giovedì 3 aprile 2014

News da Adele Desideri

Gentili lettori, segnalo quanto segue

*Una storia d’amore, di Rosa Elisa Giangoia, recensione a Adele Desideri, Stelle a Merzò (Moretti&Vitali 2013), in Satura Rivista di Arte, Letteratura e spettacolo, anno 6, n. 23, SATURA associazione culturale, Genova, 2014. In allegato.


*Cinzia Demi, La lirica di Adele Desideri e le sue Stelle a Merzò, pubblicato in www.altritaliani.net, 28 gennaio 2014. In allegato

*Recensione di Adele Desideri a Francesco Macciò, Abitare l’attesa, La Vita Felice, 2011, in http:versanteripido.wordpress.com, 1 febbbraio 2014. In allegato

*In poesia Desideri racconta l’effimero e lo sgomento, recensione di Pierangela Rossi a Stelle a Merzò (Moretti&Vitali 2103), in Avvenire, Agorà Cultura, 20 febbraio 2014. In allegato


*E l’indagine d’amore della Desideri, recensione di Gilberto Isella a Adele Desideri, Stelle a Merzò (Moretti&Vitali 2013) e a Pierre Lepori, Strade bianche (Interlinea 2013), ne Il Giornale del popolo, rubrica Il Palchetto, Lugano, 22 febbraio 2014. In allegato

*Recensione di Mauro Del Corso a Adele Desideri, Stelle a Merzò (Moretti&Vitali 2013), pubblicata ne La Nazione, 7 marzo 2014. In allegato

*Nota di lettura di Valeria Serofilli a Adele Desideri, Stelle a Merzò (Moretti&Vitali 2013), pubblicata in http://antonio-spagnuolopoetry.blogspot.it/
<http://antonio-spagnuolopoetry.blogspot.it/> , 10 marzo 2014. In allegato
 


Nessuno si illuda di esaurire la parola, di darvi fondo, di essere arrivato al suo completo svelamento. La parola ci trascende. Perciò è sempre da scoprire
(David Maria Turoldo, Anche Dio è infelice, Piemme 1991, pag. 39)

