venerdì 28 febbraio 2014

SalernoPoetica, rassegna di poesia a cura di Mario Fresa







SalernoPoetica 2014
incontri sulla poesia contemporanea 
a cura di Mario Fresa



Sentire nei miei occhi al centro amore
La scrittura e la poesia di Gianluca D’Andrea

L’Autore dialogherà con Mario Fresa, presentando il suo ultimo libro
di versi, Ecosistemi (casa editrice L’arcolaio, 2014). Stelvio Di Spigno e
Francesco Iannone parleranno del gioco terribile e amoroso della poesia.
Carmine Ruizzo Carlo Inglese eseguiranno musiche di Nicolò Paganini,
Johann Friedrich Franz BurgmüllerAstor Piazzolla e, in prima assoluta,
una composizione inedita di Michele Carasia. Alcuni testi poetici
 di Gianluca D’Andrea saranno interpretati da Igor Canto.

Sabato 1 marzo 2014, presso la Libreria Punto Einaudi,
Corso Vittorio Emanuele 94, Piazzetta Barracano, Salerno, alle ore 18.00.






Meteo Tempi di Alberto Mori su CremAvvenimenti

blog di cultura (e non solo) a Crema e dintorni
cremavvenimenti.blogspot.it

giovedì 27 febbraio 2014


Meteo Tempi di Alberto Mori



http://www.faraeditore.it/nefesh/meteotempi.html
Le condizioni meteorologiche sono consultabili in tempo reale in ogni momento della giornata ed hanno le più svariate forme di comunicazione audio visiva e telematica. Mi sono dunque chiesto, fra la costellazione di questi dati, come viviamo la natura dell’evento atmosferico e come la scrittura di poesia possa ricollocare eventi e situazioni nei meteo eventi per ricercare i segni nella nostra quotidianità creando Meteo Tempi che hanno suggerito anche il titolo del libro. Dopo ricognizioni costanti nei media (Meteo Sky tg 24, Cis viaggiare informati, i simbolismi commerciali del meteo web, ecc) per assimilarne la specificità dei linguaggi, li ho intrecciati con la mia memoria sensoriale personale. In alcuni passaggi mi sono spinto in altri tempi storici dove la condizione atmosferica dell’elemento era determinante ancor più tangibilmente e direttamente nella vita dell’uomo. Un verso di Shakespeare iniziale invita a distillare la nostra essenza prima che la stagione faccia sentire la sua ruvidezza, così Meteo Tempi vuole suggerire i propri bollettini esistenziali ai lettori: bel tempo e brutto tempo sono accanto ai nostri gesti quotidiani che passano mentre le isobare disegnano le arie e suggeriscono continui mutamenti. (in collaborazione con Alberto Mori)
Meteo Tempi
Alberto Mori
Fare editore
Pag: 60
Prezzo: 11,00 €
Anno 2014

http://www.cremavvenimenti.com/Varie/Estratto Alberto Mori  Meteo Tempi.pdf

giovedì 27 febbraio 2014

Premio Nazionale di Poesia “AGOSTINO VENANZIO REALI” (scade 31 maggio 2014)

Associazione Culturale Agostino Venanzio Reali 
Via Egisto Ricci 11
47030 – Sogliano al Rubicone (FC)
Tel. 3343794512 - Codice fiscale 90048590401
email: sparireinsilenzio@gmail.com






Premio Nazionale di Poesia “AGOSTINO VENANZIO REALI” - 13ª edizione 2014




L’Associazione Culturale “Agostino Venanzio Reali”, con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, della Provincia di Forlì – Cesena, del Comune di Sogliano al Rubicone, bandisce la 13ª edizione del Premio Nazionale di Poesia “AGOSTINO VENANZIO REALI”, a tema libero, per opere edite o inedite in lingua italiana, aperto ad autori italiani e stranieri.


Scadenza: 31 maggio 2014. Le poesie dovranno pervenire entro il termine indicato, mediante raccomandata o posta ordinaria (farà fede il timbro postale), alla Segreteria del Premio “Agostino Venanzio Reali”, c/o Comune di Sogliano al Rubicone, Piazza della Repubblica 35, 47030 Sogliano al Rubicone (FC), con l’indicazione sulla busta in stampatello “PREMIO AGOSTINO VENANZIO REALI”.


Sezioni: Il concorso è articolato in una sezione A adulti, in una sezione B giovani che non abbiano compiuto i 21 anni di età alla data di scadenza del bando e in una sezione C giovanissimi riservata agli alunni frequentanti le scuole primarie e medie.


Presentazione dei lavori: Gli autori adulti e giovani possono partecipare presentando tre (3) poesie edite o inedite (né di più, né di meno, pena l’esclusione) ciascuna non superiore a 50 versi, mai premiate o segnalate in precedenti concorsi alla data di scadenza del bando, in 8 copie. I singoli fogli dovranno essere fascicolati in modo che ognuno degli 8 fascicoli così ottenuti contenga le tre poesie e soltanto su uno di questi dovranno essere indicate le generalità del poeta (i giovani e i giovanissimi dovranno indicare anche la propria data di nascita). Non possono partecipare al concorso i vincitori dei primi premi dell’anno precedente. I giovanissimi possono partecipare anche con una sola lirica, o individualmente, o per classe, in questo ultimo caso è sufficiente compilare una sola domanda per ogni classe partecipante.


Quota di partecipazione: € 20 per gli adulti e € 5 per i giovani e i giovanissimi, da versare tramite C/C Postale n. 72276595 o bonifico Poste Sogliano IBAN n.: IT  20 J  07601  13200   000072276595 intestato a ASSOCIAZIONE CULTURALE AGOSTINO VENANZIO REALI – SOGLIANO, indicando nella causale “Quota Premio di Poesia 2014”. I giovani e i giovanissimi, se parteciperanno al premio tramite la scuola di appartenenza, potranno versare una quota complessiva di € 5,00, indipendentemente dal n. dei partecipanti. Copia della ricevuta del versamento dovrà essere allegata alle poesie presentate, insieme alla domanda di partecipazione nella quale saranno indicati le proprie generalità, il n. di telefono ed eventuale e-mail e la dichiarazione che “le poesie presentate sono di propria produzione e non sono state oggetto di premiazione o segnalazione in altri concorsi alla data di scadenza del bando”.


La Giuria, il cui giudizio è insindacabile, è così costituita: Bruno Bartoletti (Presidente), Roberta Bertozzi, Narda Fattori, Sonia Gardini, Gianfranco Lauretano, Maria Lenti, Anna Maria Tamburini .

Solo i vincitori e i segnalati saranno avvisati personalmente dalla segreteria del premio.


Premi: per la sezione A adulti 1º premio € 1000,00, 2º premio € 500,00, 3º premio € 250,00; per la sezione B giovani 1º premio € 300,00, 2º premio € 200,00, 3º premio € 100,00. Per la sezione C giovanissimi: (scuole primarie e medie): pergamena e buono libri alla classe partecipante da consegnare a un rappresentante della scuola. Saranno inoltre riservate sei segnalazioni speciali per ogni sezione. Ai primi tre classificati delle sezioni A adulti e B giovani, oltre ai premi in denaro, saranno assegnate pergamene con profilo critico; mentre a tutti i vincitori e ai segnalati di tutte le sezioni saranno consegnate pergamene con il risultato conseguito. I lavori presentati non saranno restituiti e le poesie premiate verranno raccolte in un fascicolo che sarà distribuito gratuitamente.


Premiazione: domenica 21 settembre 2014, alle ore 11.00, nel teatro “Elisabetta Turroni” di Sogliano al Rubicone. I poeti sono tenuti a presenziare alla cerimonia di premiazione. Sono ammesse le deleghe per il ritiro dei premi ad eccezione di quelli in denaro, che verranno, qualora non riscossi personalmente, incamerati per l’edizione successiva. È consentita, su richiesta, la spedizione del premio conseguito.

La premiazione sarà preceduta sabato 20 e domenica 21 alle ore 9.30, dalle relazioni tenute da docenti universitari (nell’anno in corso cade il ventennale della morte dell’artista).


Ai sensi dell’art. 10 della L. 675/96, i dati personali relativi ai partecipanti saranno utilizzati unicamente ai fini del premio. La partecipazione al concorso implica l’accettazione del presente regolamento.


