mercoledì 27 giugno 2012

Lettera aperta all’autore del libro Crescita Zero




http://poesia.blog.rainews24.it/files/2012/03/saggese-200x300.jpgho voluto anch’io emularti scrivendo una lettera aperta, quale contributo critico, al tuo lavoro storico politico Crescita Zero , pubblicato presso l’editore Delta3 di Grottaminarda. Nel libro ci sono svariate lettere, scritte per momenti particolari, a queste ti prego di aggiungere, in tutta umiltà, questa mia.

«Per la gente della Lucania, Roma non è nulla: è la capitale dei Signori, il centro di uno Stato straniero e malefico. Napoli potrebbe essere la loro capitale, e lo è davvero, la capitale della miseria, nei visi pallidi, negli occhi febbrili dei suoi abitatori, nei “bassi” dalla porta aperta pel caldo, l’estate, con le donne discinte che dormono a un tavolo, nei gradoni di Toledo; ma a Napoli non ci sta più, da gran tempo, nessun re; e ci si passa soltanto per imbarcarsi. Il Regno è finito: il regno di queste genti senza speranza non è di questa terra. L’altro mondo è l’America.»

Così scriveva Carlo Levi nel suo capolavoro Cristo si è fermato a Eboli nella prima edizione del 1945. Gli fece eco pochi anni dopo il “profeta del Sud”, così l’ha definito lo scrittore Raffaele Nigro in un articolo apparso sul quotidiano «Il Mattino» del 2003, il poeta Rocco Scotellaro: «Per te che te ne vai / senza nemmeno dirci addio / dove ti piangi la morte vicina / (perché ti stanca tapparti in cantina / qui nei giorni grigi di pioggia) / noi vedremo giocare il tuo bambino / alla lippa attorno alle caldaie / che accolgono l’acqua piovana. / Ma tu la mano non gli tenderai, / se gl’infiggono i chiodi i piedi scalzi, / con una busta di pesos!» (America scordarola)

Caro professore, perché nelle nostre scuole irpine insegni ai giovani liceali che Antonio La Penna, il grande letterato, nato da modesti proprietari terrieri alla frazione Oscata (tra Bisaccia e Vallata) a soli sedici anni approdò alla Scuola Normale Superiore di Pisa, riscattò in questo modo la condizione di “meridionale” (se vogliamo ironizzare di “terrun”), per divenire il magnifico docente annoverato nella Cultura nazionale? Come vedi per divenire qualcuno bisogna allontanarsi da qui, dai luoghi dove si nasce, dalle radici greche, e trapiantarsi nel Nord della penisola, più vicini all’Europa, con tante possibilità in più di costruirsi una strada.

Come vedi ogni sforzo che compi per far sì che i poeti del Sud approdino nelle antologie scolastiche nazionali, cade in un pozzo senza fondo, senza eco. Quanti ministri della Pubblica Istruzione erano uomini “meridionali”? Sicuramente c’era qualcuno tra loro, ma hanno pensato a tutto fuorché di programmare una letteratura meridionale bene inserita nelle antologie stampate al Nord e vendute da anni nelle scuole statali del Sud. Il Centro di documentazione sulla poesia del Sud, fondato a Nusco con Peppino Iuliano ha un futuro? L’Università Popolare, svincolata dalla classe politica, quante risorse potrà raccogliere per sopravvivere?

Sai, caro Paolo, non sei il primo scrittore al quale viene affibbiato il nomignolo di “poeta politico”. Prima di te c’è stato Guido Dorso, del quale tu sembri avere abbracciato in pieno la tesi storico-politica di una classe dirigente incapace, una volta al potere, di concretizzare valori fondanti per le nuove generazioni con il proprio esempio di “onorevole”. Una classe dirigente non riconoscibile in uno Stato di diritto. Lo ricorda Dorso nelle belle pagine del suo capolavoro, sempre attuale, La rivoluzione meridionale (1925): «Emerge, quindi, chiaro fin da questo momento che ad aggravare gli originari fenomeni di inferiorità economica e di patologia demografica che caratterizzano la costituzione sociale del Mezzogiorno, molto ha contribuito e contribuisce tuttora lo Stato, che, da organo supremo del diritto, da fonte precipua ed unica di eticità, si trasforma in Italia in organo di privilegio, in fonte continua e perseverante dell’ingiustizia.»

Lo ripeti, tu, nel lavoro di cui stiamo parlando quando scrivi: «Noi viviamo in una delle società più immorali e ingiuste della storia, perciò non possiamo essere Maestri efficaci e credibili dei nostri giovani. I giovani, del resto, sanno che gli insegnamenti di un Maestro li condannerebbero semplicemente ad essere degli infelici: la strada della cultura, dell’onestà, la sete di giustizia, sono lussi di pochi don Chisciotte condannati a testimoniare nel deserto, ovvero in perfetta solitudine.»