Adele Desideri





UNA STORIA D’AMORE
di Rosa Elisa Giangoia   

      Stelle a Merzò è la quarta raccolta poetica di Adele Desideri, in cui sono comprese anche le liriche che noi avevamo già apprezzato, in quanto al Concorso “SATURA Città di Genova” del  2011 avevano ottenuto il 1° premio dalla giuria composta dalla nostra redazione. Ora anche le tre liriche allora premiate entrano a far parte di questa nuova silloge della poetessa milanese che scrive quella che si può considerare una moderna rivisitazione dei canzonieri d’amore della nostra tradizione, in quanto, come dice l’autrice stessa, «Questo lavoro è la trascrizione in prosa poetica di una storia d’amore che mi è stata raccontata – non senza lacrime e sospiri – dalla viva voce della protagonista».
     Noi, leggendo le liriche, pervase da una forte tensione emotiva, fatta di passione amorosa e di disillusione sentimentale, siamo progressivamente portati a supporre che la «viva voce della protagonista» sia quella dell’autrice stessa che avrebbe tentato ancora una volta di utilizzare l’espediente dell’alterità individuale per oggettivare in una migliore possibilità di analisi una personale storia d’amore.
     E’ una vicenda che supera la breve stagione estiva del suo sviluppo temporale, ben segnato nei titoli-datazione delle liriche (28 luglio – 31 ottobre 2009), per diventare paradigma del rapido incendiarsi e del facile spegnersi di un fuoco d’amore, che non si radica e non fiorisce, e più oltre ancora della vita.
     La geografia di questa storia è circolare, da Merzò, in val di Vara, luogo emblematico, in cui le stelle «sono incollate al cielo», finché si crede nell’amore, mentre poi «se ne vanno  […] risucchiate / in un gorgo di oblio», si snoda per altre località vicine e della Riviera Ligure, per poi allontanarsi a Milano, fino a ritornare appunto a Merzò, dove «il gelo ammanterà il borgo» e «la perduta fiducia […] / segnerà la strada che porta alla follia».
     Questa storia noi la vediamo, nel suo nascere, vivere per lo più di momentanea magia, spegnersi e trascinarsi in un’illusione di speranza, attraverso le maglie di una rete di parole e di torsioni sintattiche, che ci fa scorgere solo frammenti, particolari, elementi secondari ed accessori, ma non ci dà la possibilità di partecipare alla visione piena, alla fruizione dei quadri d’insieme. Le liriche infatti sono intessute di una tramatura lessicale in cui parole di quotidianità domestica si intrecciano in un ordito di letterarietà e di personale invenzione, quasi a significare il piano della riflessione e dell’espressione poetica come rete a maglie strette gettata sul vissuto di cui lascia intravvedere alcuni particolari, mentre altre zone restano occultate e presentate al lettore solo attraverso la rielaborazione poetica del vissuto stesso. Di qui nasce una poesia elaborata, in cui la spontaneità espressiva è frenata dalla soggettività della percezione e dalla sapienza dell’espressione. E’ una poesia di guizzi di luce e di opacità di riflessione, una poesia che presenta la vicenda d’amore in tutta la sua tensione nella curva parabolica di un’esperienza sentimentale sempre percepita e vissuta in tutta la sua fragilità, segnata dagli agguati della precarietà, dovuti in larga misura alla fragilità ed inadeguatezza del personaggio maschile, amato dalla protagonista fin dall’inizio pur in una luce di accentuata illusione.
     Proprio per questo la vicenda d’amore vive di momenti di disperazione, tra turbamenti erotici e lacerazioni dolorose («Una lunga pausa d’attesa, / per illudermi di poter ancora intonare / - all’unisono – il gloria dei nostri corpi»),  in un crescendo che raggiunge il desiderio di morte e  prelude all’amara conclusione della fine, percepita come una catastrofe in cui tutto verrà annullato.     A sopravvivere sarà solo un sentimento di nostalgia da parte della protagonista che si trasformerà in attesa («Ti aspetterò qui, sul colle di Merzò, / quando il sole all’imbrunire / colora i prati, l’erba selvatica, / le panchine divelte»), anche se in una realtà segnata dallo stravolgimento. In questo modo la vicenda, temporanea e personale, diventa una storia di dolore, metafora del mistero doloroso del vivere, confortato da una promessa («Quattro assi di legno, / promessa di una Salvezza / che vincerà l’ignoranza»), a conclusione della quale anche l’accettazione del sacro, della tensione divina dell’esistenza umana, si fa più difficile, in quanto «il gallo non canta più» e «i crocefissi non hanno sangue / per i sacrifici».
     E’ una storia d’amore che si fa scontro nella contrapposizione delle personalità, una storia di cui la protagonista femminile cerca di tenere in mano le fila e di attuare strategie per renderla duratura e soddisfacente: tutto è inutile. A lei non resta che l’abilità di trovare le parole poetiche più efficaci per farla balenare in immagini suggestive di fronte agli occhi dei lettori.
 Adele Desideri, Stelle a Merzò, Moretti & Vitali, Bergamo 2013, pp. 72, € 12,00.

Pubblicato in Satura Rivista di Arte, Letteratura e spettacolo, anno 6, n. 23, SATURA associazione culturale, Genova, 2014


MISSIONE POESIA
La lirica di Adele Desideri e le sue “Stelle a Merzò”.
martedì 28 gennaio 2014 di Cinzia Demi
Una nuova pagina di Missione Poesia. Adele Desideri: raccontare storie d’amore e dolore. La poetica esistenziale che assurge a universo sacro, pescando dalla storia delle storie del mondo, il racconto biblico, magma e riflessione per uno stile al femminile, unico e riconoscibile che si fa poesia.
Adele Desideri, poeta, saggista e critica letteraria, vive e lavora a Milano. Ha pubblicato quattro libri di poesia: Salomè (Il Filo, 2003) con nota critica di Vito Riviello, Non tocco gli ippogrifi (Campanotto, 2006) con postfazione di Ottavio Rossani, Il pudore dei Gelsomini (Raffaelli, 2010) con prefazione di Tomaso Kemeny, Stelle a Merzò (Moretti&Vitali, 2013) con postfazione di Paolo Lagazzi e nota critica di Tomaso Kemeny.
Altre sue opere sono presenti in numerose “plaquettes”, antologie, mostre, volumi storici, e sono state tradotte soprattutto in lingua spagnola.
 