Informazioni: Tel. 3343794512; e-mail: sparireinsilenzio@gmail.com. Il bando integrale e i vincitori sono leggibili su: www.comune.sogliano.fc.it.



Alla segreteria del Premio Nazionale
“Agostino Venanzio Reali”
P.zza della Repubblica, 35
47030 – SOGLIANO AL RUBICONE (FC)



Premio Nazionale di Poesia Agostino Venanzio Reali

(da inviare insieme alle liriche e alla copia della ricevuta del versamento)




PARTECIPAZIONE ALLA SEZIONE (fare un crocetta accanto alla sezione di partecipazione):

□ Sez. A – Poesia Adulti

□ Sez. B – Poesia giovani (fino a 21 anni)

□ Sez. C – Poesia giovanissimi (scuole primarie e medie)




Il/La sottoscritto/a …………………………………………………………………………………….,



nato/a a ………………………………..………… il ……………………………..  (obbligatorio solo



per i giovani e i  giovanissimi) e residente a …………………………...…………..…………………



Via …………………………………………..……………… CAP …………………………..………



Tel ……………………….…………….…… cellulare ………………..…………..…………………



eventuale e-mail ………….…………………………….…………………



CHIEDE



di partecipare al Premio Nazionale di Poesia Agostino Venanzio Reali e autorizza, in caso di premiazione, la loro pubblicazione sul libretto e sul sito del Comune di Sogliano al Rubicone.



Il/La sottoscritto/a

DICHIARA



che le poesie presentate sono di propria produzione e non sono state oggetto di premiazione o segnalazione in altri concorsi alla data di scadenza del bando.



Titolo delle poesie presentate (da indicare solo per la Sez A Adulti e per la sez B Giovani):



1)    _______________________________________________________



2)    _______________________________________________________



3)    _______________________________________________________





Data, ………………………………………..                                 Il/La sottoscritto/a



……………………………………………

mercoledì 26 febbraio 2014

GIovanna Iorio ricorda Antonio D'Alessio

In occasione del trentottesimo compleanno del giovane poeta irpino Antonio D’Alessio (Avellino, 1976 – Solofra 27-2-2008) Giovanna Iorio Bates ha inviato una sua opera in memoria:



ANNIVERSARIO

per Antonio



Ancora un altro anno

sul mio cuore.

Nei giorni c’è la tua ombra.

Il buio ha un sorriso.

La luce vaga,

In cerca di un appiglio

Tra le parole.


Che tu possa tornare

Come torna il sole dopo una lunga notte

Come torna il fiore dopo un lungo

inverno

A sentire il mio amore – forte.

(Roma, 27 febbraio 2014)

martedì 25 febbraio 2014

Su Poesie Torinesi di Dante Maffia

Edizioni Lepisma, 2011

recensione di Vincenzo D'Alessio

La raccolta poetica che va sotto il titolo di Poesie Torinesi, edizioni Lepisma 2011, di Dante Maffia composta da cinquantuno componimenti, l’ho accolto come un invito a seguire l’autore con gioia. Ma la fatica della “camminata” per le strade della città/non città di Torino mi è costata tanto. Tornava alla mente il “cammin di nostra vita” dove il visitatore era in compagnia del grande maestro.
All’inizio mi sono sentito a casa: poesia piena di sapori, odori, atmosfera, tutta meridionale. Per dirla con Franco Cassano, una dolce lentezza meridiana, dove il Mediterraneo raggiungeva la cucina/fucina: luogo deputato per eccellenza a rendere forte il pensiero/verso liberandolo da ogni pesante retorica. Proprio come mi proponeva l’autore in questa raccolta: “(…) uno spaghetto al pomodoro. Spello uno per uno / dei sammarzani così belli / (…) Per frutta pesche dell’ortolano. / (…) le metto / nel primitivo di Manduria” ( In cucina). Praticamente per me, che venivo per la prima volta a Torino, vedere i pomodori campani, il vino pugliese, mi ha dato l’idea che il mare fosse lì attaccato alla mensola della finestra. Invece no! Abbiamo iniziato il giro per le strade, le piazze e i corsi: “Ho corso per i corsi di Torino, / – non esiste un’altra città con tanti corsi / uno dentro l’altro, larghi disperati –” ( Notturno).
Sinceramente, caro Dante, non riesco proprio a ricordare tutti i nomi dei luoghi che mi hai invitato a visitare: via Po, Porta Nuova, corso Unione Sovietica, corso Galileo Ferraris, via Lagrange, via Spano, via Roma, via Tunisi, via Novara, le Molinette, il vecchio stadio, i Murazzi, il ghetto ebraico, via Cibrario, la collina di Superga, Porta Palazzo, via Paoli, e tutti gli altri caffè della città. Torino non è poi così bella come la descrivevano i nostri emigrati degli anni Sessanta: il mio vicino conserva ancora la sua Fiat seicento comprata quando lavorava nella fabbrica di Mirafiori. Poi è tornato a Sud.
Le lezioni di Gianni Vattimo non mi hanno impensierito. Mentre camminavamo mi hai ribadito: “Il filosofo forse ha ragione, ma io / la penso diversamente: le verità / stanno in superficie” (Prima lezione di filosofia). Trovi la mia condivisone su quanto dici! – Come il richiamo a La scienza Nuova del conterraneo Giambattista Vico: “(…) Ma quella donna coi seni puntuti / mi distrae dalla lotta e Pan ride / della mia debolezza, mi sottrae / il senso e il divenire” (Vattimo: terza lezione). I miti greci sono rinati nelle nostre terre, per questo ti seguo alla ricerca della parabola meridiana tra ombre e nebbie di una città troppo grande per lasciare fiorire i sogni e permettere al sangue caldo di non gelare.
Certo non siamo passati vicini al cimitero monumentale di Corso Novara: avremo sentito ancora il tuo dialetto e il mio, la voce dei morti imprecare scongiuri dopo tanti anni. I nostri conterranei non si sono adattati a morire qui, lontani dal mare così caldo: “Già ti cresce in cuore / la lontananza / e cieli nuovi saranno / a vederti sfiorire” (Mia sorella va sposa a Torino). Abbiamo visitato il Museo Egizio, la bella raccolta “Luigi Pigorini” e ti ho visto per un attimo smarrito prendere il tuo taccuino e assentarti dallo sciame dei visitatori: “(…) Per me eri una creatura come un’altra, / avrei potuto ucciderti, ma sai, in me / non si cancella il sogno della vita / neppure quando ho a che fare con la mostruosa / tua scempiaggine. Ti assolvo, ma bada, / non voglio finire come tutti. / O tu che poi sarai mia sposa eterna” (Alla morte).
Per una data abbiamo un amico comune, 27 agosto 1950, Cesare Pavese. In quei giorni mi nutrivo al petto di mia madre ma sapevo che avrei incontrato i versi del poeta delle Langhe lungo la mia strada: amava le colline, l’uva matura, i suoni sull’aia. Peccato che non l’abbia conosciuto, così schivo, tanto impegnato. Tu lo descrivi giustamente: “(…) per chi ebbe la vocazione al vizio assurdo / e se ne fregò del successo” (27 agosto 1950). Anche i tuoi amici Primo Levi, Giorgio Barberi Squarotti, Norbeto Bobbio, in qualche pensiero sono debitori all’illustre scomparso.
Quello che più amo di questa tua raccolta è l’ironia possente, la voce dei presagi che si annunciano con l’aiuto dell’enjambement, la rima che compare nelle chiuse o all’interno del corpo poetico: sembri la Sibilla Cumana. Mi piace ascoltarti mentre parli in modo pulito di puttane, di urinare, di sputare sul pavimento, del bidet, del sangue, senza alterare la bellezza euritmica del costrutto poetico: “La Mole” versatile per rendere omaggio alla città nella quale mi stai guidando: “(…) Torino della mia infanzia / era la culla dell’ordine e della ricchezza / e presentarsi a me con quella schifezza / di bidoni consunti, di giornali vecchi, / su cui c’erano vistose cacche di topi / mi fece male” (Mi meravigliai).
Come ha scritto Giovanni Tesio nella prefazione a questa raccolta: «Mentre scrivo questa prefazione il giorno dopo il referendum-Marchionne – non può non colpirmi, infine, una quartina ancora de L’amante, che contribuisce a suggerire anche una lettura di taglio “civile” (termine che invito ad accogliere con discrezione): “(…) pensa che ancora tu puoi / ordinare i cassetti, rifarti il belletto, / ridare ai monumenti la cipria / e dare una sterzata a Mirafiori”. Il caso che diventa destino? O davvero la poesia è anche – e sempre – un po’ profezia?» Credo sinceramente di avere i piedi stanchi dopo questa lunga camminata per tante strade e tanti luoghi. Ma non conosco la città se non attraverso i tuoi occhi, il tuo amore per la vita.
“(…) Fortuna che all’angolo con via Cernia / incontrai una donna quasi svestita. Per tutta / la notte mi spiegò la bellezza della città, / mi disse e ridisse dove s’annida / il fuoco sacro che dà linfa ai torinesi” (Notturno). In questi versi ritrovo la sacralità delle energie che la nostra gente/terra ha dato alla città e la consapevole distanza che ci separa. Il mare è il mare e il fiume vi si corica senza più età. Ti sono riconoscente per avermi guidato là dove non ero mai stato.

