venerdì 1 marzo 2013

L’ultima stagione di Oreste Bonvicini


L’ultima stagione



                              Non è di oggi
  la percezione d’assenza
  che il distacco dalle cose terrene svela,
  mentre s’appresta, nell’allure fiacca
  dell’afa sulla pianura,
  l’ultima stagione.

  Rari si fanno i punti di riferimento
  un tempo cornice alla memoria,
  ma al calore che costringe per poche ore,
  si oppone la spinta di un vento strano
  che spiana e piega le fronde,
  che muta il corso della storia.

  C’è acqua nei fiumi quest’anno
  e scorre via come i giorni brevi
                     di cui poco rimane.



* *


Questo vento che spalanca le finestre
e urla tra le imposte
non è di stagione che ripete un copione,
bensì un segno che avverte
e s’appresta oltre i vetri
e dilaga per la casa fredda non di gelo,
ma di un silenzio che sa di morte.

Citarla con il suo nome
è l’esorcismo estremo.
Non il timore che ci insidia
bensì il dolore che l’annuncia.



* *


Potrebbe svelare luce
un corso d’acqua
trasparente.

Un fiume le parole,
un tratto di penna
potrebbe finalmente
fiorire sul nulla
che ci sta cadendo addosso.



* *


Dinanzi a questo abisso
attraversiamo le vie delle città
cercando del nuovo i segni concreti,
forse un fiore tra le pietre,
non feticci né mostri che tormentano i sogni.

E non sono ricordi bensì parole
quelle che dilagano in centro,
animate piazze di niente
dove si specchia chi s’avvede
del vuoto, sopravvive e soffre.



* *


Le città sono in rovina.
Ci eravamo illusi che le pietre
fossero testimonianza senza età,
ora, sotto questo cielo,
scopriamo la linea ultima delle case
dove vite vissute in fretta hanno lasciato
alloggi incustoditi e finestre spalancate,
vuote come orbite di un teschio.

Gli anni sono rappresi con i ricordi
di brevi stagioni calde
e confondiamo guerre con calamità naturali
che si susseguono nel dolore che ancora dilaga
                               e uccide di strada in strada.



* *

                        
                    Indagando la zona grigia, 1
comprendiamo come in questi giorni
si assapori veramente l'atmosfera
dell’ultima stagione.
Per questo vorremmo tralasciare ogni impegno
e,  facendo un passo indietro,
scoprire l'orologio fisso alla parete
in grado di svelare ogni attimo non vissuto.
Il non silenzio del ticchettio
                        è tutto il tempo.
Potesse non essere prigione
fino all’esaurimento,  
ma indagando le zone grigie del passato,
scoprire come tutto possa ancora avvenire.

Non c'è  nuovo senza memoria
e se del tempo che ci inganna poco resta,
non sia illusione  farlo nostro
per scoprirci poveri e derelitti,
peggiori di ogni nostro dire,
anche di questo fare poesia e poi svanire.

1 Durs Grunbein.




Oreste Bonvicini è nato ad Alessandria nel 1958. Risiede a Casal Cermelli (AL). Dice di sé:

“Ho sempre volto barra alla scrittura, ma il tempo, durante la navigazione, ha visto errori di rotta, con il vento o la burrasca rimandarmi al largo o verso sconosciuti lidi. Ora, benché s’alternino lunghi periodi di bonaccia con l’illusione che patria sia l’ovunque, scorgo il tramonto che s’allunga mentre Itaca non è più la meta…”

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