sabato 16 maggio 2015

L’esperienza di una soglia: su Assolo per mia madre di Maria Pina Ciancio

Assolo per mia madre, Edizioni L’Arca Felice, Salerno, 2014, pp. 45, s.i.p.

recensione di Marco Furia




Con Assolo per mia madre, Maria Pina Ciancio propone un (amorevole) tono espressionista la cui evidente cifra verbale è la pronuncia “mia madre” ripetuta più volte nel corso della raccolta.
Un espressionismo composto, capace di sfiorare sentimenti ed emozioni.
Ho usato, non a caso, il verbo “sfiorare”, poiché la delicatezza mi sembra qualità tipica di una versificazione che si posa, quasi fosse una timida farfalla, sul suo argomento con la preoccupazione di sciuparlo.
Siamo dinanzi a una scrittura molto sensibile, ricca di elementi interni ed esterni, tale da porre in essere un’immagine come
“Cerchiamo insieme
il tempo del sole e delle stelle”.
Qui la sequenza poetica pare arrestarsi all’improvviso per permettere al nodo della lingua di sciogliersi in sembianze cosmiche ma anche umane.
Il “tempo”, il “sole” e le “stelle” fanno parte della nostra vita e i loro reciproci rapporti sono degni di attenta ricerca e grande ammirazione: un’ammirazione che, per la nostra poetessa, consiste nell’affettuosa capacità di alzare lo sguardo lasciandosi illuminare dal corso del pensiero.
Notiamo, poco oltre, l’emergere di una vera e propria attitudine esplorativa:
“Entriamo e usciamo dal giorno
annodando tra le dita
la storia del nostro viaggio inesplorato”.
Il “giorno” è uno spazio in cui entrare e da cui uscire e le “dita” annodano la storia della stessa esistenza.
Un’esistenza che, per Maria Pina, è “viaggio inesplorato”, ossia percorso tendente a raggiungere maggiore consapevolezza ma, in sé, non spiegabile.
Perché viviamo?
Domanda priva di risposta alla quale la poesia può accostarsi per via di un linguaggio che nell’allusività del cenno mostra la propria feconda indole.
Quando la logica incontra ostacoli insormontabili, il dire poetico viene in aiuto: occorre, però, saperlo ascoltare.
Si legge a pagina 19:
“Io stringo tra le dita la mia piccola storia e i
segreti dello sguardo. Quelli che non dico e che lei sa”.
Simile vivida messinscena, in cui al segreto non svelato si unisce l’affettiva soluzione del medesimo da parte di un’altra persona, invita a prendere atto di come la via della conoscenza non sia unica: la quarta di copertina, non a caso, reca impresse, le parole (scritte in corsivo)
“La poesia è l’esperienza di una soglia,
dello stare nei difficili confini
del chiaro e dello scuro”.
E se non soltanto la poesia, ma l’umano esistere tout court fosse “esperienza di una soglia”?
Sono propenso a credere che tale aperto quesito sia sotteso a una versificazione che non tende a fuggire in un altrove pur assiduamente richiamato: lo spazio poetico, davvero, non è compreso entro normali confini.

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