mercoledì 19 febbraio 2014

Mario Fresa. Ritratti di poesia (32)



L’altro (o dell’irriducibilità dello sguardo)

Mario Fresa






Ma la parola, la parola, può davvero fermarsi mai? E in particolare: la parola forte della poesia può conoscere l’ostacolo di una sospensione, l’accecamento del sonno o dell’inerzia? Certo, no. Eppure: vi è un continuo paradosso nell’opera di un poeta. Egli scrive: e dunque fissa, nell’immobile spazio delle righe, qualcosa che tutto può essere, fuorché assoluto, durevole, risolutivo. La morte, dico, non appartiene alla poesia. Infatti: è necessario trasportare la danza ferma della scrittura verso l’apertura di un movimento puro che si identifichi, alla fine, con la vita stessa. Quale significato, in questa ipotesi? L’esistenza risplende e si cancella, risplende e si supera, fruttifica e tramonta: e ancora; e così via. Bisogna essere un fiume, anche quando si scrive. Cioè: non si può mai sperare di dire l’esistenza, di nominarla, di chiuderne il senso nel chiuso cerchio di una parola definitiva, che non sia pronta, di continuo, alla trasmutazione e al rovesciamento. Perciò un verso va scritto, e poi dimenticato, e dunque riconsegnato all’esperienza della vita stessa; e allora, si dovrà pure capire che l’elemento fondante – in assoluto, il primo – di ogni discorso poetico sta nella sua capacità di aderire con perfezione, e con devozione, allo specchio metamorfico degli eventi che entrano-escono, e che vivono-muoiono. La poesia coincide con l’emergere di un’esplosione che poi si azzera e che poi già ricomincia, mostrando un nuovo volto, e un altro; e un altro. Ed ecco, insomma: la poesia dice, appunto, l’altro, e ciò che è, e ciò che un istante dopo non è più; e testimonia, soprattutto, l’irriducibilità, o l’imprigionabilità del pensiero, e le sue incontenibili rifrazioni e mutazioni. Lo spiega bene l’ultimo, bellissimo libro di Eugenio Lucrezi, Mimetiche (2013, oèdipus). Lucrezi è, innanzi tutto, un poeta-vocalista, capace di declinare la parola della poesia nei modi più fluidamente dinamici e scomponibili che si possano immaginare. Tutto, in questa raccolta, riluce sul profilo di una lingua che ogni particolare sa trasfigurare e sovvertire, nel segno di una metamorfosi nervosa e ininterrotta che sempre rinnova e sempre si rinnova, e capovolge e ripensa il reale, affermandolo e negandolo, ricostruendolo e rimovendolo. E questo, appunto, significa saper tradurre la poesia nel gioco vero della vita (e, anche, nella vita di un vero gioco): e nessun verso, qui, proprio nessuno, sembra voler trovare la pace di un approdo, e si traveste e rinasce come un dio greco desideroso di mascherarsi per amare (e di amare per mascherarsi; ed ecco, adesso, un altro paradosso: chi si maschera, infatti, ama in modo assai più profondo, e più sincero!). E allora le poesie di Lucrezi assumono figurazioni, timbri e parvenze che vivono all’insegna dell’imprendibilità (e, in fondo, vorresti dire, dell’impossibilità di trovare, o di scovare, un unico modo di ritrarre, e di catturare, l’istante concreto della vita nel suo immediato mostrarsi); così, sulle pagine, vedi muoversi parole che incontrano rime, assonanze, allitterazioni; e che si denudano fino alla scabra geometria di un distico; e che si divertono a tratteggiare calligrammi che sono quasi palindromi; e che spiegano la poesia in prosa, o utilizzano lingue altre, antiche e nuove (l’inglese, il latino); e che fanno di tutto per diventare disegno puro, colore accecante, e musica bianca e forte, percussiva e sottile, minimale e grandiosa (leggere per credere: anzi no: ascoltare e vedere per credere!). C’è proprio tutto, qui; e i versi dicono i sentimenti estremi: dolore ed eros che dialogano proficuamente, rivelando un’amicizia forte e strana, e formando un’inquieta adunazione di sensi che riunisce e fa camminare insieme i più lievi marezzi della seta e i più temperati aculei di un’ironia sovrana: un’ironia, quella di Lucrezi, che insegna la leggerezza e la malinconia, e che parla, con amore e con mistero, dall’alto – o dalle viscere? - di un «golgota rumorista», col supporto miracoloso di una lingua estrema, perché lucida e folle, «extramoenia e disabilitata», «extrasinusale», e tuttavia «felice».







Eugenio Lucrezi, Mimetiche

Postfazione di Massimiliano Manganelli

Con tre figurine dell’autore
e due disegni di Paola Nasti


Oèdipus, 2013, pp. 120




sabato 15 febbraio 2014

Su Cambiare di Stato – morire di natura di Narda Fattori

Prefazione di Bruno Bartoletti
Nota di lettura di Gianmario Lucini
Edizioni CFR, 2014

recensione di Alessandro Ramberti

Questa nuova raccolta di Narda Fattori risulta molto coesa. Come scrive in Prefazione Bartoletti: “è il libro della memoria, quasi una summa, un testamento, una riga sotto cui scrivere le cifre che contano” (p. 5). Il libro si compone di due Parti: “A futura memoria” più breve, e quella che dà il titolo all’opera nel suo complesso. I versi sono sciolti (con una diffusa presenza di endecasillabi) e fanno un uso sapiente della rima interna e delle assonanze. Il tono è prevalentemente elegiaco, a tratti sapienziale e con echi che ricordano il Qohèlet: “perché fra il nulla e il vuoto c’è / un interstizio da cui non so cosa trapeli” (p. 21); “pensiero pieno sarebbe se ci fosse tempo / d’aspettare l’affacciarsi delle stelle” (p. 30); “Si è sparpagliato tutto l’amore / ma questo che mi scorre fra le dita / qualcuno sa dirmi cosa sia?” (p. 32). La pagine offrono immagini di grande intensità: quando ci troviamo “al limite”, quando ci si sente “anime con i piedi all’aria / che vanno senza orme” (p. 29), le cose e gli eventi, i nostri stessi errori vengono ridimensionati, non necessariamente nel senso di venire ridotti, ma di assumere nuove dimensioni, di accrescere o diminuire l’importanza che fino ad allora avevano. La natura, che abbraccia la nostra esperienza e forma la nostra sensibilità, è scuola sempre generosa di vita e sorprendente: “coccinelle di buona sorte sul dorso / della mano fato il morto – vi ho spaventato / con un lapsus un gesto sconsiderato – / e mi temete lo so e fate il morto / e non so se ridere o piangere o poggiare / il palmo dell’altra mano su quel dorso / mie prigioniere come nella memoria / dove invece vivete sui seminati di grano” (p. 20); “succede che fra farfalle e fiori ci si confonda / o il fiore è una farfalla e il petalo respira / la lama nell’aria che fende il bruno proiettile?” (p. 26).

