrivi poesie? ,
mi chiede la gente senza tanto pudore
io abbassando lo sguardo
con gli occhiali
ho risposto di sì!,
ma non è una cosa di cui vantarmi
è un mio gorgoglìo interiore
che emerge quando meno lo
cerco
un lampo di luce
una mia nuova creazione
un atto umile.


Commento
«Poesia di speranza, vissuta amata e forse sperata, ma sempre in crescita, per poter dare conforto, una poesia di terra, viva sprizzante.  Il sogno è presente ma utilizzato sempre come momento creativo della vita, dove l’uomo è al suo centro, cosciente, unico attore del suo fare. I gesti, la vita, le sofferenze, tutto fa parte dell’universo ed è vissuto senza paura, ma come esperienza necessaria.» (Daniela Terrile)


Stagioni di Teresa Mariniello, Milano 

Fammi cava
che mi suoni l’aria,
e battendo tra le costole
lasci un po’ di pulviscolo
del colore delle stagioni.
Il filo tenue
che tiene l’eco delle cose
il pallido mistero
custodito nel fossile.

***

È arrivata la stagione delle piogge.
Dalla finestra
spio il rosso sfinito dell’albero
il tremare delle foglie
verso la terra scura;
nelle vene ricordano ancora
la grazia
la fatica della fioritura.
Si addormentano ora
come piccoli fuochi nella corteccia chiusa.


***

Stamani l’alba è rimasta impigliata
tra un ramo secco dell’albero
e l’angolo della finestra illuminata.
La pioggia di tanti giorni
l’ ha schiacciata sulla terra
annegata nei fiumi straripati,
guastata nel cuore melograno
distilla lente gocce
di rubino spietato.



Natale

I colori sono impazziti
mentre divoro la strada col passo infuocato.
I verdi e gli ori ammiccano sfacciati
senza memoria o rimpianti.
Sperduti
nel nastro ricercato.

Ho sulle labbra una nuca rovesciata
un’offerta tiepida.
È come un animale gentile
oppure un’acqua sotterranea
che sa portare lamine d’oro sospese
e rossi immacolati.

***

Hai dimenticato le tracce di lupo.
Il bianco affondato
appena opaco sul fondo,
sui bordi fluorescente,
macchiato da una luna pallida
per tanto silenzio.
Ne hai fatto schermo neutro
con pochi segni.

Quasi un muro d’ospedale
o di cella monacale.
Dove l’ospite di turno
continua il tuo tratto
e ne fa affresco smisurato
del proprio desiderio
e della tua incapacità.

***

Non la parola
ma la grana della voce parla.
Porta colori.

Hanno raccontato ogni cosa
i tuoi verdi sfumati
sfociati in gialli acidi.
Mi sbarrano il passo al banchetto mondano.
Giusto. Ogni tempio ha la sua vestale.
Oggi i tuoi verdi planati
ne hanno descritto il drappo,
piega su piega.
Il tuo sudario.


Commento
«Nonostante i temi e le immagini presenti in questi testi non siano originali come quelli delle raccolte Il glomerulo di sale e Topografia della solitudine, questa silloge ha grazia la levità di linguaggio e colpisce per un  elemento centrale di tutta la raccolta: i colori. Mi sono piaciuti gli squarci descrittivi dei vari paesaggi, e  mi hanno intrigato i frequenti riferimenti alle "antenate" e alla "razza" dell'autore – in non schiarirti notte d'inchiostro…, rosa del mio  cuore e stella del mattino)  – che ho interpretato come un'interessante ansia di ricerca delle proprie radici "dentro" il  paesaggio.» (Agostino Cornali)