lunedì 28 febbraio 2011

Antonio D’Alessio: una poesia generazionale e l’idea della precarietà

di Paolo Saggese

Nel leggere le Poesie ritrovate di Antonio D’Alessio (1976-2008) si ha un senso di leggerezza e di tristezza, che è difficile spiegare. La leggerezza è nella pagina spesso quasi vuota del libro, come nelle metafore con tramonti e orizzonti evocativi di attese e del nuovo, una leggerezza e una vaghezza leopardiane, la tristezza e la leggerezza sono nella “problematicità dell’essere e dell’esistere, in continua tensione fra un desiderio di fuga e la tentazione della quiete esteriore e interiore” (così la poetessa Narda Fattori nell’introduzione ad Antonio D’Alessio, Poesie ritrovate scritte in anni diversi, Collana “Luci Meridionali”, Edizioni “F. Guarini”, Montoro Inferiore, 2011).
La precarietà è anche un dato generazionale, ma, come osserva ancora Narda Fattori, va oltre la “generazionalità”, perché dietro il malessere vi è l’anima di un poeta, che canta la gioia dolce-amara della vita.
Del resto, Antonio aveva già dato prova di sé nella precedente raccolta, edita sempre nella stessa collana nel 2009, e che aveva per titolo La sede dell’estro (postume). L’amore per la poesia gli deriva dal padre Vincenzo, che coltiva una passione profondo per la scrittura e per la terra del Sud da un quarantennio circa. E poi c’è l’amore per la musica, che Antonio ha in comune con i fratelli Giuseppe e Nicolino e che ancora una volta deriva dal padre “polistrumentista e artista poliedrico”. Questa esperienza artistica è poi confluita nel gruppo Notturno concertante.
Dalla madre Annamaria De Angelis ha avuto in eredità l’amore e l’attenzione per gli ultimi e per i bisognosi, per chi non ha voce e dignità nel mondo vuoto di anima, in cui viviamo.
Dico ciò, perché questi mi sembrano essere stati insieme tutti gli ingredienti indispensabili per un Poeta.
E poi c’è l’Amore, che è presente nel libro, perché queste poesie facevano parte di un quaderno che Antonio aveva donato alla fidanzata Anna Daniela, e che adesso, come scrive la ragazza nella plaquette, sono consegnati “ai lettori che inseguono copia dopo copia / le sue memorie”. In una Lettera ad A.D. (da leggersi credo Anna Daniela), del resto, cogliamo un aspetto rilevante di questo diario in versi, quando si legge:

Perché poi quello che cerchiamo, è, di stare
meglio;
ma niente di fantastico,
realizzare, creare, continuare ad accrescersi
e non morire lentamente.
Certo non voglio scaricare tutte le mie
frustrazioni;
ma sei rimasto solo tu, per poter parlare;
e non aver consigli, perché
la strada da percorrere, già si sa, vien da sé.

In questa raccolta, i versi di Antonio mi sembrano ancora più dolenti rispetto a quelli della prima plaquette, anche perché sono segnati dalla negazione “non” che accompagna quasi tutte le poesie. Lo scetticismo verso “la terra degli inganni” è lo stesso di sempre, di un giovane, che vuole realizzare utopie e che è nato per sognare, ma adesso la negazione sembra quasi esprimere una condizione esistenziale.
In … Sei lì che reclami la mia assenza i versi conclusivi si chiudono con un’anafora: “non aspettarmi quando avrai aperto la tua stanza … / non so se almeno questo inchiostro ti farà compagnia”. Un invito a non aspettarlo, che invece è invito ad essere aspettato, e il dubbio sulla poesia come compagna di viaggio sono sintomatici di uno stato d’animo.
Nella poesia successiva, l’incipit è segnato da “Non è più in tuo possesso quello che pensi era tuo”, che è anche titolo del componimento. Si chiude con “una pianta / che non è mai esistita”.
Ho così preferito seguire Antonio nella ricerca dei suoi “non” e l’ho ritrovato più volte:

difficoltà/impedimento/timore
è un’onda alta
che non passa
sospesa
Trattieni fiato attraversa.

È la metafora dell’esistenza, di una asfissia temuta: il pericolo, il timore, non passano.
Il nichilismo, che tuttavia non è della plaquette ed è estraneo al pensiero di Antonio, è nel componimento successivo, dove, ricordandomi la conclusione pessimistica di Esiodo nella Teogonia, dichiara la fine dell’Utopia:

la ruota gira, nel vuoto
che ruota, non è
I sogni non s’applicano più, e l’utopia è
Volata via nell’universo
Adesso.

Il “nulla ha un peso” solo nell’universo, qui è nulla semplicemente, scrive nella poesia successiva.
In M’illudo ci sono cinque “non”: poesia difficile, dove “ignoranza”, mancanza, sofferenza, solitudine, fanno parte dell’esistenza.
“Non so sfruttare” in Sfioro con le mie dita: qui, il poeta “ammette” la sua inadeguatezza ad un mondo come il nostro, alla “giungla della vita”, che è la nostra “civiltà”.
Nello scorrere del tempo, Antonio dice: “… non mi fermo”, mentre nel descrivere la battaglia della sua “guerra quotidiana” si chiede: “Se non è questa una guerra!?” (da Il nostro animo).
La verità “non s’accetta”, come spesso la vita (così in “Stimoli indigesti di chi non s’accetta”, dove il “non” compare sei volte).
La fiducia è “in qualcosa che non hai”, nonostante “quante costruzioni abbiamo / giocato per crescere”.
Il nichilismo apparente di queste poesie, tuttavia, ha in sé una forza straordinaria e al contempo una straordinaria dichiarazione di fede nella vita. Si legga Pur sapendo, in cui la convinzione di un’ignoranza non significa assenza di amore, di speranza. Il non, insomma, significa negazione, ma anche per litote spesso rafforzamento di ideali, di speranza come in “realizzare, creare, continuare ad accrescersi / e non morire lentamente”.
La poesia di Antonio, d’altra parte, ha convinto uno dei critici letterari, degli storici della letteratura e dei poeti più autorevoli del Secondo Novecento, ovvero il Chiarissimo professore Giorgio Bàrberi Squarotti, che in una lettera a Vincenzo D’Alessio esprime con chiarezza un giudizio limpido e senza ombre: “[…] Leggo con viva commozione e con ammirazione le ulteriori poesie di Suo figlio: che è davvero un poeta autentico e strenuo, anche il dolore della scomparsa si fa più profondo”.
Poeta autentico e strenuo è stato Antonio che ci insegna a condividere con gli altri uomini speranze e dolore perché : “Tutto fluisce / separa!”, “Occhi aperti / è ora di partire il cielo / è dietro la stanza / i monti si dissolvono / e il contatto svanisce … / e il terriccio / peserà sul viso”.

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