Percorre i versi un’ansia di lasciare nei cari una permanenza di sé, un chiedere alla vita, a chi abbiamo avuto con noi per un tratto più o meno lungo di strada la disponibilità di un gesto accogliente, anche di perdono e di aiuto: “chissà che non giunga l’ora del perdono / mi servono tutte le voste mani / per spogliarmi dei peccati ma siate / buoni – aiutatemi – abbiate mani lievi” (p. 22); “Ecco la colpa le omissioni il restare / fra il poco e il nulla come su una foglia” (p. 35); “Mia vita – lasciami un tramonto / che mi brilli sui capelli e sciolga i nodi / rimasti impigliati dai venti” (p. 52); “sta in poche parole la mia vita e un figlio per perdonarmi” (p. 63). La morte, che tutti attende, ci rende preziosi i momenti, ci porta a considerare il valore dei volti, le conseguenze delle azioni, la bellezza nascosta nelle cose, nelle parole “smunte”, nei sentimenti più umili, semplici e attenti… e anche se l’autrice scrive “di me resterà una polvere impalpabile / che solleverà una farfalla in volo” (p. 50), sa che la poesia può rendere quella polvere preziosa, grazie all’ascolto empatico di chi vorrà farla scorrere dandole sempre nuova vita: “mi sono sempre accontentata del poco / il bello lo aggiungeva il mio sguardo / e quanto e quanti mi parevano tanto” (p. 53). Se il tempo non si può ingabbiare, se anche i nostri principi e valori sembrano svanire, non tutto è perduto, c’è una fecondità del vuoto, quando non è abisso ma grembo infinito: “a me è rimasto un vuoto che quando penso / si slarga a dismisura e impasta la terra” (p. 67) – sono gli ultimi versi che sigillano con intensità questa vibrante “confessione” poetica.

giovedì 13 febbraio 2014

Vincitori del concorso Pubblica con noi 2014 sez. Poesia

La Giuria e Fara Editore sono lieti di comunicare i risultati della XIII edizione del Concorso. Potrete leggere gli autori nel volume Opere scelte, in preparazione, e qui sotto alcuni brevi stralci.  Per la sezione Racconto v. narrabilando.blogspot.it


Classifica Pubblica con noi 2014 – Poesia

1° classificato

Un confine mobile

di Roberto Cogo (Schio, VI)


in scintillante attesa 

brillano le acque del lago sotto i colpi del vento

questa geopoesia ha punti fermi e salde promesse
si rivolge a uno zero carico di confronti

s’apre a contenuti con parole lacustri contemplando
falde di un viola prematuro —

pregano le acque il giorno vivo in scintillante attesa
gli uomini solo di passaggio 


verso una riva 

non il sole né le nuvole in assiduo passaggio
perturbano le acque del lago

neppure le canne palustri
nel bisbigliare trasandato sulle sponde
dove scivola un cosmo intero dinanzi allo sguardo —

è l’assenza di un dubbio qualunque
che percorre quelle fragranti increspature
tra zone d’ombra luccichii ipnotici ammiccamenti —

così in viaggio tra le minime onde
verso l’incontro con una riva ulteriore
si sorvola svagati qualcosa di prodigioso e intatto

di generazione in generazione
cercando alla meglio di non imbruttire ulteriormente 


accoppiamenti 

sul lato in ombra del lago fluttuano in accordo
due anatre sospinte dal vento

come in un rapido ritorno di pensiero quando
parola e mente temporeggiano

congiunte nell’iride azzurra del cielo
per scivolare lungo il lato oscuro del significato 


messaggi sulla corteccia 

olmi salici e qualche betulla con un chiurlo
sconsolato a dichiarare una presenza
un punto di vita personale —

fischia un dubbio nel messaggio
dove il legno mette a nudo il proprio enigma
impresso sul tronco dei faggi —

l’ideogramma di un pensiero naturale




Roberto Cogo è nato a Schio (Vicenza) nel 1963. Si è laureato in lingue e letterature anglo-americane all’Università Cà Foscari di Venezia. Ha pubblicato i libri: Möbius e altre poesie, Editoria Universitaria, Venezia, 1994; In estremo stupore, Edizioni del Leone, Venezia, 2002 (finalista al Premio di Poesia Montano 2003); Nel movimento, Edizioni del Leone, Venezia, 2004; Di acque / di terre, Edizioni Joker, Novi Ligure, 2006 (finalista al Premio di Poesia Montano 2008); Io cane, L’arcolaio, Forlì, 2009; Senza il peso di un pensiero, Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero, 2011 (Premio Anna Osti 2013); Dell’immergersi e nuotare – wild swimming, Attilio Fraccaro Editore, 2012. Ha pubblicato le raccolte: Confondi il vento, in «La Clessidra», Edizioni Joker, Novi Ligure, n. 1, 2007; Mai identico riproporsi, in «Italian Poetry Review», Società Editrice Fiorentina, Firenze, vol. II, 2007; Ancora nel luogo neutro e Il cielo dentro la montagna, nell’antologia, Dall’Adige all’Isonzo - Poeti a Nord-Est, Fara Editore, 2008; La luce è del sole, in La poesia, il sacro, il sublime, Fara Editore, 2009; Verso il leggero, in Salvezza e impegno, Fara Editore, 2010; Supplementi di viaggio – poesia tra tempo e luogo, in Il valore del tempo nella scrittura, Fara Editore, 2011. Ha tradotto dall’inglese vari poeti tra cui: John. F. Deane, Charles Olson, Les Murray e Gary Snyder. Nell’estate del 2009 è stato poet in residence sull’isola irlandese di Achill nella contea di Mayo, ospite della Achill Heinrich Böll Association.

«L’esplorazione del confine mobile tra la soggettività del poeta e il mondo che lo circonda, descritto in termini quasi esclusivamente naturalistici, si risolve in una poesia solida, dall’andamento talvolta piano e prosastico, ma che non per questo esclude immagini ricche e potenti. Traspare una saggezza secolare, eppure a portata di mano, che il poeta sembra poter comunicare in modo inesauribile e mai pedante al lettore, facendolo partecipe di un flusso continuo.» (Lorenzo Mari)

«Non è da tutti saper ascoltare i messaggi di un territorio, ancora meno ascoltare i messaggi che arrivano da sè stessi: con questa raccolta il poeta (o la poetessa) si mescola con l'anfiteatro naturale che lo circonda donandoci scorci di verità.» (Francesco Osti)

«Quale sarà il "Confine mobile" che titola il lavoro? A prima lettura sembra essere l'occhio dell'uomo, come luogo in cui - attraverso lo sguardo e la riflessione dell'uomo - il mondo inanimato partecipa all'autocoscienza dell'universo. La silloge è infatti pressoché tutta fondata su ampie descrizioni naturalistiche e frequenti sono i riferimenti allo sguardo; senza tuttavia, che il tono scivoli in quella leziosità bucolica facile da incontrare, quando ci si avventura su certi temi.» (Daniele Gigli)




2° classificato

Il passo verde

di Vincenzo D’Alessio (Montoro Inferiore, AV)


L’albero del dolore 

regge i sogni a malapena
non sa la mano che
l’ha sospeso né l’urlo taciuto
nel ventre della bara
è amaro come pane raffermo
troppo a lungo dimenticato.

§

a Vincenzo Cerami

Che ne sapete dei poeti ?! 
Appena nati respirano
futuro inascoltati
cantano il bello della Vita
Non uccidete i poeti !
Lasciateli ai sogni infantili
usciranno in silenzio dal mondo
dentro la bolla di un respiro.

§ 

a C.Cammarano
 

La donna vestita di bianco
siede sull’uscio ha mani
rugose di anni passati
al mulino di casa
La donna non parla
ha occhi vetrosi di pioggia
la schiena curvata
un figlio gli manca
è morto lontano
Ha sorriso d’un tratto
nel tempo comune
a qualcuno che compra
il suo pane.

§

Da questa chiesa
senza porte il vento
porta il coro dei morti
le murate negli occhi
del cielo salgono
alle finestre vuote
il Vespro suona
nell’anima che duole.


§

Lavati la fronte
ogni mattina con
acqua e aceto come
vecchio contadino
togli il calore del sonno
sveglia il cuore antico
La notte ha cantato
alla luna i tuoi sogni
i nemici hanno seminato
l’ortica per uccidere il grano
ma tu sai sognare
Essi non sanno
la parola dell’erba
il racconto della sorgente
il silenzio dell’eterno.