Come vedi la lotta operaia dell’Irisbus Iveco di Valle Ufita, insegna. L’abbandono da parte dei padroni al loro destino degli operai che hanno gonfiato le loro casse di profumati guadagni , per mercati e operai meno costosi, molto si avvicina alla condizione dei nostri studenti in ogni tipo di scuola, comprese le università. Il tuo libro è un'altra tessera nel mosaico di questa maledetta “questione meridionale”. Non una damnatio memoriae, come sovente hai ripetuto nel tuo libro, piuttosto c’è bisogno di una presa di coscienza che riscatti dai favori dei politici, dei preti, dei faccendieri, le nostre nuove generazioni. Sono i giovani, a cui dedichi le tue più forti cure, che dovrebbero non percorrere le stesse strade dei padri e non votare alla stessa maniera.

Soltanto affrontando la solitudine del “fare” da sé si riesce a tracciare, con una sofferenza indicibile restando nella nostra parte meridionale o lanciandosi in una nuova vita da emigrati con tutte le sofferenze di essere sradicati ma accettati per quello che si offre, il nuovo corso della Rivoluzione Meridionale alla quale il tuo lavoro storico-politico-pedagogico si aggiunge. Domenica primo luglio, quando presenteremo al pubblico della nostra terra il tuo libro, spero ci sia qualche buon Maestro che voglia far propria la nostra causa e leggere il tuo libro, ai suoi allievi, come chiede il nostro poeta Domenico Cipriano nelle sue raccolte poetiche: «Cogliete / degli sguardi intorno / i pochi nei volti sinceri / che non chiedono / altro in cambio, né / dicono, eppure sanno.» (Luoghi,il tempo nello spazio, Fermenti, Roma, 2010).

Tuo, Vincenzo D’Alessio

montoro, 26 giugno 2012

Caro Paolo Saggese,

Vincitori e selezionati del Concorso Insanamente 2012



Certificato dei vincitori


Angelo Chiaretti, Ardea Montebelli, Caterina Camporesi,
Claudio Roncarati e Guido Passini
per la sezione Poesia –

Alessandra Pederzoli, Alessandro Chiarini, Alex Celli,
Giovanni Turra Zan e Francesco Gaggi
per la sezione Racconto –

in collaborazione con

sono lieti di premiare con la pubblicazione i seguenti autori 


Classifica sez. A – Poesia
opere,  giudizi  e notizie sugli autori
per la sez. B v. narrabilando

Primo classificato e medaglia del Presidente della Repubblica
Angela Caccia (Cutro, KR) con Barche di carta


Ci sono giorni

Ci sono giorni che dalla mia finestra
guardo la stanza del mattino,
    così ariosa
    è già arredata di primavera

sulle pareti azzurre svettano i tetti,
    rigorose geometrie
    radicate
    nel tappeto di una natura che
    sbuca da ogni dove.

Ha l’ombra obliqua di un gigante il
    primo inquilino del giorno
    ed è solo un passero
    alla sua prima colazione

nei rumori familiari della strada
    una gioia sottile
    rimbalza dai marciapiedi alle case

    ma l’arco della parola ha una
    freccia spuntata e la sfiora soltanto
            ne coglie un soffio.

È un chiarore di vita che si offre per attimi
    tocca le cose e sfiora il volto.
È il chicco di grano che torna a cadere nel solco.



Per il colore del grano

Il tuo Dolore, lo sai, non ha un solo volto,
il marchio di un solo nome, non è uno
spillo tra tanti a trafiggere le tue notti.

Accarezzi la Solitudine e tra
le solitudini la riconosci: si fa sentiero al
centro dove il  pensiero è morbido
e s’accende di memoria
– giardino di fronde ombrose nei paesaggi
urbani e polverosi del vivere.

Poi, nell’ora che gocciola, aspetti che
lo sguardo s’inveri, buchi la siepe e
allarghi l’orizzonte ad uno spaiato verso: forse
stringerà tra le sue maglie una verità.

Così, come il contadino,
dissoderai per sempre la tua terra inquieta
e solo per un ricordo: il colore del grano.



Il poeta

cancella l’uomo modulato al mondo
e lungo un sentiero al centro trova di sé,
affianca l’ombra sua tinta d’immenso
e il passo si fa lento nell’ascoltarne il canto.
 (…)


Versi leggeri, luminosi scandiscono la memoria delle cose e il continuo riaffiorare degli affetti. (Ardea Montebelli)

La raccolta coinvolge il lettore nel fermento, che la nascita del giorno crea: la parola può solo sfiorarne la potenza. Se la poesia può ricordare e “quadrare il cerchio”, tuttavia l'essenza si trova soprattutto nel “silenzio di una rosa”. (Caterina Camporesi)

Credo che in questa silloge l’autore sia andato alla ricerca di uno stile ipnotico, giocando sulle pause, su alcune metafore inaspettate e su dei contenuti che lasciano al lettore svariate chiavi di lettura. Ho apprezzato molto anche la varietà dei testi e ammetto di essere stato catturato da alcuni versi che avrebbero potuto da soli diventare già una piccola perla. (Guido Passini)


