mercoledì 5 agosto 2015

Vincenzo D'Alessio su Alfabeto dell'invisibile




recensione di Vincenzo D'Alessio

La raccolta poetica realizzata da Chiara De Luca per Samuele Editore di Fanna (PN) a maggio di quest’anno, reca il titolo: Alfabeto dell’invisibile: 141 pagine di faticoso cammino sui selciati della città di Ferrara.
L’incontro con i versi della Nostra hanno le parole dei tanti autori italiani e stranieri tradotti per la sua casa editrice e per altre. Parliamo quindi di una traduttrice che per sensibilità d’ascolto ha perfezionato il proprio sentire rendendolo leggero, quasi aereo. 
La nascita “dell’Alfabeto dell’invisibile” parte dall’esergo: “a mia madre”, e si evolve nelle dediche sparse nelle altre composizioni poetiche fino all’Ego sublime di chi scrive: la mano invisibile di Madre Natura sparsa nelle rette spezzate dei cammini intrapresi.
Il ritorno alla città natale è parte della finzione scenica che la poeta adotta in chiave di risorsa per lo sviluppo dei personaggi che con lei si muovono nella nebbia del proscenio a facilitare il racconto verginale di un amore grande, intenso e materno.
Le figure poetiche che dobbiamo seguire sono: il silenzio, onnipresente e desiderato; il colore bianco simbolo di purezza, fragilità, perdita; l’acqua del mare, del fiume, della pioggia, del parto che riporta alle origini dell’Umanità; la presenza della Natura negli alberi, nelle foglie, nel divenire sofferto dei volti umani, negli assoli che solo l’anima costantemente inquieta della poeta raccoglie.
Ha scritto bene nell’introduzione a questa imponente raccolta il poeta Claudio DAMIANI : “Ma non c’è, forse, alcun capovolgimento. Quella sfera di nebbia, quella melassa di voci e silenzi, luci e ombre che era la città, ora è diventata mare. (…) Un mondo senza patrie e dove tutto è patria, tutto è appartenenza, e presenza, un mondo da dove non può fuggire” (pag. 9).
In effetti i versi di De Luca che salutano Ferrara e aprono la raccolta sono l’invito a seguire le vie, i vicoli, i parchi, della città fantasma vicina al racconto delle Città invisibili di Italo CALVINO: come Marco Polo, al lettore di questa raccolta poetica vengono posti interrogativi invisibili sui luoghi che mano a mano scopre seguendo “la corsa” della Nostra: “(…) madre / tanto lieve distratta e inadempiente, / eternamente infante, mia Ferrara” (pag. 17).  
Dentro quest’alfabeto “infantile” del ritorno, disposto dal vocativo verso una madre città o madre scomparsa e irraggiungibile, ritornano alla mente i versi della poesia Romagna di Giovanni PASCOLI che si addicono alla chiave di lettura della raccolta: “(…) oh!, fossi io teco, e perderci nel verde, /  e di tra gli olmi, nidi alle ghiandaie, / gettarci l’urlo che lungi si perde / dentro il meridiano ozio dell’aie.”
Una corsa/ricerca tra le mura costrittive delle città invisibili disposte nell’anima della poeta e di ogni lettore, nelle mura delle sofferenze e delle perdite, dell’aridità del deserto nel cuore degli uomini. Una scia luminosa nella nebbia del passato è l’infanzia, bene assoluto per ognuno di noi, che guida il volo della parola, la ripresa del fiato. La ritroviamo in molte delle poesie di questa raccolta. Esemplare questa dedicata al fratello, a pag. 30 che reca il titolo: Via Camaleonte  dove i sentimenti forti appaiono purificati dal tempo (la nonna, la città di Roma, i giochi, le paure): “(…) Ora che ho cercato altrove per vent’anni / ritorno alla partenza per non ritrovarti, / (…) per sapere se stasera tra le labbra della nebbia / è la breccia di un mondo o solo il margine di un giorno.”
Il racconto poetico di Chiara De Luca diviso nelle quattro parti di questa raccolta passa dal “ritorno” alle “stazioni”, poi “i volti” e infine giunge al “mare”. Bisogna leggere le poesie realizzate con metri diversi, con l’ausilio principale dell’enjambment, brevi rime, metafore, similitudini, l’uso frequente dell’anafora.  I quattro atti dell’opera poetica raccolgono anche l’attualità della Movida e l’uso vizioso dei mezzi elettronici come nella poesia Ghetto ebraico a pag.41: “(…) ora che ovunque si estrae un cellulare / si mixano emozioni, bilanciano ragioni, / si equalizzano menzogne e costruzioni, / oppure si arresta il sistema per sparire / come gli spettri al risveglio del quartiere.”
La poeta invita in questi versi a dissolvere la nebbia  che accoglie gli spettri della Seconda Guerra Mondiale e guardare bene la persecuzione Fascista degli Ebrei a Ferrara profondamente raccolta nel romanzo di Giorgio BASSANI: Il giardino dei Finzi-Contini, l’invito rivolto alle nuove generazioni convinte come sono dal falso benessere che la violenza degli uomini abbia posto fine alle guerre. 
Prima di rivolgersi al mare, seguendo l’invito leopardiano dell’abbandonarsi all’inevitabile naufragio, Chiara parla di sé e dell’Io poetico ponendolo di fronte alla forza prepotente del dolore degli uomini, degli animali, del Creato. Ma Dio dov’è? Forse per avere scelto come poeta di riferimento R. M. RILKE sin dall’inizio del proprio percorso letterario, la Nostra crede nella potenza del divino come forza naturale, intrisa nel respiro dei viventi, che nella similitudine della nebbia, appare e dispare sotto i raggi del sole: “Il giorno che ti sei ammazzato s’è spezzata / in due come una terra esplosa la mia vita / (…) fu in quella notte enorme la mia abiura / dallo stolto credo di poesia e letteratura / la festa iconoclasta sull’Ego dei poeti / il cieco narcisismo, gli spettri d’altruismo” (pag. 110/111).
La corsa lungo i luoghi dell’anima di Ferrara, o qualsiasi altra città desiderata dalla poeta e condivisa dal lettore, sbocca di fronte al Mare Adriatico, simbolo della marea dell’intera umanità. La poetica della De Luca ha raccontato luoghi e abitudini di una città reale che svela le sue bellezze, gli angoli nascosti, il lungo percorso della Storia.
 Ma il mare descritto dalla Nostra nei versi della quarta sezione della raccolta appartiene all’Umanità: il dubbio antico che si oppone in noi: dove finisce la nostra corsa? In quale luogo possiamo leggere l’Alfabeto dell’Invisibile? Per me ho ascoltato l’anafora che scorre come il metronomo del tempo nel rumore delle onde del mare di Chiara: “Forse (i palpiti, ndr.) li ha succhiati via geloso / tra le ingorde labbra informi il mare / (…) per portarli al nido bianco in alto, / (…) forse li hanno presi i bimbi per dispetto / (…) forse li ha sfilati dalla borsa aperta / mentre nella sabbia di me andavo in cerca / la coppia collaudata che nel tempo / i suoi li aveva sperperati … o sono io / che li ho smarriti –” (pag. 141).


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