martedì 26 gennaio 2016

Una presenza in assenza

recensione di Anna Maria Tamburini pubblicata su Città di Vita, novembre-dicembre 2015, numero 6
Alessandro Ramberti, Orme intangibili 
FaraEditore, Rimini 2015, € 10,00 


Trascurando la presenza di prefazione e postfazioni – (empatica, la prima di Vincenzo D'Alessio; illuminanti, le postfazioni di Alfonsina Zanatta, Gianni Criveller, Ardea Montebelli), frequente in qualunque tipo di pubblicazione, anche poetica –, il libro si struttura in vero come un saggio articolandosi attraverso una premessa, un antefatto, un prologo, l'apertura, l'insieme dei 32 componimenti che rappresentano lo svolgimento delle proprie tesi, un epilogo e un congedo. Il tutto doviziosamente corredato di un ampio apparato di note, che in poesia è più raro incontrare (anche se ci sono poeti che vi fanno ricorso), ma è indice di serietà del lavoro svolto.
Sotto l'aspetto formale, che non si può mai disgiungere dal contenuto, non solo i componimenti centrali del libro, ma anche premessa, antefatto, prologo, apertura, epilogo e congedo sono stati costruiti in versi: rispettivamente endecasillabi organizzati in quartine (premessa), settenari (antefatto), endecasillabi e settenario (prologo e apertura) – scansione poi adottata per quasi tutti i componimenti centrali con la sola eccezione del componimento L'amore porta l'anima all'inizio (p. 37) – soli endecasillabi liberi in libere strofe (epilogo e congedo). 
Trionfa dunque uno schema metrico che si accorda a quello più tipico della tradizione poetica italiana, sia lirica che enciclopedica o didattica. Fa eccezione qualche parisillabo in luoghi che intenzionalmente evocano una disarmonia (emblematico, di cui il luogo più avido è l'inferno di p. 20). Ma recuperare l'endecasillabo dopo tanto verso libero è un po' sospetto, nel senso che occorre farne un uso davvero sapiente. Si esige in sostanza, oltre che destrezza tecnica, un quid in sovrappiù di poesia, al fine di superare con immagini, o scatti metaforici e o varie altre soluzioni formali, la melopea del ritmo che si genera. Elemento innovativo in questo contesto, sempre sotto l'aspetto stilistico è il settenario che ricorre, a scandire le quartine, sempre rigorosamente tra parentesi. 
Alla tipologia del verso adottato corrisponde inoltre l'impiego delle rime. A parte i frequenti casi delle rime al mezzo, nelle quartine rimano sempre e solo i versi estremi, il primo e il quarto; mentre i settenari posti tra parentesi, quando si ripetono (solo in alcuni – pochissimi – componimenti rimangono singoli ) sono monorimi e pertanto questa unica rima prevale su quella semincrociata degli endecasillabi. Un fatto questo che sembra paradigmatico dell'intero lavoro, non a caso intitolato orme intangibili. La parentesi è un tratto soprasegmentale del discorso, che nella catena parlata evidenzia una incidentale, un po' come le lineette. Ma pensando al caso della Dickinson, che, prodiga di incidentali (oltre che amante della quartina) predilige le lineette, la parentesi si differenzia da queste perché non interrompe il flusso del discorso principale, non frammenta: solo, come queste, integra o corregge o sottolinea delle verità che possono restare in ombra. Dunque, per sottolineare quanto la forma sia strettamente legata al contenuto, c'è una verità che, non esplicitata, può rimanere criptata, ma che si fa voce, con un suo suono: presenza che ci attira con la musica (p. 20) e parla con un suo significato di verità. La rima sottolinea una presenza in assenza, di orme invisibili, anzi già intangibili, ma orme, deposito di un passaggio; e la formula, del resto, adottata per il titolo allude in tutta evidenza al Salmo 77(76), un testo che, direi, ha avuto una certa fortuna nella poesia contemporanea pensando alla sublime esecuzione del Passo d'addio di Cristina Campo (per la condivisione col Salmista di una analoga condizione di veglia nella solitudine, per la disposizione personale raffigurata nei gesti di supplica che richiamano pure un altro Salmo – «Verso di te protendo le mie mani», Sal 88 (87),10 –  e per lo stato d'animo – «Tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca; rifiuto ogni conforto». La poesia della Campo si dispiega tutta per immagini, conducendo il lettore a desumere da queste l'universo culturale di riferimento), ma anche l'idea della musica del sapiente in incantagioni, come l'esprime ne Il flauto e il tappeto, sembra recuperata in questa musica dell'Eterno – che raggiunge l'uomo – della poesia di Ramberti. 
