domenica 31 agosto 2014

Gabriella Bianchi vince il Concorso Faraexcelsior 2014!

Fara Editore e i giurati della sez. Poesia (per la sez. Romanzo breve v. narrabilando.blogspot.it) Federica Volpe, Giuseppe Carracchia, Roberta D'Aquino, Rosa Elisa Giangoia, Vincenzo D'Alessio sono lieti di comunicare che 
 
Primo classificato e unico vincitore
 
del concorso Faraexcelsior 2014 è

Quaderno di frontiera di Gabriella Bianchi (Perugia)




Gabriella Bianchi è nata e vive a Perugia. Ha pubblicato sei volumi di poesie: L'etrusca prigioniera 1984, Canzoniere 1990, Giardino d'inverno 2005, Cartoline da Itaca 2005, Il paradiso degli esuli 2009, Il cielo di Itaca 2011. È presente in varie antologie nazionali. Ha vinto alcuni primi premi ed è stata inserita in Faraexcelsior 2013. Hanno parlato della sua poesia: Mario Luzi, Valerio Magrelli, Davide Rondoni, Maurizio Cucchi.


ALLA MADRE SCOMPARSA

Al di là degli elementi consueti

in quale treno sei
in quale traghetto o transatlantico
in quale aereo diretto dove?

Sei nei fiumi liberi della notte
distesa nel sonno o a occhi aperti
nel chiarore artico del cielo

a sfiorare con lo sguardo
i frutti che non hai raccolto
coperti di cenere leggera?

Io resto a pensarti qui
(sola)
nella nube della non conoscenza,
madre che sei fuggita
che sei scivolata via dalle mani
come liscivia
con un guizzo di rondine




***

A te devo
lo straripamento dei miei fiumi
il pietrisco che non sorregge i passi
il vento che mi schianta in faccia
giornali vecchi ingialliti
di piscio di cane
nuvole di veleni
sputati da bocche sdentate
corde stonate sviolinate
che dissanguano i progetti
code di auto che entrano
nella conchiglia delle orecchie
e spezzano il filo della vita
che qualcuno riannoda (ma chi?)
grazie per i mattini riarsi
per la gramigna dei pranzi
per i pomeriggi a senso unico
per le cene asfittiche
per le notti mannare.



ATLANTIDE


Un giorno lontano mi battezzò l’Aleph
e un vortice mi gettò nel mondo.
I piedi sbandavano
in cerca della strada.
Non ho mai trovato il lasciapassare
per salire almeno uno scalino
sopra la terra brulla
a respirare il vento speziato
sulla geografia di un paese chiaro.
E invecchio nella garza di nebbie
sotto la vena di ogni latitudine
tra preti stanchi d’inventare storie,
senza aver visto Atlantide
prima del check point.


***


Anche le cicale
con i loro cembali
graffiano il dolore

irritanti plettri
nel tardo pomeriggio
afoso

(…)


Giudizio

Sul limite dell’esplorazione del proprio io, ai confini tra inconscio e vita vissuta, si dipanano i versi di questa silloge che esplora intimamente l’animo dell’autore. Versi dedicati a sé stessi, ai luoghi, alle persone care, versi sciolti e sentiti che si leggono con piacere. Certamente perfettibile, nell’uso di aggettivi ridondanti, ma non banale. (Roberta D’Aquino)

Opere segnalate

L’altra luce della sera di Vera Lúcia de Oliveira (Perugia)


Vera Lúcia de Oliveira, nata in Brasile, è docente di Letterature Portoghese e Brasiliana all’Università degli Studi di Perugia. Ha diversi libri e saggi pubblicati e scrive sia in portoghese che in italiano. Ha ricevuto vari riconoscimenti per la sua poesia, quali il Premio Internazionale di Poesia Pasolini (2006), Il Premio Internazionale di Poesia Alinari (2009) e, con la raccolta Entre as junturas dos ossos, ha ricevuto in Brasile nel 2006 dal Presidente Lula il Premio Literatura para Todos, promosso dal Ministero dell’Educazione brasiliano. È presente in riviste e antologie pubblicate in Brasile, Italia, Spagna, Romania, Portogallo, Francia, Germania e Stati Uniti. In Italia, fa parte della redazione della rivista on line Fili d’aquilone. Oltre a numerosi saggi su poeti contemporanei pubblicati in riviste di diversi paesi, ha curato antologie poetiche di Lêdo Ivo, Carlos Nejar e Nuno Júdice. Sito: www.veraluciadeoliveira.it


se è stato per il colore del vento
che sono nata, per il rumore delle
foglie accese di luce, l’aria che si 

muove fra i panni bianchi sui fili
la sera che sembra non scorrere
il midollo del tempo, questa vita
in estasi, questo corpo ardente
questo sguardo lucido
sul nucleo di tutto


***


si era circondata di verde
anche la finestra aveva fatto
ingrandire
per avere l’impressione
di avere radici
salde nella terra



(…) 


Giudizi

Raccolta dedicata interamente alla ricerca in versi del perché dell’esistenza, della valenza dell’ amore in ogni essere umano, accostata al breve spazio di tempo che ci anima e per la favilla di luce che ci rende immortali in mezzo ai nostri simili e alla Natura che su tutto domina eterna: “(…) se è stato per il colore del vento / che sono nata, per il rumore delle / foglie accese di luce, l’aria che si / muove fra i panni bianchi sui fili / la sera che sembra non scorrere”. La ricerca continua nella parola poetica per disarmare il pungiglione della morte: “abituare la lingua / abitarla nel folto / della radice / più intima”: una sfida alla caducità del segno in favore del valore della memoria consegnata nella Poesia. (Vincenzo D’Alessio)

Questa è una raccolta dal tono spezzato, che scorre nella voce senza pause lasciando nella bocca riflessioni da guardare a poca luce, come una rivelazione. Non mancano le sbavature e le cadute, ma non mancano neppure gli spunti interessanti e la voglia di correre lungo ogni verso a tirare insieme all'autore il fiato della fine. (Federica Volpe)




Come se tutto bianco di Lorenzo Ciufo (Minturno, LT)


Lorenzo Ciufo (foto di Angela Maria Antuono) è nato a Formia (LT). Vive a Minturno (LT). Dopo aver lavorato e pubblicato (editori Erickson e Gulliver) nel campo della didattica speciale, svolge da alcuni anni la professione di docente di materie letterarie nei licei della sua provincia. Ha pubblicato con Lampi di stampa di Milano nel 2011 la sua opera prima, La casa nuova, con nota in quarta di copertina di Adriano Petta, favorevolmente recensita dai poeti Giuseppe Napolitano e Cinzia Demi. La casa nuova è stata finalista del Premio Solstizio 2014 (in giuria: Milo De Angelis, Davide Rondoni, Claudio Damiani).



Ci sarà ancora una ragione
in questa primavera senza voglia,
in questo maggio che non è odoroso,
che porta via speranze e reca in dono
col vento di levante nubi e pioggia.
Ci sarà ancora una ragione,
la ragione del mare e del sole,
delle soavi fresie che si flettono
e dell’albero giovane nell’orto,
anche se l’ultima neve
le cime dei monti imbianca
e le ripide pendici del mio cuore.

 

***

Nella battuta sciatta di congedo
del viaggiatore stanco alla discesa
dal treno – un tenue filo ancora
che lo lega all’ora produttiva –
quanto amore della vita pieno.
Quale nostalgia per chi, nel disincanto,
non ha ancora chiuso gli occhi – o il cuore –
e si perde a guardare questi due
seduti qui di fronte, nell’attesa,
e non capisce se parlino d’amore
tra le altre cose intese. 


***

Da dove nasce questo mio tacere
se non dal mio guadare l’inatteso.
Resta la mia parola di qua
dai vostri sorrisi, sui quali scivolo
gaio come il bimbo ai giochi la sera
dopo la funzione, che
non se l’aspettava. Perdonerete,
senza capire, per amore.

