venerdì 6 maggio 2016

“la fatica di lavorare per tornare limpidi”: la vocazione di Filippo

recensione di AR a Oltre le ringhiere di Filippo Amadei, Premio Rimini per la poesia giovane, Raffaelli 2014

http://www.raffaellieditore.com/oltre_le_ringhiere
C’è una eleganza ferita nella poetica di Filippo Amadei, i versi descrivono con abile e partecipata sintesi gesti ed eventi anche minimi («ma quella volta hai posato le tue mani / sulle mie cosce – “così non prendi freddo” / ed era incredibile la dolcezza di quel gesto / in mezzo al nulla, tutto quel buio che i fanali ferivano …», p. 36), situazioni che esprimono il desiderio di ciò che sta Oltre le ringhiere, oltre i confini: «sono sempre più certo che la verità, anche la più piccola / idea creduta vera debba lottare contro un perimetro» (p. 38).  Già i versi in esergo mi hanno commosso ricordandomi lo stesso insegnamento di mio padre: «Fin da piccolo mio padre mi ha insegnato / a farmi il segno della croce / davanti a un cimitero … / (…) / … lo faccio sempre / forse perché spero che qualcuno / (…) / sia rimasto ancora qui a credere / che non siamo andati via per sempre.» (p. 15). Mettere questa dichiarazione come apertura della raccolta credo sia una chiave importante per il lettore: c’è una tradizione nel nostro stare al mondo, un passaggio di consegne culturali, affettive, religiose che non solo ci con-formano, ci fanno soggetti capaci di relazioni (a partire da una solitudine che è prendere atto di “questo mai / perfetto assomigliarci», p. 25) e ci forniscono il bagaglio per intraprendere il nostro cammino, ma ci tras-formano in quanto alimentano quei semi innati (desiderio di felicità, realizzazione, amore, senso del proprio andare – «… è un continuo / cercare di innalzarsi la vita», p. 24) che grazie agli incontri, alle scelte di vita, allo studio, al lavoro, al rapporto con chi amiamo… ci rendono ogni giorno un po’ diversi, specialmente nel periodo della giovinezza. Sì perché questo libro è anche un fare il punto sul percorso di un trentenne, una fase vitale particolarmente critica benché al tempo stesso ricca di opportunità: «che vita fantastica ha un foglio di carta / vorrei essere io, inseguire l’abbraccio / delle curve e sentire il vento / che ci prega di spiegare davanti alla vita / ogni singolo pezzo di noi.» (Quel foglio di carta, ultima poesia della raccolta, p. 51); «Invecchiando si restringe lo spazio vitale / il perimetro dei gesti domestici, ci si allena / a chiedere meno, anche a sé stessi, anche all’aria / si dimentica, invisibile prima / ora una mancanza.» (p. 20):
Giustamente nella splendida Prefazione Francesco Tomada osserva che in Amadei «rimane sempre vivo il senso di sacralità della vita» (p. 8) e che nei suoi versi è sotteso l’invito a «spogliarci di tutto il superfluo, che apparentemente è esigenza e invece finisce col diventare prigione» (p. 9).

Il dilemma di ogni esistenza è la risposta a una chiamata (che magari non è quella che ci immaginiamo, il più delle volte risultando certo più sorprendente del proprio turno quando si è in fila alle poste, p. 22), la necessità di una mancanza, di una fatica, di una scelta per fare spazio alla bellezza («un lampo che raschia le ossa», p. 23) che, da un punto di vista religioso, è la misericordia di sentirsi abbracciati da un Oltre accogliente) – questo sembra dirci, semplificando, il poeta forlivese, ad esempio in Verso Cesenatico (p. 35): «Quando arrivava l’estate dei compiti in giardino / quando era ancora troppo presto per i baci alle ragazze / facevo le gite fuori porta con mio padre / sveglia all’alba e subito sui pedali / l’avremo fatta solo sul porto canale / la colazione, ricordo il fiato corto e l’aria aspra / (…) / mi chiedevo il perché di tanta fatica, solo dopo / (…) / nel via vai delle stradine laterali, anche l’indecifrabile ansia di mio padre, ogni bellezza creduta perduta / era allora ritrovata, esisteva già da prima / esigeva una mancanza» (p. 35); «e cos’altro è la vita se non un gioco / continuo di opacità e trasparenze / la fatica di lavorare per tornare limpidi / percepire chiaro un orizzonte / riconoscere l’uomo / nell’uomo di fronte.» (Spiaggia di fine marzo, p. 37).

Sì perché i nostri limiti, i nostri condizionamenti, i nostri insuccessi, ma anche i traguardi raggiunti, per il fatto stesso di esserci ci indicano che esistono possibilità altre, al di là, nuovi spazi e nuove mete… e l’energia che ci permette di transitarli è quel desiderare faticoso, complesso,  sorprendente, gratuito e inesausto a cui ogni persona si sente chiamata: «… ho in testa mille voli / di pensieri che non partono, persi nella bonaccia / mentre l’aria ha smesso di essere vento / e semplicemente ci attraversa.» (p. 47); «A volte la scarsità ci rende liberi.» (p. 42).  

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