martedì 12 giugno 2012

Su AA.VV. Retrobottega 2



a cura di Gianmario Lucini, Edizioni CFR - 2012 - pp. 216 € 18,00



recensione d
i Vincenzo D’Alessio


Mare Nostrum è la raccolta di esordio della poeta Giovanna Iorio, irpina per nascita, irlandese per adozione, viaggiatrice per eccellenza. Questo primo lavoro poetico, completo, è stato inserito nella rosa dei vincitori del concorco “Faraexcelsior 2011”, rosa dei vincitori del concorso Faraexcelsior 2011, bandito dalla Casa Editrice Fara di Rimini. La raccolta, che oggi è pubblicata nel numero due della rivista Retrobottega, curata da Gianmario Lucini (da pag. 99 a pag. 121), riporta in epigrafe la Lettera di Plinio il Giovane a Tacito, sugli eventi che apportarono distruzione e morte nell’area vesuviana nell’agosto del 79 dopo la nascita di Gesù Cristo, così come il sisma del 23 novembre 1980 ha segnato tragicamente ancora una volta la storia della Campania. Il titolo, e l’epigrafe, introducono il lettore ad un racconto, magmatico, in versi, dell’attesa che gli eventi attuano nei confronti del genere umano e divengono Storia. La tessitura, silenziosa, di una tela filata nel tempo affidata, come messaggio, alle generazioni attuali e future.

La Nostra ha svolto, con infinita passione, l’attività di traduttrice di poesia irlandese riportata, poi, nell’Antologia Dopo Lungo Silenzio (Mobydick,1997) e altre poetesse per le edizioni Via del Vento. Si è incontrata sovente con l’Oceano, con la musicalità arcaica delle terre anglosassoni, ha congiunto tutti questi fili armonici, nella trama di un ordito che oggi compongono le trame, rilucenti e tenaci, della sua poesia. Meridionale e prega di energia meridiana, come scriveva Franco Cassano nella sua opera omonima (Laterza 2010), Giovanna Iorio ha atteso lungamente, fermentando i propri versi in confronti, dai quali è scaturita questa prima, forte, raccolta che svela il lungo lavoro di limatura.

“Io scrivo e scriverò per un motivo soprattutto: far rivivere quello che rischia di scomparire o è già scomparso.” 

Questo è quanto scrive, oggi, della sua poetica la Nostra. Iorio ha le radici salde nella civiltà contadina scampata, fino al tragico sisma del 1980, alle fauci insaziabili dell’industrializzazione selvaggia. Non una industria crescente e sostenibile, accanto alle esigenze del territorio irpino, ma una frenetica distruzione delle migliori aree coltivate che avevano sfamato generazioni per millenni. L’Irpinia è solo il cuore di partenza della poetica della Nostra. Le corde che l’alimentano si sono formate nei viaggi, fantastici e reali, vissuti per necessità contingenti all’esistere e alla voglia di crescita lontana dalla subalternità clientelare.

I versi, che formano oggi questa raccolta, fanno seguito ad una lunga attività poetica che la Nostra ha evidenziato già in molteplici appuntamenti poetici nella sua terra d’origine, raccogliendo affermazioni e riconoscimenti, anche in campo nazionale. La Poesia è per la Nostra il viatico necessario per sopravvivere all’indifferenza degli uomini di questo nuovo secolo, agli stravolgimenti naturali e umani, che si avvicendano nel dolore costante dei “nuovi schiavi” e degli antichi padroni. Il potere del denaro ha sostituito anche l’amore per la storia di ogni singolo individuo.

Scrive la Nostra: “Sono qui / da duemila anni / quanti cerchi / nel cuore / un tempo qui / venivano a pregare / prima del raccolto / e la spremitura / ho vergogna / di quello che vedo / ho orrore / di quello che sento / terra ammalata / ovunque immense ferite / mia madre parlava / una lingua soave / il mio olio bruciava / su un altare” (canto n. 13). I codici semantici utilizzati in questa poesia valgono per tutta la raccolta: c’è la Storia degli uomini e delle donne di tutti i tempi, che sono stati e che verranno, cerchi nell’acqua di un mare sconfinato e finito, tempo di attese e disvelamento, cecità della maggior parte degli uomini di fronte alle vicende naturali e sociali.