***

Ho acceso un fuoco francese.
Lo riconosco dall’accento
delle lingue e dagli scoppi.
Hanno un ritmo insinuante e malizioso,
un poco arrogante, pure. A te
familiare. Non lo avverti?
Eppure poco fa lo notavi, m’è parso.
L’ho letto in uno scatto dei tuoi occhi
scagliati in fondo all’orizzonte.



***

Il piano sembra accompagnare gli ultimi
gesti, poi i passi quando ti allontani
compiaciuta del buon tempo trascorso
con te stessa. Persino
il verde di questa selva
pare scostarsi e farti strada.
Hai il potere dell’innocente fare,
la virtù del non detto che fa male.

(…)


Giudizi

Questa raccolta è dotata di una sintassi particolare, in cui l'autore rende manifesta la sua vera voce, seppure ancora rauca di difetti. Il tono, riflessivo, conferisce alla ricerca intrinseca della silloge e al tema ricorrente del viaggio un che di malinconico che ben si abbina alla visione fotografica di scene quotidiane che sembrano non voler sfuggire. Una raccolta perfettibile ma che sa colpire. (Federica Volpe)

“Forse tu, che nel nome porti il mare” è questo il verso, la cui intensità travolge, che mi ha convinto a scegliere la raccolta. Dallo stile classico e con una sonorità studiata che accompagna l’intera opera, l’autore traccia pennellate talvolta originali. (Roberta D’Aquino)





Lo sciancato e Caterina di Alessandro Assiri (Verona)

Alessandro Assiri a volte scrive e altre fa il libraio
organizza se ne ha voglia eventi culturali
collabora a vario titolo con un sacco di gente



ho paura di dire cose che possono avvenire

(Leonardo Sciascia)



storie d'impiegato che ci piovono addosso anche adesso che ricominciamo da capo ma siamo già in serie tutti nella fiat sulla strada del mare quella per le ferie





l'arte di massa che si faceva pop e gli scaffali delle merci non ancora coop

e io mi immaginavo Elio che scriveva a Carla di fiori nella pattumiera

come morta natura che non sarà mai più pittura





la storia sommaria di un'immondizia immensa di stelle con le punte

dove se non si potevano cambiare le cose bastava aumentare le dosi





una cosa seria che si dà alle cose serie è questa la fiducia lo dice anche la Galbani

che fa i buoni formaggini, mica il governo con i comunisti che mangiano i bambini



anche se poi si digerisce male a primavera nel freddo che esce alla luce del sole

come se a ogni marzo si dovesse far tabula rasa delle domande chiuse in casa



il tempo pieno di perdenti straordinari far finta di esser duri farlo con gli spari
in testa le sigle di cartoni e brigate le lame rotanti come mani già armate


i nomi che bisbigli e finisci che li sbagli, ma ti verrà all'improvviso quello del mio male
a preparare la parola che non trovi perche la cerchi com'era al plurale

che tu sia questo o un altro che somiglia una figura un sigillo un timoniere
che parla a marinai assenti e mescolati come vocaboli e chimere

mettere il mittente nella busta sul retro in caso di parole importanti rompere il vetro

poi iniziare a sparare tutte le abbreviazioni delegate fosse pure a sparare cazzate


l'unica coerenza è cercare di sapere a chi abbiamo affittato le stanze

continuare a transitare negli estranei che siamo diventati,scegliere le guerre finite
tra i tanti giochi da soldati

(…)

Giudizio


Si avverte già dall’esergo ispirato a Leonardo SCIASCIA la narrazione poetica nel poemetto che reca il titolo “ Lo sciancato e Caterina”, che prende spunto dall’analoga composizione di Elio PAGLIARANI La ragazza Carla, evidenziata nei versi: “(…) e io mi immaginavo Elio che scriveva a Carla di fiori / nella pattumiera / come morta natura che non sarà mai pittura”. A differenza del dramma che PAGLIARANI riportava dagli anni Cinquanta del secolo scorso, la sostanza di questo poemetto tocca le tematiche drammatiche dei nostri giorni riferite alla Storia che si dispone nel concetto ciclico vichiano del ripetersi: “(…) anche adesso che ricominciamo da capo”. Buona la scelta della rima interna, sostenuta dall’enjambement, che invita il lettore a seguire il verso lungo che il poeta ha scelto per raccontare il Novecento, la vita dei tanti Italiani, credo del pianeta intero. Ricerca e timore delle risposte che il tempo offre camuffandole di novità: “(…) E tu dimmi cosa ho fatto di così cattivo da / lasciarmi vivo, qui dove piove merda tutti i giorni che sia / a Natale oppure nei dintorni”. Tutti noi siamo il poeta, lo sciancato e Caterina. Ognuno in questa storia coglierà l’odore del Destino, la frantumazione dell’Io, l’incoscienza delle utopie di fronte all’avventura della modernità: “(…) A / essere uomini non ci succede niente, si gira a memoria tra / una storia che inventi un’altra che nomini”. Una prova stupenda di poesia postmoderna nella scia dei grandi poeti italiani. (Vincenzo D’Alessio)



D’amore, di scimmie e di altre frivole manie di Giuseppe Florio (Grazzanise, CE) 


Giuseppe Florio, nato nel 1993, vive da sempre a Grazzanise (Ce). Ha cominciato a lavorare come cronista locale per il quotidiano “Cronache di Caserta” nel 2010, diventando giornalista pubblicista nel 2013. Intanto ha iniziato la sua attività con l’associazione giovanile culturale Teens’Park Grazzanise, di cui è vicepresidente, con la quale organizza eventi culturali per togliere i ragazzi dalla strada e affermare diverse forme di cultura in un territorio non facile come Terra di lavoro. Con la stessa associazione ha dato vita alla compagnia “Teatro delle folli idee”, per la quale si occupa principalmente di tutto ciò che riguarda i testi. Dopo la licenza classica, con 100 e lode, si è iscritto al corso di laurea in Filosofia presso la facoltà di Lettere e filosofia della Federico II di Napoli.


SEZIONE 1: Viaggio a piedi nudi


1. Cuori di carciofo

Cuori di carciofo.
Nudi.
Ad osservarci,
pronti ad amalgamarci
sotto i decisi colpi
del cucchiaio di Amore.

I nostri occhi si penetrano:
le nostre anime si penetrano.

Io vivo e muoio in te,
tu in me, senza soffrire.
Non spiriamo né veniamo alla luce:
siamo quel che siamo
e ci apparteniamo
senza vincoli,
senza limiti,
senza schemi.

Ma lo stampo cade dall’alto,
violento.
Spietato ci colpisce,
ci forgia,
e quel che era non è più.

Le vecchie streghe osservano
fiere
il loro lavoro.
Arcigne.

Io e te,
carciofi di rame,
duri,
austeri,
impenetrabili, pieni di sé.
Siamo lì a guardarci, da lontano,
con astio.

Lo stampo ci ha reso così
e non riusciremmo a fonderci
senza distruggerci,
senza morire.

Siamo così
E non possiamo fare altrimenti.
Io e te,
chiusi nella nostra corazza
di metallo,
a guardarci e ad essere guardati.

Chiusi e ottusi
e distanti,
ad attendere,
inermi,
il compiersi del nostro destino. 


