venerdì 29 aprile 2016

Colomba Di Pasquale menzione speciale al Premo Caproni

Premio di Poesia Giorgio Caproni. I finalisti




capro
lunedì 25 aprile 2016 12:23
Dopo aver attentamente esaminato i testi editi pervenuti, la Giuria ha formulato la graduatoria fra dieci finalisti della sezione editi, tra i quali verranno proclamati i vincitori, durante la cerimonia della premiazione del 30 aprile alle ore 16 al Museo di Storia Naturale del Mediterraneo in via Roma, 234 a Livorno:

(Elenco per ordine alfabetico)

Nicola Baronti di Vinci (FI)
Luigi Bottaro  di Molino del Pallone (BO)
Fabrizio Bregoli di Cornate D’Adda (MI)
Matteo Casale di Camaiore (LU)
Leone D’Ambrosio  di Latina
Kunts Scujeniekf di San Polo (VE)
Giampaolo Mastropasqua di Brescia
Evaristo Andreoli Seghetta di Arezzo
Maria Grazia Tonetto  di Palombara (Roma)
Rodolfo Vettorello di Milano


http://www.faraeditore.it/html/filoversi/mioDelta.html
Sono state inoltre attribuite le seguenti menzioni speciali:

Diego Baldassarre

Giancarlo Baroni

Nicoletta Buonapace
  
Colomba Di Pasquale

Samuele Liscio

Monica Martinelli

Antonio Morelli

Renzo Piccoli

Paolo Ragni

mercoledì 27 aprile 2016

Rubrica sulla poesia contemporanea “Gli Specchi Critici”: La vitalità del quotidianoin Filippo Amadei di Luca Cenacchi (pt. 2)


Oltre le ringhiere, Raffaelli Editore 2014

Ci sono voluti cinque anni di silenzio e un premio nazionale (Premio Rimini per la poesia giovane) per portare al pubblico la terza raccolta di Filippo Amadei, che aggiunge maggiore sicurezza, coscienza di sé e nuove dimensioni stilistico-tematiche alla precedente.
Chiarissimi, ormai, risultano i debiti che Filippo deve alla tradizione, a cui ho scelto di dedicare un discorso a sé stante a mo’ di appendice a questi due articoli, che si concentrano per comodità esclusivamente sull’autore forlivese.
In questa terza raccolta, il linguaggio diventa più colloquiale (anche se non mancano le eccezioni) e l’io lirico si impone ulteriormente, rispetto alla prova precedente, in una dimensione di dialogo e riflessione manifesti che, se prima cercava per lo più la sua funzione nel mondo e vedeva spesso quest’ultimo come strumento di ricerca, adesso esso viene analizzato più genuinamente.
Quel domandare, quel riflettere incessante è la necessità di comprenderlo, più che comprendere sé stesso attraverso di esso.
Solo alla fine i tormenti e le domande vengono sublimati, dopo il ritrovamento della limpidezza, in un rapporto, in quel io/tu, in quel “riconoscere l’uomo / nell’uomo di fronte” fuori dal “ buio della galleria”, fuori “dal gorgo del traffico”.
Si potrebbe dire fuori da quella parte della contemporaneità meccanica che appiattisce e soffoca la sensibilità e il rapporto umano che l’autore cerca lungo tutta la raccolta.
Le immagini perdono quella condizione centrale e totalizzante, per lasciare fiorire le rivelazioni portate dall’impianto stilistico della riflessione, le quali si manifestano, a seconda dei casi, con il registro più appropriato, che spazia da dimensioni elencative a slanci più espressionisti.
L’inquietudine ora si presenta genuinamente nel momento in cui esprime la sua critica alla contemporaneità e alla violenza che essa fa al sostrato culturale, percepito dall’autore come sincero ed originale.
Così si impone una nuova dimensione tematica: la ricerca della bellezza attorno alla quale graviteranno tutte le altre riflessioni.

Che cos’è la bellezza per Filippo Amadei?

La bellezza secondo Amadei è la sincerità di quello che è originale (nel senso di quello che era in origine), è la matrice vitale che sta alla base di ogni cosa e la fonte della stessa meraviglia che imperversa nella sua poesia.
Attraverso il ricordo, importante momento di rivelazione nel corso della raccolta, l’autore evidenzia questa sua personale estetica delle origini; teorizzazione poetica incarnata da quel sostrato culturale romagnolo di cui l’autore, nostalgicamente e paradossalmente, prende atto, sancendo, contemporaneamente, la sua inattualità o meglio, delineando il suo dissolvimento graduale.

