giovedì 13 giugno 2013

Su Poeti e poetiche

AA.VV., Poeti e poetiche, a cura di M.Barbaro, L. Benassi, G. Lucini, Edizioni CFR, 2013 


recensione di Vincenzo D'Alessio


L’Antologia poetica proposta da Gianmario Lucini con il titolo Poeti e poetiche 2 ha all’interno diverse voci del panorama contemporaneo: Guido Oldani, Gilberto Isella, Lucio Zinna, Lucianna Argentino, Roberto Bertoldo, Domenico Cipriano, Antonio Contiliano, Luisa Pianzola. Questi “otto autori italiani, diversissimi per poetica, per tematiche, e anche per linguaggio”(dall’Introduzione di G. Lucini) sono chiamati a rappresentare la poesia contemporanea, “soprattutto quella di rango e meno conosciuta” (ibidem). Alla stregua di un critico d’Arte, Lucini, tenta la strada che fu del grande Federico Zeri, nel suo libro: “dietro L’immagine” (Longanesi,1987): raggiungere la maggior parte dei lettori e “sottolineare l’inadeguatezza delle nostre politiche culturali che, a tanta potenzialità artistica, non dedicano neppure uno sguardo, al di là del colore politico dei governi” (ibidem).

Il poeta che interpreta la poesia “meridiana” (cito: F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, 2005) a livello internazionale in questa Antologia è Domenico Cipriano: irpino per nascita; viaggiatore per spontanea scelta; ricercatore per ermeneutica: intesa, quest’ultima, nel senso di “arte dell’interpretazione”. Il Nostro, in una recente intervista ad un quotidiano on line, ha dichiarato: “Attraverso la poesia è possibile dare un volto al mondo che ci circonda; una chiave di lettura altrimenti non traspare, perché delle cose ci appare solo la superficie, così, difficilmente, le persone sanno leggere dentro se stessi e dentro gli altri” (sanniolife.it 2013). Ha colto questa sfaccettatura della poetica di Cipriano anche il poeta Luca Benassi, che introduce le poesie qui inserite del Nostro: “l’uomo assomiglia fino ad identificarsi con gli oggetti che possiede, regala, utilizza, proprio come l’uomo del paleolitico è identificato dalle selci scalfite recuperate dagli archeologi” (pag. 103).

“Si è raggrumata in sogno / la sequenza dell’adolescenza / noi due seduti: tu intento / a leggere il giornale, io / un libro, cogliendoci nelle parole, / fermando quell’istante quotidiano / colpa gli odori della casa / il calore della stufa a kerosene / e il velluto a scacchi delle poltrone.” (a mio padre, pag.104). I versi svolgono il testo in prosa, rilasciando nel “fermo immagine” (kairos) i contenuti del viaggio dal luogo conosciuto, dagli affetti, all’ignoto del tempo che sopraggiunge. Le persone, il poeta, scompariranno lungo il fiume dell’esistenza. Gli oggetti hanno un calore, raccontano, testimoniano, il vissuto (kronos), il reale, le necessità, che dai versi si svelano nel sogno. “Mi hanno sorpreso di notte / in un sobbalzo della mente / che si concede raramente indietro” (idem, pag. 104).

Il luogo dove è nato il Nostro è posto in alto, molto in alto, e domina tutti i paesi circostanti. In quel luogo passano e si formano le coordinate dell’incontro tra un meridiano e un parallelo, uno spazio poetico che sembra confinato al luogo, mentre a guardarci bene, sconfina nell’infinito degli altri spazi del nostro pianeta dove abita la Poesia: “Ci è stato donato un mondo / inverosimile, / tra vetrate innalzate e seminterrati, distanze paradossali, / astrali prove di esistenza” (pag. 105). La poetica di Cipriano è innovativa perché ha infuso un calore nuovo nelle parole: “La maturità di Cipriano è costituita da questa presa di coscienza che la realtà nella quale si esplica il vissuto è fatta di scambi, sinallagmi, relazioni, ruoli” (L. Benassi, pag. 103).

A seguire il racconto, iniziato nell’esordio al pubblico con la raccolta Il continente perso (Fermenti, 2000), il Nostro giunge oggi a queste opere maggiormente rappresentative della sua poetica, si colgono i mutamenti sopraggiunti dal continuo confronto/scontro con “la laconica memoria” (pag. 106) che il Nostro vorrebbe colmare con l’ausilio della parola: “(…) Cerchiamo di capire / cosa ci costringe a succhiare dal fondo il nostro / bisogno di rinascita, ma la morte ci sgomenta ancora” (pag. 106) e più avanti riprende in un'altra composizione: “C’è uno spazio che separa la riflessione / dalla scrittura in cui devia il mondo. Lì / è fine la nebbia e godo da solo questi / pochi minuti di vita filtrata dalle parole”.

L’enjambement è in questo dialogo il padrone dei testi per rafforzare l’esercizio della ricerca. I versi delle poesie sono disposti in libera simmetria, con riprese ritmiche da poeti contemporanei come Elio Pagliarani del poemetto La ragazza Carla e l’Italia senza memoria (1954-57). Nei versi di Domenico Cipriano per il nostro sentire scopriamo realizzato, finalmente, l’invito che il Nobel, Eugenio Montale, rivolse ai lettori dei suoi versi: “Vedi, in questi silenzi in cui le cose / s’abbandonano e sembrano vicine / a tradire l’ultimo segreto, /(…) il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità” ( da Ossi di seppia, I limoni, A. Mondadori Editore).

La musicalità è frenetica: si legga la poesia Alle ricce piace il jazz, quasi a tracciare un legame tra “Taranta” e “Jazz”; a far sentire tutto il calore che promana da quei corpi in movimento come “figure musicali con note intrecciate / e scompigliate nei pensieri” (pag. 110). La forza rigeneratrice che si compone in una confessione personale: “Per questo ho sposato una riccia” (idem). Le figure degli amici, dei familiari, si affacciano nel mondo poetico di Cipriano a comporre quella felicità che tanto cerchiamo nella realtà ma che la realtà stessa compromette e distrugge. Il Nostro l’affida alla sua creatura poetica, e realmente alla figlia Sofia: “(…) Filo spinato / e ruggine sui punti fermi del mondo, / ma nemmeno quello spigolo d’universo / ci appartiene. Cambiano con te / le cose abbandonate.” (a Sofia, pag. 106).

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