martedì 28 luglio 2015

Un gigantesco anacoreta della parola meccanica: sui Canti Digitali di Alberto Mori


recensione di Vincenzo D'Alessio

Alberto Mori: Canti Digitali, Fara Editore, 2015



Caro Alberto Mori
ho dedicato buona parte del mio tempo di lettore al tuo gigantesco volume di versi che reca il titolo Canti Digitali: forse acronimo del Compact Disc che oggi raccoglie le emozioni, le immagini, le notizie destinate in passato al millenario foglio di sostanze vegetali. Ti scrivo, oggi, in questa sfrenata giornata di caldo umido per imprimere su questo frammento di carta, con la calligrafia manuale antica, i “Canti” che hai raccolto per lanciarli nei labirinti “Digitali” alla ricerca degli occhi dei lettori, futuri ascoltatori di un mondo lontanissimo: “Nel mondo web quello che si sa e non si sa diviene visibile.”

L’esergo posto alla tua raccolta richiama alla mente il flessibile canovaccio teatrale dell’ottimo lavoro di Massimo Sannelli Digesto (2014, Tormenta1945 Editrice). I tuoi versi sono principalmente destinati alla rappresentazione teatrale, al diverbio con il pubblico, all’attacco diretto tra immagine e ontologia. Prendo in prestito le parole di Sannelli: “il palliativo è dadà, il successo è dadà, dadà è il passatempo e ha la sua bellezza, dadà è un’azione che non serve: dadà è baciare” (pag. 17, op. cit.). Riporto inoltre dalla postfazione di Franco Gallo questo suo pensiero: “Il testo si presta infatti, proprio per le frequenti allusioni fonematiche, per il ricorso a neologismi evocativi, a imitazioni omofoniche, nonché per l’accentuata vocazione alla scena di genere, a una interpretazione orale e gestuale integrativa molto libera, dove l’elemento della scelta della curvatura recitativa può essere decisivo” (pag. 148).

Non riesco a pensarti diversamente da un anacoreta della parola meccanica, quella forza realizzata dai Movimenti dell’Avanguardia Italiana ed Europea agli albori del Secolo Breve, prima che il cavallo di fuoco delle due Guerre Mondiali riportasse indietro la condizione delle classi sociali dispersa nelle trincee. Rivedo nella tua splendida raccolta lo sforzo di annunciare il nuovo linguaggio che tanto imperversa agli inizi di questo XXI secolo, sembra di ascoltare lo scoppiettante dialogo tra un padre e la sua creatura che vivrà gli affanni velocissimi di questo nuovo tempo, un linguaggio sperimentale, utilizzato socialmente da miliardi di esseri umani nel silenzio luminoso del Web, l’eclissi del linguaggio.

Ho scelto i versi del poeta Aldo Palazzeschi che si autodefinisce “Il saltimbanco dell’anima mia” (Chi sono?) nel suo componimento più letto: “Clof, clop, cloch, / cloffete, / cloppete, / chchch… / È giù, / nel cortile, / la povera / fontana / malata; / che spasimo!” (La fontana malata), per accostarli alle tue rappresentazioni pubbliche, al tuo connetterti visibilmente con gli occhi degli spettatori che inconsapevolmente divengono protagonisti delle tue opere.

Oltre il linguaggio, così scriveva il nostro filosofo Emanuele Severino: «Ma nella “storia” dell’Occidente l’epistéme della verità è destinata al tramonto” (pag. 167). Così il tuo linguaggio è la ricerca della filosofia della scienza nuova per aggiungere, attraverso l’analisi perfetta della Poesia, il linguaggio poetico premoderno: “Andiamo / È tempo d’Android / Allaccio fresco adolescente dei sorrisi / La triade fragrante allo stesso passo / medesimo chatto fra schermi ravvicini / trova App ad opzione gratuita scoperta insieme…” (pag. 39).

Caro Alberto i versi fuggono dalle pagine del tuo libro verso gli schermi dei social network ad inebriare gli occhi e le faccine pronte ai commenti dei lettori. Quanto dureranno? La filosofia che i tuoi versi contengono quanto contagerà i lettori della “techno vision”. Quale gioco interpreterà la tua bocca tridimensionale nella narrazione delle 139 pagine dove la scenografia complessa del metodo potrà offrire godimento liberatorio a quella che una volta chiamavamo “cultura di massa” ?

Credimi l’analisi attenta del filosofo Franco Gallo rende piena giustizia ai tuoi testi poetici e coordina quello che definiamo ipertesto, libero da ogni forma di condizionamento, aperto a tutti gli algoritmi di questo perturbante secolo di barbarie.

“Sulla piccola duna della spiaggia / Summer Card verde pallida / ricorda alla sabbia / Connette con la plastica / materia comunicativa dismessa / nel moto cellulare del tempo” (pag. 38). La Natura è la Madre Eterna del Pianeta Terra. L’immortalità della Poesia aiuta a ritrovare il ruolo che l’Umanità ha scelto da millenni: un Cantico delle Creature anche dal Mondo Digitale dove: “Tutto si fa schermo / Nessuna sera senza dislpay / Canti Digitali / Algoritmi dislocati fra le stelle” (pag. 16).

Luglio, 2015 vincenzo d’alessio


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