Angela Caccia. Breve o lunga che sia una biografia, c’è il rischio che un troppo o un troppo poco non restituisca le giuste coordinate, non tanto dell’autore, quanto della visione che l’autore ha di sé. Mi perdonerà il lettore se, tenendo ben puntato quell’obiettivo, proseguo a ruota libera e inizio dalla fine di questa presentazione: f.to IO… e nel pronome includo chi scrive per cercarsi e comunque non si arrende a rimanere una X. L’ho riletto in un mio vecchio diario, mi ha intenerito e in fondo quella firma è ancora la mia. La poesia è tuttora lo specchio che mi rimanda, nel bene e nel male, i miei lineamenti, mi dà la consapevolezza di un ineffabile e chiarifica in qualche modo il resto. Inoltre scrivere di poesia riesce come a dosare in me un certo disincanto, anche se ne ignoro le dinamiche. E qui avrei ultimato la mia biografia di scrittrice di versi se la donna non rivendicasse un suo spazio, perché, se non è al di sopra, va certo al di là della scrittrice. È il suo mondo di affetti, famiglia e amici di quelli importanti, di pensieri – molti rubati ai grandi, altri che da questi si sono slanciati – che scorrazzano in libertà e inseguono, o si lasciano inseguire da, un’emozione. Altri ruoli insomma che negli anni si sono armonizzati tra loro. È la donna che, di fatto, tra vissuto e quotidiano, impasta da sempre la scrittrice. (… questo è quanto una X è riuscita, sin ora, a racimolare di sé) 


Secondo classificato
con Due poesie – Marco Mastromauro (Novara)

L’azzurrità

Ah, l’azzurrità che mi sta di fronte
m’ispira fino al settimo cielo ed anche oltre
in questo caffè di periferia
e già ti vorrei baciare così
tanto per provare, senza ironia,
la dissomiglianza che ci attira.

Isolatamente presi, tagliati tutti i ponti
(ormai pericolanti, privi di sponde),
eccoci qua, a soffocare lacune
tamburellando con le dita (forse colmo di te
sarebbe il vuoto del tempo passato
non sapendo, non prevedendo,
istintivamente cercando – ma dov’eri
finita – melodia d’un jukebox, forse, dico
forse, per non spaurirmi, sfuggirmi,
dovrei accostarmi alle tue spalle,
cingerti o meglio banalmente stringerti
– oh, qual instupidito gaudio – anche solo
per un attimo affinché poi, ricordando,
risognando e, astemio, fissando la parete
bianca, in me rincuorare).

Ah, cara dolce mia non mia, ora che ti volti
di tre quarti meglio si sporgono le forme
e il profilo si fa sempre più conforme,
il respiro fa crac e la voce sottile
ha un tremolio: forse è meglio non toccare
con i denti il bordo del bicchiere
mentre bevo con trasporto e tu brilli maliziosa
e il far della sera si fa gioioso (leggermente
febbrile) da quando il torpore d’incaute parole
ha esaurito il conforto e neppure un haiku,
un’occhiatina di codibugnolo, il profumo
d’un fitto aranciere, saprebbero velare
il nostro disarmato restare qui, spaesati.

gennaio 2012
 

 
Indietro

La scala che conduce avanti
sale a dismisura, ignobile e segreta, in te,
fino alla soffitta coperta di muffa
e odore di vecchiume.

È stato ieri che, per un nonnulla,
la borsa della spesa rovesciata,
un ritardo dell’ascensore,
ti è sembrato tutto una truffa, un sopruso
degli anni: hai sentito il caldo fluido che non s’è
potuto arrestare e, poi, slip e pantaloni
lavati a mano nella vasca e, meno male,
nessuno ha potuto vedere (nel sonno, poi,
impertinente risata, voglia di manomissioni).

Indietro, oltre l’infanzia, adolescenti
in divisa scolastica, ci si guardava
senza nascondersi e pensare:
amici per la pelle, sotto i gradini di casa,
la paura ben riposta come in un forziere.

Indietro, nella culla, labirinti
di suoni e impressioni e, poi, una coccola
in più, il viso sovrastante, piume
carezzevoli di mamma.

Ancora indietro, nucleo indistinto, sentore
di nuova vita, eri una profezia che risuonava
da laggiù, un sorriso riflesso di gestante
mentre lo stagno, contemplato ad occhi chiusi
lungo le ore estive, nel buio
si ricopriva del fremito delle libellule.

Ora accade che Dio non voglia premonizioni
né attese né si curi di un sì o di un no.
Lui sa ma non dice e, quando dormi,
ti consente d’essere uguale a una madre
a un padre ai ragazzi festanti,
ti concede riposo, un chiarore attorno,
altra veglia testarda, impudente sberleffo,
e il ritorno.

