giovedì 27 agosto 2015

Le nuvole che sono: Simone Zanin

Se da lontano ancora giungessero i rintocchi aerei delle campane dei borghi che erano sparsi in questa valle che passa tra due meridiani, se si potessero ancora sentire le grida dei bimbi e i richiami delle donne, se ancora scorresse acqua in questo letto di pietre e ciottoli e non solo vento che inaridisce e trasporta suoni inumani. Se le case non fossero mute e le strade immobili. Se ancora ci fossero parole. Parole, sì, parole. Saprei che l'attesa è finita e non sono solo in questo percorso, che il destino si sta compiendo e siamo fianco a fianco di fronte al nemico.
E invece si accavallano solo gli echi lontani nel tempo e nello spazio delle campane a morte, i battiti che presero a riverberare secoli fa e ancora non si spengono nel vento che spazza questa valle nera e arida. Che non ha alberi, né case, né rifugi. Questo impluvio che non ha forma e ha solo una residua consistenza liquida. Ed è un enorme abbraccio infido. Un ininterrotto inseguirsi di bande riarse, dove l'unica pioggia è un piscio acido e sterile che dissecca la terra, attraverso il vetro di questo treno che trafigge l'ultima valle, tra le colline attorno ai luoghi delle battaglie, che mi porta verso un confine ignoto e che affolla i miei sogni ogni notte. Un confine rosso, di sangue e cadaveri in mezzo a moltitudini che si illudono di dimenticare danzando, nelle notti alterate.

Un confine di parole disperse.
Di attimi.
Di occasioni mancate.

Simone Zanin

(da Nuova Vandea, Edizioni Officine Ultranovecento, 2013)


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