Alessandro Ramberti recupera gli ultimi versi di questo Salmo e li trascrive in apertura del libro come prima epigrafe: «Nel mare passava la tua via, nelle grandi acque i tuoi sentieri e le tue orme nessuno le conosce» – alcuni traduttori optano per la formula «e le tue orme rimasero invisibili» –. Altre epigrafi seguono in questo libro molto colto, inframmezzato da continue citazioni, spesso collocate a fine pagina, come per avallare la propria esecuzione personale con la testimonianza di altri maestri, non tanto poeti – anche poeti, come Georg Herbert –, quanto essenzialmente cercatori della verità. Ritroviamo infatti filosofi (Kant) e testimoni di spiritualità anche non credenti: ricorre ripetutamente, ad esempio, Albert Camus, scrittore franco-algerino che, «alla ricerca della verità sull'uomo» (François Livi, Albert Camus. Alla ricerca della verità sull'uomo, Leonardo da Vinci 2013), nella ulcerazione della coscienza si confronta sul terreno del Sacro e anche da una prospettiva filosofico teologica sembra avere percorso le tappe di un'ascesi dal territorio disincantato dell'assurdo, sulla via della rivolta per la liberazione dell'uomo, sino all'amore, in una ricerca solitaria e strenua di contatto con l'Assoluto senza nome e senza volto, oltre l'immanenza tragica e la trascendenza muta  (così, di recente, Alberto Rinaldis, facendo ricorso a uno schema interpretativo insolito ma fecondo di possibilità ermeneutiche. Antonio Rinaldis, Paesaggi del sacro in Albert Camus. Oltre l'immanenza tragica e la trascendenza muta, Aracne 2013). 
A chiusura di ogni testo centrale, un ideogramma cinese, con la sua traslitterazione e con la traduzione italiana tra parentesi, più che titolo, sembra il precipitato della propria riflessione, il portato del discorso svolto. Il cinese apre al lettore italiano uno spiraglio su un mondo altro, su quella estraneità che le lingue orientali sottolineano già nella grafia, ma occorre tenere presente che entrambi questi elementi (estraneo e familiare), che fondano da sempre il linguaggio della poesia, si rivelano congeniali ad Alessandro, il quale si è perfezionato in lingue orientali. Poesia di testimonianza, quindi, e al tempo stesso poesia di formazione spirituale, oltre i contesti confessionali che pure sono richiamati dalle citazioni – provenienti da una mistica del Carmelo come S. Teresina di Lisieux, o dai padri gesuiti sia del passato (Matteo Ricci) che viventi (Jorge Mario Bergoglio)… – , ma sempre con uno sguardo alto, in un'ottica di apertura che sembra bypassare il significato ordinario di religio, percepito come una serie di pratiche e culti che vincolano l'uomo, per riportarlo al valore etimologico di ri-raccogliere, nuovamente scegliere. “Scegliere” è anche il verbo che si può assumere come titolo di un testo centrale (p. 39), una testimonianza di liberazione e gioia nella libera adesione a una chiamata: “Vattene” da Ur. È l'irruzione del divino in Abramo, come dal libro di Genesi. Abramo, il primo monoteista nella storia dell'umanità, colui congeda gli idoli recidendo i legami con le sicurezze di una patria, usi e averi…, fa di sé il viandante del respiro…, definizione sublime anche per la sapiente sintesi, giacché il divino è alito di vita, quell'alito che aleggiava sulle acque all'origine, che suscita la vita nelle creature viventi, nell'uomo…, alito vivo e vivente e operante, che ha parlato ai profeti, ad Elia (1 Re 19, 11-13)… Una esperienza che vale non solo per un patriarca del passato ma per ogni suo discendente sino ai nostri giorni. 