(…)


Giudizo


Silloge ampia, articolata in diverse sfaccettature, dall’introspezione all’osservazione attenta e critica del mondo odierno, fino alla presa di posizione politica, alla riflessione sul passato e sul presente. Il linguaggio è vibrante ed efficace in opportuna commistione di registri espressivi diversi. (Rosa Elisa Giangoia)


Ruach di Davide Zizza (Crotone)

Davide Zizza (Crotone, 1976) è Dottore Magistrale in Lingue e Letterature Straniere con una tesi in Filologia Romanza sul Tristran di Beroul. Membro delle Madie dal 2007, coltiva interessi legati alla testualità e alla poesia, in particolare coniugando lo studio critico-letterario alle scienze della mente connesse alla creatività. A parte qualche intrusione in forma antologica (Giulio Perrone Editore) e alcune segnalazioni (Rivista Specchio della Stampa, Blog Rainews Poesia di L. Sorrentino), nel 2000 ha pubblicato in forma tipografica una plaquette poetica (Mediterraneo). Autore della raccolta di versi Dipinti & Introspettive (Rupe Mutevole 2012), scrive articoli per la rivista Estroverso. Ha pubblicato inoltre alcuni contributi sulla rivista greca «Koukoutsi». Nelle sue letture di poesia predilige quella straniera, ma rilegge periodicamente i suoi autori di sempre: Borges, Brodskij, Enrico Testa e Cesare Pavese. È inserito in Ascolto per scrivere.

Il ticchettio

Il sottile rumore del ticchettio della tastiera



Il sottile rumore del ticchettio della tastiera. Olivetti Lettera 22.
‘Musica’… avrebbe detto qualcuno.
Ipnosi…
Il tuo pensiero mi sta di fianco e nella mente s’affolla l’alternativa per il migliore passo da scrivere.
Ipnosi, e tutto il mondo cede sotto un viaggio degli occhi, per trovare la parola migliore.

Le parole non sono come i figli, ma diverse latitudini del proprio essere.
Le parole sono come meridiani invisibili, commossi appetiti, tempeste interne il cui silenzio ripercorre memoria.
Le parole fanno parte della memoria, memoria dei tuoi occhi, argento di un lago magico e voci sperdute nei prati d’Irlanda.
Olivetti Lettera 22.

Ancora sto viaggiando, ancora ti cerco.
Ancora ‘Musica’ direbbe qualcuno. For you scrive McEwan, la tua voce è senso, la tua voce diventa il tuo corpo.
Mi avvicino a te, al fondale del significato più interno; una sillaba ti identifica e una fonetica ti elabora l’immagine.
Perché sei tu?
Perché sono io?

E questa distanza dal pensiero alla tastiera è la mia più sofferta ferita.
Non si accendono fuochi di riflessione: una sola luce basta a muovere il rumore del sangue.

Olivetti Lettera 22. Sono arrivato fino a te. E attendo dalla tua voce il senso che emana il passo sottile della tua immagine.

(…)

Giudizi


Silloge incentrata sulla riflessione sulla poesia e sulla scrittura in genere, condotta in modo formalmente apprezzabile per felici inventive linguistiche.
(Rosa Elisa Giangoia) 

Dall’ebraico ruach, “spirito”, il titolo di quest’opera è molto attinente al contenuto. Le poesie sono infatti tutte permeate di una certa spiritualità. La definirei anche “visionaria” per l’approccio con cui temi classici vengono affrontati. Nonostante trovi che in alcuni punti la lirica si trasformi in prosa riflessiva, resta apprezzabile lo spirito filosofico di ricerca che permea i versi. (Roberta D’Aquino)



Così la mia fede di Serse Cardellini (Pesaro)


Serse Cardellini è nato a Pesaro il 6 maggio 1976, dove vive e lavora. Poeta e filosofo. Nel dicembre 2005 fonda l’Associazione Thauma Edizioni (www.thauma.net) di cui è attualmente il Presidente, dando vita tra il 2010 e il 2013 a tre collane di poesia: collana poetica itinerante; collana poetica internazionale; collana poethree. Dal 2011 è Direttore Letterario dell’AMP (Accademia Mondiale della Poesia), fondata dall’UNESCO con sede a Verona, per la quale ha curato l’antologia Poesia e Pace che vede presenti le opere di sessanta poeti provenienti dai cinque continenti.


Parte prima

A tu per tu

Poeta, tu sei niente,
in questa vita o nell’altra
il tuo canto è verso di gatto
ti miagola dentro,
dagli del latte, fallo tacere, perché tu forse non lo sai ma tutto fuori e dentro sei né lago né oceano nemmeno sai nuotare nessuno che ti salva
dall’acquavite e dalle chiacchiere l’alcool ti completa
l’ubriaco ti contempla ma tu forse non lo sai che la vita t’ha bevuto
bicchiere vuoto d’un poeta scagliato forte contro il muro
la bocca impasta la bestemmia il vetro rotto fa ferita
la bellezza e la fortuna
sono bende attorno ai polsi, dee oramai dell’ospedale, ma tu forse non lo sai
che la poesia fa male
c’è anche scritto sulle penne:
la poesia uccide;
la poesia danneggia gravemente te e chi ti sta intorno;
la poesia invecchia la pelle;
la poesia è causa di tumore e di cancro;
tieni lontana la poesia dai bambini.
Sì, perché forse non lo sai
ma l’universo è filologo
e tu, poeta, sei niente
di fronte al chiaro di luna alla pioggia del cielo
alla montagna che dorme al mare in burrasca
di fronte a te stesso. Più di te è l’adònio più di te è il bacchèo
più di te è il coliàmbo più di te è il dàttilo più di te è l’enòplio più di te è il falècio più di te è l’itifàllico più di te è il lacìzio
più di te è il tuo mignolo.
Tratta dunque bene il tuo mignolo. E quando finalmente saprai, poeta, che tu sei niente di niente,
allora forse sarai un po’ più poeta.

(…)

Silloge coesa sostenuta da un progetto e da un’ispirazione unitaria, espressa in forma poetica continuativa con originali rielaborazioni di testi della tradizione.

(Rosa Elisa Giangoia) 

Una lunga narrazione tra poeta e lettore per raggiungere un comune sentire sul valore odierno della poesia, della permanenza della parte onirica dei versi , la sistematica ricerca del bello nella composizione, la Fede che combatte contro la ragione per dare una strada filosofica al divenire.
(Vincenzo D’Alessio)


Genealogia imperfetta di Silvia Rosa (San Mauro Torinese)

Silvia (Giovanna) Rosa nasce nel 1976 a Torino, dove risiede. Laureata in Scienze dell'Educazione, ha frequentato il Corso di Storytelling della Scuola Holden di Torino (2008/2009. Ha pubblicato il saggio di storia contemporanea Italiane d'Argentina. Storia e memorie di un secolo d'emigrazione al femminile (1860-1960), Ananke Edizioni 2013; le raccolte poetiche SoloMinuscolaScrittura, La vita Felice 2012 e Di sole voci, LietoColle Editore (II ediz. 2012); il libro di racconti Del suo essere un corpo, Montedit Edizioni 2010. Alcuni dei suoi testi poetici e in prosa sono apparsi in riviste, siti, blog letterari e in volumi antologici editi da: Ananke Edizioni, Perrone Editore, LietoColle, Edizioni Smasher, La Vita Felice, Lite Editions, Limina Mentis, Osteria del Tempo Ritrovato, FaraEditore. Ha all’attivo diverse collaborazioni nel campo delle arti visive e la pubblicazione di ebook fotopoetici: Cartoline dal luna park, Migranze E-edition 2013 (foto di Gepe Cavallero); Iridescenze Migranze E-edition 2012 (foto di Romina Dughero); Corrispondenza (d)al limite [Fenomenologia di un inizio all'inverso], Clepsydra Edizioni 2011 (foto di Giusy Calia).