La poesia Verso Cesenatico testimonia perfettamente questo aspetto, ma l’idea era nota forse a un livello viscerale e non conscia al 100% all’autore già prima e forse la lirica della precedente raccolta Che case nuove a Villagrappa, nella sua potente sintesi, è ancora più adatta per esemplificare quello che solo alla fine del testo “Verso Cesenatico” sembra noto.
Quando arrivava l’estate dei compiti in giardino
quando era ancora toppo presto per i baci alle ragazze
facevo le gite fuori porta con mio padre
sveglia all’alba e subito sui pedali
l’avremo fatta solo sul porto canale
la colazione, ricordo il fiato corto e l’aria aspra
dei primi raggi, la sua voce grossa
che mi incitava di stargli a pari.
Non mi abbandonava l’idea
di un me stesso ancora beato nel letto
mi chiedevo il perché di tanta fatica, solo dopo
seduto al Vecchio Lampione davanti a un cappuccino

ogni cosa sul porto era tutta una festa, le bestemmie
in dialetto dei pescatori, la confusione felice dei turisti
nel viavai delle stradine laterali, anche l’indecifrabile
ansia di mio padre, ogni bellezza creduta perduta
era allora ritrovata, esisteva già da prima
esigeva una mancanza.


Ma questa non è solo che una delle declinazioni possibili della bellezza vista dagli occhi di Amadei, perché la stessa lirica, nella dimensione del ricordo percepito nostalgicamente come confortante e sicuro, estraniandosi, cerca di liberarsi dell’oppressione del gioco di perimetri in cui egli si sente intrappolato.
Così se, da una parte, la critica a quest’ultima è la strada che porta alla rivelazione suddetta, dall’altra, traccia quel percorso di liberazione; la ricerca della limpidità si sostanzia proprio così: in quel liberarsi dalla contemporaneità, dal dovere non essenziale e opprimente, per penetrare nella dimensione esistenziale di bellezza dell’origine che, fino a quel punto, esisteva solo nel conforto del ricordo, alla radice del proprio passato personale e culturale.
Questa riflessione si trova nel percorso di Amadei attraverso le visioni naturali delle belle stagioni e “del risveglio degli alberi che santificano il giorno”, ancorati alla terra, proprio come l’autore è radicato nello strato culturale romagnolo.
Allora la bellezza che “esplode fuori dalla galleria” obbliga il corpo a un corto circuito necessario per svegliarlo “dopo il torpore del buio”, e Amadei cerca sempre di rendere attuale questa sua consapevolezza, che è estetica ed esistenziale; cerca come l’erba del giardino dell’hotel diroccato di uscire dal perimetro, superarlo in altezza, trascenderlo.
L’erba supera il suo confine similmente alla poesia di Amadei: “come cresce in verticale il mio verso”.
Egli, come le piante, non si arrende. Il suo destino non è segnato come quello del “gigante pietrificato” (l’hotel), che pur nella sua resa è sincero; sincero nel suo degrado, nella sua sconfitta: con quei mattoni fuori dalla calce, i vetri in frantumi, ed è per questo che il poeta lo tributa, come si tributa un eroe caduto, ma allo stesso tempo si distacca da quella carcassa.
Come affermato in una poesia della raccolta precedente, l’autore sceglie di disegnare il proprio destino e, dalle ceneri della sconfitta di quel costrutto abbandonato, si dirama la crescita verticale ed eroica dell’erba.
Dunque giungiamo all’ “ultima lingua / di terra delle Eolie” poiché l’autore desidera rifugiarsi in “una vita d’isola” per lasciarsi alle spalle l’inutilità dei “PC e piani aziendali”, che si attualizza, nella lirica immediatamente seguente, attraverso la cancellazione di “tutti i file del lavoro” per guardare “il mio passato svanire così / con un click – come non esserci mai stato / in mezzo ai grafici e ai gantt di programmazione”.
Anche se solo per qualche minuto, Amadei può così affermare “la mia identità che scivolava dalla mano”.
Dopo questa liberazione, “le cose mi vengono / in modo semplice” e “un varco di luce / rende chiara la prospettiva”, “le persone non hanno paura / di ascoltarsi, parlano senza fretta / fuori dal supermercato, oggi”.
L’autore ritrova l’umanità che cercava nella disattenzione di colui che pulisce il vetro.
In questo senso “i tuoi panni / nel vento, contro ogni logica / saranno presto asciutti”: i panni sono come l’erba che supera il perimetro del cancello; la speranza in cui il sole ha fede è la volontà di ingannare il perimetro della previsione meteorologica.
Così, dopo la negatività delle pozzanghere, la pioggia denuda il mondo e lo rinnova, riportandoci alla dimensione del sogno ad occhi aperti, il “dormiveglia estivo”, in cui si dispiega quella complicità di io/tu, quel “noi” inscritto nell’ “altro azzurro che dilaga a macchia e ci ingloba”, divenuto tutt’uno, ancora una volta, coerentemente alla riflessione suggerita dalla raccolta precedente, col bello naturale.
Il bello naturale è percepito come possibilità presente, e si rivela nella sua doppia veste di matrice (cioè bello naturale e allo stesso tempo bello natio), in cui Amadei riconosce quel sostrato culturale personale che appartiene al suo presente; quel presente d’origine, il quale sembra quasi riecheggiare quello ingenuamente primordiale “Baudelaireano”: quelle “Epoche nude”, quella sincerità perduta e antica, che l’autore riattualizza nei suoi diversi modi di tendere alla Bellezza, di vivere la Bellezza.
Allora perveniamo alla comunione sacrale dei corpi nella poesia: “Ce ne stiamo accoccolati sotto le coperte”, la quale rivela quella “felicità / che io e te ora siamo”.
È qui che Amadei, attraverso le lenti dell’innamoramento, vive il suo sogno e vede “rivivere i muri, la piscina secca”, “gli oggetti prendono vita, si alzano” per lanciare “a riva il ricordo di te”.
Quel te, quella persona, che al poeta serve per tornare a sé stesso. Quel sé stesso è l’umanità, la quale si dispiega ed è allo stesso tempo veicolata dalla capacità che permette all’autore di vivere cogliendo la vitalità delle cose, apparentemente inanimate; di cogliere altresì la vita per dimostrare a sé stesso, forse, di essere ancora umano.

