mercoledì 21 gennaio 2015

Su All’ombra del salice piangente di Domenico Pece

Delta3 Edizioni, 2013

recensione di Vincenzo D
Alessio



La raccolta di esordio nel mondo letterario di Domenico Pece, trentenne, pubblicata nel 2013 dall’editore Delta3 di Grottaminarda(AV) nella collana “Pugillaria” diretta dal noto critico letterario e meridionalista Paolo Saggese, reca il titolo All’ombra del salice piangente. Una prova d’autore ardua legata al passaggio dalla beata gioventù alla durezza dell’esistenza attraverso il dolorosissimo “Velo” della morte.
“(…) Oh amore, oh mia cara / com’è triste vederti in questa bianca bara / baciare per l’ultima volta le tue fredde mani / ed essere consapevole che per noi non ci sarà / più domani” ( All’ombra del salice piangente, pag.16). Con questi versi sciolti, intimi e faticosamente portati sul foglio di carta da una mano tremante il Nostro invia il suo messaggio al lettore, al mondo, all’Infinito. La scomparsa della prima grande forza d’Amore nel mondo ultraterreno delle anime vena l’intera raccolta.
Il noto critico letterario e meridionalista Paolo Saggese bene introduce la poetica del Nostro offrendo la definizione: “Poeta dell’amore assoluto oltre la morte ” (pag. 7) che non vuole essere un’etichetta ma l’invito a seguire con animo lieve e con occhio più che attento le rime baciate, il verso lungo, il pathos profondo che emana dall’immersione di un uomo con due anime: “Il mio cuore non trova pace / attorno a me tutto è buio, tutto tace / il tempo scorre lentamente / il mio tormento nessuno sente” (Il perdono negato, pag. 17 ).
La prefazione di Monsignor Camillo Marino, Vescovo di Avellino, raggiunge la nota cristiana del racconto poetico con un accorato invito rivolto ai lettori: “Sono certo che molti lettori, moltissime persone della sua comunità, si riconosceranno tra le pagine di questo libro. Anche io, forse semplicemente per la mia funzione di vescovo, sono stato coinvolto in questo tessuto e ne sono grato” (pag. 14).
Le poesie contenute in questa raccolta mostrano la semplicità dell’anima di Domenico Pece di fronte all’assurdo destino umano mediante il quale: “e il dolore mi riporta alla triste realtà” (pag. 62). Una cicatrice perenne che solo il paesaggio, gli affetti rinnovati, la purezza dell’infanzia riescono per pochi attimi a trattenere: “(…) Verso l’alto si perde il fumo dei camini / e per strada si vedono poche persone camminare / si rincorrono festosi i bambini / con la voglia sempre di giocare” (Neve, pag.43).

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