(BOSCO)

M'innamoro a d e s s o
del bosco che mi racconti con la voce,
di quel verde lucido che sbuca
come un frutto appena colto, fresco,
dopo tutta questa quiete, dopo troppi
fantasmi di vento, dopo passi di foglie
morte e un filo ruggine che ha stretto
mani e alberi in un nodo senza cielo,
parlami ancora con i tuoi occhi
io voglio scrivere per te così parole
nuove e tante io voglio perdermi
per sentieri di mattoni gialli e rossi
per il tuo sguardo, fino al bosco
che mi racconti con la voce, e poi
trovare un punto di sole tra le ombre
in cui spogliarmi di ogni desiderio
e di ogni forma, in cui mangiarmi lenta,
voglio venire a cercarti come un lupo
parlare la lingua del bosco che tu
m'insegni a d e s s o, senza voce e occhi.



RITORNO

Questo correre, come da bambina,
per scappare alle ombre - alla mia,
che mi segue appena -: gli alberi qui
sono presenze ordinate in fila soldatini
fischi silenziosi che arrivano dritti al cielo
e parlano ai corvi che vanno e vengono,
cinquecento passi insieme a tutte le foglie
morte del viale, la casa gialla al fondo,
due cani che fissano quell'ombra dietro
alla mia schiena, ed io che vedo di lontano
solo il ritorno, in direzione opposta,
dall'altra parte della strada.



OTTOBRE

E per un bosco qualunque, andare, 

nel pantano di foglie d’ocra
ricamate a nebbia e a vene leggere
che sotto le scarpe si irruvidiscono,
di foglie amaranto labbra avvizzite
che si stringono chiuse in un grumo di orme,
cadono avverbi di tempo dagli alberi spogli
e all'appello mancano virgole e pause e,
quante ore poi lungo un sentiero brullo
– senza parole – e le tue mani immaginate
in carezze e tra le ciglia il grigio dei sassi lustri
di nuvole, perdere il senso del cammino
se oltre il cespuglio di rovi non si rivela
lo sguardo perfetto che sanno i tuoi occhi,
due nocciole scure nel segreto dei polsi
che scivolano via, e tu che manchi
a ogni passo tu che sei ovunque - ottobre
il mese di pioggia e di terra verde di resa
tu che sei corsa e riposo tu che sei
tra le costole respiro vertigine spina,
l’imprevisto ritorno a.

(…)


Ornithology e 30 poesie
di Giovanna Menegus (Tradate, VA)

Giovanna Menegus ha vissuto a San Vito di Cadore (Belluno) fino a diciott'anni e anche dopo essersi trasferita a Milano per frequentare l'università ha mantenuto un rapporto molto forte con la montagna e i suoi luoghi d'origine. Ha studiato Lettere antiche, con alcune incursioni nella storia dell'arte. Ha lavorato e tuttora lavora con i libri, principalmente come redattrice. È sposata, ha una figlia di dieci anni.


ORNITHOLOGY

A mio padre,
grande appassionato di volatili
(e di jazz)


Il venturone sardo
– diffuso peraltro anche in Corsica
però specie protetta, pare –
a un capo e all’altro della linea
ha lievitato il pomeriggio di pasquetta
con la sua assai improbabile avventura.
Un uccellatore amico, sul posto, da trovare,
viaggio clandestino in traghetto (o aereo?)
verso il Continente, eventuali controlli e multe,
risalita alle valli dolomitiche e infine attento
acclimatamento.
Ma è specie protetta,
e c
è di mezzo il mare…



Il rapace invece non ha riservato grandi emozioni,
né s’è concesso in volo.
Appollaiato sulla sottile cima d’un abete
– piegata tutta dal suo peso –
a occhio nudo o con ausilio di binocolo
il gheppio stava tozzo,
tronfio e impettito come un piccione,
un tacchino.
Scrutava i prati in attesa del guizzo d’un topo



Dopo i primi sguardi d’ammirata invidia
a lui che col becco le solletica l’orecchio
e la segue sul posatoio alto, e lei che pronta lo risegue
su quello basso e più ancora gli s’accosta,
spalla a spalla, piuma a piuma,
testa a testa, becco all’orecchio,
presto gl’inseparabili ci paiono Stanlio e Ollio
che si sculettano giù dal trespolo
mentre Ollio spazientisce e strilla stupíído!,
ci paiono Sandra che s’arruffa con Raimondo,
ci paiono uguali a tutte
le vecchie coppie del mondo


(…)


Bianco d'ombra di Andrea Venzi (Bologna)

Andrea Venzi è nato a Bologna il 29/6/1946. Ha pubblicato le seguenti opere di poesia: Nuestra Señora de Atocha (1986 Amadeus); Il sentiero degli alberi morti (2007 Mobydick); Aria fredda (2009 Bohumil); Una pioggia sottile (2010 Firenze libri); Lune doppie (2011 Pendragon); Cielo di cristallo (2013 Pendragon). Un libro di racconti: Il rifugio del Cane (1992 Solfanelli) ed un romanzo: Dyea (2009 Giraldi). È anche pittore e fotografo ed ha tenuto mostre in Italia e all’estero.


Lo sguardo gelido

Lo sguardo gelido, laccato,
il volto di porcellana, quasi
una maschera aderente, magica.
Sensuale, forse spettrale, come
sensuali sanno essere gli spettri
e le moine zuccherose d’un’amante
onirica che chiede confessioni
con l’alito d’una vergine
assassina. Tutto si contraddice,
la memoria si sfalda in rivoli
di sangue e materia cerebrale.
Sopravvivo come un relitto
alla deriva sotto un cielo boreale
tra scrosci d’acqua intirizzita
mentre lei splende di fascino
notturno nutrito dalle stelle.
La bufera riesplode davanti
a lei che si erge su di me bianca
come il lutto nel concentrico
vortice d’un bacio. Gli occhi
ipnotici come mandorle feline
d’un bianco fluorescente. I piedi
di corallo calzati di neve fresca.



L’unica immagine

Cammino tra entità aliene
d’un vuoto siderale e rumori
stregati di presenze oscure.
Trasparenze turchesi
d’una città d’acqua riaffiorata
tra profili d’alberi bruciati
mentre il telaio gira mosso
dal suo stesso cigolio tessendo
fili d’acqua sotto uno sguardo
di madre depredata. Resta
la solitudine stampata su occhi
sofferenti e un desiderio cancellato
nel deplorevole egoismo
d’una memoria uccisa. Il dolore
assorbito nella dedizione
a un angelo di fango che s’illumina
nell’alba d’una notte insonne.
Ho dimenticato che sei un sogno
perso negli angoli schiodati
d’una vita rasa al suolo. Vorrei
il tuo sorriso come luce
che precede il mio cammino.

Ti ho vista sulla linea d’orizzonte
al tramontar del sole con le labbra
scintillanti e un ombrellino di carta
colorata. Ho visto le nubi in forma
di spirale scendere su di noi
per stringerci nel disperato amore
che ci tiene insieme. Così finirono
le parole. L’unica immagine che resta
è un pasto attorno al fuoco con te
biancovestita e una ciotola di riso.



Epifania

Lei, inquietante su strati di nuvole
informi e messaggi grandinati,
una pioggia di scarti roventi.
È partita con lo sguardo dolente
lasciandomi solo, lasciandomi
nel cubicolo che striscia
in città sotterranee di ombre
lasciate nel fango. Solo,
credo di non saper ritornare
alla realtà d’una talpa, d’un ricordo
confuso negli strati del tempo.
Contorto tra ore schiumate
in mattini di luce e abbracci
avvinghiati ad un tempo nemico.
Piovono insulti al dolore,
piovono cieli stellati di ghiaccio,
messaggi lontani che la speranza
attraversa con la mente ferita.
Catturato da un sorriso, da un rito
di voci disperse nell’aria, ti lascio
e ti attendo in ore di polvere
al confine indistinto del dubbio. 



