venerdì 23 settembre 2016

Il luogo del tempo

Angelo Andreotti, A tempo e luogo, Manni Editore, 2016, pp. 88, euro 12,00 

recensione di Marco Furia


http://www.mannieditori.it/libro/tempo-e-luogo

Con A tempo e luogo, Angelo Andreotti presenta una vivida raccolta tesa a richiamare poeticamente entità diverse mai ritenute contrapposte.
Può il piccolo contenere l’immenso? Può l’attimo essere eterno? Si può pensare il non ancora pensato?
Non esistono risposte di ordine logico a simili quesiti, poiché lo stesso porli implica frequentare territori in cui il nesso di causalità ha perduto ogni tirannico potere: il “perché”, non escluso a priori, per il poeta è una delle tante maniere di prendere in considerazione il mondo.

Leggo a pagina 10: “La voce del sonno fu richiamo /
scagliando il tempo sulla schiena del sogno”.

Soltanto nel “sonno” “La voce” può scagliare “il tempo sulla schiena del sogno”?

Non è forse vero che l’esistenza, con la sua naturale apertura sul possibile, possiede analoghe capacità?

D'altronde, “Nella sua solitudine la mente / numerò il tempo”: il tempo, senza dubbio è un importante modello, ma non è una necessità precostituita, poiché il suo statuto (come, in àmbito scientifico, ha mostrato Einstein) può essere modificato.
Non mancano pronunce in cui veri e propri lineamenti cosmici vengono con spontaneità accostati a tratti quotidiani secondo sequenze tali da distinguere ma, soprattutto, da comprendere differenti entità e grandezze:


“Il sole nella nebbia

raso al cielo

fu silenzioso:

anche l’ombra tacque

e anzi restò in disparte”.


Leggo a pagina 67:


“Le case ci guardano,

trattengono ogni evento, continuano a ospitare

i nostri ricordi mantenendoli presenti,

senza distinguere l’avvicendarsi dei tempi”.


Le abitazioni degli uomini vengono personalizzate da precisi versi la cui eleganza pone in essere, senza ricercatezza, un racconto capace di rivelare una propensione a vivere comune (eppure diversa) al bambino, all’adulto e all’anziano.

Scrive il Nostro a pagina 79: “Come lo specchio su quella parete ci guarda / e nel guardarci cessa di essere oggetto”.

Uno “specchio” “cessa di essere oggetto” non tanto per il fatto di riflettere immagini quanto in virtù della sua familiare presenza: il ricordo, la consapevolezza del qui e ora e il senso del futuro non trovano, forse, origine nell’esterno?

In quale misura il “fuori” ci costruisce e ci modifica?

Siamo chiamati a riflettere da un poeta per il quale il tempo dell’esistere è anche luogo (e viceversa), ossia è intimo, vivido, spazio nel cui àmbito incontrare la poesia e affinare la non facile arte della conoscenza.

                                                                                       

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