Vincenzo D’Alessio è nato a Solofra (AV) nel 1950. Vive a Montoro Inferiore (AV). Laureato in materie letterarie all’Università di Salerno, ha ideato il Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra”, ha fondato il Gruppo Culturale “Francesco Guarini” e la casa editrice omonima. È cofondatore del Premio Nazionale Biennale di Poesia “Cluvium” (insieme alla Pro Loco Calvanico) dal 1996,. Ha pubblicato diversi saggi di archeologia e storia locale e le seguenti raccolte poetiche: La valigia del meridionale (1975), Un caso del Sud (1976), Oltre il verde (1989), Lo scoglio (1990), Quando sarai lontana (1991), L’altra faccia della luna (1994), Costa d’Amalfi (1995), La mia terra (1996), Ippocampo (1998), D’amore e d’altri mali (1999), Elementi (2003), Versi di lotta e di passione (2006). La raccolta, Figli (2009), è dedicata al figlio Antonio, prematuramente scomparso. La silloge Padri della terra è inserita nell’antologia Pubblica con noi 2007 (Fara) che raccoglie le opere dei vincitori dell’omonimo concorso, mentre La solitudine dell’iceberg è stata inserita, sempre per i tipi di Fara, in Creare mondi, antologia dei vincitori del concorso Pubblica con noi 2011. Sempre con Fara nel 2012 è uscita La valigia del meridionale (poesie 1975-2011)Ha ricoperto la carica di Ispettore Onorario del Ministero dei Beni Culturali dal novembre 1977 al novembre 1988. 

«Il dolore dell'uomo trova respiro nella poesia dell'autore i cui versi sono levigati e intensi. Il senso dei luoghi, la presenza e l’assenza dei padri, le immagini mediterranee danno vigore alla silloge.» (Teresa Caligiure)

«Una poesia-radice che entra con forza e consapevolezza nella terra per scoprire sé stessi ed anche gli altri.» (Francesco Osti)

«Liriche che hanno il gusto e la consolazione di una feritoia: si squarcia il buio, un raggio lungo fuggevole  profondo. Tanto basta a cogliere e stigmatizzare in un verso un frammento acceso di verità.» (Angela Caccia)




3° classificato

Note a margine di Pasquale Piro (Crotone) 

L'architrave del nostro amore

Con cipiglio settembrino  
tra erbari di foglie morte
collezioni silenzi
e gesti rassicuranti.
Tu sai che è tempo d'autunno
per il nostro amore.
E quindi con la saggezza
di vecchia e incerta amante
prima del solitario inverno
mi chiedi di rinforzare la nostra casa
con una possente trave in legno
che sorregga il peso
e la stanchezza dei nostri anni.
Così, sotto all'architrave
accanto al fuoco certosino
sistemiamo il pesante tavolo di rovere
che hai scelto con cura
dopo averne ispezionato la solidità
e su cui appoggeremo i nostri calici
quando busseranno alla porta
i rigori dell'inverno.


Altro e altrove

Nell'altro nostro altrove
scrigni aperti
e carestie di menzogne
Nell'altro nostro altrove
bussole d'oro
e carovane di migranti
Nell'altro nostro altrove
chiavi riposte
e sestanti contraffatti
Nell'altro nostro altrove
bagni di pane
e semine di vino

Nell'altro nostro altrove
cavallette meticcie
e grida di colore
Nell'altro nostro altrove
mari generosi
sospiri e diapiri
Nell'altro nostro altrove
la domenica si va in barca
per cantare


Appuntamento per l'ultimo millennio

Aspetterò i tuoi occhi
nel vicolo cieco dei miei anni smarriti
nell'ultimo dei nostri respiri
in quel posto che tu sola sai
oltre il verde e l'azzurro
esiste un sentiero
è la strada per l'ultimo millennio
Siederò lì ad aspettarli
sul capoverso di un nuovo girotondo.


Baratto 


Ho barattato
i fiori con l'odio
estirpato
il desiderio radicato
Nella carne ho seccato
il mio navigare peregrino
Sotto il sole di marzo
come lucertola incerta
assorbo i miei colpi
e come tamerice
restituisco vita alla terra


Bonaccia

È tempo di bonaccia figli miei.
Issiamo le nostre vele
e chiudiamo i nostri cuori
Chi ci cerca è già dietro la porta



Pasqualino Piro è nato nel 1965 a Crotone dove lavora come insegnante di sostegno e come esperto di Hw e Sw applicati alla didattica speciale. Non hai mai pubblicato in volume, né mai participato a concorsi letterari. Collabora attivamente con alcune associazioni culturali ed ambientaliste che operano sul territorio in cui vive. Trascorre saltuariamente lunghi periodi negli USA e le sue passioni sono la lettura, la musica ed il trekking.

«Tra poesia e prosa, i componimenti, che presentano fitti richiami alla tradizione poetica italiana, offrono immagini e accostamenti lessicali interessanti e originali.» (Teresa Caligiure)

«Non mi piace il titolo; due o tre liriche sono deturpate da una rima baciata che sacrifica anche il contenuto; tutto il resto, almeno il più, lo sento un autentico getto di poesia.» (Angela Caccia)




4° classificato

E creò la donna

di Franco Casadei (Cesena) 

Prima sezione … rimembri ancora quel tempo…?

Il tuo sguardo nella folla

Incrociato il tuo sguardo nella folla, 

hai scrutato a lungo
come si saggia un volto sconosciuto,
con la pazienza del vasaio
l’argilla ha preso forma

custodirò il tuo respiro, caldo
come lo scavo del nido dopo il volo,
il grano fiorito fino al pane.


Non furono parole

Quel giorno,
quel suo vestito con niente di speciale

quel giorno fu, quel luogo

le uscì un sorriso

non furono parole
solo una mano nella sera,
un vento nuovo
a fare di un giorno già domani.

E tutto uno sventolare di bandiere.


Il tuo segreto incanto

Il tuo segreto incanto sommuove
l’aria intorno, è rifiorito il giorno

luce che scalda e abbaglia nella danza
odorano di cielo le tue ferventi mani,
hai fatta tiepida l’aria di un sole antico
resa amabile la sera nelle sue incerte luci.


Tu che tramuti la bellezza in passi
Tu che tramuti la bellezza in passi
sei svoltata all’angolo da poco,
i tuoi capelli hanno lasciato un vento

una vena d’oro scorre nelle tue radici
come fosse sempre giorno
e l’alba non ti derubasse delle stelle.


Il tutto nel frammento

Bianco il tuo viso
come il respiro della neve,
la tua mano racchiusa nel sonno
sembra un fiore

amore,
io ti coltivo

nella tua conchiglia
sento tutto il mare


Cantico

Meridiana che ritma sonno e veglia
ho incontrato in te la meraviglia
sai di fieno e rosa
acqua che sazia terra e foglia
la freschezza dell’alba ti assomiglia

la tua voce, suono che il vento incrocia
come un’apparizione
sprigioni luce fra le dita.

 

Franco Casadei è nato nel 1946 a Bertinoro in provincia di Forlì-Cesena. Medico otorinolaringoiatra, vive e lavora a Cesena. Ha pubblicato le raccolte di liriche I giorni ruvidi vetri (Il Ponte Vecchio, Cesena, 2003); Se non si muore (Ibiskos, Empoli, 2008); Il bianco delle vele (Raffaelli Editore, Rimini, 2012). Primo classificato nei premi di poesia: Ungaretti, 2005; C. Levi, 2005; Giovane Holden, 2008; Città di Venezia, 2013; “C. Pavese”, per medici scrittori, 2013; G. Gozzano  di Agliè, 2013. Fra i primi classificati nei premi: Neruda, 2006; D.M. Turoldo, 2011; J. Prevert, 2011; Kafka, 2012; “Ossi di Seppia”, 2012; Premio nazionale di Filosofia- sez. paradossi, 2012. Sue poesie tradotte in spagnolo e in lingua romena. Fra gli ideatori de “La poesia nelle case”, proposta di modalità di divulgazione della poesia in vari luoghi delle città. 

