martedì 16 ottobre 2012

Bruno Bartoletti a Santarcangelo 25 ott




Una vecchia Guzzi e mio padre
- mi sembrava un gigante – sui tornanti.
Mi diceva indicando uno spicchio più azzurro
tagliato lontano tra i monti:
«Vedi? Quello laggiù è il mare».
E aveva un limpido riso da buono
mio padre che appena conobbi
e risento quel dolce sapore
di azzurro tagliato tra i monti.

La vita si inerpica a volte si sfascia,
ma restano sempre i più dolci

ricordi.

Le mani che cercano l’ombra.



BRUNO BARTOLETTI
presenta il suo ultimo libro
Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade
GIOVEDÌ  25 OTTOBRE, ore 21.00
Santarcangelo di Romagna, biblioteca “Antonio Baldini”


Interviene e coordina Narda Fattori


“Il poeta scrive perché si compia il destino della parola che è quello di essere ascoltata” (Mario Luzi).

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Bruno Bartoletti, Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade (poesie),Youcanprint Editore, Lecce, pp. 122.


recensione di Narda Fattori


Bartoletti  di tanto in tanto ci induce a soffermarci sui versi che ha appena pubblicato. Non lo si può dire prolifico: tre, quattro libri  in un paio di decenni al contrario fanno pensare a quanto lasci decantare la sua scrittura che, quando appare, deve essere armoniosa, coerente, non futile né inutile.
Credo che oggi i poeti debbano porsi proprio il problema della capacità di e-ducere della poesia nell’ambito della società e non ritrovarsi a contarsi in sterili reading di un do ut des; ma quali motivazioni ha il poeta, anche il poeta Bartoletti, che pure spinge sul pedale della memoria e dell’etica?
“Ogni tanto mi accorgo che la penna ha preso a correre sul foglio come da sola, e io a correrle dietro. È verso la verità che corriamo, la penna e io, la verità che aspetto sempre che mi venga incontro, dal fondo d’una pagina bianca, e che potrò raggiungere soltanto quando a colpi di penna sarò riuscita a seppellire tutte le accidie, le insoddisfazioni, l’astio che sono qui chiusa a scontare.”
questo scriveva  Italo Calvino. E citando Fortini, Bartoletti fa proprio il suo incitamento : forse la poesia non serve a nulla, “ma scrivi”.
Perché nei versi ci incontriamo e ci scontriamo, e lo facciamo da sempre, da quando l’uomo ha acquisito il suo statuto di umanità. E se , come dice Federica Nightingale  “ La Poesia non si muove e quando lo fa si muove poco. La Poesia è lenta, un bradipo con ali leggere, un volto senza corpo e fatto d'occhi. La Poesia non cammina, scorre. La Poesia non parla, segna. La Poesia non paga, ri-paga. La Poesia è un collo di cigno che guarda dentro il lago e, a volte, vede il futuro.” non incontrarla ci diminuisce e ci lascia in un deserto di solitudine.
Questo ultimo libro di Bartoletti, giunto dopo anni di  silenzio stampato e di attivismo culturale,  si mostra come una  summa della sua poetica e delle sue riflessioni intorno alla poesia.
È totalmente un libro di prima della fine, un libro che ascolta i silenzi; i silenzio non sono mai vuoti, sono i coacervi della memoria, le voci degli assenti, ci parlano dentro e attorno si fa una gran quiete,  ferma e attiva.
Proprio come se questo fosse l’ultimo scritto, troviamo la memoria che signoreggia nei versi, l’intelligenza che cattura le immagini e le fa parlare; credo non manchi nessuno all’appello. Ci sono i versi sui fondamentali dell’esistenza: padre e madre e moglie e amici e luoghi, incontri, eventi, emozioni. Mai, come in questo libro Bruno ci parla delle persone che hanno costruito le mura maestre della sua personalità: il  padre, minatore, la meraviglia di se stesso bambino davanti alla Guzzi rossa e il cruccio del sopravvissuto, lui al padre, perché i padri portano fardelli e spartiscono sicurezze che vengono a mancare alla loro prematura scomparsa. I figli, ancora giovanetti, non dovrebbero sopravvivere ai padri. Credo che questo sentimento sia incuneato in tutti noi con la stessa forza con cui sentiamo  che i genitori non debbano sopravvivere ai figli.
Non mancano nelle poesie le figure d’amore, bozzetti incantevoli per la moglie, il nipotino, gli amici, il proprio paese, la terra aspra e poco generosa dove vive e dove è bello vivere perché ogni sasso, ogni giunco, ogni finestra conserva un passo del suo farsi uomo. E ci sono splendidi versi dedicati alla sua prima scuola, pluriclasse, ignota, dirupata e I sentieri, l’acqua le donne di Pietra dell’Uso, luogo dell’anima per Bartoletti.
Il libro, corposo, con una postfazione articolata che dà ragione delle scelte compiute, è suddiviso in due vibranti sillogi che tuttavia non demarcano terreni semantici, ma appena tracciano solchi tematici.
La prima parte è quella che più insistentemente riflette sulla poesia e sulla parola; vengono citati poeti e personaggi fabulosi come il gabbiano Jonathan, i personaggi di Spoon River, il Piccolo Principe… si affidano messaggi a poeti che sono stati, poeti che sono, poeti che verranno  a trattare la parola che, usurpata della verità, aspetta che le sia restituita. “Ho scavato parole/ ricordando la luce/ e rompere il silenzio,/ sul tavolo le poche piccole cose/ di qualche straniero.”; nelle parole dunque la luce, l’uscita dal silenzio, l’uscita anche dall’anonimato dello straniero. È in quella luce che l’uomo può non disperare, ma anche in quel silenzio vibra un’attesa di luce.
La lunga poesia ibrida che porta per titolo “Nel taschino l’ultimo verso” ci riconcilia con la bellezza che anche una situazione di abbandono e di solitudine può conservare se tutto è in poesia, in questo caso particolarmente ispirata e fortemente espressiva. Credo che Bartoletti farebbe sua questa citazione di Peppino Impastato, non poeta ma giudice martire: “Se si insegnasse la bellezza alla gente la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura, l'omertà.”
Uomo di cultura , Bartoletti ha sempre cercato di insegnare la bellezza, che non sta in canoni di misure e di accenti, ma in incanti e in stupori, in cose minime e altre grandissime, in una margherita come in una galassia.
È il libro che più di ogni altro racconta il Bartoletti uomo e poeta, la sua gente, i vivi e i morti. È concreto, vibrante, aperto come un’ostrica che spalanca le sue valve per mostrare la perla e questo carattere lo differenzia dalle precedenti raccolte, più introverse, più chiuse in un mondo di emozioni gli vibravano dentro , quasi da sopravvissuto. Queste poesie “di prima della fine” parlano della vita e ne fanno un inno. Credo che chi teme la morte dovrebbe rileggerne qualcuna , come si prende un darmaco.
Forse non mi sono soffermata sul carattere ibrido del libro: alle tante poesie sono frammezzati pezzi di prosa a tutto si tiene come le foglie al ramo, il discorso non cede, non si piega ad esigenze altre ed estranee.
Dire il tanto che contiene il libro è impresa ardua. Nessuno può uscire dalla sua lettura senza esserne stato modificato.
Il poeta Bartoletti ci mostra l’uomo Bartoletti con umiltà e maestria, con candore e filosofia.
Non è facile raggiungere simili vertici; forse bisogna veramente tenere tanti anni le poesie nel cassetto e tornare spesso a rincontrarle.