(…)

Giudizio


Le poesie di questa raccolta sono molto corpose, a volte troppo, anche a causa dell'eccessivo uso di aggettivi, ma sono dotate di immagini capaci di colpire il lettore.
(Federica Volpe)

Menzionata:

Deltavibrante di Colomba Di Pasquale (Recanati)

Colomba Di Pasquale è nata nel 1968 a Lilla in Francia. Di origini abruzzesi, insegna in una scuola secondaria di secondo grado a Ravenna. Risiede a Recanati. Presso Del Monte Editore ha pubblicato Viaggio tra le parole nel 2006 e presso Nicola Calabria Editore Una vita altrove nel 2007. Nel 2008 è stata inserita nell’Antologia Il silenzio della poesia con la silloge Dei Silenzi (e degli ascolti) edito da Fara Editore. Nel 2010 presso Genesi Editore ha pubblicato Dulcamara con prefazione di Vivian Lamarque. È presente in diverse antologie letterarie e ha conseguito numerosi riconoscimenti sia per la poesia edita che inedita.


 

Sento ardere ancora la nostra storia
nel prugnolo fiorito di inizio primavera.


Porta d’Aurea in Ravenna


Recai nel giardino di bonsai,
un poco fastidioso ciclamino
purpureo e candido,
ricordai la semina di briciole di libertà
nella casa circondariale.
Immaginai i ristretti,
ristretti ristretti fra le mura che tagliano un cielo
di pioggia e di sole.
L’autunno è in ogni cosa
anche nel cuore dolente mio
che aspetta l’alba della primavera
che arriverà solo dopo l’inverno,
solo dopo l’inverno.



Oltre la Pineta di San Vitale

Le volpoche si dan da fare tra salato e dolce a volare,
a ciarlare
e a cercare una tana per nidificare.


Amano confondersi con il restante.


La pineta insiste nell’esistenza di chi vive
tra paludi e cavalli allo stato brado
a caccia di aperture d’ali
mentre l’airone interroga l’aria
e la bassa acqua.


Or il Lamone mi corre accanto
e per caso svelo il suggello di Anita,
la donna lasciata per altra vita.
Qual dolore lasciarla morire!
Qual scoperta la mia,
ritrovarla qui
lungo la via di mia vita,
appena fuori la Ravenna di bici,
di nebbia
e di raro sole:
preludio estivo. 



(…)
 
Giudizio
Per la buona resa delle immagini riprese dal paesaggio
(Vincenzo D’Alessio)

domenica 24 agosto 2014

Il sonno immortale dei poeti

di Vincenzo D'Alessio

 Pasquale Martiniello (secondo a dx a partire da Vincenzo D'Alessio, in piedi,  il primo è Carmine Manzi) durante la cerimonia di premiazione a Solofra nella Biblioteca Civica "Renato Serra" il 6 giugno 1992 della IX Edizione del Premio Nazionale Biennale di Poesia "Città di Solofra"

I momenti epocali della Storia degli uomini sovente vengono vissuti inconsapevolmente dai protagonisti presi dalla passione di portare a termine gli ideali, il sogno, quello di una umanità non sconfitta dal divario sociale, caro a Martin Luther King. Per un giorno, il 13 aprile 1997, un modesto centro dell’Irpinia ha vissuto un evento epocale: la lettura e la sottoscrizione del primo Manifesto dei poeti irpini. Il luogo oggi è stato assunto a “Centro del mondo” e ha generato una sequenza di manifestazioni poetiche sostenute dall’infaticabile Domenico Cipriano.

Nella piccola sala consiliare quel giorno erano presenti molti autori contemporanei, antologizzati dall’instancabile critico Paolo Saggese nella sua Storia della Poesia Irpina, brillava l’astro fulgido del prolifico poeta Pasquale Martiniello: nato nel 1928 e scomparso il 24 febbraio 2010. Egli non sottoscrisse il “Manifesto dei poeti irpini” poiché era citato in qualità di caposcuola ma i suoi occhi brillarono mentre chi leggeva intonava i suoi versi: “Noi usciamo dal collo / dello stivale / il duro Sud / l’Egitto degli ebrei / un ghetto di coloni e braccianti / che hanno abbrancato secoli / di ceneri / e mietuto spighe di elemosina.”

Martiniello come poeta in vita è stato pluripremiato dall’estremo Sud alle vette del Nord raggiungendo primati che l’hanno fatto amare come uomo e come poeta. Un uomo tanto diverso nel panorama irpino perché portatore di quel sogno che nelle sue raccolte affiora ruggente, necessario per sé e per gli altri: “(…) Tu non sai il fuoco inquieto / della rosa solitaria / al petto della giovinezza senza debiti / di tempo. (…) / Non ho risposte ai 'se', sparsi chiodi / nelle pause della penna. / Così la certezza ereditata senza radici / non è più un granito. Forse è il laccio / d’oro falso, teso dall’abisso; forse / è solo il finto sogno d’un sorriso, / rifratto un mattino negli anfratti / della memoria da ridenti parrucche / di ciliegi. (Radici di luce, Premio Monferrato, 1989).

Questo immenso patrimonio morale della sua poesia è testimoniato dai critici letterari come Giorgio Barberi Squarotti, R. Cammarata, F. D’Episcopo, G. D’Errico, G. Giacalone, V. Napolillo, G. Pampallona, G. Panzani, U.Piscopo, A. Quasimodo, L. Reina, A. Scarpa, A. Vegliante e altri. Tra questi merita voce Paolo Saggese nel suo Addio Pasquale Martiniello apparso il giorno successivo alla scomparsa del poeta: “Pasquale Martiniello era infatti un Poeta vero, perché era innanzitutto un Uomo vero, un uomo che sapeva guardare negli occhi la realtà, senza finzioni, senza ipocrisie, con realismo e con passione, con intelligenza e amore, e sapeva indicare la strada, sapeva comprendere gli altri, perché conosceva gli uomini, e sapeva comprenderli ed amarli” (in Comunità provvisoria).

L’Irpinia ha terra dura da lavorare e necessita di grandi sacrifici per ottenere i frutti che le fredde Primavere promettono. Quell’aprile del 1997 segnò una semina di poeti che nel corso delle stagioni successive sono germogliati grazie all’esempio di coloro che li hanno preceduti e oggi vivono nel sonno immortale dei poeti.