È stata finalista al
 Festival di Poesia San Pellegrino Terme (2006), e vincitrice del Premio di poesia inedita Satura - Città di Genova (2011). È curatrice del volume La poesia, il sacro, il sublime(FaraEditore 2009), che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno svoltosi a Milano, ideato e organizzato in collaborazione con Alessandro Ramberti. 
È curatrice, inoltre, del convegno
 Etica e bellezza (coordinatore Gilberto Isella, relatori Michele Amadò, Giuseppe Curonici, Tomaso Kemeny, Quirino Principe). P.E.N. International centro della Svizzera Italiana a retoromancia, in collaborazione con USI – Università della Svizzera Italiana. Lugano, 26 novembre 2013.
Collabora con
 Il Quotidiano della Calabria. È membro del P.E.N. Club della Svizzera italiana e retoromancia.
Conosco Adele da diversi anni, ovvero dal 2009, da quando partecipai al Convegno organizzato da lei e da Alessandro Ramberti (FARAeditore) a Milano sul tema “La poesia, il sacro, il sublime” da cui nacque e venne edito l’omonimo volume. Di primo acchito mi parve una persona cortese ma distante, molto seriosa, sobria nel vestire, nella gestualità e nel contegno e non mi occupai subito di lei. Lasciai che il tempo, come sempre grande mediatore delle cose, facesse la sua parte e lasciasse sedimentare le impressioni troppo istintive per lasciare il passo alla riflessione.
Ho rincontrato Adele in varie occasioni, abbiamo avuto lunghe conversazioni al telefono, ci siamo scambiate impressioni sulla poesia e gli autori contemporanei. Ho letto in anteprima alcuni suoi inediti. La mia prima impressione è chiaramente cambiata. Ho capito che dietro la sua poesia c’è una scrittrice con molto da dire, con un vissuto anche drammatico che l’ha resa ossimoricamente più forte ma anche, alle volte, vulnerabile. Con lei ho condiviso alcuni momenti molto intensi come la presentazione a Milano del mio lavoro sulla figura di Ersilia Bronzini Majno, analizzato da Adele con cura e attenzione, con valorizzazione dei punti focali del racconto. Da lì siamo partite per un’avventura di scambi culturali che ci ha fatto scoprire un comune cammino di ricerca e solidarietà femminile, di poetiche e interessi comuni, di voglia di raccontare e di farsi ascoltare, di desiderio di trovare il nostro posto nel mondo.
Di Adele è stato scritto molto, molto si trova nel web, oltre che su riviste e volumi cartacei. Trascrivo qualche poesia per chi volesse trovarsi subito di fronte ai suoi testi, presi dalle precedenti raccolte, senza tanto cercare… per comodità, per poi parlare in modo approfondito del suo ultimo libro “Stelle a Merzò”.
Da Salomè (Il Filo, 2003)
E’ meglio tacere
Amici mi rifiutano,
altri evitano
semplicemente,
il mio strano amore.
Abitudini eccepibili,
e dolci alcove.
Figure a tutto tondo.
riflettono i nostri
sguardi.
Giochi di ruolo
ineffabili.

Non si può dire
ciò che è da tacere.
E, a noi noto,
offre
armonia di sensi.
*****
Delitto senza castigo
E balbettavi…
madre amante
serrata in rigida armatura.
Ma vuota, dentro,
io incerto
ancora lattante
avido d’affetti
e di possesso.
E balbettavi…
padre muto
in ostile inerzia.
Tu non ricordi:
agita fu violenza
di mani,
di sguardi feroci,
di agghiaccianti messaggi,
di porte chiuse a chiave
di armadi chiusi a chiave.
Tu, piccolo e solo,
sempre più invasivo
reagivi,
ossessivo.
Affetto maturo anelavi.
E intanto i fratelli
crescevano,
al tuo riparo.
Poi, fu il terremoto.
L’armatura si liquefece
nel gelido inverno dell’amore,
che, unico scelto,
e per sempre,
rifiutava
chioccia inebetita
ed i suoi pulcini.
E tu ancora
guerriero di pezza
a proteggere il nido,
e la madre impazzita.
Battaglie tutte vinte,
amore mio,
ma troppi cadaveri
sparsi al confine
tra la realtà e la follia,
mia.
E rabbia tua grande fu:
e liti,
e scosse elettriche,
e fughe,
e porte chiuse a calci in culo
e telefoniche rotture.
Tutto ciò fu
e più non dev’esser.
E’ patto tra noi,
saldo,
ma il perdono sempre dietro l’angolo.
Ma il padre
tale oscura rabbia non vide.
Né permise.
Pacata pigrizia
avvolgeva,
ed asfissiava
ogni giusto
tuo minimo franger di spada.
Non perdonasti
il non avere potuto
dichiarar guerra.
Di sua intimità ti sei appropriato.
Vendetta è compiuta.
Vittima è Edipo,
non Laio.
Scontare un rimorso
rubato
a chi ti doveva
amore,
cura,
rispetto?
E’ nostro
il rimorso,
è nostra,
la colpa.
Regalami,
io unica consapevole,
poiché l’altro che ti generò
giammai ne sosterrebbe il peso,
(è inerme, lo sai)
la pena.
Sei libero:
nel mio cuore custodirò
per te questo dolore.
Innocente,
cresci…
cresci…
cresci…
non ti fermare.
Ardito,
vola alto:
sarai il riscatto
delle mie
e tue
atrocità
subite.
*****
Da: Non tocco gli Ippogrifi (Campanotto, 2006)
Marta
Infinita tenerezza dei tuoi occhi
sottili
bionda chioma che adorna
il tuo volto
triste e silente
in attesa di un affetto remoto.
Sguardo muto
offre parole
che feriscono il cuore
di chi, madre,
cerca ancora
nel volto di molte
la tenerezza materna
perduta per sempre.
*****
Si muore, vivi
Eppur
si muore,
vivi.
E
morti,
infine,
si vive.
*****
Trame e spilli
Le trame a tinte accartocciate
pencolano in tralice dal soffitto
mi spunto l’anima
con uno spillo di letizia.
*****
da: Il pudore dei Gelsomini (Raffaelli, 2010)
Del dolore e dell’amore
Una vita spesa
a bruciare crocefissi
nei giorni appesi ai chiodi.
È fobia di meschine carestie.
Sono legni di vetro e spine di riccio.
Non sono degna neppure
di una croce, quando le spalle
rinnegano scivolando.
E’ come Pietro la mia ira,
una tempesta di fughe e viltà.
Troppe volte ho scritto
a nuovo
l’incipit della vita.
La mandibola si dilata rapace
e macera l’inquietudine.
Amo il doppio di Venere,
ma Giove e Marte
 