Per chiunque fosse interessato ad acquistare le raccolte qui analizzate:

Saperti a Piedi Nudi

“Gli Specchi Critici”: prima parte de La vitalità del quotidiano in Filippo Amadei di Luca Cenacchi

La vitalità del quotidiano in Filippo Amadei 




È con sommo piacere che, grazie a farapoesia, Fara Editore e al blog letterario Kerberos Bookstore, posso inaugurare la rubrica sulla poesia contemporanea “Gli Specchi Critici”. Essa ha come fine principale quello di mediare in modo chiaro e puntuale, il più profondamente possibile, l’opera poetica contemporanea italiana, nel rispetto delle intenzioni dei singoli autori, che saranno, con il loro consenso, presi in esame.
Vorrei restituire a ognuno il suo profilo ed inserirlo in un discorso di relazioni storico-stilistiche affinché si riesca a intravedere, durante l’espansione e crescita del progetto, una sorta di mappa, il più possibilmente precisa, delle voci della letteratura odierna, al fine ultimo di alimentare e arricchire il dibattito poetico.
In una prima parte si cercherà di delineare, con strumenti neofenomenologici, in termini di evoluzione tematica e stilistica, il profilo, il più rappresentativo possibile, della visione che il poeta ha della sua poesia.
Successivamente, si affronterà un discorso meno particolare e più generale, cercando di comprendere quest’ultimo in un quadro che parte dalle influenze poetiche del soggetto, per arrivare a delineare le eventuali consonanze che egli intrattiene con l’immaginario odierno; o di come in generale egli si possa situare al suo interno (non necessariamente per consonanza, ma anche per rifiuto o semplicemente come presa di distanza).
Più precisamente il lavoro non termina una volta delineato il profilo poetico, ma continuerà, in una sorta di appendice, in cui si parlerà delle influenze (storiche) di ognuno e, solo dopo che si sarà acquisita una mole di profili sufficiente, si comincerà a mappare le varie voci in relazione fra loro.
Iniziamo dunque questo ambizioso progetto con due raccolte importanti dell’autore forlivese Filippo Amadei: Saperti a piedi nudi e Oltre le ringhiere.



