lunedì 8 giugno 2015

La parola incolpevole di Raffaele Urraro

Marcus Edizioni, Napoli, 2014

nota di lettura di AR



Sono tre le sezioni di questa raccolta suggestiva già dal titolo. La prima – “Il destino delle parole” – si apre con la sorte delle mie parole che contiene già la chiave (o meglio le chiavi) per accedere al libro: “cerco di dare un senso / ai tralci delle mie parole” e più sotto, “so solo che non so / come si costruisce una bugia // alla fin dei conti / io scrivo / e poi… // e poi non ho nulla da dire” (p. 7). La poesia successiva, eponima della raccolta, si chiude con questi versi: “regna nel silenzio la parola / e nel silenzio aspetta che la trovi / chi sappia solcare il campo / di segni e seminare” (p. 8, notevole l'ambiguità sintattica del verbo trovi che può riferirsi alla prima e alla terza persona singolare). Già nelle prime pagine riceviamo dunque “dritte” ben precise. Nella poesia seguente (vorrei dire alla morte), Urraro afferma che “non è che qui si goda / ma solo qui è possibile scrivere” (p. 9), e in quella dopo (ancora alla morte) proclama la sua umana fiducia nelle “… parole dei poeti / (…) // ogni parola è un brivido / un tremolio della mente e del cuore / una luce che si posa / sul davanzale e guarda lontano” (p. 10). Tale fiducia nella poesia è ribadita ne le parole dei poeti non possono morire – dedicata a Franco Capasso – di cui riportiamo le ultime strofe (p. 11):

(…) 

i versi del poeta sono il vento
che penetra nei cuori vaneggianti
a gettarvi una parola
che ha la massa corporea di una pietra

perciò le sue parole
non possono morire
sono il seme che feconderà domani
come la luce che va veloce
davanti al buio che insegue

oh benedetto il poeta
che non vive la vita della pietra

Più avanti – in solo con le mie paroleUrraro ci dice che “… la storia finirà / quando moriranno / le parole dei poeti” (p. 15, un concetto foscoliano, ci pare, come sono moltissimi i riferimenti leopardiani sparsi per tutta la raccolta).

La seconda sezione si intitola “La vita è una stupida avventura” e la poesia eponima ribadisce che è “fatta di tutto e di niente / (…) // ognuno lascia sul prato / un fiore uno sguardo un amore // … e questo è tutto” (p. 21). Il tema della morte ricorre in quando un uomo se ne va (p. 25):

(…)

è  l'ombra di un riflesso
                                   la vita

l'anima andrà a posarsi
nei cuori circonfusi d'amore
o anche in un piccolo cuore
grande così
come un granello di sabbia

(…)

E troviamo altri versi sull'argomento ne il senso della vita (p. 26) che si chiude così (notare i due punti a capoverso, stilema caratteristico del Nostro):

(…) 

e sarà il momento più triste
: dopo aver imparato come si vive
dover lasciare la scena
e partire per sempre
per un altro viaggio
                             tra le nuvole
                             nel niente
                             nel nulla

e… così sia

Già questa formula liturgica, segnala però in Urraro il desiderio di altro, benché lo si consideri magari una proiezione, una illusione… Nel ladro di stelle (p. 27) troviamo una sorta di confessione/auspicio: “io so che l'uomo / se ascoltasse soltanto / la voce del silenzio / potrebbe essere davvero / un ladro di stelle” ma il poeta trova più realistico lasciare gli spazi siderali e solcare “le onde offuscate della sera” in cui si riflette la luna per “catturare l'ombra di un pensiero”. Eppure “le cose esistono perché / ci siamo noi” (p. 29) o è tutto un sogno “… che ti schianta / e ti denuda e poi / ti lascia solo / senza una stella” come in giocare con i sogni (p. 30)?
Se l'universo “ha un'anima più grande del cielo / e più profonda della terra” (il cammino del vento, p. 32), se esiste “… una voce / che viene direttamente dal buio” che “sembra una luce” e “ha il suono profetico delle stelle” (la voce che viene dal nulla, p. 33), il confronto con la Falciatrice resta angosciante: “dei morti mi colpisce / la loro indifferenza verso il mondo” (p. 37), “ogni uomo è soltanto un punto / che trafigge le risonanze del cielo / e resta un punto senza dimensioni / come il vuoto  come il nulla // eppure la voce di ciascuno / mescolandosi al canto delle stelle / vibra nell'immenso che accoglie / tutti i palpiti delle anime e le voci” (p. 46).

La terza sezione si intitola “Il silenzio vagabondo”. Anche qui il poeta si fa esponente delle questioni esiziali: “non ho ancora capito perché / gli anni che fuggono / dal deserto del mondo / portano via con sé / anche il rumore del cuore” (il respiro delle stelle, p. 52), “il passato è svanito dentro l'ombra / del tempo / e l'infanzia / se n'è andata nelle scarpe / stanche e sdrucite / e senza lacci che le legassero ai sogni” (in un mondo lontano, p. 58).

Come possiamo vedere da questo veloce excursus, la musicalità sobria ed elegiaca dei versi di Urraro tende a farsi eco ripetuta ma ogni volta con un tratto, un suono, un silenzio diversi, ogni lettore vi troverà immagini che si imprimono nel nucleo più empatico della nostra memoria, che è forse la sorgente stessa delle immagini poetiche.

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