si contendono lo scudo.
Ho conosciuto
Sodoma e Gomorra,
non voglio perire
nelle macerie di Babele.
Rivendico il diritto di sognare.
*****
Una lettera mancata
Una lettera mancata, Tantalo
del desiderio, è un chiodo
infilzato nel ciuffo d’erba tra le strade di ghiaia.
Sono un ruscello umido, canto
 
l’attesa del tuo vento di pioggia
che morbido e potente lambisce
le sponde e le accende, lì, dove
è brivido o fiamma nella notte.
*****
Testamento
Sarò concubina leggiadra e disperata,
sarò farfalla di una notte,
cicala delle torride estati,
luna calante,
giovinetta del ballo assassino.
Non avrò nelle mani
le perle dei giorni trascorsi,
non sarò lanterna, faro, fortezza.
Sarò pioggerellina di marzo,
girasole distratto, mantide religiosa.
Di Edipo seguirò la sorte, mi caverò
gli occhi che non hanno veduto
quei secondi tra l’utero e la fossa,
che marchiano come pecora al macello.
Lascerò tre soli: tra i loro raggi qualcuno
potrà scorgere un volo amoroso
celato nel decomposto ghigno.
*****
Stelle a Merzò, l’ultima raccolta poetica di Adele Desideri 
(Moretti&Vitali, 2013)
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Il modo con cui Adele Desideri parla dell’amore e ne racconta le storie – come nel suo ultimo libro Stelle a Merzò (Moretti&Vitali, 2013) – fa pensare agli amori da colpo di fulmine, a quegli incontri veloci e imprevisti, dove il tempo e lo spazio si bruciano interiormente, si logorano come se raccolti dall’eternità, eppure consumati nel giro brevissimo di un passaggio di cui non può tuttavia non restare traccia. Cosa cerca la Desideri – dal cognome tanto significativo che pure è quello che fu della nonna paterna – cosa prende dagli incontri, dalle visioni, dai ricordi per riportarci nella sua dimensione preferita, quella del canto diseguale e doloroso delle anime difformi allo spietato vivere? Può il suo verso corrispondere alla sua poetica? Quale platea raccoglierà il suo racconto necessario, la sua paziente filatura del testo, il suo pacato e quasi distaccato sguardo, tradito – forse inavvertitamente o magari volutamente - dalla partecipazione al dramma?
Cercherò di parlarvi di questo suo ultimo lavoro con i toni delle considerazioni che nascono dall’impressione che ne ho avuto alla lettura, ripetuta in più momenti, ai ripensamenti e alla messa in ascolto di una voce tra le più significative del panorama poetico nazionale. 
L’autrice, in apertura di libro, è d’obbligo citarlo, dichiara di apprestarsi a scrivere di una storia d’amore che le è stata raccontata… Già, quante storie d’amore sentiamo nella nostra vita? Quanti racconti appassionati, dolorosi, autentici attraversano il nostro percorso? Quante volte abbiamo pensato di farli nostri e di riscriverli, magari aggiungendo particolari, emozioni, o anche finali diversi…
Adele prende spunto dunque da un desiderio legittimo di appropriarsi di questa storia per raccontarla. Lo fa con tale dimestichezza, non facile per la forma che intende usare, quella del linguaggio poetico (o meglio ancora della prosa poetica, come lei stessa dichiara), tanto da sembrare il racconto di una storia propria, di un amore di cui nient’altro vuol svelare che la storia vera, tanto vera da sentirla sua. Ma lo fa anche – ed è questo il mistero e il miracolo della poesia – trasformando in accadimento poetico una storia d’amore che si fa universale, dove si nascondono, tra le pieghe dei versi, rimandi all’amore sacro, riflessi di quell’amore materno che Maria riversò in Gesù, che il Padre riversò nel figlio e il figlio portò nel mondo.