Saperti a piedi Nudi, LietoColle 2009

La prima volta che Filippo Amadei mi ha parlato sinteticamente delle peculiarità della sua poesia, ha sottolineato la necessità comunicativa cui faceva fronte, la quale si traduceva in un calco della vita, intesa come vissuto.
Il linguaggio si presenta semplice, pulito, senza sbavature artificiose che, altrimenti, intaccherebbero inevitabilmente la fruibilità e l’immediatezza della sua poesia.
Nella seconda raccolta, Saperti a piedi nudi, edita da Lieto Colle nel 2009, ovvero quando l’autore aveva 29 anni, il primo impatto è sicuramente questo.
Il linguaggio semplice subisce raramente delle inarcature, non ci sono particolari complicazioni a livello grammaticale, anzi – i periodi principali di molte poesie sono spesso dilatati, per mantenere i vari elementi tutti sullo stesso piano, nonostante la versificazione.
Il ritmo scivola in enjambement, che ampliano i confini logici del verso, per poi arrestarsi in poche, ma necessarie pause (grafiche e semantiche), dove esso sembra quasi riflettere con l’autore.
È proprio in queste pause che Saperti a piedi nudi diventa qualcosa di più che un arazzo del vissuto dell’autore, il quale acquisisce una dimensione di riflessione latente. Il modo riflessivo e interrogativo è invece un architettura più palese nella raccolta successiva.
Ambedue, in modi diversi, portano alla luce, primariamente, il sostrato magmatico dello stile di Amadei: pulsante ed irrequieto. Per essere più precisi, si potrebbe dire che soffre, sotto la superficie della cordialità dei toni.
Una sofferenza sempre in rapporto con il mondo e che poi, in Oltre le ringhiere, si specificherà in rapporto con la contemporaneità, percepita negativamente rispetto al sostrato culturale, non solo nativo romagnolo, ma anche, in senso lato, naturale.


Quando il tempo cambia e dal cielo
cade l’umido che accompagna la sera
la mia caviglia fratturata punta il dito, punge
nella carne – è tutto uno strillare
di tendini e ossa a ricordarmi
il dolore vivo del corpo, così sta il mondo
su assi terrestri traballanti, siamo noi
fragili le sue deboli caviglie

“Il gioco dei confini” è composto dal fatto e dagli oggetti: dall’avvenimento, dall’esperienza, i quali vengono diluiti, in alcuni testi, in modo quasi sistematico.
Inizialmente la dimensione lirica, personale, tende, se non a sfaldarsi, sicuramente a perdere centralità.
Così come da una parte “la caviglia fratturata”, in realtà è simbolo particolare dell’universale condizione umana e planetaria, dall’altra l’autore si confonde con il tramonto per rinascere.
Almeno questo è il progetto iniziale che, per essere attualizzato, richiederà un lungo percorso: “il tramonto confonde il gioco dei confini […] / anche lo spazio del mio corpo ritorna / tutt’uno, senza equatori ne divisioni /di luce, senza ferite – è cosi che rinasce”. Dalla frattura (ferita) alla quieta rinascita, in opposizione alla citazione di Valerio Magrelli, cui è comunque debitore non solo stilistico, “la terra è viva perché è ferita”.
In questo modo Amadei riesce ad ingannare il lettore con i suoi giochi di immagini che, facendosi simboli, superano la semplicità, la caratteristica della parola apparentemente piana: la complicano, caricandola, all’occhio del lettore attento.

Inquietudine, dunque, una delle dimensioni dominanti e principali di questa raccolta, assieme alla sensazione traballante, non equilibrata, nel momento in cui l’autore cerca di delineare il proprio profilo umano, cui si unisce quella del sogno, dove gli scorci per lo più naturali assumono una funzione positiva, pacificatrice e accogliente (dimensione che rappresenta l’autore e forse quelle in cui istintivamente si riconosce maggiormente ed in cui più soventemente egli trova asilo).
Talvolta questi momenti si scontrano, altre vengono invasi, vengono fusi con la dimensione urbana (“i fari ai bassi della galleria /nera gola di roccia proiettano fasci / di luce, sembrano costole / o l’esofago screziato di un enorme dinosauro”) tutte insieme queste dimensioni formano l’esistenza percepita dagli occhi dell’autore.
In questa esistenza, talvolta, la Poesia dell’immagine, non più esclusivamente della parola (linguaggio), sfiora dimensioni surreali da cui trapela la necessità viscerale – assieme al travaglio necessario che questa scelta imporrà – di essere ricompreso, diluito, digerito, quasi partorito nuovamente dalla natura, per potersi maggiormente avvicinare a lei, entrare in comunione: “in galleria assaggio il buio della roccia / quando ci rigurgita e torna la luce / mi sembra la prima volta”. Questa volontà si oppone al demone accumulatore della “modernità”, che senza memoria distrugge e soffoca: “la modernità / invece non ha memoria, è malattia / febbre del costruire.”
Fino a questo punto il poeta cerca una radice, quella matrice di origine in cui essere accolto, in cui confortarsi e, forse, in cui potersi riconoscere; dimensione che sarà presentata più compiutamente solo nella raccolta successiva. Qui resta un esigenza di pace, tranquillità e comunione quasi sempre naturale; naturalità che ancora non è platealmente ascritta alla condizione natia romagnola.
Emblematico di questo momento embrionale diventa l’immagine simbolica del “porto buono” con le grandi mani di pietra.
Man mano che si va avanti nella lettura, l’inclinazione alla visività detta precedentemente comincia a subire qualche sporadica contaminazione da quel modo di approcciare il quotidiano più diretto, che avrà solo compimento successivamente.
A un certo punto, la poesia di Amadei fa i conti con l’inaspettato, quell’entità altra, quella persona che problematizza in un cortocircuito, in un “tilt” lirico, l’alternarsi degli equilibri di forze e sensazioni precedenti.
Viene dunque riesumato quell’io latente, il quale ora si impone e prende spazio; allo stesso tempo si perde quell’alone di consapevolezza “giovanile” precedente, quella tensione universale: “è già sera / nelle serrature del pensiero / e questa stanza già piena di te / si ostina a restare indecifrabile, chiusa / nella sua perfetta estraneità”, “quando cerco di dormire e chiudo gli occhi / il tuo volto è tumulto non autorizzato / l’insurrezione improvvisa dei pensieri / nella piazza del mio cervello”.