lunedì 18 agosto 2014

Su Ovunque un seme d’affetto di Salvatore Della Capa


recensione di Vincenzo D'Alessio


http://www.faraeditore.it/nefesh/unpomatti.htmlSfogliando le pagine dell’Antologia Siamo tutti un po’ matti, pubblicata da Fara Editore in occasione del concorso nazionale Insanamente 2014, curata da Alessandro Ramberti, ho avvertito la forza dei versi raggiungermi nella breve raccolta di Salvatore Della Capa: “Ovunque un seme d’affetto”, sei poesie brevi, cariche di sentimento, alla ricerca dell’essenza nella poetica, a mio parere molto vicina ai versi di Pierluigi Cappello che seguono: “La parte soleggiata di noi stessi / non somiglia a questo prato d’agosto / che vedi / somiglia piuttosto a una pietra / che il tempo abbia sepolta / nel fondo profondo di noi” (La misura dell’erba, 1998).
Il capoverso della seconda composizione che dà il titolo alla breve raccolta coinvolge il lettore nella ricerca “della parola che schianta” il dolore eterno che nutre le viscere di questa società ipermoderna adagiata sulla ricchezza di pochi e sulla morte di molti. “Il contatto, il corpo cercato” sono le necessità semplici che la diffidenza, l’indifferenza, le paure, hanno sottratto alla Civiltà Contadina che le aveva seminate per millenni. Il poeta ci trascina con l’avverbio “Ovunque” alla stregua del seminatore rappresentato nel Vangelo di Matteo: “(…) E mentre seminava, una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono” (13,1-23) e gli altri semi seguirono una sorte analoga fino a quell’ultimo seme caduto “sulla terra buona” per portare frutto.
Il Nostro è come tanti di noi alla ricerca del “seme d’affetto” nei figli, nel prossimo, nelle tragedie vissute dalle popolazioni sospinte a lasciare le terre natali violentate dalle guerre, dal terrorismo religioso, dallo sfruttamento delle risorse imposte con la forza della corruzione e del potere. “Il seme d’affetto” da recuperare ovunque senza aspettare la distruzione portata dai propri simili, nel corpo “della parola” che spezzi finalmente quest’insostenibile prova di terrore che attanaglia i giorni di questo Nuovo Secolo.
I primi versi del Nostro si collegano ai versi che abbiamo ripreso dalle poesie di Cappello: “… già questi pensieri / duri di sasso / queste parole / di lama e forbice” l’avverbio esprime il compiersi tra il pensare poetico e la resa nella parola poetica che non rivela il reale “questo prato d’agosto” (cito Cappello) quanto il dramma interiore indescrivibile in Della Capa: “duri di sasso” sottoposti “alla lama” dell’evento linguistico e alla “forbice” della limatura. Il vero compiersi della poesia in ogni tempo. Tema ripreso nella composizione finale della breve raccolta. Qui la ricerca è simile al travaglio della veglia, le mani per comporre affrontano l’ostacolo dei sensi fino a toccarne il fondo. La volontà del poeta è la ricerca di quel “perché questo dolore / che ci portiamo addosso” (A E.D.) tanto che la poesia diviene la madre colpita dalla mano che si dovrebbe fermare là dove la consapevolezza dell’essere finito rasenta il vuoto perfetto de l’ indefinito: “(…) Conficco più forte / le unghie nella carne / fino a toccarne la colpa. / Non ho fermato la mano / quando ho colpito mia madre.”
La poetica contemporanea di Salvatore Della Capa è stata raccolta in modo impareggiabile dalla poeta Caterina Camporesi, nella qualità di Giurata in questo concorso annuale ideato dalla Casa Editrice Fara, che riporto testualmente: “Forza, impotenza, colpa, pentimento, espiazione, verità di affetto sparsi ovunque si snodano e si annodano lungo la traiettoria di versi limpidi, essenziali, incisivi e icastici. Il lettore non ha scampo: non può sottrarsi all’evento della sorpresa e neppure ad un profondo coinvolgimento” (pag. 21).

sabato 16 agosto 2014

Su Gianfranco Miro Gori, E’ cino, la gran bòta, la s-ciuptèda

recensione di Vincenzo D'Alessio


http://www.faraeditore.it/nefesh/e%27cino.html
 
Le poesie incluse in questa raccolta di Gianfranco Miro Gori che reca il titolo in dialetto romagnolo E’ cino, la gran bòta, la s-ciuptèda mi hanno fatto un gran bene al cuore per i ricordi; alla mente per il rinnovarsi del dialetto; alle orecchie per la musicalità che le circonda. Il cuore ha trasalito contento per il racconto, cercato da molti anni, di quell’evento eccezionale che per noi ha significato il cinema (e’ cino).
Il cinema per noi nati negli anni Cinquanta del secolo breve ha avuto il significato del sogno, proprio come per il protagonista del film Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore del 1988: il luogo deputato per uscire dalla realtà, abbeverarci di avventura, unirci alle passioni e alle sofferenze, ridere serenamente. Eppure c’era la fame e la guerra lì a pochi passi nei resti delle case bombardate! Miro Gori traduce nei versi quello che sto dicendo e lo fa come un poeta:
 

E’ cino l è e’ su pòst.
Mò piò di tòt l è
la pelècula ch’la strésa,
la léusa ch’la taia,
e’ tilòun ch’l arléus.
(pag. 28)

“Il cinema è il suo luogo. / Ma più di tutto è / la pellicola che striscia, / la luce che taglia, / il telone che riluce.”

Com’è difficile accedere alla sintassi poetica di questa raccolta se non si è entrati almeno una volta in un antico locale cinematografico. Così com’è difficile ripetere a voce alta i fonemi di questi versi se non si conosce almeno in parte il dialetto della propria terra. Tutti i dialetti vengono dalla terra. Il magnifico racconto realizzato da Federico Fellini nel film Amarcòrd del 1973 ha nella meraviglia dello svolgersi del vissuto la presenza dialogica del dialetto romagnolo, caro alla sua infanzia. L’autore di questa raccolta ha voluto coniugare insieme, esaltandoli, il cinema e il dialetto: due miti che vanno scomparendo lentamente:

Duò ch’i è andè
quéi ch’i panseva,
i santóiva,
i zcuròiva in dialèt?
(pag. 16)

“Dove sono andati / coloro che pensavano, / sentivano, / parlavano in dialetto?”

In tutta la raccolta l’anafora ripete “Il cinema è morto”, “che la vita è bella ma fa male”. La figura emergente dal passato è la nonna: metafora del cordone ombelicale che lega la dolce immagine del passato confrontata con la fine del sogno:

(…) Mè, ch’ò vést
la mi nòna e la mi ma,
a n e’ so piò
s’el ch’a vòi…
Inquèl
. (pag. 39)

“Io, che ho visto / mia nonna e mia mamma, / non so più cosa voglio… / Tutto.”

La colpa di questi cambiamenti viene data dal Nostro alla televisione o all’invasione globale di internet, quasi fossero alieni giunti a distruggere i ricordi!
Non ho risposte in questo senso. Ho arginato la caduta del nostro dialetto dalle aule scolastiche dei luoghi dove sono vissuto, sostenuto da sensibili maestri (Mario Lodi, Vincenzo Petrosino, Paolino Marotta), per circa quarant’anni ricorrendo a corsi di conoscenza del territorio, dove la civiltà contadina riempiva il silenzio generato dall’industrializzazione forzata. In qualche modo Miro Gori in questa raccolta tenta la medesima operazione.

Lo fa nella seconda parte della raccolta la gran bòta simulando il Big Bang che ha dato origine all’Universo che oggi conosciamo. Bellissimo l’accostamento al nulla che precede il tutto, fatto semplicemente, attraverso l’acqua, il fuoco, lo stare in piedi, il bastone e le storie. Gli elementi che hanno fatto scaturire la vita sul nostro pianeta e la memoria che nella parola e nei segni ha dato origine alla Storia scritta dell’Umanità. La figura femminile che dà origine alla prima “camminata” ritta in piedi richiama la scoperta dell’ominide denominata Lucy in Tanzania e si allaccia alla figura mitica della propria nonna.

La terza e ultima parte della raccolta la s-ciuptèda, la fucilata, è un omaggio al grande poeta romagnolo Giovanni Pascoli, alla morte del padre di questi, Ruggero, avvenuta il 10 agosto 1867: la tragicità dell’evento è descritta dal Pascoli nella poesia X agosto. Ma più vicina alla voce poetica di Miro Gori potrebbe, secondo me, risultare la poesia Romagna dello stesso Pascoli nei versi che seguono: “(…) Da’ borghi sparsi le campane in tanto / si rincorron coi lor gridi argentini: / chiamano al rezzo, alla quiete, al santo / desco fiorito d’occhi di bambini.”
Sì! Perché tutta la forza della lingua dialettale romagnola che presiede a questa raccolta mira alla conservazione della memoria di coloro che hanno parlato, respirato, lavorato, migrato, vissuto e poi scomparsi in questi luoghi. La sala cinematografica è uno dei luoghi deputati ma l’escatologia è nei versi che seguono:

I artèsta, 

par la mi nòna e la mi ma, 
i arlusòiva 
davénti e éulta e’ tilòun 
cmè stèli de zil. 
I film 
pre mi anvòud 
i s-ciandrà dabòn de zil 
cmè stèli cadénti. (pag. 48)