La frequentazione biblica e la passione per il grande libro della religione cristiana, infatti, danno alla poesia della Desideri la forza del racconto che trasforma i resti di un amore comune, quasi dozzinale, in un amore unico, eterno, da fare proprio e conservare per sempre: come unico sembra agli amanti, ogni volta, il proprio amore nel momento dell’innamoramento. Ma Adele fa di più: trasforma l’amore – con la magia della parola sacra che compare a sprazzi tra le righe – in un racconto che si fa anch’esso sacro, del quale – sembra quasi– non si potesse non parlare. Adele diventa così Aedo, cantore ineguagliata di passaggi, luoghi, oggetti e sentimenti che riusciamo a toccare con mano, che ci appartengono nel divenire del nostro vivere.
La donna che racconta la storia alla poetessa dev’essere non più giovane, forse è bella, ma di una bellezza ultima, che sta per lasciare il posto alla rilassatezza del corpo e che sente questa sua condizione, ce ne accorgiamo da certi lacerti e strappi del cuore, ma per noi lettori è questo che le dà intensità, che ce la rende viva e vera. L’uomo con cui condivide la storia d’amore, invece, non riusciamo a vederlo: somiglia a troppi altri, è indistinto dalla torma di anime simili di troppi secoli di storie. Ma lei ha forza d’immagine per tutti e due. Anche quando è sconfitta. Anche quando, finita l’estate, torna alla sua vita di sempre, col peso del doloroso fardello di una perdita sul collo. 
Le stelle di Merzò sono le spettatrici ideali di questo teatrino amoroso. Ne aprono il sipario, ne calcano insieme agli amanti le scene, applaudono agli amplessi, si allontanano a palco vuoto. Eppure diventano parte del titolo della raccolta, come elemento primario d’importanza, uniche e mute testimoni dell’accaduto.
Lo stile dell’autrice, molto diverso, e più convincente - a mio avviso – di quello delle precedenti raccolte è serrato nell’intensità del racconto ma indugia di più sui particolari, ne coglie il profumo e l’importanza, ci rende oggetti e paesaggi con la verticalità dello sguardo che – a volte come una macchina da presa – riprende mettendo a fuoco ciò che è rilevante per quel momento, per quel passaggio del racconto stesso. La musicalità che tiene su molti testi, tra rime interne e chiasmi, richiami a composizioni note e quasi fiabesche (Carducci, Davanti a San Guido), assonanze e consonanze è cercata e voluta, con un lavoro che lega certo forma e contenuto in modo specifico, a volte maniacale ma necessario. Come se la disciplina a cui si è sottoposta l’autrice nel comporre questa sorta di poemetto – perché potremmo anche pensarlo in questa forma – fosse stata dettata dalla necessità di raccontare tutto con ordine – come spesso compaiono stanze ordinate, con gli oggetti al proprio posto, proprio nel testo -.
Con l’attenzione e il rispetto dovuto al dolore per la mancanza, con l’irrequietezza e l’euforia che porta con se l’innamoramento, con la consapevolezza iniziale già di un dramma annunciato, l’autrice ci accompagna dunque, con il suo stile alto e nuovo, in una storia di tutti i tempi e di tutte le stagioni, se pure, complice l’estate e ruffiane le sue stelle, proprio qui trova maggiori possibilità di accadimento
Una storia che inizia un 28 luglio a Merzò e finisce il 31 ottobre di nuovo a Merzò. Tre mesi circa, il tempo di quest’amore. Un tempo che, per poco che sia, ha l’intensità di una vita.
da: Stelle a Merzò (Moretti&Vitali, 2013)
19 agosto, Merzò
Le stelle di Merzò
brillano di luce impura