Nella seconda parte, “In un sussulto sugli alberi aperti”, la poesia dell’autore perde non tanto la consapevolezza, ma la sicurezza nel presentare le situazioni, che sembravano essersi affermate precedentemente nella tensione universale di chi ancora osserva da fuori.
Il risultato è una immersione più intima e totale nella problematica di quel “tilt”, il quale darà nuova forza e maturità alle poesie. Le dimensioni precedenti, che caratterizzavano quel sostrato “primordiale” di Amadei, ora vengono accompagnate da una coscienza molto più specifica: la sofferenza del momento in cui deve delineare sé stessa. Il poeta cerca la sua funzione nel mondo, ma la percepisce come sfuggente. Restano indecifrabili e problematiche le persone più vicine, da cui la quiete del poeta è stata originariamente invasa.
Tale problematica troverà soluzione intuitiva nella comprensione del sé che si fa poetico e che, quindi, non può tracciare i confini o bilanciare la sua equazione; essa resterà sempre incompleta poiché è in continua comunione con la vitalità di ciò che è attorno a lui: “mi è sembrato / di bere dagli occhi di tutti stasera”.
Conclusione che sarà molto più chiara nella raccolta successiva, in quel crescere dell’erba, quel sorpasso in verticale del perimetro, ma non manca di fare la sua apparizione anche in questa sede.

Dal lontano sembra una nuvola
dal mare sommerge i palazzi
disabitati delle vacanze
e il suono di una nave mi richiama
il largo canto di una sirena, aspro
anticipo del naufragio, l’isola
ha il perimetro delle mie orme
non ricordo più nemmeno il nome
che mi davano, così simile a questa nebbia
sono, ogni istante dimentico la forma


Chiarito questo aspetto, la dimensione del sogno, assieme a quella lirica, prende il sopravvento completamente nella terza ed ultima sezione del libro.
È infatti “nel grembo del sogno” che Amadei compie la regressione alla matrice tanto sospirata che, come si riscontrerà meglio successivamente, è ricerca della condizione originale e vitale. Genesi inversa è il simbolo programmatico di questa aspirazione.
Nella poesia “Verso la mattina del tuo compleanno”, la quotidianità diventa insignificante davanti alla sacralità laica del sogno o del dormiveglia.
Quella dimensione dove non esistono esigenze di comprensioni, auto-strutturazioni o confini, le quali portano inevitabilmente al conflitto, ma in cui esiste solo la persona che si affaccia al mondo senza nessuna pretesa, come viene espresso nella poesia “Saperti a piedi nudi”, in cui la nudità dei piedi può essere interpretata come un modo per radicarsi con più forza.
In tal senso questo passo è veramente glorioso: “ma il tuo / saperti a piedi nudi, ancora un pochino / teneramente assonnata / nell’increspatura del mattino che nasce.”
Saperti a piedi nudi appare, nel suo svilupparsi, una raccolta travagliata in cui lo stile maturo traccia chiaramente un percorso allo stesso tempo di arrivo e partenza.


La vitalità del quotidiano parte 2



Filippo Amadei (foto: Daniele Ferroni) è nato a Ravenna nel 1980. Ha vinto la “Sezione Giovani” del Premio nazionale di Poesia “Aldo Spallicci” 2004. Suoi versi sono presenti in rete, su riviste ed in alcune antologie. Nell’estate 2005 ha pubblicato con Il Ponte Vecchio la sua prima raccolta di poesie La casa sul mare. Nella primavera del 2009 ha pubblicato la seconda raccolta poetica, Saperti a piedi nudi, con LietoColle. Insieme ad un gruppo di poeti e amici ha fondato l’Associazione Culturale “Poliedrica”. Nel 2014 ha vinto la prima edizione del premio Rimini per la poesia giovane, con la terza raccolta di versi Oltre le Ringhiere, che è stata pubblicata presso Raffaelli editore.