Narda Fattori



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recensione di Carla De Angelis


“SPARIRE IN SILENZIO RITROVANDO IL VENTO DELLE STRADE”

di BRUNO BARTOLETTI - Youcanprint

Ecco un libro che cattura l’attenzione fin dal titolo Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade… chissà cosa avrà voluto dire l’autore, il poeta Bruno Bartoletti. Forse avrà preso un verso dalle sue poesie, o forse nel suo silenzio ha  ritrovato il “ruach” quell’alito di vento  che produce la respirazione, quel soffio leggero che ha dato inizio alla vita.
Leggerò il libro per ritrovare il silenzio del poeta, silenzio che non vuol dire tacere, ma ritrovare in se stessi quello stato magico in cui la parole sorge e prende vita. I suoi versi sono un costante dialogo con la sua terra, con la memoria che rivive attraverso suo padre e sua madre. Poesie delicate, splendide dedicate anche all’amore e all’amicizia.  Sono un dono prezioso, quasi un testamento.
Continuo  in punta di piedi e con cautela perché il  linguaggio oltre essere incisivo è emozionante. È il viaggio attraverso il tempo. Trascorsa l’età dell’infanzia, diventiamo coscienti del tempo che passa, prendiamo atto che accanto alla gioia c’è il dolore e la perdita lungo la strada di persone e affetti. “Quando ero giovane  avevo ali forti e instancabili/ ma non conoscevo le montagne. Quando fui vecchio conobbi le montagne/ ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione” (pag. 110).
Il poeta ci ricorda  di Wystan Hugh Auden: quando le parole perdono significato, la forza fisica prende il sopravvento, ma il Nostro usa le parole con grande rispetto e con amore  a pag. 54 la poesia A Diego  è di una struggente tenerezza.
Spero di non attendere troppo per leggere altri suoi versi.

Roma 5 ottobre 2012
Carla De Angelis

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