(31/12/2011)
 

Ciò che colpisce in questi versi è la ritmicità del verso e l'abilità descrittiva dell'autore. (Ardea Montebelli)

I testi si caratterizzano per il felice andamento narrativo, fluido e vivace: con  grazia e ironia convincenti  essi  raccontano l'amore, si soffermano sulla dimensione del tempo, sulla vita e su quanto sembra anticiparla. (Caterina Camporesi)


Marco Mastromauro. Da questo mondo infingardo cerco scampo dedicandomi un po’ alla poesia. Questa, peraltro, quasi sempre se ne sta alla larga, sospettosa: si fa leggere e osservare superficialmente ma poco si concede… Così, fingo di capire e, fingendo, riesco, forse, a sognarla e a sentirne il respiro perché “come il fumo lei penetra in ogni fessura”, è una madre benevola, una Regina, una servetta mordace e un beffardo giullare… E così mi chiedo, anche: – Ma voi che siete a Rimini tra i libri, lo studio, la fatica, i lavori, le “scosse” non solo emotive (ma pure, spero, a volte, “tra i gelati e le bandiere”), avete scommesso seriamente sulle Due poesie che, sventatamente, vi ho mandato?
 

Terzo classificato
con Il punto della situazione e altre poesie – Vincenzo Celli (Rimini)

Il punto della situazione

non in periferia
ma in questi nuovi infiniti centri
ci siamo persi

ecco allora che la lingua si sporca
poi si arrotola si accartoccia

si perde lungo il teatro dei pioppi
quasi infiniti sull’alito del fiume

ed è inutile cercare ricompense
tanto valeva non partire

nulla ringrazia gli occhi
nemmeno recitare le risposte

rimanere nascosti
farsi leggere



Sconfitte

amo la bella stagione
se è bella

adoro l’agosto nevoso
degli operai di Atene

ma devo ricordarmi
della sconfitta consapevole
il default pilotato

se amare in silenzio
è la cosa più difficile


Time


c’e stato un tempo
in cui anche io aspettavo
che cadesse qualcosa dal cielo

poi venne quello
del no grazie
mi slego da solo

infine sono arrivate un pò di cose gratis
tra cui una tua cartolina e un raffreddore

 (…)

Immagini, scene, che rappresentano il vissuto del poeta. I nessi sono volutamente sfuocati, allentati, per trasmettere al lettore una sensazione di sospensione dell'esistere: “come nuvole /con il fiato sospeso / staremo presso l'uscio / del nostro rimanere soli”. Il silenzio, spesso nominato, entra a fare parte del testo. La lettura dei testi mi ha richiamato la poetica degli haiku, ma qui il poeta rinuncia a proporre l'illuminazione di una sintesi: “ma in questi nuovi infiniti centri / ci siamo persi”. C’è la consapevolezza della impossibilità di testimoniare o rivelare un altrove: “l’unica cosa che mi permetto / è questo sguardo sul porto / controllo / non chi esce / ma chi rientra”. Nel complesso risultano ottime   poesie sobrie ed eleganti. (Claudio Roncarati)

Vincenzo Celli vive e lavora a Rimini dove è nato il 2-7-1960. Dopo avere conseguito il diploma di maturità tecnica e una breve parentesi come lavoratore dipendente, entra nel mondo del commercio, attività che svolge ancora oggi. Nell’ottobre 2005 scopre alcuni siti di scrittura su internet ed inizia, prima, a leggere le poesie degli altri, poi, a cimentarsi nello scrivere le proprie. Ha pubblicato il suo primo libro, Cocci d’ombra, con Fara nel 2009 ed è presente nelle antologie Salvezza e impegno (a cura di A. Ramberti) e Senza fiato 2 (a cura di Guido Passini) sempre edite da Fara nel 2010.



Quarto classificato
con Imago Christi e altre poesie – Mauro Nastasi (Riccione, RN)

Imago Christi

scannerizzare la mia visione del mondo
su una tela angusta

morirà
fatale sarà la noia
non la conoscenza
scorrendo come sabbia
tra le dita
        poche gocce di sangue

ma il dolore (quello oscuro)
mi resta
e aspettando la notte
non potrà sperare
nel giorno



The sky cried

lungo il fiume sillogico
avevo abbandonato
(come un oggetto morto)
le corde che tengono il mio corpo

sospeso
impiccato
mosso da qualunque vento

una carcassa di vetro
che non splende al sole



This fall evening

non avresti pensato
che l’eco del tuo sorriso
avrebbe resistito agli anni
nella camera chiusa
tra il cuore e la mente

eppure è così

nelle sere d’autunno
aspetto il tramonto
e comincio a parlarti

L’eco risponde
E mi riempie di gioia

(…)
 

In queste liriche, la quotidianità diviene, senza retorica, attesa e desiderio di mutamento quando tutto sembra sfuggire di mano. (Ardea Montebelli)

Ci sono due poesie di questa silloge che mi hanno lasciato completamente appagato. Due poesie francamente inattese in una silloge con questo tema, ed invece sono state espresse con quella fragranza e anima che un autore deve sempre mostrare. Il ritmo incalzante dei testi e il sussurro assordante di alcune metafore mi hanno lasciato quel qualcosa in più rispetto agli altri testi. Complimenti. (Guido Passini)

Mauro Nastasi è nato a Giulianova (TE) nel 1953 e si è laureato a Bologna in Medicina e Chirurgia nel 1977. È specialista in Anestesia e Rianimazione e, dopo esperienze di lavoro a Bologna e Imola, lavora presso il Presidio Ospedaliero di Riccione dal 1977. Ha pubblicato alcuni libri di carattere scientifico, attinenti il suo settore di lavoro. Ama la lettura e il cinema italiano.




Quinto classificato
con La più bella età è quella che si ha – Sergio Sabattini (Cassina de’ Pecchi, MI)

La più bella età      è quella che si ha

Quasi una gita, quando stai bene,
Un treno è la vita, che va e che viene.
Ardori, speranze, e poi delusioni,
Risate solenni, pianti, emozioni!
Ansie e poi gioie, spesso alternate,
Nutrono insieme le tue giornate,
Tante vissute e alcune sprecate!
Anno su anno… è il tempo che passa;
Spendi la vita e il tempo la incassa;
Entri nel tempo per fare la storia:
Ti trovi già vecchio e privo di boria;
Ti arrendi alla fine al tempo che incalza:
E il tempo è di fretta e non fa la calza!

Ma intanto la vita ribolle, ruggisce,
Ostenta una grinta che impaurisce.
Ricordi: nessuno! ma nuovi pensieri
Brandiscon lo scettro di nuovi poteri:
Oggi e domani sono i giorni migliori!

Cento profumi e varietà di colori
Hanno con sé un nuovo germoglio
E costruire è motivo d’orgoglio!

Pur se una spina ti entra nel fianco,
Affonda nel corpo e ti rende più stanco,
Rigando lo spirito nel punto più duro,
La resa è impossibile e con spirito puro
Aspetti, raggiante, un raggiante futuro!!!


(Sergio nato nel 1950, ha scritto questi versi nel 1997 in occasione del suo 47° compleanno.)

 
La (solo apparentemente) scontata adesione ad una facile figura stilistica consente al poeta di liberarsi di molta zavorra espressiva, facendolo approdare ad una levità che commuove per intensità espressiva e comunicazione diretta (complicità). (Angelo Chiaretti)


Pittore, compositore, musicista, inventore e poeta, Sergio Sabattini nasce a Rimini il 6-7-1950. Nel 1972 si trasferisce a Milano, dove trova, oltre al lavoro, l’amore. Qui ha modo di esprimere il suo estro creativo frequentando l’Accademia di Belle Arti di Brera e dedicandosi alla musica: diventa compositore e sassofonista in un’orchestra di liscio, poi in un trio di musica leggera e dal 1994 nella banda del paese insieme alle due figlie gemelle. Nel tempo libero scrive acrostici o crea originali e stravaganti invenzioni. Nel 1992 gli viene diagnosticata la malattia di Parkinson che lo costringe ad abbandonare la pittura e la musica. Non per questo si dà per vinto e si avvicina ad un’altra passione: l’orticoltura. 


 
Opere segnalate per la sola pubblicazione online nel blog farapoesia

Scusate il disturbo di Colomba Di Pasquale (Recanati, MC)

Patch Adams

L’amore non è solo un sentimento
è anche un’intelligenza.
La solitudine è l’esperienza più devastante dell’uomo. 
Non io ma noi.
Sarò io,
solo in un noi.
Vivere per gli altri,
vivere felici.
Io posso farlo.
Noi possiamo farcela.

***

Sono ancora in volo,
un volo a mezz’aria,
un po’ pesante e incerto.
Quando scenderò,
tutto chiaro vedrò,
imposterò i piedi.
Sarà discesa studiata,
calibrata,
un sol colpo,
un unico tocco.
Toccherò terra a piedi uniti.

Solo allora sarà tutto finito.

***

Nel primo quarto del giorno
che mi vedeva spenta
risalii la china
e vidi le genti
dall’ingiù all’insù.
Percorsi a ritroso l’andare
e puntando i piedi nella discesa
che mi precipitava a mare,
vidi le stesse genti
dall’insù all’ingiù.

Felice pensai
che bastava cambiare la direzione
per vederci più chiaramente
ossia a contrario.

***

Faccio scorrere il tempo
come anello tra le dita.


Palombina

Che spiaggia sempre ridente ci sia
e poco affollata.
Romolo a sera a ritirar la sua spiaggia,
disperdere i piccoli maremoti monelli
instancabili costruttori di castelli e piste.
Che sia sempre il tempo per fermarsi un giorno
che poi a sera si torna a casa
coll’arsura sulla pelle,
la stanchezza negli occhi
e la voglia di tornare
lì dove tutto scorre,
il giorno dopo.
Che ci sia tempo per guardar
le stelle di San Lorenzo
che restino tutte attaccate in cielo
nessuna cadente
realizzeranno egualmente desideri.
Oh pia luna,
aiutale a restare a galla!
Dico le stelle,
non noi,
naufraghi sempre, noi.