Luca Cenacchi è nato a Forlì nel 1990. Nel 2011 la poesia Laocoonte – ovvero di sé stesso è stata selezionata per essere pubblicata nell’antologia del Premio letterario Ottavio Nipoti – Ferrera Erbognone. Ha contribuito a fondare e sviluppare il forum letterario “I Gladiatori della Penna”. Nel 2015 suoi testi inediti sono stati presentati nella serata “Arcadie Invisibili” all’interno del progetto “La Bottega della Parola”, organizzata dalla “Associazione culturale Poliedrica” di Forlì. Nel 2016 il blog letterario Kerberos Bookstore ha scritto un articolo critico di alcune sue poesie inedite Valore-contenuto e valore-bellezza: ilsenso del sacro attraverso la trasfigurazione dell’immagine e la neutralità al messaggio. Nel mese di Aprile dello stesso anno tre sue poesie (La Perla, Anoressica e Francesca) sono state selezionate per essere inserite nella antologia La mia sfida al male, pubblicata a seguito della terza edizione del concorso letterario Come farfalle diventeremo immensità, in memoria di Katia Zattoni e Guido Passini, indetto da Fara Editore. Aspirante critico letterario, è ansioso di contribuire al dibattito sulla poesia contemporanea, attraverso la rubrica critica “Gli Specchi Critici”, realizzata in collaborazione con il blog Kerberos Bookstore e farapoesia. Per info sul progetto: glispecchicritici@gmail.com, facebook

domenica 24 aprile 2016

“Io vivo le amicizie come lampi”: su Il cuore del girasole di Paolo Valesio

Paolo Valesio, Il cuore del girasole, Marietti1820, Genova-Milano, 2006

recensione di AR

http://www.mariettieditore.it/it-it/catalogo/9788821159107-il-cuore-del-girasole.aspx?idC=61680&idO=24476&LN=it-IT
Il verso che abbiamo scelto come titolo appartiene ad Amistà (p. 125) e il verso successivo recita: «vorrà dire che vengono dall’alto». Nella poesia Gli amici troviamo: «restan brevi passaggi di amicizia / come zig-zag di fulmini: / la loro scossa elettrica / fa soprassaltare / di vita il cuore» (p. 146). Come ricordava ai cinesi Matteo Ricci, l’amicizia è forse la forma di amore più gratuita. 
La raccolta è costituita da due sezioni: “Liminare” (molto ridotta, in fondo il limes è una linea di confine) e “Cronotopie” (tempi e luoghi che tessono il libro). Il lessico fa uso ogni tanto di termini spagnoli (la lingua iberica è particolarmente amata dall’autore, oltre all’inglese e all’italiano, cfr. Le lingue, p. 165) e rivela amplissime letture benché si mantenga su un tono generalmente colloquiale, essendo tutta l’opera un giornale dell’uomo Paolo Valesio che si mette abbastanza a nudo nel descrivere successi e frustrazioni, illuminazioni e malinconie, piaceri e dispiaceri che costellano in fondo la vita di tutti noi. Sfolgoranti le immagini a volte aforistiche, altre volte mistiche, (auto)ironiche, provocatorie, che costellano come esplosioni trattenute e quindi prodighe di vibrazioni queste pagine: «Il cuor del mondo / si estroflette e diventa un girasole» (Fioritura, p. 18); «Il dono della preghiera / (…) / è dato in dotazione a non dotati» (Il compenso, p. 25); «la mia gioia è un vestibolo / (è la gioia del prònao)» (Risposta sulla gioia, p. 30); «L’amore e la preghiera: due colonne. / A quale delle due fu legato / Gesù quando venne fustigato?» (Le bine, 32); «quel che vorrei ricevere / (…) / è un bacio sull’anima»  (Parole da riempire, p. 33); «Brava zucca barucca / che accogli le preghiere /dentro la tua vuotaggine e le lasci scorribandare» (Testavuota, p. 37); «1. L’odio è sputo mentale» (Seconda lezione di odio (in quattro parti), p. 52); «Non vi avevo finora veduti, / né con gli occhi mortali / né con i polpastrelli delle preghiere» (Dopo le Torri, p. 54); «L’ira (…) /  è la vuota cessi dell’anima» (Riscatto, p. 56); Vorrei legare il polso della notte / a una qualche sponda di Dio» (Ancoraggio, p. 57); «Talvolta levo il viso e lancio un ululato – / (…) / per ritrovarmi umano / e dire l’allegria della mia angoscia» (Meditazione al cesso, p. 58); «e il viso ha raccolto tutta l’anima» (Volti volti volti, p. 72); «“Ogni santo ha un passato”, / ha citato il curato, / “e ogni peccatore ha un futuro”» (L’intervallo, p. 77); «Nessuna / parola è nostra» (Emanazioni, p. 92);  «Il poeta rivela / il deserto al deserto / lo rivergina e prepara» (Sal poeticum, p. 93); «… l’improvviso avvitarsi / di un mulinello di silenzio» (Notturno, p. 107).

