giovedì 7 aprile 2011

L’intervista a Claudio Damiani



La poesia di Claudio Damiani trasforma il mondo col peso delle cose più vere. Nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo vive a Roma dall'infanzia. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Scrittori), Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea), Poesie (1984-2010, Fazi, 2010, a cura di Marco Lodoli). Ha curato i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (L'Attico Editore, 1992); Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000). È stato tra i fondatori della rivista letteraria «Braci» (1980-84). Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue (tra cui principalmente inglese, spagnolo, serbo, sloveno, rumeno) e compaiono in molte antologie italiane (anche scolastiche) e straniere. Collabora con vari giornali tra cui la cronaca di Roma di «Repubblica».

 I poeti – scriveva Rilke-  sono “le api dell’invisibile”, filtrano e recuperano con le parole la magia e lo stupore. Sei d’accordo con questa prima definizione di poeta?
Sì, amo molto Rilke, e anche molto le api, che ammiro per la loro capacità costruttiva e le tecniche meravigliose di orientamento e navigazione aerea, agricoltura e allevamento, e attività produttive in genere (miele, propoli, cera ecc.). E poi anche Petrarca diceva che il poeta è come l’ape, prende da tutti i fiori ma produce un miele inconfondibile.

Chi è Claudio Damiani, secondo Claudio Damiani, e non secondo gli altri?
Un territorio in gran parte inesplorato. Anche perché, quando lui vorrebbe conoscersi, si fanno avanti tutti meno lui. Però è contento di sentire tutte queste voci, le lascia parlare e le lascia vivere, e così si dimentica di sé: che è forse la cosa migliore.

Che  cos’è la poesia per te?
Qualcosa che sta già in cielo e viene fra noi, come la vita.

Da quanti anni scrivi poesie?
Da 35 anni, mi avvicino alla pensione.

Qual è stato il poeta più importante per la tua formazione?
Petrarca. L’ho scoperto dopo il liceo. Mi sono accorto che pur avendo sette secoli era più vivo e attuale dei contemporanei, più chiaro e nuovo. Ma attenzione: non tanto nei contenuti, quanto nella lingua (e questo è lo strano, perché i linguisti dicono che la lingua cambia).

Qual è il poeta che, in questo periodo, ami di più?
Ne amo troppi per dirlo. Posso dire che cosa in questo periodo mi accade di scoprire o riscoprire. Ho trovato recentemente molte cose in Campana che in passato non avevo visto; spinto da una traduzione bellissima di Davide Rondoni (che a mio avviso supera tutti i tentativi precedenti) sto rivedendo e rileggendo Baudelaire in un’ottica nuova, allontanandolo dal novecento (e anche dall’ottocento).

Un verso fondamentale per viaggiare nel futuro.
Più che un verso ci vorrebbe una formula magica. Poesia e magia hanno molte cose in comune, con la differenza che la poesia è molto più efficace, però. In effetti la vera sorella della poesia è la scienza: tutte e due pensano cose vere, vedono e basta, non inventano.

Tre libri da tenere sempre sul comodino.
Omero, Bibbia, Canone confuciano (libro delle Odi compreso)

Parlaci  del tuo ultimo lavoro.
Ho una raccolta inedita praticamente finita già da un po’, che si intitola “Il fico sulla fortezza”. Mi sembra la cosa più complessa che ho scritto finora, anche se forse io sto scrivendo da tanti anni un unico libro, il solito canzoniere. Comunque in queste poesie nuove (di cui ho messo una scelta nell’antologia appena uscita per Fazi) mi concentro sul cielo, l’universo, sulla relazione (di somiglianza) cielo-terra, e sulla relazione (sempre di somiglianza) materia-vita.

La tua è una poesia in movimento, perché  anticipa il pensiero di chi la legge. Una poesia che viaggia come seme inesauribile sul terreno bianco delle pagine. Qual è la fonte della tua ispirazione?     
La fonte della mia ispirazione sono gli “esseri”, che possono essere umani, animali, piante, cose (e viene in mente quel gioco famoso dei bambini dove tra l’altro, me lo ricordo bene, c’era sempre da discutere se una cosa apparteneva a una categoria o a un'altra, essendo molto chiaro anche ai bambini come sia impossibile tracciare confini netti), tutte cose viventi che dunque agiscono e si relazionano, si armonizzano e dialogano, e che mi stupiscono, mi sorprendono, mi prendono in contropiede.

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