***

Si spegne in me l’idea
di trovare il faro di là dalla collina,
puntello il tempo.

Sono sempre lì lì
per staccare i piedi da terra.


Surprise

Vedere passi di passero
sulla neve fresca fresca del mio balcone.
Esitare con la scopa,
spazzar via segni di vita.
In questo gelido febbraio 2012
i segnetti a ventaglio,
distanti non più di dieci centimetri.
Piccoli passi decisi
in cerca di casa,
io che in casa da giorni
mi beo
del bianco candido
e immacolato
tra terra e cielo
e cielo e terra.
Di un passero senza casa
aspetterò con ansia il ritorno.
Preparo tappeto di briciole
in suo onore.


appartamento


che ci fosse tutta questa vita
intorno a me e al mio appartamento
non lo avrei mai saputo
se non fosse per la neve
che mi ha imprigionata tra mura bianche
dal confinato cielo cupo ma chiaro
nevica a cielo aperto
lo straccio per terra che solca il pavimento
del piano di sopra
la bimba piange ora di sotto
ma no forse gioca con il fratellino
volteggia il platano di neve carico
al di là della portafinestra
trascino il passo al divano
si chiude e apre la porta dell’ascensore
la tv racconta un manipolo di famosi
lottano per un pezzo di carne
ancora i passeri
si dannano l’anima e il cuore
a cercare tra la nuda terra bianca
qualcosa da beccare
dal piano di sopra note di studio al pianoforte
sotto giovani mani.


***

Resto viva per gioco
poi quando non mi piace più
torno volentieri a morire


Scusate il disturbo

Scusate il disturbo:
arrivo lenta,
mi poso male
e mi poso bene;
riposo su ogni cosa,
su di te e in te.
Scendo a semi,
semi tanti;
candida neve sono.



Il testo in particolare della poesia Palombina si caratterizza per la spettacolarità delle descrizione paesaggistica, nella quale le cose diventano creature personali e poi svaniscono nell'immensità dell'universale (Angelo Chiaretti)


Colomba di Pasquale è nata nel 1968 a Lilla in Francia. Di origini abruzzesi, insegna in una scuola primaria di Recanati dove vive. Presso Del Monte Editore ha pubblicato Viaggio tra le parole nel 2006 e presso Nicola Calabria Editore Una vita altrove nel 2007. Nel 2008 è stata inserita nell’Antologia Il silenzio della poesia con la silloge Dei Silenzi (e degli ascolti) edito da Fara Editore con cui ha pubblicato nello stesso anno anche Il resto a voce. Nel 2010 presso Genesi Editore ha pubblicato Dulcamara con prefazione di Vivian Lamarque. È presente in diverse antologie letterarie e ha conseguito numerosi riconoscimenti sia per la poesia edita che inedita. Dice di sé che ha il vizio di scrivere poesie un po' per sé e un po' per gli altri. 




Declinare di Mario Ferrari (Moncalieri, TO) 


Gracile il vincolo
Che unì alla luce


Inquieto umanizzare
Errando nel pensiero

E

Domani l’assoluta
Tensione dell’eternità


L’estrema sintesi espressiva (caratteristica della poesia ermetica) riesce  ad arricchirsi di toni che non stancano nel loro egoismo e consentono al lettore un comodo letto di Procuste con cui fare giustizia del mondo. (Angelo Chiaretti)


Gocce di saggezza dei Ragazzi del Glicine (Bellaria, RN)

Piccole poesie dei ragazzi del Glicine

LA NOTTE

La notte è come un entrare in un limbo… né inferno né paradiso.

La notte sono i sogni, il dormire e l’oblio. Rappresenta il blu scuro ma a volte fa paura.

Di notte c’è chi dice il rosario e chi dorme per via delle medicine.
C’è chi suda sognando i suoi morti e chi suda sognando i suoi fidanzati.
Com’è bello sognare di fare l’amore!

Quando non dormo uso la notte per pensare a quello che ho fatto e a quello che dovrò fare.
Se avessi un compagno farei l’amore invece di pensare.

Di notte si pensa ma per fortuna si può anche non pensare.


LA GUERRA

La guerra è una cosa tremenda
La vogliono i paesi ricchi ma si combatte nella terra dei poveri.
In guerra si può solo perdere.                                                                                                   

Si motiva la guerra con cause religiose.
Forse è una scusa o forse no.
Se ci fosse solo una religione non ci sarebbero tante guerre ma sarebbe più bello se ci fossero tante religioni e nessuna guerra.

Ma in amore e in guerra non si guarda in faccia nessuno…
o forse l’amore che non guarda in faccia a nessuno ha un altro nome? … Egoismo mi pare.
           
La guerra è una cosa violenta che riguarda le persone…
è anche una condizione che si vive dentro:
Volere una cosa e anche il suo contrario.



