venerdì 28 novembre 2014

Su Sotto il sole (sopra il cielo) di Alessandro Ramberti

Fara Editore, Rimini, 2012, € 11,00

recensione di Elio Andriuoli


Una poesia illuminata dalla Fede è quella di Alessandro Ramberti, quale appare da questo libro Sotto il sole (sopra il cielo), apparso nel 2012 presso la Fara Editrice di Rimini. La raccolta, che reca la postfazione di Anna Ruotolo e i disegni di Francesco Ramberti (v. a lato il profeta Elia), si contraddistingue infatti per la sete del divino che tutta la permea, perseguito, attraverso un’assidua ricerca, con acutezza di sguardo.
Nella prima parte del libro, “Firmamento”, troviamo ad apertura di libro alcune brevi poesie che recano sovente la traduzione in lingua cinese, fatta dal reverendo don Pietro Cui Xingang, coordinatore nazionale della Comunità Cattolica Cinese.
Sono, queste, poesie di carattere gnomico, frutto di assidue meditazioni, che illuminano la mente con le loro improvvise scoperte, quali: “L’ecologia dell’umano / ha il fascino del chiedere” (Avventura); “Ogni sguardo fomenta la memoria” (Abbà); “La forza ha il fascino del tempo / come la bellezza” (Tensioni terrestri); “I nostri impulsi / promulgano arcobaleni” (Vespri); ecc.
Talvolta il testo di Ramberti insegue un più complesso pensiero, come avviene in Umanità 2012, sicché il periodo assume più ampie dimensioni: “Se la geometria del mondo non / fa quadrato sulla linea della speranza / né ricerca la diagonale della carità / decade e annichilisce”. Ci sono inoltre in questo libro dei veri e propri Haiku, come questo che riportiamo: “La freccia arriva / l’agosto è terminato / c’è un’ombra a filo”.
Colpiscono poi certe poesie per l’intima carica di umanità che le pervade, come Esposta, nella quale in pochi versi è espresso il dramma di una trovatella: “L’hanno trovata fra le pecore / poche ore di vita e un biglietto // una scrittura incerta / l’affidava – un belato diverso / nel prato – a un futuro per sempre”. Si legga anche la poesia 8 dicembre 1937, che rievoca la figura di un dissidente, Pavel Aleksandrovič Florenskij: “I fucilieri ti hanno silenziato – / adesso sei nel vento che non soffia”.
Ciò che però trova qui maggiore spazio è l’assidua ricerca del divino, che compare in poesie quali L’effetto del giglio, che così inizia: “Chi posso riconoscere / se non Te di cui mi è giunto / il parabolico racconto / di come hai scelto di dietro al gregge / i tuoi increduli profeti?” o Betlemme, dove troviamo questi versi: “Accompagnaci col tuo braccio potente / lungo questo esodo ululante: / un tuo soffio e il mare / si prosciuga, un gesto / e le onde affoganti si placano”.
Frequentemente compaiono poi in questo libro dei personaggi biblici, evocati con immediatezza e verità, come Elia, in un testo che inizia: “Sei il soffio che manca / Quello che si insinua / impercettibile” (Nei panni di Elia) o Giacobbe, in una poesia, Conversione, che così termina: “Va’ sulla scala di Giacobbe / anche se ne resterai sciancato: / vedrai che nervi e muscoli / li anima / uno spirito più grande”.
Vivo s’incontra in Purgatorio il sentimento della brevità della vita: “I nomi qui sono sordi / i sogni nuovi / trasparenti // ti trovi e già non sei / più sotto / la corte improvvisa delle stelle”; come viva è la deprecazione dell’egoismo e della follia umane in Mangiati: “La quadratura sfuoca / gli abiti riposano / le guerre allignano / labbra avide / i potenti gonfiano / flaccide bolle finanziarie”; e ancora: “Siamo individui / precari con mete ad alzo zero / senza fibbia a chiudere / ma solo a consumare”.
Si veda anche, a questo proposito, Notte senza fine, che fa leva sulla nostra precarietà: “Siamo strumenti che a fatica risuonano / dov’è il riflesso? dove il fondale / e la bellissima rada senza sirene? // Nei computer depositiamo / il filo cedevole del cuore”.
C’è pure in queste poesie la parola sommessa, detta a chi ci vive accanto: “Mi affido a voi sorelle / che sapete accorrere ai sepolcri, / a voi fratelli / che potete aprirli” (Ai margini del sacro); così come ci sono le visioni pacificate e rasserenanti del mondo esterno: “La cima dell’E Mei sul verde numinoso / è tempio abbacinato dalle nubi // Istanbul al tramonto è magnifica / se navighi lento sul Bosforo: / due continenti e una fessura di mare” (Istantanee).

Notevoli, per ampiezza di respiro e per la profondità del pensiero appaiono poi poesie come Al pozzo di Sicar e Aut aut, dedicata a Søren Kierkegaard.

Il libro termina con “Rabbunì”, un Oratorio per voci sole (Maria Maddalena e il Narratore) cui si aggiunge il Coro di voci miste, maschili e femminili, che si alternano nella recita.
Apre la scena il Coro, che fa alcune considerazioni sulla precarietà del nostro essere al mondo (“Crediamo di esser qui – anzi di esistere… / bagliori trattenuti…”). Si fa successivamente avanti il Narratore, che evoca la Figura di Cristo (“Hai accecato il buio e ci hai aperto / la via che è porta e vita”), cui fa seguito Maria Maddalena, che ricorda, quasi parlando a Giuda, l’orto degli ulivi e la solitudine di Gesù, prima della cattura (“Giuda, hai voltato le spalle alla Pasqua”).
Vivace diviene qui l’alternarsi delle voci e drammatico si fa il racconto del Narratore e quello di Maria, nelle cui parole è rivissuto l’evento della cattura di Gesù, cui fanno seguito la condanna, la morte e la Resurrezione.
L’intensa partecipazione al dramma della Passione, efficacemente rivissuto nelle sue varie fasi, caratterizza questo Oratorio, che si sviluppa con coerenza e sapienza tecnica, le quali degnamente concludono un libro che molto fa meditare.

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