lunedì 27 luglio 2015

Federica Volpe su Orme intangibili

Recensione di Federica Volpe pubblicata nel blog

Federica Volpe – semplicemente poesia

Appena terminato Orme intangibili di Alessandro Ramberti, si rimane con la sensazione di essere stati toccati da qualcosa di grande. Questo libro è un viaggio, il viaggio che Alessandro fa tra le sue mille domande di uomo (universale e del suo tempo), di cristiano, di filosofo, e a cui ci invita a partecipare, pur sapendolo un viaggio difficoltoso.

Il linguaggio, infatti, fortemente filosofico, teologico, alle volte scientifico, unito ad una sintassi non sempre immediata, ci fa trovare di fronte a delle perle avvolte da un abisso oceanico da affrontare con ogni propria fibra, per poterle far riemergere con sé dopo l'apnea, a riprendere il respiro. Un viaggio di fatica, dunque, che se intrapreso non sarà più solo il viaggio dell'autore, ma anche quello di chi legge, che diventa per Ramberti l'interlocutore specchio di sé stesso.

È un vero e proprio invito la prima poesia, Premessa, che apre la raccolta. Alessandro si rivolge a chi legge, lo interroga per coinvolgerlo in quelle che saranno le sue interrogazioni. “Raccontami di te, del tuo cammino / di ciò che opprime il cuore o lo dilata, / del senso che ti sembra incomprensibile, / della felicità legata al vivere”. È, dunque, un appello da essere umano ad essere umano, di reciproca condivisione. Le domande che Ramberti pone sono dirette, frecce che colpiscono là dove l'interiorità è delicata e scoperta, ma al contempo sensibili: “Hai già trovato il modo di investirli [i tuoi talenti]? /Te li hanno derubuati, li hai nascosti / nell'angolo da cui non riesci a uscire? // Forse devi spiccare ancora il volo / trovare l'energia che ti motivi?”
Gli ultimi due versi di questa prima lirica contengono in sé tutto il senso della raccolta: “ricorda che se cerchi la tua strada / è necessario prima che ti perda”. È del suo essersi perso che parla l'autore, ma il testo non vuole essere un semplice racconto di questa dispersione: anche se non ci si ritrova, se le domande sono troppe e le risposte sfuggono, è il viaggio stesso il fulcro, la strada da trovare.

Quasi tutta l'opera (ad eccezione dei primi testi e degli ultimi due, che fanno da introduzione e da congedo) ha una struttura che si ripete e che la rende unitaria. Alessandro sembra avere due voci: una voce prevalente, rappresentata da quartine nelle quali il primo e il quarto verso rimano tra loro, ed una seconda voce fuoricampo rappresentata da singoli versi messi tra parentesi e rimanti tra loro, che interrompe e spesso disturba la lettura poiché essa va ad innestarsi negli interstizi presenti tra una quartina e l'altra, che sono spesso legate l'una all'altra da enjambement. Proprio per questo la lettura di questa raccolta è una sfida: la stessa sfida che Ramberti combatte contro se stesso, i suoi pensieri e le filosofie da lui conosciute, sperando di trovare una risposta, un compromesso che dia pace alla mente. Una sfida, questa, tipicamente umana nella quale il lettore non può non immedesimarsi.

Ogni lirica che abbia questa struttura si conclude con uno o più ideogrammi cinesi, che sembrano riassumere il testo. Esse sono come una poesia più piccola racchiusa in un'altra poesia, come la vetta raggiunta dopo l'immensa fatica del confronto con le proprie domande, come un titolo che pare essere piombato in fondo ma che rapprensenta invece il vertice, il punto d'arrivo. Stretto è il legame dell'autore con la lingua e la cultura cinesi, studiate all'Università, e questo legame si legge, oltre che nei testi che intrisi di una terminologia fortemente cristiana non si negano però ad influssi orientali, anche nella volontà che Ramberti ha di rendere la lingua italiana una lingua agglutinante, come quella cinese. Una lingua è agglutinante quando tende ad unire più morfemi, ad incollarli tra loro, tendenza che la lingua italiana, romanza e flessiva, non ha per sua natura. Ma ecco che nelle mani di Alessandro la lingua si fa creta, e nascono così delle vere e proprie parole-concetto: “riempie-emana”, “mondo-senza”, “cuore-spirito”, “essere-in-rete”, “voce-colomba”, “manto-scudo”, “la crepa-confessione”, sono sono alcune delle sue creazioni.

Il lessico utilizzato rende la raccolta particolarmente cacofonica (mi sembra vengano preferiti i suoni più grevi della lingua, quelli con un ritmo e una musicalità concreti e particolari),
una scelta che intensifica il senso di ricerca e di sfida con le domande che l'autore si pone e con la lingua che deve riuscire ad esprimerle e allo stesso tempo ad esprimere lo stato d'animo che ne deriva.
Ramberti, inoltre, non vuole tenere i campi del sapere scollegati tra loro, ma ben intersecati (e proprio per questa visione completa e non miope nascono in lui tante domande) a formare una fitta rete di pensiero. Ed ecco, per esempio, che i temi classici della cristianità sono mischiati ed inficiati dalle conoscenze scientifiche, che fanno sì che Alessandro si interroghi continuamente su questa dicotomia, cercandone la conciliazione: “cos'è alla fine l'anima – mi chiedi. / diciamo che è la sonda dello spirito: / […] porta traccia delle nostre emozioni / delle ferite aperte e anche radiose / su cui si costruisce il nostro piccolo / sapere grazie ai mobili neuroni / […] Ma in cosa differisce dal cervello? / Se questo calcola misura valuta / progetta tiene memoria connette - / l'anima lo trasforma in un cancello / […] canale di energia relazionale / inconscio serbatoio del vissuto / spazio di libertà e di decisione / del tuo essere-in-rete e personale.”

Questo lavoro, volontariamente complicato e complesso così come è complicato e complesso l'essere umano, è una sfida da intraprendere anche con sé stessi, poiché, come conclude l'autore: “bisogna uscire fuori dal sepolcro / per nascere di nuovo ma dall'alto. // Chi vola non imprime tracce a terra”. Chi volesse cimentarsi in questa sfida, scoprirà in Alessandro Ramberti un ottimo compagno di viaggio.

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