sabato 16 gennaio 2016

Su Radici ed ali di Nadia Chiaverini

in AA.VV. Il tempo del padre, a cura di A. Ramberti, FaraEditore, 2015







recensione di Vincenzo D'Alessio
Nell’Antologia Il tempo del padre curata da Alessandro Ramberti è inserito il contributo poetico di Nadia Chiaverini con il titolo: Radici ed Ali (pp. 280-287). La valenza linguistica, etica, filosofica che affiora nelle opere antologiche curate da Ramberti, nelle diverse occasioni di incontri poetici, forma un coro che molto somiglia all’unicità delle colonne sonore composte dal grande maestro Ennio Morricone nel corso della sua carriera.
L’ascolto di tante voci diverse nei toni, diverse nelle esperienze esistenziali, diverse per età e per collocazione sociale, invita il lettore a leggere da cima a fondo i brani, a rendersi conto della “materia” contenuta nell’Antologia, a prendere coscienza del decorso che queste energie avranno nello scorrere degli anni.

Radici ed ali è un’altra bellissima raccolta/voce, direi da soprano, che ha reso unica l’Antologia in argomento affrontando con purezza di linguaggio, complessità dei contenuti, visibilità generazionale, il tema dominante dell’incontro “Il tempo del padre”. Scopro con gioia che le figlie riconoscono nella paternità il completamento del punto di partenza, la loro nascita e lo trasfondono in un dialogo singolare, al tempo stesso poliedrico, con le generazioni che metteranno al mondo.
Le radici della paternità sono nel DNA dei figli generati. Le ali formano la libertà che separa quel breve tratto composto dal distacco dal nido famigliare per raggiungere la dimensione della nuova famiglia e proseguire verso il fine vita. Però questa meta finale, inevitabile, ha il valore dell’aggiunta alla radice, quasi che un vero e proprio distacco naturale non fosse mai avvenuto: “Sento a volte che la vita affonda / come una vite s’avvita nel suo cardo / a volte s’intinge morbida nel legno / a volte s’infrange in un duro / e freddo pezzo di metallo” (p. 280).
L’anafora e l’assonanza dell’avvitamento, quasi una metafora del torchio che preme il mosto della vite, formano l’essenza della poetica della Nostra che si affida al panta rei della scuola Eleatica, lo scorrere inesorabile del tempo. La ripresa del tema è inclusa nei versi delle composizioni numero I e II riprese dalla raccolta edita I segreti dell’Universo e qui riportati: “(…) Opera d’arte stravolta da genio d’artista / che gonfia le reni e affloscia i seni / forse tutto poteva essere altrimenti / lo sanno le pietre dei torrenti / che rubano i segreti dell’universo.”; “ – Quando puoi, torna presto – / Lo so, hai bisogno adesso / quando io non ci sono / ti chiederò perdono, dopo / quando sarà tardi / forse tutto potrebbe essere diverso / lo sanno le sabbie del deserto / che rubano i segreti dell’universo.”
Il tempo del padre che aiuta, ristora, sembra imporre delle scelte, frenare il battito veloce delle ali egoiste dei propri figli. Il distacco dal nucleo famigliare è in molti casi un trauma e in altri casi un senso profondo di liberazione. I genitori sono gli argini da superare per spargersi sopra quelle sponde colme di fiori, di erbe, di alberi, di illusioni a colori. Il sogno, mentre si vive riparati in famiglia, svanisce nello scontro durissimo con il mondo degli uomini, la società reale, la schiavitù degli oggetti che oggi ci legano al benessere: “Cosa sia la bellezza / nessuno può dirlo con certezza / se davvero la bellezza salverà il mondo / una venere degli stracci o una vita presa a schiaffi / nella vita di tutti i giorni / si perdono insieme i sogni / nella ressa dei maxisconti” (p. 285).
