martedì 11 marzo 2014

Su I giorni e le strade di Carla De Angelis


recensione di Narda Fattori



http://www.faraeditore.it/html/siacosache/giornistrade.html
Perché si scrivono poesie, atti in perdita finanziaria, che chiedono attenzione, tempo, impongono di sciorinare l’interno dolore, di perdere pudori, di perdere i percorsi sicuri, di abbandonare i salvagente, i corrimani…?
Credo che nessuno abbia mai risposto in modo esaustivo e convincente a questa domanda; un poeta scrive come l’innamorato ama e non c’è ragione, non esiste nessun paradigma logico, filosofico, sintattico… ma l’uomo da millenni sceglie parole per dire di sé e del mondo, dei fatti e delle percezioni, e ha scritto tomi teoretici, ha raffinato la retorica, ha sgravato di oneri i poeti coronandoli di onori. Altri tempi, altri costumi…
Penso ad un filo che lega nesso, Nasso, abbandono, dolore, profezia: povera Arianna abbandonata in Nasso per l’opportunismo di Teseo, nesso fra il mito e il potere che profetizza lo stretto legame fra i poteri ( politico, mercenario, muscolare); la poesia è spesso profezia: immagino un bambino che gioca sulla sabbia del mare e seleziona valve e gusci, poi tira su un edificio beffardo, che sfida ogni regola di fisica ma che lo incanta anche se la cernita gli ha procurato qualche piccolo taglio sulle dita.
Carla, che ha pubblicato solo tre libri, non è poetessa avara, è donna a cui i bisogni degli altri rubano il tempo. E i bisogni degli altri non rivaleggiano con i suoi, semmai li fa rivivere come propri.
Il titolo ha una sua consistenza semantica: i giorni che tramano il tempo e che  ci fanno scoprire un ieri diverso, minuscolmente diverso dall’oggi, e la trama delle strade che ci portano a deviazioni, a rettifiche, a procedere e a recedere, a tessere comunque sempre la tela che la sorte ci ha dato, a provare ad amarla nel dolore che trafigge, nello spiraglio che ci illumina, raramente. E non c’è risposta alla domanda sul motivo di esserci su questa terra: l’amore ci fece, per amore sopravviviamo.

Se la vita non fosse un fatto privato
ti donerei  metà del mio respiro
da stringere nel pugno
quando la bestia ringhia
libera la mano e continua a volare
(…)
Tu puoi solo scagliare la freccia
mani insieme a tendere l’arco

L’amore non è oblativo, esiste e non mette steccati, non ha imbarazzi, non si svuota, è testardo, persiste e muta l’amante. L’amato è poco più di un pretesto.
In questo libretto di poesie, Carla si rivela ancora più scarna, ancora più incisa e incisiva; a lei non interessa la forma, delle parole cerca la forza, la coerenza con il suo stato d’animo.
Il suo dire duole, in esso si specchia il suo stare contuso e lieve per quel sogno che sopravvive:

sette gatti un coniglio due papere
scriverò due lettere
solo due lettere
qualche numero di telefono

La vita che ci strangola fra le lancette del tempo sa fornire pause  come quelle sole: sono gli animali nel suo giardino, sono vita semplice, creaturale, sono l’essenziale.
Se dovessi definire queste poesie direi che sono un breviario per un dio che non intercede ma talvolta interviene leggero come un’intuizione; a Carla basta poco, quasi nulla, pure sulle sue gracili spalle si annida un Prometeo che per amore degli altri accetta di rinnovare ogni notte la sua tortura felice dei fuochi che ardono qua e là per le campagne.
Come premesso dalla poetessa stessa, le poesia seguono l’ordine cronologico della loro creazione nel rispetto dell’emozione che le ha fatte emergere.
Sono poesie di sostantivi, puntute e poco giocano con la metrica; il linguaggio è moderno, però non sperimentale. Riflettono i ritagli di tempo che ha permesso loro di esistere.

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