Non è nostalgia di un passato recente o remoto. Non un rimpiangere codici etici appartenuti a generazioni che hanno conosciuto guerre e distruzioni. Sono versi che riconciliano la consapevole forza che Madre Natura possiede e che l’Umanità non sa più utilizzare per il bene di tutti. Giovanna Iorio è simbolicamente la vestale destinata a conservare la fiamma primigenia nel tempio inaccessibile all’uomo di questo tempo, affamato di energie e pronto all’assassinio dei propri simili in nome della sua egoistica sopravvivenza. L’olio, gli ulivi, rimedio utilizzato dagli antichi per le ferite, brucia sull’altare dei padri per infondere alla terra nuove attese di germogli e di pace. Con le scelte, volutamente contrarie alle aspettative dei territori, oggi la novella Penelope è costretta a trasmettere nei versi il profondo disagio di vivere: “Sono venuto a congedarmi / campi di grano / ulivi secolari / (…) riposate in pace” (canto 25).

Questa raccolta è un grande dono per le generazioni che la leggono e per quanti la leggeranno in futuro. Atto d’amore verso uomini/donne che ancora hanno voglia di reagire all’apatia costante dei video, delle immagini, delle informazioni, e accostarsi direttamente alla realtà che ci permea e circonda. Sono le voci dei nuovi schiavi chiamati a solcare l’infido Mare Nostrum, “su un barcone nero”, pronti a chinare la schiena dove “Chilometri di pomodori / rossi come sangue / nelle vene della pianura” (canto 5), attendono. E le donne, le portatrici della vita, chiamate a lasciare, per dura ed estrema necessità la terra d’origine, per divenire “formiche nere” (canto 6) raccoglitrici di sale, oppure scegliere la strada della prostituzione: “Per 20 euro / la puoi toccare / però ti devi lavare / sei sporco sei nero / (…) / Per 20 euro / ti puoi divertire” (canto 8).

I versi sono volutamente brevi, come pietre di un mosaico o nodi di una tela, recisi nelle chiuse per offrire al lettore l’immagine dell’epos raccontato al suo interno. Si resta avvinti dai colori, dagli odori, dalle figure retoriche che avanzano a definire uomini e oggetti, eventi naturali e immaginario collettivo: “Come un padrone lontano / il tuono scuote l’ultimo ramo / la pioggia verde / bagna il mare di olive” (canto 1). Il rombo del tuono è la metafora della voce dell’antico padrone sulle schiene dei lavoranti, come la metafora della pioggia verde è l’immagine di tutte le speranze che impregnano la vita degli esseri umani nel segno della Speranza (l’ulivo).

Nei versi di questa raccolta c’è una poesia matura, che si avvale di molti mezzi per raggiungere le corde del lettore e coinvolgerlo in un viaggio senza tempo dove la passione per il fuoco della Vita è il presente. Un racconto vero e risolutore del perturbante che si innesta ogni qualvolta ci si avventura in una nuova esperienza di viaggio: “Su questo mare / ho incontrato una donna / mi ha detto – sono Penelope – stanca di aspettare / (…) Mi guarda con lo sguardo smarrito. / Mi confida il suo grande segreto. / La mia terra è senza radici / la mia casa è senza amici / mio marito mi ha abbandonata / sono una rifugiata” (canto 10).

Questa raccolta è da annoverarsi nella poesia del nuovo secolo come un saldo porto di arrivo per noi naufraghi. Ci avverte che il viaggio più importante da portare a termine è quello dentro di noi , nella crescita interiore per avvertire i rapidi cambiamenti di cui siamo attori, e spettatori contemporaneamente. Ha saputo cogliere questo intenso messaggio il poeta e critico letterario Dante Maffia che ha scritto della Nostra , per queste poesie, quanto segue: “(…) Ecco, la Iorio ha saputo mettere in parole essenziali la vita nella sua più casta dolcezza e il risultato sono questi gioielli che scolpiscono sentimenti alti con cadenze e ritmi indimenticabili.”

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