Questa veloce carellata per minimi lacerti (ovviamente scelti fra quelli che più hanno toccato le mie corde) può dare un’idea della vibrazione poetica dell’autore, dell’architettura sinfonica di questo libro in cui non solo i titolo ma anche le notazioni di luogo e data che seguono ogni poesia c’immergono nel nostro pellegrinaggio fatto di incontri, scontri, bellezza, miseria… ma sempre incardinato in un Oltre che ci accompagna: «Che la mia vita è vuota, non lo credo / (…) / In verità è svuotata / dunque disponibile –» (La buona disposizione, p. 116);  “… i santi continuano a commuovermi / e io mi aggancio mi aggrappo / ai lembi dei loro mantelli» (I mantelli, p. 132); «più ci assentiamo, / (dentro al mondo, / dal mondo) / e più ci indïamo» (Oscura presenza, p. 161).

Ha una voce guizzante, Paolo Valesio: i suoi versi individuano un bersaglio – non di rado nella sfera più intima, sensuale e mistica dell’autore stesso – e fanno scoccare la freccia. Al lettore il compito di valutarne il tragitto e di accettare che possa colpire un punto nevralgico del suo corpo-anima. L’amore carnale e spirituale, la ricerca di un proprio andare, il valore delle tappe, delle soste, de momenti di meditazione e preghiera “duologante”… sono gli ingredienti che ci portano al cuore di noi stessi che, come il girasole, ha bisogno di rivolgersi al cuore infinito del Padre.

giovedì 21 aprile 2016

Su La zona rossa


Francesco Filia, La zona rossa, Il Laboratorio Edizioni 2015
recensione di Vincenzo D'Alessio

