mercoledì 12 marzo 2014

Su Legni di Paolo Pistoletti


Giuliano Ladolfi Editore, 2014, pp. 74, € 10,00

recensione di AR

http://www.ladolfieditore.it/index.php/it/perle/perle-poesia/legni.html
Trovo la scrittura di Paolo Pistoletti precisa ed evocativa: il suo sguardo (come giustamente nota nella bella ed empatica prefazione Marco Beck, non privo di ben assimilate influenze eliotiane e più o meno sotterranei echi biblici) sa farsi suono nitido e crea vibrazioni armoniche per ogni emozione, sia pure nel riserbo (che è anche riserva preziosa di senso) che la parola, specialmente in poesia, è giusto mantenga. Già i versi che introducono la raccolta, sono esemplificativi della poetica di Pistoletti, che mi pare incarni anche una pietas virgiliana declinata modernamente: «Occupiamo lo spazio tra la punta del naso / e la schiena. Stiamo per affacciarci a volte / ma qualcosa di noi si perde a terra / (…) / Anche stanotte nessuno / ci ha scrollato di dosso il resto del buio, / come da ragazzi qualcuno / negli scherzi delle gite di montagna» (Intatto, p. 15); «Ed ecco le cose e le persone /chiuse dentro come fili elettrici nella guaina. / Dentro c’è il buio pesto della gente / la notte abbottonata che non esce» (Pub, p. 31); Adesso che mi guardi / penso a questo momento tra mille anni, / ora che ci hai provato tutto il giorno / a dire le cose che potevi / forte come una vigna che non s’arrende» (Vigna, p. 40); «I mucchi di terra intorno agli scavi / di questi cantieri abbandonati / sembrano i nostri anni / passati sulle facce sulla chitarra sui libri» (p. 68)


I correlativi oggettivi alla Eliot, rendono lo spazio e gli oggetti una modalità imprescindibile per darci la tonalità del messaggio e colorarne le immagini: «C’è una poltrona di pelle / che regge appena. / Sarei venuto a dire delle cose, / a trovare un appiglio. // Ma tra noi qui / c’è una stanza / che non ne vuole sapere» (Ultima visita, p. 16); «All’ospedale di Careggi c’è il bianco / delle mura che in mezzo ci passa / chi non ce la fa più a stare qua. / (…) / Da bambini si arriva ogni volta /al momento giusto / come una bolla al centro del lago» (Legni, p. 25); «dentro l’ascensore / – l’apnea in gola – hai appena acceso / il tasto per l’ultimo piano, / e allora senti che qui / anche se non sembra / è tutto una tromba delle scale immensa» (A casa, p. 28).


E anche gli elementi naturali e dell’ambiente antropico forniscono “quadri” di sprofondamento e sfondamento della realtà: «Le radici ora circolano / dove non sono mai stato / nella bocca nera della terra» (Bosco, p. 22); «il paesaggio dalle persiane / s’è posato piano nel mio appartamento / a fare silenzio» (Davvero, p. 37).


Se il tono generale della raccolta può essere definito tra il minimalista e l’elegiaco, non mancano pennellate di ironia ed umorismo accanto a versi di timbro sapienziale (in particolare con rifermenti impliciti al Qohèlet): «e la legna che siamo s’è spenta. / Allora tu guardaci di più / nei due spilli di brace / ancora accesi accesi accesi» (Foto in bianco e nero II, p. 48); «Forse anche i morti parlano nel sonno / quando sognano che non stanno più nella pelle» (I morti, p. 53); « Lo so che la mia faccia non è messa bene / un po’ confusa come uno specchio antico / (…) / Ma tanto è sempre il dentro che resta. / Fuori siamo come la nostra impronta / la scia delle ditate sui vetri sugli argenti» (Faccia, p. 60).


Legni è un opera che lascia in chi la legge immagini vivide e una sobria cadenza che ci accompagna, come una voce amica e discreta, nel nostro cammino che è sempre in tensione verso un fuori invisibile agli occhi.

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