giovedì 10 marzo 2016

Oltre la convivenza fra bello e vano: su Orme intangibili

recensione di Franco Casadei

http://www.faraeditore.it/html/filoversi/ormeintangibili.html


   «Perché questo contendere e lottare / questa inquietudine continua? / … il paradiso è un varco da scoprire / … se mi accompagni in questa digressione / non ti prometto altro che uno sguardo / una domanda verso un compimento…».
   Versi questi che sintetizzano il percorso della nuova pubblicazione di Alessandro Ramberti: Orme intangibili, Fara Editore, 2015, pp. 78.  Un libro in versi, un poemetto, che ha a tema il viaggio della vita, la strada e le sue orme; un percorso fra il grano del bene a cui si aspira  e la zizzania del male che ci impantana i passi.
«Nessuna strada è data a chi si arresta /… il migrante / è il simbolo vitale che l’attesta»
   Una specie di esodo verso la terra promessa, tragitto intercalato da dubbi e da cadute, ma dove l’autore tiene la barra dritta verso la meta, affidandosi ad un disegno buono sull’uomo e il suo destino, pungolando sé stesso e l’interlocutore a cui si comunica.
«… Chi conta su di sé non si accontenta / … non sa meravigliarsi di sé stesso / dell’esserci del porsi del donarsi /… a volte tende al nulla, è un distruttivo / anticipo d’inferno».
   E con piglio rincuorante Ramberti, di fronte allo sconcerto di un’umanità sempre più disorientata, propone Colui su cui fondare la sicurezza del cammino: «Spesso il sorriso è l’unica chiave / in grado di assorbire i buchi neri /… di scavalcare l’attimo e accettare / la carica potente di perdono / che sfolgora inchiodata sulla croce / sul Golgota che ha smesso di tremare».
   L’affidarsi all’Uomo dei dolori fa dire all’autore: «Ritrova il lato semplice e giocoso / la meraviglia dentro il quotidiano / la scheggia di diamante fra i tuoi cocci /…». La morte, «L’angoscia grande e più terrificante / non vieta poi a nessuno di lasciare / impronte inconfondibili e anche sante».
   E ancora: «Puoi verificare / la trama che disegna il tuo tragitto / il fatto che sei più di quel che accade: / se sbagli direzione puoi cambiare… /. La conversione è sempre una chiamata: / “Vattene” affidati all’invito folle / che fa di te il viandante del respiro…».
   E a conferma di una promessa non mistificante: «Il Regno è proprio lì con la sua perla / quando siamo abbracciati dal perdono/ ci accorgiamo della sua vicinanza / nel più celato anfratto della gerla… per continuare il viaggio sulla terra / verso quella promessa che ci attende /… a noi non resta / che partire mettendo in fila i passi».
   E il pellegrinaggio dalla menzogna alla verità viene sancito dai versi finali: «Il nostro quid non ha per meta il niente / ma la luce di una notte sconvolgente… sulla croce l’amicizia di Dio / si fa assoluta e porta-compimento / qui infatti il bello vive insieme al vano».
Verso straordinario quest’ultimo, a sottolineare che la vita, nella sua complessità, prevede che in qualche modo facciamo anche esperienza del vuoto (il vano), ma tutto viene riassunto in un progetto di redenzione e di bellezza. «Le crepe fanno bene agli edifici», cioè anche il male e il vano sono in funzione di un destino buono.
   «Forse l’evoluzione spiega tutto / o siamo il nesso di una elevazione?». A suggello della tesi di Ramberti, questo interrogativo offre al lettore un’ipotesi di vita che ha alla sua base il senso religioso, cioè la certezza   ̶ insita fin dai primordi nel cuore di ogni uomo e di ogni popolo   ̶  che non siamo figli di nessuno, ma di un Padre che ha avuto pietà del nostro niente, come diceva Isaia, e si è piegato su di noi. È venuto incontro alla nostra debolezza mortale che, come scriveva Kafka, avverte che «c’è una meta, ma non si conosce la via per raggiungerla». Ebbene la Meta, Colui che ha fatto tutte le cose, ha mandato sé stesso in sembianza umana per dire a noi tutti: “la via, il ponte fra il destino ultimo e le vostre vite, sono io”, come ha scritto Don Luigi Giussani.
   Un libro coraggioso in un momento in cui nessuno si gioca la faccia con la propria identità, perché nella visione relativistica imperante si afferma che tutte le ipotesi sul senso del vivere sono uguali, una vale l’altra, a seconda del proprio gusto.
   Una sfida, quella di Ramberti, anche alla pigrizia e all’ignoranza sul cristianesimo e la sua dottrina, ma anche su ciò che è più umano. Non solo non siamo più cristiani, ma neppure figli dell’umanesimo tanto sbandierato, quanto misconosciuto  e censurato, quasi come il cristianesimo.
   Alessandro Ramberti si espone senza infingimenti, con una proposta originalissima fra l’altro anche dal punto di vista poetico: “quartine in endecasillabi, alternate dalla rima posta fra loro”, come scrive Vincenzo D’Alessio nella accuratissima prefazione.
   Una nuova prova di grande cultura, di conoscenza della lingua e, soprattutto, di un respiro umano e spirituale che fanno di Orme intangibili un’opera degna di lettura e di meditazione.

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