IL PASSATO

Il tempo è un fiume che scorre e il presente diventa subito il passato.
           
Per chi soffre di una malattia come la mia, il passato si ripercuote ogni giorno sul presente…
Molto duramente.
Il passato pesa sul presente di tutti, ma per i malati mentali, ancora di più.
                      
Le malattie della mente sono come avere un blocco nella testa …
il  blocco del passato che causa un dolore che rimane nel presente.
           
Ognuno ha la sua storia e in questa storia, in modo sempre diverso, il passato rivive nel presente. A volte dolorosamente… a volte dolcemente… a volte legalmente… altre ancora psichiatricamente.
                                                         
Una volta potevo prendere la macchina ed andare in centro da sola. È una piccola cosa del passato che sogno ancora nel mio presente.                                                                                                           

LE DROGHE

Gli psicofarmaci sono come le droghe, solo che li danno i dottori
che sono dalla parte dei buoni
non come gli spacciatori
che invece sono dalla parte dei cattivi.

Usare le droghe affatica la mente che rischia di crollare nel baratro per nulla dolcemente.
Questo non capita sempre: a volte la mente è equilibrata e regge ai terremoti.                                                                                                       
Le droghe non fanno per me: Io già non vado d’accordo con la mia mente.
                                                                                                        
Una volta erano solo gli sbandati a drogarsi e ce l’avevano scritto in faccia. Adesso invece si drogano tutti…
belli e brutti.
                                                                                                                               
La droga fa soffrire. Forse non subito, però crea una illusione che prima o poi trasforma la tua vita in un macello.

LA MALEDUCAZIONE

Non si può andare tutti d’accordo perché siamo diversi: Serve la conciliazione.
La forma però è sempre grossolana nella maleducazione.

Essere maleducati porta a non rispettare chi ci sta vicino, prevaricando persone e spazi.

Curare sé stessi è una forma di educazione.

Ho avuto tanta maleducazione dalla vita. Spero di aver trasformato le cose brutte in qualche cosa di bello.
                                                                     
La maleducazione è quando non lasci parlare chi ti sta vicino.


Di questa silloge ho apprezzato il modo in cui è stata strutturata, quello che il primo verso di ogni poesia mi ha lasciato nella mente. Anche i temi scelti non sono assolutamente scontati così come non lo è lo stile. Un mettersi a nudo che personalmente apprezzo molto, forse perché molto vicino al mio modo di affrontare le tematiche che parlano di salute, forse perché in alcuni passi mi rispecchio molto, o forse perché semplicemente sono buone poesie che fanno riflettere. (Guido Passini)



Clochard di Maria Grazia Spada (Castenaso, BO)
 
Stai disteso
immobile
e non t’importa
la strada è la tua casa
Le lancette ormai
non sono più padrone
sei relitto alla deriva
in un mare di rumori fermenti agitazioni
Barba lunga piaghe lungo il corpo
hai sputato questo mondo
l’abbandono
il nulla
sono nutrimento
E resti lì
senza perché
fino a quando la morsa del nuovo ghiaccio
porterà via come ultima preghiera
il tormento di un respiro


Il testo nella sua brevità descrive in modo efficace la vita di una persona, senza più casa. Non resta che la solitudine e il sentimento dell'abbandono, nell'attesa dell’ultimo respiro. (Caterina Camporesi)
  
 
Maria Grazia Spada dal 2005 partecipa a Premi Letterari. Nel 2007 pubblica il  romanzo Atropa belladonna, primo di una trilogia di ambientazione medievale.
Alcune poesie sono inserite in Antologie di Premi Nazionali. Invitata da Assessorati alla Cultura e Associazioni Culturali in Emilia Romagna, Toscana e Lombardia  con il suo  programma di Poesie e Musica.

 




Domani… sì di Concetta Mocata (Rimini)


Domani potrai guarire
domani sì… potrai guarire.
Mentre la tua vita va avanti
a singhiozzi, domani sì… potrai guarire.
Ma oggi vuoi restare lì… ferma,
con i fantasmi del tuo passato,
con il  dolore che ti tiene sveglia e ti culla,
con la tua amica insonnia che non ti lascia mai da sola.
Oggi puoi restare ferma e immobile così:
senza pensieri e senza sorrisi finti!
Che male c'è… tutto ciò che sei è chiuso qui,
dentro quelle quattro mura della tua anima.
Ma Domani potrai guarire,
domani sì… ma solo domani!


È una piccola poesia, solitaria come una margherita fragile e delicata in una grande aiuola piena di fiori dai colori chiassosi. Trasmette con intelligenza un momento di contatto con un vissuto depressivo colto come pausa, contatto necessario con sé stessi: “Oggi puoi restare ferma e immobile così: / senza pensieri e senza sorrisi finti!, pausa per poi potere ripartire.” (Claudio Roncarati)


Concetta Mocata è una ragazza siciliana di ventinove anni, giovane e appassionata dell’arte e della moda. Si è laureata presso l’Università degli Studi di Parma in “Prevenzione e Sicurezza nei luoghi di lavoro”, adesso vive a Rimini (RN) dove lavora e si dedica ai suoi hobby per la letteratura e il sociale. “Insanamente 2012 ” è il primo concorso di poesie a cui partecipa.



