giovedì 10 gennaio 2013

Sotto il sole (sopra il cielo)

recensione di Vincenzo D'Alessio

Ho letto l’ultima raccolta di poesie di Alessandro RambertiSotto il sole (sopra il cielo), uscita nel dicembre scorso presso FaraEditore, la casa editrice da lui fondata e che accoglie tante giovani voci della poesia contemporanea. Non mi sono meravigliato della scelta di aggiungere anche la traduzione dei versi in cinese: l’Autore ha una lunga esperienza con questa lingua e con la sua storia già dal percorso di studi che ha seguito in gioventù. Sono rimasto invece meravigliato per la scelta del percorso metafisico, ontologico e filosofico utilizzato per invogliare il verso a seguirlo.


Sono andato alla chiave di lettura, la Bibbia, i Vangeli, per comprendere appieno il senso dell’insieme, dell’immensità da racchiudere in un libretto di poesie, del roveto ardente che brucia e non consuma gli occhi di chi legge. Anna Ruotolo mi è venuta incontro con la sua postfazione a diradare il velo del silenzio: “È un libretto simbolico e insieme aperto, chiaro, applicabile, come un buon desiderio di esercizio costante nella riscoperta dell’umano buono, quello che più direttamente promana dal divino” (pag. 83). Riprendere in versi il libro dell’Ecclesiaste, la Parola dei Vangeli. Sono arrivate alla mente le parole di Gesù riportate nel Vangelo dell’apostolo Matteo: «Il regno dei cieli, infine, è simile ad una rete gettata in mare, che prende ogni sorta di pesci. (…) Egli aggiunse: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che trae fuori dal suo tesoro cose nuove e antiche.”»

I versi della raccolta di Ramberti si aprono, parola dopo parola, proprio come cose nuove prese dall’antico. Bisogna munirsi del bastone da viaggio e camminare chiedendosi ad ogni passo: qual è la direzione giusta nel deserto, quando possiamo riposare? In principio il racconto in versi si apre con la parola “Quando” (pag. 9) e si concluderà con l’invito “Accetta” (pag. 59). L’io dell’Autore compare poche volte; più volte il noi. Vorrei citare molti versi perché tante sono le domande che si profilano lungo il racconto. Per esempio il verbo più usato è la terza persona del verbo Essere, quasi a dirci: lettore stai ascoltando in poesia le corde del silenzio della mia anima, la cetra di Davide che eleva al misterioso e impronunciabile “Jhwh” il canto del suo amore, il continuo desiderio dell’incontro con “la vastità del mare”.

Il confronto con la modernità c’è ed è forte. Compaiono nei versi le parole come computer, news, virtuale, bosoni, accanto al lessico antico venuto dal popolo ebraico e divenuto il nostro. L’invito compare in molti verbi e in tanti capoversi delle poesie che compongono la raccolta: “Apriti, apri il tesoro / sconfina i minuti / conturba la prassi accidiosa / devolvi il tuo nucleo di storia / coltiva e non cedere / all’assurdo / che tarla e fomenta il destino” (pag.59); “Accetta “(pag. 59); “Vieni” (pag. 39); “Cancella” (pag. 57). In poche occasioni l’Io compare a fare la sua parte: “Ho risposto con semplicità / ferrando i piedi”(pag. 23); “Chi posso riconoscere / se non Te di cui mi è giunto / il parabolico racconto” (pag. 28); “Siedo accanto a una ginestra” (pag. 33). Tutto il racconto è pervaso dal sacro: “Quando avrai soltanto corde rotte / sarai la mia più autentica poesia / (…) La fede ha terre incognite / ed ogni azione un limite” (pag. 30).

La contemporaneità affiora nella poesia Mangiati a pag. 48: “i potenti gonfiano / flaccide bolle finanziarie / si resiste su spiagge / affogate di profughi / le camere chiacchierano cortigiane / le chiese si svuotano”. Allora qual è la strada da scegliere in questo cammino tra umano e divino? L’Autore ce lo indica nella poesia “Conversione” a pag. 40: “Prendile queste domande: / sono in prestito, usate / da sempre, / ma non si consumano”. Proprio così tutta la fatica della nostra esistenza è racchiusa nell’eterno dubbio delle domande che ci portiamo dentro, nell’anima e in questo fragile corpo che di fronte al dolore della morte si affanna: “ Noi che sorella morte fa tremare / siamo attirati più dal vuoto del Nirvana / che dalla inquadratura esatta / di una Croce. “ (pag.47)

Vorrei concludere, adesso, il cammino insieme al Nostro riportando ancora una volta le parole dalla postfazione di Anna Rutolo: “E, sopra e sotto questa, la scelta etica kierkegaardiana dell’uomo a scegliersi sempre, continuamente, nella sua libertà” (pag. 84).

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