Coraggioso questo libro, perché in qualche modo fa risalire il lettore alle origini dell’esperienza religiosa che nell'epoca del postmoderno, secolarizzata e spesso ostile, pure non può fare a meno di una fede che si radica in una realtà che risponda a un bisogno di senso, di vita autentica…, una Realtà più reale del reale visibile e tangibile, pena la scomparsa persino fisica dell'uomo stesso. Perché il male è presente, ci assedia da ogni parte, ma il veleno del male nei ventricoli / rallenta la sua corsa quando ami (p. 17). Il dubbio sistematico, che alligna nel pensiero dell'uomo moderno, si insinua pervasivo: nel fango si propagano le scaglie / della madre seducente di ogni dubbio (p. 27). Ma il rischio vale la pena e nessuna strada è data a chi si arresta / sui suoi passi la storia corre sempre (p. 29). 
Vive in tal modo, l'autore, il proprio evangelii gaudium, la gioia dell'annuncio nel testimoniare la propria fede, mentre realizza al tempo stesso una sorta di introduzione a un percorso di formazione spirituale e, come condividendo le esperienze della mistica, disegna la via dell' ascesi attraverso il distacco e la determinazione… Una spiritualità laica per il nostro tempo in una sorta di breve trattato… Sintomatica del trattato è la distinzione tra anima, mente e spirito che viene formulata nel componimento persona (se possiamo assumere come titolo la parola conclusiva, persona, riportata anche in cinese (p. 40) – … L'antefatto stesso, un sogno, assume il significato di una esperienza del trascendente che nella fattispecie rappresenta un mandato personale, una chiamata… 
È la via del cuore, il desiderio, il sogno a rimandare a tutto ciò che si è perduto dopo il proclama della morte di Dio. Anche sul piano filosofico desta interesse questo fenomeno dell'Emotional Turn, che un filosofo come Max Scheler aveva in altri termini anticipato sviluppando una fenomenologia delle emozioni attraverso opere fondamentali, tra le quali Ordo amoris, un saggio di ascendenze agostiniane (Max Scheler, Ordo Amoris, a c. di Loretta Iannascoli, Aracne 2009). Ora, posto che termini come simbolo, bellezza, anima, amore… si richiamano costantemente nel libro, non è certo per caso che l'ultimo testo si chiuda con la parola amore, facendo balenare la luce nella notte e aprendo scorci di terra dell'origine e del ritorno: Il nostro quid non ha per meta il niente / compresso negli errori di sistema / ma uno scoprire nell'atto perduto / la luce di una notte sconvolgente // (ricolma di segreti) / lo splendido brillio di una risata / il flusso del big bang in espansione / l'amore per cui l'anima è al futuro / sapendosi da sempre disegnata. Il riso dei beati del Paradiso dantesco (lo splendido brillio di una risata), la teologia dell'universo in espansione (il flusso del big bang in espansione) verso il Punto Omega di Teilhard de Chardin, già di derivazione paolina, e la trama dell'arazzo del nostro vivere (l'anima è al futuro / sapendosi da sempre disegnata), già di Isaia e del Salmista…, si intrecciano in questi ultimi versi del libro proiettando il tracciato dell'anima oltre la soglia del tempo e dello spazio, attestando così il libro non tanto sul versante della lirica – capace tuttavia di accostarla a tratti –, non certo sulla linea della poesia pura di matrice petrarchesca, ma sicuramente su quella dell'impegno. 
È il proprio cammino spirituale e di fede che sostanzia questo intenso diuturno lavoro di poesia di Alessandro Ramberti. A mo' di sunto, l'epilogo raccoglie una serie di interrogativi aperti e l'ultimo punto di domanda sintetizza quello che è stato il messaggio fondamentale di de Chardin: Forse l'evoluzione spiega tutto / o siamo il nesso di una elevazione? 
Il congedo, infine, liberando liricamente il volo con il Vangelo di Giovanni (bisogna uscire fuori del sepolcro / per nascere di nuovo ma dall'alto, p. 59), si accompagna a una lettura della paternità di Massimo Recalcati, riportata in esergo, che si fonda sulla osservazione delle dinamiche relazionali primarie, quelle dinamiche che ontologicamente fondano l'umano recando la cifra della relazione originaria: «Noi non siamo altro che (…) le tracce, le impressioni, le parole, i significanti che provenendo dall'Altro ci hanno costituito. Non possiamo parlare di noi stessi senza parlare di Altri, di tutti quegli Altri che hanno (…) plasmato la nostra vita. Noi siamo la nostra parola, ma la nostra parola non esisterebbe se non si fosse costituita attraverso la parola degli altri che ci hanno parlati» (p. 59). 



Nessun commento: