lunedì 18 febbraio 2013

Su La caccia spirituale di Massimo Morasso

Recensione di Franco Casadei

slide home mUn libro di grande respiro (MassimoMorasso, La caccia spirituale, JakaBook, pag. 95. Euro 12), “totale” in un certo senso.
Un percorso suddiviso in tre stazioni: la genesi, l’espiazione, l’oscurità.
        
Nella prima poesia troviamo il momento  dell’alba, il segno dell’origine – la genesi – il risveglio del giorno e della creazione. La stessa alba che ritroviamo nell’ultima composizione («un’alba mite / la nostalgia dell’Eden») che ricompone la drammaticità del vivere («un cosmo ricomposto /… la meraviglia, all’improvviso, per quello squarcio/ smisurato fra le nuvole lassù /… E tutta questa chiarità che mi circonda»).

In Genesi, il primo testo, uno dei più belli in assoluto, («Per ascoltare l’oceano nascosto nelle onde, il silenzio / al principio e alla fine del respiro / osservo il timido balletto delle tortore / e provo a dare voce alla finestra della sala / quando è l’alba, l’alba / che sboccia come l’ultimo dei sogni…»), si descrive l’inizio del giorno come possibilità di una speranza nuova, benché l’autore enumeri ricordi, immagini di dolore, intuizioni, appunti, note, miraggi, preghiere e turbamenti; un diario  della sua vita insomma, tormentata («come non pensare alla fine di una civiltà / se… l’avvento del sole sembra uguale al suo declino»; e ancora, «l’inferno è l’eterno / tormento di non amare nessuno, / non credere a niente, non essere mai stato / in nessun pianto»), ma vissuta nella fiducia di un esito positivo («l’incontro, all’improvviso con la roccia da cui sgorga / un flusso pullulante senza fine /… ne hanno nascosto il corpo /… oppure sollevandosi, davvero ha capovolto la natura? »).
E si chiede alla poesia “«il dono della vista più essenziale, / il senso non carnale che sollevi alla chiaria». E si prosegue in questo percorso della speranza: «così ci tocca di patire il mondo / sperando che oltre il mondo si spalanchi /… un’oltreumana specie di al di là».
Non manca, pur dentro un cammino personale, la consapevolezza di una chiamata comune, di un appello alla condivisione delle nostre umanità: «cosa si deve fare dell’amore / se non abbiamo neanche la pietà / di chiederci l’un l’altro / la nostra breve storia /… il cuore semplice della vicenda comune / cosa sono io / cosa sei tu / in questa bolla d’aria».

E si passa ad Espiazione, con una citazione splendida della mistica Caterina Fieschi Adorno: «Mi pare essere in questo mondo/ come quelli che sono fuori di casa loro…»
Si annota una chiara continuità con la prima stazione, con una rappresentazione originalissima delle anime purganti, quasi buffa nella prima poesia («Le anime che sono in purgatorio / non hanno altra elezione che di starci /… neanche possono dire io me ne andrò prima di quello…»). Come pure pieni di complicità con le anime purganti appaiono i versi: «Esclusa quella dei santi/ non c’è felicità comparabile / a quella delle anime del purgatorio //… La ruggine del peccato è l’impedimento/ ed è il fuoco a consumare la ruggine». Una complicità che - considerata la quasi impossibilità, se non per i santi, di guadagnarsi in prima istanza il paradiso –  esprime la speranza certa di potere ambire, prima o poi, al ricongiungimento con Dio. E c’è l’enumerazione di tutte le piccinerie umane che hanno portato e portano tante anime a dovere in qualche modo “purgare” le proprie debolezze («quel popolo affannato nei commerci / che passa il tempo in distrazioni futili //… l’horror vacui… è un orizzonte»; si finge «l’un l’altro di essere felici». E gli intellettuali pieni di sé che ammaliano i ragazzi che a «loro volta vanno verso il nulla». Tuttavia, anche dentro questo squarcio in negativo, il poeta trova elementi di rinascita, capisce dove sta il vero di sé («le catene / che legano le cose a noi mortali / e in alto, nell’aperto, all’Incredibile»). Da cui l’attesa «di poter volare / oltre i confini della mia memoria». Più in là,  - come già ci richiamavano Rebora e Montale nei loro versi – dove «le anime del purgatorio / hanno speranza di vedere quel pane / e di saziarsene».

Infine l’ultima stazione, Le oscurità. Tutto il buio del percorso umano non distoglie l’uomo, nel suo peregrinare dentro una grande orfanità, dal potere intravedere ad un certo punto «Un varco celestiale //… l’anima / è attratta da qualcosa di immortale». «Venga il Natale e le dolcissime ore buone». «Ora lo so: dentro / accolgo l’Essere e il suo bene // Tutto/ respira e tutto ringrazia».
Resta il mistero di questo bene che ci accoglie, non lo possiamo tutto comprendere, «però nel fuoco dell’amore prende forma //… il male nonostante». «Un cosmo ricomposto nelle pieghe del pensiero //… quello squarcio / smisurato fra le nuvole lassù //… E tutta questa chiarità che mi circonda». 

Un’opera, questa di Massimo Morasso, che è un giudizio chiaro, sull’uomo e sul suo destino. Che si distacca dallo scetticismo che riempie tante pagine della poesia contemporanea. Un libro coraggioso, maturo, senza alcuna paura di esporsi ad un confronto sul senso dell’umano. Con una scrittura limpida e di facile accessibilità anche per i non addetti ai lavori. Un bel contributo che merita di essere letto e fatto proprio, in quanto rappresenta un aiuto ad avere uno sguardo positivo sulle cose, senza censurare nulla della fatica del cammino.

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