«La propria donna vista dalla lente di un canzoniere dettato dall’amore nato, consumato fino al midollo della gioia e poi dissolto. Una seconda parte che canta, invece, la donna più famosa (e già udita), in tutte le sue declinazioni di cronaca, storia, tradizione. Meglio la prima parte, più aerea (sebbene più intimamente collocabile).» (Anna Ruotolo)

«Un’accecante passione – di stile e di sostanza – caratterizza quest’opera che tocca le diverse esperienze dell’essere umano, senza ambiguità e senza concessioni al perbenismo di moda, accompagnando con intelligente candore anche eventi difficilmente decifrabili come Auschwitz ed il destino di Eluana.» (Luca Carboni)




5i classificati ex aequo

Monitorare le incongruenze

di Andrea Labate (Milano)

MONITORARE LE INCONGRUENZE

È giusto non chiedere niente  
se conosci il frastuono del vetro che si conficca a palpebre chiuse
nella mente che s'inabissa per volare alto


(ma il saggio intuì l'eterno
in un tappo di bottiglia e continuò a salire)


Si manifesta in un panorama mischiato a qualche vita in sordina  
cedi un respiro alle quattro mura ammuffite
– è un mondo che sai prevedere  
quando rinchiudi la fuga in cantina –   
quindi prendere la fragilità da mettere in valigia 
tuttta violacea in volto 
sdrammatizzare un'implosione e attenersi al manuale


Parlando di colpe –
dicono maggiorenni e vaccinati

Parlando come al solito
ma non ancora vicini al coraggio per sentirlo pizzicare nell'addome
come qualcosa che si può rompere da un momento all'altro
anche salendo le scale

Ma stai lì ad aspettare la fiammata-
la cenere è percorsa al contrario e inizia a fare presa

all'altezza degli occhi non potrai più cantare

Voglio ricordarci così
quando ancora non sentivamo il bisogno di sederci.


LINEE GUIDA
(di come trovai un'impronta di cavallo nel cemento)

Avevi la pronuncia esatta del PERCHÉ

così chiusa e serrata
nel tuo manuale lunare di una realtà stravolta
e non importavano i tuoi
o i miei capelli
cosa decidessero di fare

ma vedevo soltanto estranei uscirsene nel buio
di qualche umida foglia vomitata
e potevo offrirti solo stomaco e sincerità
e non pregavo per nessun cielo acceso
così grande da contenere il cavallo
l'asino e il maiale

quello che dovevo fare
era contare i passi e sentire la fitta
della tua pronuncia sola e triste
nella puzza schizofrenica di un'alba da impiegati.

Contare i passi
con la tua paura che ti strangolassero nel sonno
sul tuo tatuato scempio marchiato a fondo anima
e le lacrime imprigionate nel tuo coito.

Prestare attenzione e lasciar scorrere:
anche le pietre hanno karma:
individuarne i segni, anche di notte.  


TRA UN CARRO FUNEBRE E UN CARRO BESTIAME

tra la cima e il cielo
preferisco il sentiero degli arbusti
e sentirmi un esserino che odia i capricci

tra la cima e il cielo
preferisco il riflesso degli arbusti
dove risuona il luminoso

dove scommettere un ciao sconosciuto
fa riempire i buchi del tempo

– ma non si celebrò nessuna aggiunta piuttosto
un aggrovigliarsi di copertoni e fiati corti
nel modulare le cose incontrollabili

di come ti scrissi della vastità attorno
il remoto rimbomba dentro
e crea legame.

Quest'anno il risveglio era previsto liscio
– la vestizione sacra
e insegnare al piccolo a riciclare la carta.




Andrea Labate è nato a Sondrio il 12/01/1987. Valtellinese d'origine (Morbegno) ma ormai milanese d'adozione. Dopo l'adolescenza inizia gli studi in Lettere Moderne alla Statale di Milano. Studi che si devono ancora concludere. Lavora come cameriere in un ristorante e si mantiene in questo modo. I modelli dai quali inizia a muovere i primi passi sono i poeti della Beat Generation. Ha approfondito anche la cultura underground degli anni '60 grazie alla conoscenza e all'amicizia di Gianni Milano, poeta e pedagogista che è considerato uno dei più importanti esponenti della controcultura.

«Il titolo Monitorare le incongruenze ben descrive il lavoro di mappatura dell'ambiente che questa silloge propone. Un monitoraggio attento e ampio ma che proprio come il monitor - che sembra asettico ma non può esserlo realmente - sembra scegliere un punto di vista, un'inquadratura ben precisi: quelli per cui l'incongruenza e il male si possono e anzi si devono guardare, ma solo perché - dal fondo dell'immagine - emergano i dettagli nascosti dal primo piano! (Daniele Gigli)




Lunamadre

di Gabriella Bianchi (Perugia) 




Non sei più qui. Sei migrata
con le rondini che a marzo fanno il nido
sotto il tetto della tua casa d’infanzia.
Anch’io, nascendo in marzo, vi ho fatto il nido.


Ti odio lavagna di luce
perché hai rapito la donna
che mi generò al mondo
anche se lei non oppose resistenza
al rapimento
perché era stanca di lottare
e si lasciava vivere
come una barchetta di carta
io le suturavo gli strappi
quando andava ad urtare contro gli scogli
le rammendavo la chiglia
del corpo adagiato
giocavo interminabili partite a scacchi
con il piccolo timoniere
della barchetta ferita
per impedirgli di andarsene
ma d’improvviso si spalancò
il mare aperto
e l’orizzonte si presentò spoglio
come un attaccapanni vuoto


era l’orizzonte che disegnavo da bambina
sui quaderni delle scuole elementari
privo di luce sulla carta a quadretti
e quando ho chiuso il quaderno
non c’era più nessuno
il piccolo timoniere aveva barato
e mi ha imbrogliata
un furto come tanti una sparizione di persona
una gomma che cancella un nome
una penna che racchiude in due date
una storia di carne e di voce
ma tornando alla lavagna di luce
così quieta da far nascere inquietudini
– come i fremiti racchiusi nei laghi –
lei che sigilla segreti perché tutto vede
complice di misfatti d’ogni risma
di amori puri e da postribolo
lei che tace per disprezzo
verso tutti gli umani e i disumani
lei la somma dea delle tenebre


la sgualdrina per eccellenza la ladra
si atteggia a vergine regina
e dietro il drappo bianco
nasconde il popolo dei morti
che non sa dove andare
perché i morti non hanno più una casa
sono gente in esilio in transumanza
e lei gioca con la loro paura
li fa accucciare dietro il suo mantello
ed io sputo sul suo chiarore
riflesso a terra sul lastricato
perché tiene le anime al guinzaglio
e finge un perbenismo da cristiana
lei che rapì mia madre
nel giorno del finto allunaggio
(bella recita sul set della presunta luna)
mio padre disse: è un’americanata
ci danno da bere frottole e menzogne
la luna è un terreno inviolato
solo Astolfo vi salì con l’ippogrifo 



Gabriella Bianchi è nata e vive a Perugia. Ha pubblicato sei volumi di poesie: L'etrusca prigioniera 1984, Canzoniere 1990, Giardino d'inverno 2005, Cartoline da Itaca 2005, Il paradiso degli esuli 2009, Il cielo di Itaca 2011. È presente in varie antologie nazionali. Ha vinto alcuni primi premi ed è stata inserita in Faraexcelsior 2013. Hanno parlato della sua poesia: Mario Luzi, Valerio Magrelli, Davide Rondoni, Maurizio Cucchi. 

