domenica 12 ottobre 2014

Su I giorni e le strade di Carla De Angelis


recensione di Piero Lo Iacono

 



Poesia itinerante in cammino, on the road, quella di Carla De Angelis dove predomina il tema del cercare e del ricercare. La ricerca come fulcro nodale e snodante intorno a cui ruota tutta la silloge poetica della poetessa ubbidiente a quell’imperativo morale ed esistenziale del “devo trovare” che detta e ispira questo viaggio. E basta tornare a rileggere il titolo della raccolta che contiene la parola cruciale “strade”, ovvero cammini, camminamenti, movimenti, viandanze in progress, in fieri, che stimolano il lettore a farsi, come l’autrice stessa, globe-trotter di stupore, curioso viandante girovago di quel mondo cosmo (il “Dasein” heideggeriano) in cui esiste e si affanna tanto. L’autrice si augura che queste strade” siano piene di impronte di mani e piedi, che siano cioè percorse, trascorse, scorse, poiché una strada senza impronte non è una strada ma un deserto non vissuto e non degno di vita.

Così ci imbattiamo in una anima in cerca di “mandrie di immagini” (pag. 30), “in cerca di un lampo nel temporale” (p. 16), che dichiara “ho aperto una nube e l’ho cercata / nelle gocce” (pag. 22), che cerca di compiere gesti e atti non comuni, inconsueti come “salire su una stella”, “attraversare parole nuove”, o andare a cercare “un’età che non torna” in un giorno preciso del 2011 quando un allarme di salute preoccupa e impensierisce la nostra autrice.

E nella “risonanza” più polisemica possibile va interpretata la ricerca che impregna questo libro. Ricerca intesa anche come lavoro creativo, curiosità, cleptomania poetica del rubare per custodire, l’occasione fa l’uomo ladro, anzi poeta. Così leggiamo “rubo all’istante il suo significato” pag. 18, “corro a catturare sillabe” p. 19 rapino parole, rubo il profumo del pane. Ricerca intesa anche come un’altra voce del verbo amare, una forma d’amore, un tipo di ascolto, un’empatia, un invito all’apertura, e un rifiuto di ogni chiusura individuale o di coppia: “ci amiamo così tanto / che non siamo utili a nessuno”, p. 64. Vi trapela una sottesa critica alle moderne relazioni umane consumate ed esaurite tra in click e un touch.

Vi si coglie la tenera e innocente attesa dickinsoniana nata come per gemmazione da un apparente minimalismo fisico e metafisico: “questa notte lascio una ciotola / alla finestra” p.15, la poetessa come una vestale-sacerdotessa che “si nutre di attesa / e mormorii” p. 29, chiede, anche a sé stessa, di voler ascoltare “il silenzio delle sirene”, un ascolto a cinque sensi che colga e celebri la natura nel suo mistero più inattingibile e nella sue bellezza più impareggiabile.

La speranza è che ci sia “una mano sempre pronta ad aprire” p.62.

Grazie Carla!

Nessun commento: