sabato 15 febbraio 2014

Su Cambiare di Stato – morire di natura di Narda Fattori

Prefazione di Bruno Bartoletti
Nota di lettura di Gianmario Lucini
Edizioni CFR, 2014

recensione di Alessandro Ramberti

Questa nuova raccolta di Narda Fattori risulta molto coesa. Come scrive in Prefazione Bartoletti: “è il libro della memoria, quasi una summa, un testamento, una riga sotto cui scrivere le cifre che contano” (p. 5). Il libro si compone di due Parti: “A futura memoria” più breve, e quella che dà il titolo all’opera nel suo complesso. I versi sono sciolti (con una diffusa presenza di endecasillabi) e fanno un uso sapiente della rima interna e delle assonanze. Il tono è prevalentemente elegiaco, a tratti sapienziale e con echi che ricordano il Qohèlet: “perché fra il nulla e il vuoto c’è / un interstizio da cui non so cosa trapeli” (p. 21); “pensiero pieno sarebbe se ci fosse tempo / d’aspettare l’affacciarsi delle stelle” (p. 30); “Si è sparpagliato tutto l’amore / ma questo che mi scorre fra le dita / qualcuno sa dirmi cosa sia?” (p. 32). La pagine offrono immagini di grande intensità: quando ci troviamo “al limite”, quando ci si sente “anime con i piedi all’aria / che vanno senza orme” (p. 29), le cose e gli eventi, i nostri stessi errori vengono ridimensionati, non necessariamente nel senso di venire ridotti, ma di assumere nuove dimensioni, di accrescere o diminuire l’importanza che fino ad allora avevano. La natura, che abbraccia la nostra esperienza e forma la nostra sensibilità, è scuola sempre generosa di vita e sorprendente: “coccinelle di buona sorte sul dorso / della mano fato il morto – vi ho spaventato / con un lapsus un gesto sconsiderato – / e mi temete lo so e fate il morto / e non so se ridere o piangere o poggiare / il palmo dell’altra mano su quel dorso / mie prigioniere come nella memoria / dove invece vivete sui seminati di grano” (p. 20); “succede che fra farfalle e fiori ci si confonda / o il fiore è una farfalla e il petalo respira / la lama nell’aria che fende il bruno proiettile?” (p. 26).

Percorre i versi un’ansia di lasciare nei cari una permanenza di sé, un chiedere alla vita, a chi abbiamo avuto con noi per un tratto più o meno lungo di strada la disponibilità di un gesto accogliente, anche di perdono e di aiuto: “chissà che non giunga l’ora del perdono / mi servono tutte le voste mani / per spogliarmi dei peccati ma siate / buoni – aiutatemi – abbiate mani lievi” (p. 22); “Ecco la colpa le omissioni il restare / fra il poco e il nulla come su una foglia” (p. 35); “Mia vita – lasciami un tramonto / che mi brilli sui capelli e sciolga i nodi / rimasti impigliati dai venti” (p. 52); “sta in poche parole la mia vita e un figlio per perdonarmi” (p. 63). La morte, che tutti attende, ci rende preziosi i momenti, ci porta a considerare il valore dei volti, le conseguenze delle azioni, la bellezza nascosta nelle cose, nelle parole “smunte”, nei sentimenti più umili, semplici e attenti… e anche se l’autrice scrive “di me resterà una polvere impalpabile / che solleverà una farfalla in volo” (p. 50), sa che la poesia può rendere quella polvere preziosa, grazie all’ascolto empatico di chi vorrà farla scorrere dandole sempre nuova vita: “mi sono sempre accontentata del poco / il bello lo aggiungeva il mio sguardo / e quanto e quanti mi parevano tanto” (p. 53). Se il tempo non si può ingabbiare, se anche i nostri principi e valori sembrano svanire, non tutto è perduto, c’è una fecondità del vuoto, quando non è abisso ma grembo infinito: “a me è rimasto un vuoto che quando penso / si slarga a dismisura e impasta la terra” (p. 67) – sono gli ultimi versi che sigillano con intensità questa vibrante “confessione” poetica.

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