“Gli artisti, / per mia nonna e mia mamma, / splendevano / davanti e oltre il telone / come stelle del cielo. / I film / per mio nipote / scenderanno davvero dal cielo / come stelle cadenti. ”  Entrambe le similitudini riportano le stelle e il cielo: testimoni immutati dell’eterno sogno di Gianfranco Miro Gori e dell’Umanità.

mercoledì 13 agosto 2014

Su E’ cino, la gran bòta, la s-ciuptèda di Gianfranco Miro Gori


recensione di Narda Fattori



Di Gori avevo apprezzato altre scritture in dialetto, lingua appresa nei bar, quindi non materna per lui, ma già sociale e socializzata, e ho avvertito che la padroneggiava, la qual cosa significa che il pensiero si forma in dialetto e viene prima, non segue poi una costruzione linguistica in italiano e poi tradotta. Fonemi, sintassi, espressioni significanti hanno matrici diverse e quando viene compiuta questa disonesta operazione, anche una poco edotta come me, lo avverte.
Il dialetto, almeno il dialetto romagnolo, ha pochi verbi, rari aggettivi, nominazione parca; non è dunque adatto a parlare di sentimenti; vuole comunicare, è lingua sociale.
La competenza di Gori sul cinema non è messa in discussione, ma il libro affronta e
cino non sotto l’aspetto tecnico, o evolutivo o come fenomeno sociologico. Per meglio dire, la sua è una sociologia famigliare, della nonna, della madre, di lui stesso bambino.
Il cinema si faceva una lettura del mondo e delle storie diversamente da quelle reali; la stessa storia si poteva vedere infinite volte e ogni volta era nuova. La meraviglia davanti al mistero il cinema l’ha perduta con il chiacchiericcio televisivo e la pervasività globalizzante di internet.
E se la nonna si perde in un universo nuovo, ricreato, seduta sulle più o meno scomode sedie o poltrone della sala, la madre riscopriva il mondo della fantasia e dei sogni. Era un gran dono. Per non parlare poi dell’autore bambino che ricomponeva lo stesso film come un puzzle sempre diverso.
Devo confessare che ho letto questa parte del libro, che è la più corposa, con grande piacere e velocemente; come pochi libri la semplicità del dettato richiamava a realtà condivise, probabilmente. Ho subito anch’io la fascinazione del cinema e dei suoi riti come la presenza del/la venditrice di semi.
Ho stampata nella memoria un ritorno verso casa in Vespa, con mio padre e entrambi cercavamo di fischiettare il jingle de Il ponte sul fiume Kwai.
 

Assistere ad un film era sentirsi un po’ creatori, e questa connessione semantica lega la prima parte alla seconda: la gran bòta.
È la storia della creazione e dell’evoluzione in sedicesimi; la gran bòta è il Big Bang, l’origine del mondo a cui segue la vita nei mari, lo sviluppo della terraferma, il tempo dei “lucertoloni”, la caduta di un grande bolide, e così come storicamente ci viene detto. E l’uomo acquista il senso di proprietà, sulle femmine prima, poi su altra terra, altri animali , per il potere.
Sono poche poesie di lunghe e complete, un sunto di miliardi di anni. Peccato che i ragazzini non sappiano più il dialetto: troverebbero gradevole leggere questi versi, dove non ci si dilunga, non si teorizza, ma si tiene saldo il percorso.

Le tre ultime poesie ripercorrono con la voce dell’assassinato e dell’assassino la morte di Ruggero Pascoli. Nessun effetto drammatico, oggi diremmo pura verità storica. Emergono nel discorso in prima persona le caratteristiche psicologhe e sociali delle persone coinvolte e di quelle che restano nell’ombra.
Ho letto questo libro d’un fiato, lasciando con il segnalibro quello che stavo leggendo.
Mi è piaciuto questo stile, quasi tenero nella prima frazione, e poi scabro e sintetico delle altre due.
E gli argomenti… non erano così duttili.


domenica 10 agosto 2014

Usignolo vestito d'umano

a Carmen Giannattasio

Usignolo vestito d'umano
voce limpida dalla terra
dei lupi nel cuore porti
il sole di luglio negli occhi
l'energia dell'acqua
sorgenti antiche in te si
rinnovano radici greche
ornano il viso donna del Sud
voce suadente le note dei grandi
in te accendono aurore


di Vincenzo D'Alessio dalla raccolta Il passo verde in serita in Opere scelte.

mercoledì 6 agosto 2014

Vincitori del 13º Premio Nazionale di Poesia Agostino Venanzio Reali e iniziative soglianesi


La Giuria del Premio Nazionale di Poesia Agostino Venanzio Reali, organizzato dall’omonima Associazione Culturale, composta da Bruno Bartoletti (Presidente), Roberta Bertozzi, Narda Fattori, Sonia Gardini, Gianfranco Lauretano, Maria Lenti, Anna Maria Tamburini, comunica i risultati del premio.
Sono risultati vincitori:

Sezione A – Poesia Adulti (Premi: € 1000,00 – 500,00 – 250,00, pergamena):

1º Premio POLVANI PAOLO di Barletta con la lirica I peschi fioriti a febbraio.


  
2º Premio ANNA ELISA DE GREGORIO di Ancona con la lirica Il futuro non è più quello di una volta.
 
3º Premio VETTORELLO RODOLFO di Milano con la lirica Avanza la donna sul filo.

Premio speciale della Giuria (pergamena):

CANNETTI BARBARA di Corlo (FE) con la lirica Il deserto di Accona e il trionfo della luce

LARICCHIA MATILDE VITTORIA di Livorno, con la lirica Un giorno esplosi. 
PICCOLI RENZO di Bologna, con la lirica Terra di nessuno. RAIMONDI DANIELA di Alghero (SS)), con la lirica Corpoparola. 
RIGHETTI MARCO di Roma, con la lirica Non so più parole…, ZAVOLI ANTONIO di Rimini, con la lirica La scrittura si spezza

Sezione B – Poesia Giovani (Premi: € 300,00 – 200,00 – 100,00, pergamena):

1º Premio TAUSANI LORENZO di Cattolica, con la lirica È piovuto sulla neve fresca. 

2º Premio BRAVI GIULIA di Verucchio (RN) con la lirica Leuconoe. 
3º Premio PARADISI ANNA di Rimini con la lirica Psiche e Amore.
Premio speciale della Giuria:

La giuria ritiene che non ci siano altre liriche della Sezione B Giovani da segnalare.

Sezione C – Poesia Giovanissimi (Premi: Buoni libro alle scuole partecipanti e pergamena).

La premiazione si terrà domenica 21 settembre 2014, alle ore 11.00, dopo le relazioni su Agostino Venanzio Reali prevista per le ore 9.30, tenuta da Giuseppe Langella.

Il verbale, il programma e le poesie premiate sono pubblicate sul sito Web del comune: www.comune.sogliano.fc.it.




Associazione Culturale
Agostino Venanzio Reali
Sogliano al Rubicone (FC)
INVITO


Agostino Venanzio Reali. Nei viali dell’anima.


Nel 2014 ricorre il ventennale della morte di Agostino Reali (Ville Montetiffi di Sogliano al Rubicone 27 agosto 1931 - Bologna 25 marzo 1994), in religione p. Venanzio, poeta e artista, biblista e teologo, sacerdote appartenente all'ordine del Frati Minori Cappuccini.
Figura poliedrica ma sapientemente unitaria, per l'ampiezza, lo spessore e la complessità dell'opera p. Agostino Venanzio Reali merita d'essere conosciuto e studiato con un approccio sinottico ai diversi ambiti di lavoro che l'hanno coinvolto: poesia, pittura, scultura, esegesi biblica, teologia, filosofia. Nel corso degli anni si è indagato soprattutto l'aspetto letterario ma, autenticamente poeta, la poesia di p. Venanzio si manifesta anche nell’opera figurativa, copiosa e non ancora compiutamente catalogata, della quale una parte significativa sarà esposta dal 6 settembre al 14 dicembre in una mostra allestita su più sedi: il Palazzo della Cultura di Sogliano, il Museo p. Venanzio Reali di Montetiffi, la Chiesa di San Paolo in Ponte Uso.
Data la particolare rilevanza dell'anniversario, sono state intraprese pertanto numerose iniziative che, sotto il comune titolo Nei viali dell'anima, hanno coinvolto congiuntamente l'Associazione Culturale “Agostino Venanzio Reali”, l’Amministrazione Comunale di Sogliano al Rubicone, i Frati Cappuccini dell'Emilia Romagna, l'Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli” di Rimini, la Diocesi di Rimini.


Dopo l'incontro del 30 marzo a Montetiffi, per intervento del prof. Giorgio Bàrberi Squarotti, e i seminari del 7 maggio e del 27 maggio presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Rimini con le conferenze del prof. Gianfranco Lauretano e Massimo Naro, e dopo la manifestazione del 14 giugno degli ORI di Sogliano, è prevista per sabato 6 settembre, alle ore 16.30, l'inaugurazione della mostra d'arte Agostino Venanzio Reali. Nei viali dell'anima, presso il Teatro comunale “Elisabetta Turroni” di Sogliano al Rubicone, dove il prof. Giovanni Gardini terrà una conferenza intorno alle opere del Museo "p. Venanzio Reali", Montetiffi: Prora di pietra grigia. Uno splendido catalogo, curato da Emanuela Bagattoni e p. Paolo Grasselli, accompagnerà la visita documentando i contenuti dei percorsi espositivi con interventi critici inediti, una significativa antologia critica, testi poetici di p. Venanzio.

Dal 6 settembre al 14 dicembre gli spazi espositivi resteranno aperti dalle ore 15.30 alle ore 18.30, tutti i sabati e le domeniche, con possibilità di visite guidate su appuntamento anche in altri giorni, facendo riferimento all’Ufficio Turistico del Comune (3356097313). Per la Chiesa di San Paolo in Ponte Uso occorrerà in ogni caso prendere accordi.

Sabato 20 settembre, con inizio dalle ore 9,30, presso il Teatro comunale “Elisabetta Turroni” seguirà un articolato convegno coordinato da Natalino Valentini cui parteciperanno Loretta Iannascoli (per la filosofia), Luciana Maria Mirri (per la teologia), Fabrizio Zaccarini (francescanesimo), Emanuela Bagattoni (storia dell'arte), Alessandro Giovanardi (critica d'arte). I lavori riprenderanno nel pomeriggio, alle ore 16,30 a Montetiffi presso la sede del Museo "p. Venanzio Reali", con un intervento di Graziella Corsinovi (letteratura) la quale coordinerà anche un reading di poesia - presenti i poeti Sauro Albisani, Michele Brancale, Gianni Gasparini, Paola Lucarini -.

Domenica 21settembre presso il Teatro comunale “Elisabetta Turroni”, con inizio dalle ore 9,30, si svolgerà la cerimonia di premiazione dell'annuale concorso di Poesia "Agostino Venanzio Reali" preceduta da un intervento di Giuseppe Langella (letteratura).

Più in dettaglio, il programma degli interventi:


Sabato 6 settembre 2014, a Sogliano teatro comunale “Elisabetta Turroni”

ore 16.30: Giovanni Gardini (docente presso l'ISSR di Rimini e Consulente per i Beni Culturali della Diocesi di Ravenna – Cervia), Montetiffi: Prora di pietra grigia.


Sabato 20 settembre 2014, a Sogliano teatro “Elisabetta Turroni”

ore 9.30 - relazioni di:

- Loretta Iannascoli (già docente di Filosofia presso l'Università di Chieti, filosofa, saggista), Dalla gratitudine alla grazia;

- Luciana Maria Mirri (docente di Teologia Dogmatica, Orientale e Spirituale presso gli Studi Teologici Francescano e Domenicano della Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna in Bologna), Elementi teologici in alcuni scritti di padre Agostino Venanzio Reali;

- Fabrizio Zaccarini (presbitero, cappuccino, responsabile della formazione dei postulanti cappuccini di Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte), "Il canto di Francesco". Un itinerario minore;

- Emanuela Bagattoni (docente di Storia dell'arte contemporanea presso l'Università di Bologna e di Storia dell'arte presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose "A. Marvelli" di Rimini), Novecento: il sacro e l’arte;

- Alessandro Giovanardi (docente d'Iconografia e Iconologia all'ISSR di Rimini), La Terra del Cielo. Le crete di Agostino Venanzio Reali;

- coordina il prof. Natalino Valentini (direttore dell'ISSR "A. Marvelli" e studioso del pensiero religioso russo)



Sabato 20 settembre 2014, a Montetiffi

ore 16.30 - relazione di:

- Graziella Corsinovi, (ordinario di Letteratura Italiana e Storia del teatro presso l'Università di Genova), Originarietà e creatività nella poesia di Agostino Venanzio Reali;

ore 17.00: reading di poesia con Paola Lucarini (Per visione d'anima), Michele Brancale (La targa delle vittime), Sauro Albisani (Ciò che occorre è un uomo), Giovanni Gasparini (Ascoltare e ridire le voci del mondo).


Coordina la prof.ssa Graziella Corsinovi.


Commenti musicali: Federica Frisoni (flauto), Mattia Guerra (pianoforte)


Domenica 21 settembre 2014, a Sogliano teatro “Elisabetta Turroni”

ore 9.30: Giuseppe Langella (ordinario di Letteratura Italiana moderna e contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia e Direttore del Centro di ricerca “Letteratura e Cultura dell’Italia Unita” - Università Cattolica Sacro Cuore di Milano): “Sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote”. Agostino Venanzio Reali poeta cristiano.

ore 11.00: assegnazione dei premi ai vincitori della 13ª edizione del Premio Nazionale di Poesia "Agostino Venanzio Reali".

Voci recitanti:
Paola Lucarini legge Agostino Venanzio Reali
Annalisa Teodorani legge i poeti premiati.
 

Commenti musicali:
Federica Frisoni (flauto), Mattia Guerra (pianoforte).
Per informazioni e prenotazioni:

Per il pranzo di domenica 21 settembre, email: sparireinsilenzio@gmail.com ; oppure tel. 3343794512, (assolutamente necessario prenotare entro mercoledì 17 settembre. Spesa per il pranzo € 25,00)

Per il pernottamento venerdì 19 e sabato 20 settembre: telefonare al n. 335 6097313, risponde ISABELLA


Si segnala inoltre la serata del 27 agosto, giorno della nascita di Agostino Venanzio Reali, alle ore 20.30, nella piccola frazione di Ville di Montetiffi di fronte alla sua casa natale, una lettura di poesie dedicate alla propria terra con mostra di fotografie. La serata è organizzata da Roberta Sama. Leggerà Ilario Sirri, con accompagnamento di musiche popolari. Seguirà un piccolo buffet, se volontariamente i partecipanti si offriranno di preparare e portare dolci, ciambelle, torte, con la dolcezza di cui le nostre famiglie hanno sempre dato prova.

Un invito per tutti.

Grazie.

martedì 5 agosto 2014

La solitudine mi sorprende

di Vincenzo D'Alessio

La solitudine mi sorprende
a tavola da Mamo's mentre
la fanciulla rossa nei capelli
versa il vino bianco,
Il pizzaiolo indaffarato
prepara la partita con gli
avventori clandestini,
L'odore del grano prende
dalla cucina metalli e cristalli,
l'occhio smarrito svolge
la tovaglia pulita.
 


(oggi è la Madonna della Neve)