L’orpello della bellezza non è nell’etica di una vera esistenza, poiché solo l’onestà è una virtù che conduce alla povertà e al soccorrono dei poveri. Gli uomini amano l’apparenza senza avere pazienza verso i meno abbienti. Sopraffare, arraffare tutto senza lasciare nemmeno le briciole o il segno della sottrazione. La parola è usata per raggirare il popolo: ha assunto la forza distruttiva dell’incoerenza. La poesia non ha posto nel cuore della gente affannata dall’incubo di avere pane e libertà vera: “Elegia per i versi dispersi / in anfratti diversi e smarriti / abbandonati fuggiti / tra stracci e fogli appassiti / di una piazza solitaria del mercato” (p. 284).
E più avanti, proprio per equilibrare quel terribile volo, lontano dalle radici protettive della famiglia, la Nostra riprende e scrive: “(…) versi della sera / di chi non spera / versi o parole / sai dirmi tu la magia la sintonia l’elegia / versi in un letto di ospedale / versi per chi muore / versi nella nebbia e nel sole / litania di versi sconosciuti / per respiri infiniti / mai raggiunti o assopiti / senza pace e ristoro. / È finito il tempo che ci rassicura / i figli partoriscono i padri.” (ivi).
La condizione della società odierna, quella che la Nostra e molti altri dichiarano essere chiamano “postmodernità”, vede le famiglie frantumate, da almeno cinquant’anni i vecchietti depositati negli ospizi, nelle case-famiglia, nelle residenze per anziani. Tutte belle parole che nascondono la deficienza della famiglia una volte forte e innervata nelle sue vere e antiche tradizioni contadine: allora i genitori non avevano neanche la pensione ma la solidarietà delle famiglie numerose permetteva la scomparsa nel letto dove avevano vissuto.
L’analisi di Nadia Chiaverini è poetica e al tempo stesso pragmatica: “Uomini-atomi, specchio rotto / di una società in frantumi / vagano senz’anima / in un viaggio incompiuto / nel nonsenso di sé e degli altri / uomo contemporaneo / senza patria e senza memoria / unica meta una vita sdrucita.” (p. 286).
La breve raccolta invoca l’attenzione del lettore, lo sospinge nella ruota dell’arcolaio del Tempo che stempera l’ansia di quella rapida fuga dal nido. Il mondo che viviamo è questo descritto dalla Nostra. I padri hanno seppellito prematuramente i figli nel secolo appena trascorso a causa di due Guerre. Oggi i figli partoriscono i padri: “quando i padri diventano anziani e non autosufficienti, ed allora i figli debbono trasformarsi in genitori dei propri genitori, permettendo il completamento del ciclo vitale all’insegna della dignità e della responsabilità” (p. 285).
L’amore verso per il nido dal quale si è preso l’abbrivo del volo, la memoria che ci consente di ritrovare nei gesti quotidiani le mani di chi ci ha sostenuti durante le insidie della crescita, hanno una soluzione per salvare quella che in molti definiscono la bellezza dell’esistenza, anche se sotto i nostri occhi i monumenti più belli e antichi vengono distrutti con accanita violenza?
Uno spiraglio di luce c’è sempre nel buio della barbarie umana. Come avvenne all’origine del Caos che vide Prometeo, infrangere il veto di Zeus, portare il fuoco agli uomini, allo stesso modo la Nostra ha acceso in questi versi la piccola fiammella che i lettori sagaci sapranno fare propria per adire la strada della vera conoscenza umana: “Ho cercato di partecipare alla kermesse con il linguaggio che mi è più congeniale, quello della poesia, affrontando le grandi domande sul senso dell’esistenza, gli argomenti attinenti al sacro ed al profano, a Dio ed all’uomo, nell’auspicio, nonostante l’attuale periodo di crisi, divisioni e nuove barbarie, di un rinnovato rinascimento, culturale e sociale, all’insegna della solidarietà e della fratellanza” (p. 287).


Montoro, 16 gennaio 2016

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