– anche il ragno, nel vano

della finestrella, tesse la sua tela

di finzioni e verità.
Il basilico cresce rigoglioso,
ma sul tappeto liso di mia madre

quei passi estranei dell’anziana visitatrice

non potranno lasciare né orme, né tracce.
La mia voce nei notturni voli
dei tuoi sogni è appena un sibilo.
Ora che tutto qui è così ordinato e lindo,
ora che ogni oggetto risiede

nel suo preciso posto, questo calice

di vino separa le nostre mani.
Le stelle di Merzò – hai ragione tu –
sono incollate al cielo.

Ma il cielo – vedi, te lo mostro –

non ci riflette più.
Ancora ci respireremo,
ancora ti indicherò

la strada che attraversa i boschi

e conduce al colle della segreta cripta.

Ancora ci chiederemo: “se, quando, perché”.
Ma le stelle – a Merzò –
non le vedremo più.

La luna girerà le spalle,

e nella notte matrigna

ci perderemo.
All’alba, due piccoli cinghiali,
una volpe, il cerbiatto, il cucciolo

di lepre saranno nostri amici,

mentre le tue lacrime scorreranno

lungo fiumi diversi, lontani dai miei.
Guarda, se ne vanno, le stelle di Merzò.
Ora se ne vanno, risucchiate

in un gorgo di oblio.
Dopo, un vento furioso
travolgerà la cascina,

il tuo furgone,

il mio tavolo sbilenco.
A Merzò resteranno solo ombre,
desolate tracce di fugata quiete.
Non morire in battaglia,
non lasciarti ferire.
Quando tornerai dalla guerra
– che sia vinta, o persa –
passa da Merzò.
Sul gradino a fronte del poggiolo
mi troverai seduta,

con una stella stretta al petto.
La lancerò nel cielo, ti osserverò,
e penserò: “Sempre lo stesso,

nemmeno è invecchiato.

Lui è così, soldato ragazzo,

uomo di mille parole

– mio ostinato figlio,

mio torturato amore”.
*****
24 agosto, Carro
Ondeggia, smuovi le acque.
Aggredisci, dilaga, percuoti gli Dei,

la terra – le femmine stolte.
Travolgi ogni certezza! Stai sulla destra,
taglia la curva – inclinati –

scomponi e disponi

le rotte sulle lenzuola.
Domani, tornerai al lavoro
nei polsi segnata col sangue.
C’è un uomo che corre lungo la strada,
pretende un fiasco di vino,

e in tasca conserva la mirra.
Sarà strage di ogni innocente
– il primo che passa, uno qualunque.
Poi sarà croce, e sacerdozio d’amore,
per le anime afflitte umiliato lucore.



*****
2 settembre, Milano
Sono fidati gli amici tuoi,
come certi cani, come il tuo mondo,

che vive di strada e mal-affari.
Se c’è una via di fuga,
è sul ponte – che ha il nome

di una santa – lungo la statale.

Il nome della figlia è, invece,

l’ultima parola del sermone

di una madre distratta.
Io mi fermo vicino alle mura
della città di Ambrogio,

seguo i passi dell’ambulante,

del barbone, della donna

che vende le sue carni.
Il reo lo metto in gattabuia,
all’anziano despota consegno i sigilli.
Spazio cinema, Sudan caffè,
serata a costo zero, che non vale,
 
però, quanto le stelle di Merzò,

quando, all’imbrunire, girano su se stesse

e consegnano alla luna

l’universo di nuovo spezzato

della mia mente – questa follia,

questa corrosiva, insensata mania.
*****
31 ottobre, Merzò
C’è troppo buio, aspettate!
Non può essere doppio il futuro!
La casa che esplodeva d’amore
ora muore – chiusi i battenti –

con una festa imbevuta d’angoscia

– undici slip nella lavatrice.
A voi, gemelli col desiderio invertito,
amanti nell’inerme nostalgia,

io destino l’ultima profezia:

la perduta fiducia – dopo Merzò –

segnerà la strada che porta alla follia.
Cinzia Demi


Abitare l’attesa di Francesco Macciò, recensione di Adele Desideri

 versanteripido2014/02/01

Abitare l’attesa di Francesco Macciò, La Vita Felice ed., 2011, recensione di Adele Desideri e due poesie.