Bisogno di eroi di Claudia Distefano (Comiso, RG)

BISOGNO DI EROI

C’erano una volta
un eroe e una ragazza.
La ragazza usciva a volte
in cerca dell’eroe
(sebbene non fosse
malata, né avesse bisogno
di qualche aiuto particolare)

ma lo trovava sempre
dietro un muro di vetro stregato.
La ragazza vedeva l’eroe
ma lui nemmeno sapeva
dell’esistenza di lei.

Cerca, cerca,
accadde una buona volta,
che la ragazza guardò meglio
oltre il muro di vetro stregato
fino ad accorgersi…

di quanto l’eroe fosse antipatico
e pieno di sé
fino ai capelli!

Fu così
che decise di cercarsi un altro eroe.

(preferibilmente senza muri di vetro)


DAL FINESTRINO

Convinta
di averti intravisto
in un campo di viti
a qualche Km da Pedalino.

Ho passato un po’di tempo
ad infuriarmi

per il mancato avviso
(più che altro
per altri
“più enormi”

motivi)

Ho consolato
per un po’ il cervello
con questa spiegazione accomodante

ma è crollata,
quando ho intuito
che l’odio
non è adatto a scolorire
le macchie di dolore.


NOTTURNO

Ricostruisco
angosciosamente
incubi
e cadute

Intanto
una racchetta da tennis
bianca e rossa,
uccide senza il mio intervento
le poche

zanzare che ho intorno.



POST-IT

Facendomi coraggio
mi sono girata a guardare
e ho scoperto che lo squalo
era in realtà un pesce palla.



QUESTO 22 MARZO

mi accarezza le palpebre gonfie.

Ed è dolce, passare
per passante
a chi forse non sospetta
le paure di una mente


Ricordare,
dimenticare,
applicarsi,
scrivere un diario.

(nei paesini di campagna
sono il mio unico psicanalista)
: Ricordare 12 anni,
cancellare 12 ore
è un esercizio che voglio cominciare,
che devo…

ma non in questa passeggiata.

non con questi bei ragazzi in giro.


SOGNO ISPIRATO DA CHISSà CHE COSA

Ho sognato sette giorni,
li ho pensati senza domandare
“Sette giorni in mezzo a un mese!
anzi tre, prima di ricominciare”, Sì
ho pensato a sette giorni al mare.

Ma non c’ero mai venuta qui,
non c’ero mai passata
nel tragitto dei miei sogni,
in questo cortile mi dici così:
“Non siamo ancora in vacanza!
Soprattutto non puoi uscire il lunedì;
non puoi uscire così,
non puoi uscire da qui.”

Strano quando si sogna
un altro sogno che si spera.
Io in questo sogno non c’ero mai passata,
in questo cortile, su questo muretto
non mi ero seduta mai

a guardare da quest’altezza,
ad aspettare un tizio
con i capelli ondulati
che mi pare si chiamasse Giovanni…

Mi sembra, perché è a questo nome
che penso da sei ore,
da quando sono sveglia.

Non avevo mai pensato a un
carcere in estate.



STORIA DELL’ARTE MEDIEVALE

Se il mio corpo fosse architettura,
le gambe - anche se corte -
mi sembrerebbero le più adatte
ad impersonare i pilastri.

Si chiamano “contrafforti”,
nella realtà, quando sorreggono
gli archi del tetto,
ne contengono le spinte, la forza
la catturano
nella fermezza del pilastro.

Mi chiedo quali sono i miei pilastri

quando devo scegliere
se contenere o assecondare
le spinte dei miei “archi
di umore”.

Non mi sembrano più contraf-forti
le mie gambe,
quando cominciano a tremare.



UN CIONDOLO ORIENTALE

Ho scoperto che esistono
le malattie dell’anima
nel senso dichiarate,
analizzate, comprovate.

Devo legarla
ai polsi e ai piedi,
farla calmare;
cambiare

il fazzoletto sulla fronte,
sugli occhi,
aspettare

che siano dinuovo perfetti
gli esercizi di chi kung
sulla terrazza a piedi scalzi.



Il poeta trasmette con parole semplici senza fronzoli la capacità di lasciarsi stupire, anche dolorosamente, dall'esistenza e chiama il lettore a condividere lo stupore, senza preconcetti. Forse manca un po’ di “esperienza” ma verrà con il tempo. (Claudio Roncarati)
 
Claudia Distefano, classe 1988, vive a Pedalino (Comiso) ma la sua settimana si svolge per tre quarti nella città di Catania. Qui è laureanda in Lettere moderne e lavora attualmente ad una tesi di Letteratura tedesca sull’opera di Michael Ende. S’interessa di letteratura per l’infanzia e collabora con il sito ludico-letterario www.asterischi.it