«Nei testi, dall’andamento poematico, si costruisce passo passo il percorso di elaborazione del lutto che l’io poetico si trova a dover affrontare a ragione della scomparsa della madre, avvenuta il giorno storico dell’allunaggio (fasullo? cinematografico? interamente riassorbito dal dolore?) di Armstrong, Aldrin e Collins. Forse, però, la luna (principio femminile e materno, di contro al sole, maschile e paterno) è ancora quella dell’Ariosto: là riposano la serenità e il senno perduti, in attesa che la follia epica del poeta li torni a conquistare o anche solo a toccare con mano.» (Lorenzo Mari)

«Un buon equilibro non fa debordare il racconto della vicenda personale dalla misura di un verso libero, sì, ma che tiene. Buona la trovata di dividere la storia senza dividerla davvero, nel senso che si dà l’impressione di scrivere una serie di poesie parti, invece, di un unico lungo, grande testo/romanzo. Non è escluso che le singole poesie possano leggersi, però, senza la precedente o la successiva. Efficace.» (Anna Ruotolo)




La forza degli schiavi

di William Stabile (La Paz, Bolivia)

Questo libro è dedicato a mia figlia G. 
che mi ha indicato La Rotta Giusta



Il destino di ogni uomo è personale solo perché può accadere che assomigli a ciò che è nella sua memoria. (Eduardo Mallea)




Dr. Livingstone, I suppose! 

in te ipso redi, in interiore homine habitat veritas

(Sant’Agostino)



well
yes I am  
dear Stanley


io avevo una fissazione
per l’uomo &
mentre ti aspettavo
ho letto la bibbia 4 volte
& mentre leggevo

& leggevo

amavo osservare sulle rive
l’umana sofferenza
dentro le disgraziate
capanne negre


che orrore! Stanley
che orrore!
tutto era profonda
tenebra


finalmente ho
capito


la vita è sempre
un dono
e non va mai
sfidata
– come ho fatto io –
Stanley


non c’è niente di nuovo
per l’uomo
sul fronte occidentale
le ragioni della polvere
consumano sempre nelle cose
è tutto sotto il cielo - e sopra

nulla
solo l’amore cambia


oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie


ero un parto scagliato
verso un mondo
in un arco una freccia
a cercare una traccia
prima che tu ci fossi 
eravamo già tu & io
insieme  – Signore
e tu senza saperlo
eri già tutto in me

(presente in me)
dentro di me
& io attratto
mi allontanavo da te
e costruivo per me
un’architettura di dolori
e tu preparavi per me
opere e missioni
la mia speranza
che gradualmente
diventava parola
con architravi forti
di essenza
ponevo fragili
colonne di pensieri
e così per mia gioia
ripagavo te
in una vita para bellum
mordendo un odio
largo
quanto un lago
del continente nero


oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie




William Stabile è nato a Milano nel 1973. Dal 1998 ha vissuto in Inghilterra dove ha lavorato come giornalista finanziario tra Londra e Milano. Nel 2000 si è imbarcato su una nave in giro per il mondo. Ora insegna lingua e cultura italiana a 3.600 mslm a La Paz, Bolivia. Sui versi sono usciti su varie riviste e siti di poesia italiana e straniera. È presente in alcune antologie di poeti italiani contemporanei. Ha pubblicato una raccolta di poesie con Fara Editore Contrappunti e Tre Poesie Creole, 2006. Ha ricevuto una segnalazione nell’Antologia del Premio Nazionale Biennale “Città di Solofra”. Un suo contrappunto, in inglese, è inserito nell’ultimo libro del poeta irlandese William Wall Ghost Estate, 2011. Si riconosce nella frase del poeta salernitano Alfonso Gatto: “Se voi vi domandate perché un poeta scrive, in che modo si è deciso a scrivere […], comprenderete perché la poesia appartenga agli uomini che non si difendono, che passano nella vita, lungo tutta la vita, senza appropriarsene, amandola anche per gli altri che credono di averla spesa o di poterla spendere senza mai riuscire nemmeno a destarla.” 

«Il senso del testo può ben sintetizzarsi in quella domanda angosciante, ma anche un po’ ironica: “Mr. Livingstone? I suppose!”. Una domanda esistenziale che si dipana attraverso sofisticate dialettiche e preziosismi stilistici e che giunge - come in un cerchio che si chiude - ad un rasserenante “well yes I am, dear Stanley”. La risposta è dentro la domanda!» (Luca Carboni)




Torrido 
di Antonio Devicienti (Orino, Va)






Girovago giramondo
pittore e anarchico[1]
torrido
tracimante di vita candido essere
quadri per poche lire offrendo
per un bicchiere di vino
dipinge nudo
(proteso alla bellezza il pensiero
che per lui è onestà
verità
non abbisogna abiti
da poeta o da pittore)
torrido
torrido
e reietto nella comunità
dei benpensanti
giramondo girovago
in manicomio lo vuole la famiglia
anarchico e pittore
vita tracimante per troppo amore
bagno di mare a San Cataldo
(pieno gennaio)
decàndia campana cafiero
assieme in una scassata Cinquecento
San Cataldo San Foca Torre dell'Orso
e l'Adriatico a sinistra
ridendo torridi
torridi
toma nel suo esilio a Maglie
►                                                                        
gli alberi di toma
quegli olivi e lecci ed eucalipti salati di luce
tra le cui fronde il poeta
scriveva.
Nei muri a secco si gettavano a capofitto
le lucertole della visione.
Giungono fino a noi dall'esilio
i quaderni straziati di canto
e non sappiamo meritarli.
Di essi indegni noi li leggiamo.
toma, torrido cantore della libertà.


[1]   Il poemetto è ispirato alle vicende umane ed artistiche di Edoardo De Candia, pittore ed emarginato (Lecce, 1933 – ivi, 1992). Propongo qui due opzioni di lettura: è possibile leggere l'intero poemetto così come esso è stampato, oppure leggerne soltanto i versi allineati a sinistra (che definisco "la trama principale"), per poi riprendere, quasi fossero testi autonomi, le liriche che viceversa presentano l'allineamento a destra; ► e ◄ segnalano i punti del testo che esulano dalla "trama principale", ma che con essa sono, comunque, connessi.




Di origine salentina, Antonio Devicienti vive e insegna in provincia di Varese. Suoi contributi critici, note di lettura e testi sia in prosa che in versi sono presenti su varie riviste cartacee (L’Immaginazione, Poeti e Poesia) e telematiche (Zibaldoni,Samgha, La Dimora del tempo sospeso) e in diversi volumi collettivi. Nel 2011 ha pubblicato presso LietoColle la sua prima silloge poetica, Linea borbonica.Collaboratore di Carte Sensibili, gestisce il blog personale www.vialepsius.wordpress.com 

«Il poemetto, dedicato alla vicenda umana e artistica del pittore leccese Edoardo de Candia, è, in realtà, un atto di amore verso la poesia e la temperie culturale del secondo Novecento, respirante in un Sud torrido, che talvolta si immagina deprivato di risorse culturali e che invece è profondamente connesso a tutte le esperienze artistiche e culturali, a livello globale, che si possono ritenere importanti. Il testo, del quale si propongono già dall’inizio molteplici percorsi di lettura, è esso stesso plurale, pluriforme, sfuggente: ogni verso, infatti, sfugge nell’altro, a significare una vita sfuggita nell’arte, ma anche un’arte che non deve farsi sfuggire il ricordo dell’esistenza di un importante ed esemplare artista.» (Lorenzo Mari)

«Questo poemetto polifonico intreccia voci e citazioni distanti, sul modello dei Cantos poundiani:  una strada poco seguita dalla poesia contemporanea e che dunque trovo giusto incoraggiare. Certo, talvolta (come in Pound) l’affresco può essere scambiato per esibizione d’erudizione; tuttavia credo genuino il tentativo, e lodevole la voglia e l’ambizione di misurarsi sul poema, e il tutto con una buona proprietà compositiva e ritmica (si veda la ripetizione di sintagmi con funzione quasi liturgica o incantatoria). In futuro, comunque, cercherei di depurare il dettato da facili manicheismi (per es. “reietto dalla comunità / dei benpensanti”) o da evidenti poetismi (per es. “contrabbandieri di visioni”).» (Davide Castiglione)




6i classificati ex aequo


Nutrita da un dio piccolissimo 
(di Marta Ardesi (S. Mauro Torinese) 


1.

Nutrita da un dio piccolissimo e visionario
ho sentito le mie ossa rimarginarsi
grazie a baci arpeggiati e a fiabe per bambini.
Non sono stata la sola né la prima.
Quando si riannodavano in noi
ispirazioni e carezze luminose
accoglievamo la bellezza con menti in festa
come quando la rondine ritrova il senso
del suo sentire
e torna non a casa
ma a sé.
Abbiamo imparato a memoria ad ingoiare luce
cantare luce
soffrire luce.
I nostri cerchi poetici sono ancora tutti da iniziare
e le veglie d’amore diventano visioni divine
per costruire nuove fattezze
attraverso cui poterci amare
senza più atti d’accusa.
La nostra non è una via di cemento comune
a tutte le altre
ma una serpentina di sogni ancora da imbastire
su cui posiamo i piedi nuovamente vergini
di sacrifici e strappi.
Ringhiamo e graffiamo sole
con baci nati da filigrane di perdono.
Abbiamo invocato i Portatori di luce fino a sgolarci-
ricattandoli
facendo loro delle offerte assurde e romantiche
senza comprendere che pregavamo noi stessi  
e che erano destinati a noi
quei banchetti fantasiosi.
Li abbiamo cercati fino a svertebrarci i sensi-
disseminando il senno frustrato
attraverso tutte e quattro le stagioni.
Abbiamo infine capito chi erano,
ne abbiamo sorriso
l’abbiamo accettato.
Chiunque respira porta luce.
Chiunque ama porta luce.
Chiunque cura porta luce.
Chiunque sogna porta luce.



Marta Ardesi è nata a Torino il 23 maggio 1982. Per molto tempo ha vissuto in altri paesi (Spagna, Portogallo e Africa) e due anni fa è tornata a vivere in Italia. Lavora come tirocinante presso una casa editrice animalista torinese e scrive come volontaria su alcuni blog e riviste.

«C’è una dolorosa ma chiara verità in questa raccolta: con coraggio il poeta (o la poetessa) affronta la sua storia e la dona agli altri per trarne energia e vita.» (Francesco Osti)




Di amore integro 
di Mariangela Ruggiu (Suni, OR)

La linea della vita

Trattienila con le unghie
questa vita che si nasconde
in questo guscio fragile,
questa che ci ha imprigionato
non so perché
in questa roccia friabile
che il tempo sgretola,
accarezzala,
vedi come si riempie di parole
e mi si regala,
trattienila con le unghie
lasciami in questo abbraccio
lasciami in questi odori
di pane, di fiori, di legno antico
e nelle tue mani leggerò ancora
la linea della vita.


Dimmi perché

Come contadino vieni a raccogliere
è sempre tempo di vendemmia per te,
dov'eri quando la terra era dura come roccia
e le lacrime erano grani di sale?
Ho solo queste mani, conta i graffi,
vedi la terra sotto le unghie,
vedi la fame a cercarti, a volerti.
Ora vieni pronto a raccogliere
ma è vuoto il campo
ho diviso le spighe con le formiche,
ho lasciato l'uva alle vespe
e non c'è mosto a fermentare nei tini.
Dimmi perché dovrei raccogliere
conservare a domani provviste per vivere
perché solo ai gigli hai lasciato la veste bianca
e solo ai passeri il volo?
A me hai lasciato il sudore,
mi hai lasciato a contorcermi per un solo vagito,
a immaginarti infinito e trovarti invece
in questi occhi persi.
Ora che tutto finisce almeno lasciami il mare, 
lasciami al mare.


Come sei ora

Amo
e l'amore mi stupisce
quando diventi figlia avida di carezze,
se anche non fossi madre
ti partorirei col cuore
ti partorirei già donna
come sei ora, acerba,
e profumi l'aria di futuro,
quel profumo che improvviso
apre un ricordo. 



Mariangela Ruggiu è insegnante di discipline scientifiche, ama la poesia da sempre, ma ha ripreso a scrivere da pochi anni: è solo dilettante nella poesia e cerca di non mancare mai di rispetto a quest’arte. Non ha molto da raccontare, di sé, piccole esperienze poco significative. Pensa che le poesie, una volta scritte, diventino autonome dal loro autore, per questo è felice di lasciarle qui, perché vadano da sole… Le piace sottoporre quello che scrive al giudizio degli altri, e farne tesoro. 

«Si scrive tra le pareti di sé stessi, le finestre chiuse, a tu per tu con un'emozione che si è fermata accanto. Di amore integro è un pensare a voce alta, supera le barriere in cui si è accucciato l'io e parla in sussurri all'anima che la legge e corrisponde.» (Angela Caccia)





7mi classificati ex aequo


Castelli di sabbia

di Raffaella Nocera (Arzano, NA)

Mi ritorna in mente
la bambina che ero.
Maneggiando abilmente
rastrello, paletta e secchiello,
costruivo castelli di sabbia
che il mare scioglieva. 

18 marzo 2013


 SPRAZZI D’INFANZIA

Rivedo sprazzi
della mia infanzia:
trecce infiocchettate,
grembiulini macchiati,
cartelle colorate.
Mi ritorna l’eco
di allegri schiamazzi,
di cori natalizi,
di storie di principi 
e principesse.
Ma quando i ricordi svaniscono
non mi resta che il tedio.
     
7 settembre 1999



THE DOLL
(LA BAMBOLA)

“Cosa stringi tra le braccia?”,
la bambina non rispose.
Dormiva, acciambellata, 
come un micio infreddolito
stringendo al petto
una bambola di pezza.

2 novembre 2013



Raffaella Nocera è nata ad Arzano (NA), il 9 luglio 1969. Ha conseguito il diploma di maturità classica e la laurea in giurisprudenza; ha esercitato per quasi venti anni la professione di   avvocato. Ha partecipato ad alcuni concorsi letterari raccogliendo si-gnificativi riconoscimenti; in particolare, ha ottenuto una segnalazione favorevole in occasione del Premio nazionale “Grande Dizionario della Lingua Italiana” fondato da Salvatore Battaglia, bandito   dall’editore UTET nel 1997, a seguito della quale ha pubblicato una raccolta di quattro componimenti nell’antologia Letteratura degli anni Novanta (Edizioni Tracce, Pescara, 1999). Recentemente, le è stato conferito il premio di   seconda classificata, nella sezione over, del Concorso letterario europeo Wilde, edizione 2013.

«Giochi poetici e di vita, fantasie leggere e versi piacevoli alla maniera di Piumini.» (Teresa Caligiure)




Sotto la cenere il fuoco
di Claudia Paula Luccini (Marina di Massa, MS)

Ermetica


Le parole escono a stento, mentre i pensieri si rincorrono
come fiotti d’acqua da una sorgente.


Gesti misurati ed impacciati quando immagino una danza.


La censura mi imbavaglia, mi imbriglia e mi castiga
ad una perenne implosione.




Incompiuta


Sono la regina dell’approssimazione. Con rigore scientifico
mi applico,
con puntiglio e tenacia mi accanisco, la perfezione è il mio fine.
Sogno la gloria, l’Olimpo è la meta.


E mentre il delirio avanza e s’ingrossa qualcosa
d’improvviso si blocca…
un dubbio, il timore, non sono abbastanza.


Allora riparto, cambio settore.
Sono o non sono
la regina dell’approssimazione?




Madre


Madre bambina, madre nemica,
madre sfuggente, madre assente,
madre arrabbiata, madre frustrata.


Madre depressa, madre lamento,
madre vacante, madre sentenza,
madre esigente, madre scontenta.


Però, quando solo madre
la tua storia mi racconti,
allora rapita ascolto.


Nel mistero affascinante
i tuoi gesti mi guariscono,
fiduciosa aspetto.


Le tue mani industriose meraviglie creano, incantata ti osservo.
E ugualmente ti amo.


Claudia Paula Luccini nasce a Rosario, Argentina, il 22 giugno 1962 da genitori italiani emigrati in Sud America negli anni ’50. All’età di tre anni ritorna in Italia con la famiglia, e dopo qualche anno di permanenza nel paese d’origine del padre, si trasferisce a Marina di Massa, dove vive tuttora con il compagno e la figlia. Laureata in architettura presso la Facoltà di Firenze, esercita la libera professione e coltiva la passione per l’arte, la poesia, la letteratura e la musica. Dal 2011 propone e attua in veste di insegnante, progetti didattici e formativi per le scuole superiori di I grado, legati all’arte e alla pubblicità.

«L’inquietudine dell’autore contagia chi legge e lo spinge a mettere in discussione certezze ritenute incrollabili e meraviglie fin troppo banali, oltre cui Qualcosa di più grande non può che nascondersi e sorprendere come “un amante perfetto”.» (LucaCarboni)