   
  
Francesco Macciò – scrittore e operatore culturale, studioso di Giorgio Caproni – vive a Genova, dove insegna nei corsi liceali.
Abitare l’attesa è il suo terzo libro di poesie: in esergo Macciò vi pone una riflessione di Empedocle, che costituisce quasi un monito per il lettore; un richiamo al tema del divenire della storia e della natura, ma pure al bisogno di rintracciare, negli archetipi occidentali del linguaggio e del pensiero, l’origine e il significato dell’Arte e della Bellezza, il loro manifestarsi – o scomparire – nelle diverse epoche: “in veglie inermi in silenzio/ e in vino anche noi/ combattendopassiamo.//”. Sono versi, questi, dedicati a Tomaso Kemeny (cofondatore, nel 1994, del Movimento Mitomodernista), che da sempre della Bellezza è, per eccellenza, il difensore.
Nella prima sezione del volume, Di terra, Genova è luogo di ideali delusi e di pulsanti speranze. Geografia, insomma, di un viaggio del corpo e dell’anima: “La vedi a pezzi rallentando/ sulla rampa di un autogrill, nel grigio/ sottocosta un taglio, una sutura/ corrosa tra Voltri e Sestri fino al centro./ Poi un liquefarsi di sguardi, un ingorgo/ di mani sui marciapiedi/ quando ti allontani… se ti allontani/ e non sai che ci sei dentro…//”.
E, dentro la città, emerge forte un eros che s’accende, s’infuoca; poi s’attenua, veloce, in una rassegnata, umbratile solitudine: “Tra i corpi coricati se una mano/ si tende nel torpore di un respiro/ altro tempo ci stringe, un niente/ per derive di specchi,/ per riviere consumate di affetti.//”.
Nella seconda sezione, D’acqua, la natura è fonte di ispirazione. Il vento, lasabbia, la donnola, il topo, la scogliera, le aquile, i corvi, diventano, attraverso lavis artistica del poeta, creature immaginifiche, metafore dell’amore: “«Con te solamente io sarei/ sabbia creta un vento festoso/ radente quasi privato/ (…)/ (…) sulla scogliera/ i tuoi passi lenti/ in punta di piedi/ i tuoi passi chiusi a difesa.//”.
La terza sezione, D’aria, e la quarta, In transito, formano come un’unica pagina, tesa a indicare i mali contemporanei. In primis, il consumismo, le guerre, le continue testimonianze di inciviltà individuale e collettiva, il flatus vocis del chiacchiericcio massmediatico: “questo lento democratico/ suicidio d’Occidente…// (…)/ non siamo grandi,/ ma racchiudiamo in noi/ sterminate moltitudini)//”. E, ancora, la vita che scorre frenetica e vuota, nel navigare privo di rotta degli impegni lavorativi e burocratici, degli esasperanti consigli per gli acquisti e delle mille altre incombenze che ogni giorno rubano all’uomo le ore, e con le ore le sue abitate attese: “«Altro non veda che nuvole fisse/ imperforabili eterne/ che un passaggio ordinato di parole/ nell’inverno delle fabbriche/ nel dischiudersi rigoglioso dei centri/ commerciali, quel giovane albatro/ in scadenza di servizio,/ sfibrate le ali/ a un volo orbitale ancorato// radiotelecomandato.»//”.
Tuttavia è nella penultima sezione (Ink tablets – biglietti lignei da Vindolandia sul finire del secondo secolo) che Macciò avvince il lettore, quasi lo travolge, trasportandolo nella terminale notte dell’Impero romano, in un clima di tragica decadenza; e insieme lo fa affondare, impietosamente, nelle molteplici aberrazioni di questo nostro labirinto postmoderno, postindustriale, postpolitico, dove pare non ci sia – “nelle bussole segrete dei dispacci,/ nel vuoto delle consegne.//” – parola che rianimi, lingua che riaggreghi, azione salvifica, morale che distingua il vero dal falso, il giusto dal malvagio: “Dovrei vigilare, svegliarli tutti/ svegliarli tutti a colpi/ di daga sul clipeo sonante…/ Ma sta per finire/ il mio turno di guardia, il dio/ del Sonno mi assale, s’inghiotte/ la mia mano pesante.//”.
Infine, nell’ultima sezione, Inappartenenza, Macciò sceglie la prosa poetica, per riflettere proprio sulla poesia – sulla sua essenza, sul suo destino. La tonalità della scrittura è qui vicina a quella di alcuni tra i primi filosofi greci: il logos fluisce nel dettato mistico, la fredda ratio si esprime per immagini, metafore, simboli.  Si trasforma in verso.
E il lettore precipita in una sorta di stupore, di sbigottimento, di suggestione ipnotica: “è figlia della memoria, la poesia, come le Muse che della poesia sono la voce. Incipit vita nova: non una vita contraria, esiliata in se stessa, dice Dante, ma una vita nuova, via di salvezza, comincia dal «libro della memoria»… E Memoria (Mnemosine) è figlia del Cielo e della Terra (Urano e Gaia), figlia di ciò di cui possiamo avere esperienza, dei confini celesti e terrestri della nostra esistenza”.
Un libro complesso, Abitare l’attesa: l’andamento lirico trova equilibrio nella misura, nella sobrietà; e subito risalta per lo stile originale – denso di rimandi letterari, musicali, architettonici – che dall’armonia e dalla compostezza fa scaturire una melanconica attualità, una distaccata saggezza, una sospesa ironia; giacché, per Macciò, “Si adempie in burla il mondo,/ il nulla in figura.//”.
abitare lattesa
da Abitare l’attesa:
Solitudine
La solitudine è sostanza
femminile che non invecchia,
genera cigni bianchissimi
dalle carni nere e farfalle
che si innalzano in un disco d’oro,
rimane appesa alle parole
più semplici e leggere, seme
oscuro che scioglie nel cuore
quello che non sappiamo dire,
questo sole freddo di novembre
che ci intride e viene fuori
dal grigio a medicarci…
***
Verso Genova, sull’autostrada
La vedi all’improvviso curvando
sul viadotto la città che si allinea
e non finisce e si accende
nella notte da ponente
fino al cielo. La vedi
sui cristalli appannati
oltre la patina di fumo
dei gasdotti che intride l’asfalto
e stringe da levante fino al mare…
La vedi a pezzi rallentando
sulla rampa di un autogrill, nel grigio
sottocosta un taglio, una sutura
corrosa tra Voltri e Sestri fino al centro.
Poi un liquefarsi di sguardi, un ingorgo
di mani sui marciapiedi
quando ti allontani… se ti allontani
e non sai che ci sei dentro…




Poetrydream

lunedì 10 marzo 2014

ADELE DESIDERI: "STELLE A MERZO'"
*
Il meccanismo della ring composition, la composizione ad anello, caratterizza “Stelle a Merzò”, il volume di Adele Desideri recentemente pubblicato per i tipi Moretti&Vitali di Bergamo, conferendogli un senso di pienezza paradossale, in qualche modo amaramente ironica.
Perché se è vero che la rotondità del percorso racchiude in sé un senso di completezza, è altrettanto vero che al termine del tragitto ci si ritrova al punto di partenza.
Il percorso, il tragitto, in questo caso è l’amore. Un amore, un tentativo di amare, quindi ci troviamo di fronte al più misterioso e intricato dei percorsi, un vero salto nel vuoto.
Adele Desideri racconta questa breve ma intensa escursione conclusa con un fallimento, tramite un linguaggio adeguatamente sospeso tra concretezza e riflessione, corporeità e spirito, come recita la lirica di pag. 35-37 indicata con la data “20 agosto, Merzò” in quanto ogni componimento viene contraddistinto dalla data e dal luogo di composizione:

Sette colpi ai fianchi,
sette verghe - i capelli strappati -
sette voragini, ogni notte di più.
Una per ora, finché non tornerai tu.

(…)

Ti aspetterò qui, sul colle di Merzò,
quando il sole all’imbrunire
colora i prati, l’erba selvatica,
le panchine divelte.
(20 agosto, Merzò)

La parola è il mezzo privilegiato in grado di mettere in contatto queste due dimensioni, trasformando gli accadimenti e le sensazioni in racconto in versi: la parola come essenza di tutto ciò che si può conoscere e anche di ciò che va oltre la coscienza e la conoscenza. Quello che, alla fine del tragitto, resta misterioso, come recita la lirica di pag. 56:

Io non so di te,
delle convulse ire,
del tuo persistere nella rivolta.
La mia pelle, però, è incisa
con i graffiti delle delusioni,
con i solchi dei tuoi no,
dei tuoi forse, dei tuoi almeno”:
(28 settembre, Milano).

Un libro sincero dunque, questo di Adele Desideri, scritto con passione ma anche con lucidità.
Un resoconto autentico di un amore breve ma intensamente vissuto, espresso e raccontato con versi nitidi e veri.
*
VALERIA SEROFILLI
Caffè Storico Letterario dell’Ussero di Pisa, 7.03.2014.



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