Il filosofo e poeta Francesco Filia ha messo al mondo un altro poema civile che ci giunge con il titolo di: La zona rossa.
Non è il libretto rosso della rivoluzione cinese ma ha tutte le caratteristiche per esercitare sul lettore la sensazione di toccare con mano le stille di sangue versate sulle lastre vulcaniche delle ampie strade della più bella città d’Italia, Napoli.
Eppure l’inganno filosofico teso al lettore, dettato all’autore dall’esercizio continuo delle lezioni, emerge quando nei versi non è più riconoscibile la città partenopea bensì tutte le città del mondo degli uomini dove si esercita il diritto civile alla Libertà personale nell’interesse presente e futuro dei figli.
Nelle piazze c’è l’abbraccio di ogni singolo che diviene comunità nello sforzo energetico di raggiungere “(…) il filo di luce / amore bellezza furore / (…) che ci ha legati / l’uno negli occhi degli altri per un attimo, / per quella gioia mozzafiato” (pag. 64). L’agorà ha ancora le caratteristiche delle poleis greche nonostante l’oblio del Tempo e il Nostro le coglie sistematicamente: “(…) C’è una macina che trita i suoi grani / secondo dopo secondo, eone dopo eone / e noi torniamo sempre di nuovo / su quest’identici passi a correre / a urlare a cercare di aprire /  il cerchio imperfetto di queste vite” (pag. 37).
Come tutti i poemi, destinati a seminare nel cuore dei lettori l’amore per l’epistemologia dell’Essere, i versi di Filia raggiungono gli occhi di chi legge attraverso le figure umane, nomi e date di nascita, attori in un corpo avvinti  alla gneosologica degli avvenimenti che sistematicamente ritornano sul palcoscenico dell’umano vivere: “(…) Memorie / di una nazione morta / diciamo tra noi ridendo / giocando un gioco di ruoli: l’artista,  / il nichilista, l’impegnato, la giornalista / ma ognuno è di meno di più di una / forma rinsecchita. È la gloria di una resa” (pag. 36).
La lezione è tratta dalla Scienza Nuova di G. VICO  e il filosofo irpino Aldo MASULLO  nell’introduzione a questo poema la sottolinea: “(…) Comprendere tutto ciò, avere imparato che l’ideale in quanto necessario, va comunque assunto come guida, indipendentemente dall’impossibilità del suo realizzarsi pieno, è avere maturato nell’umiliazione della sconfitta la propria umanità ben più di quanto si possa nell’esaltazione di una relativa vittoria” (pag. 8).
Il poeta ha scelto la forma dell’enjambement per rendere fluida e fruibile una materia grondante veramente quel lievito umano che ha bagnato le bandiere di tutti i movimenti popolari: cito per quanto mi è consentito di storicità l’episodio della “Lega Pellettieri di Solofra”, vermiglia di sangue operaio e di uomini unici come Ferdinando CIANCIULLI, Vincenzo NAPOLI ed Emanuele PAPA, oggi rinchiusa in una bacheca di plexiglass come trofeo  asettico in un salone solitario.
Le grida di quegli operai pellettieri di fine Ottocento, colpiti dai fucili delle guardie del Re inviate dal Prefetto, si sono spente come si sono spente le grida del poema de La zona rossa: “(…) Sgominati chi cade dispersi arresi le mani / alzate e i pugni in faccia, chi è catturato / e annega nel sangue del proprio viso” (pag. 45).
Quanti giovani saranno chiamati ai “fuochi di questo rito sacrificale” (pag. 45) di fronte al “Celerino assassino” chiamato a compiere il dovere di fermare la marea che vuole superare quell’immaginario filo rosso che divide il Potere Politico Pubblico dei grandi del Pianeta  dai poveri senza nome: “(…) fratelli a guardia di un ordine, / che voi intravedete dietro le mie spalle, / di cui non so nulla. Io eseguo, a volte / mi piace a volte no” (pag. 47).
Ritornano alla mente i versi civili del grande poeta italiano Pier Paolo PASOLINI, dopo gli scontri violenti tra studenti e polizia avvenuti a Valle Giulia il 16 giugno del 1968: “(…) Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti! / Perché i poliziotti sono figli di poveri. / Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.” 
Gli eventi del 17 marzo 2001 che  Francesco Filia ha vissuto di persona nella sua città non sono lontani da quelli vissuti dal poeta Pasolini.
Corsi di una Storia che, volutamente  dimenticata, si tiene lontana dai libri di scuola, dalle aule delle Università, dalla memoria collettiva, poiché conoscere è pericoloso in un Paese (così viene definito oggi quello che una volta si definiva Stato) dove: “Emerge, quindi, chiaro fin da questo momento che ad aggravare gli originari fenomeni di inferiorità economica e di patologia demografica che caratterizzano la costituzione sociale del Mezzogiorno, molto ha contribuito e contribuisce tuttora lo Stato, che, da organo supremo del diritto, da fonte precipua ed unica di eticità, si trasforma in Italia in organo del privilegio, in fonte continua e perseverante dell’ingiustizia” (Guido DORSO, La rivoluzione meridionale, Piero Gobetti Editore Torino 1925).
Il poema vive di luce propria, di  similitudini, sinestesie, inglesismi e una celata parte narrativa del proprio quotidiano: “Ascoltando qualche volta il walkman / camminando tra bancarelle e clacson / in una via Foria infinita andando / verso un silenzio, un liceo, un destino” (pag. 51) e altrove: “(…) E allora questo costruire un futuro di libri / e ordinaria amministrazione il ripetersi / di un domani che non mi appartiene?” (pag. 20).
Sono molteplici gli stimoli che giungono dalla lettura magmatica dei corpi poetici che in qualche chiusa conservano la rima sonora e la liricità della serena poesia non piegata dalla necessità della Storia: “Il sole dietro i tetti l’incendio / del tramonto irraggia il cielo / il lento mutarsi della luce nel cortile / l’ombra che avanza divorando / le pareti centimetro dopo / centimetro” (pag. 58).
La figura paterna, cara al poeta, emerge forte nel racconto attraverso l’uscita di uno dei protagonisti dalla piazza,  mentre si placa il rosso della tragedia che continua nel chiuso delle Caserme del Potere: “(…) e vedi il tuo viso di allora / nello sguardo smarrito di un ragazzo / che chiede aiuto. Ora la cura silenziosa / di un padre ti appartiene per un attimo / senza parole, ma con gesti minimi d’amore” (pag. 51) e ritorna ancora nei ringraziamenti a pag. 67: “Ringrazio mio padre che mi ha affiancato nel lavoro di rilettura e rielaborazione di questo libro.”

Montoro, 20 aprile 2016



  

domenica 17 aprile 2016

Blues meridionale





Blues meridionale
                                                                                                               
Sulla strada per Saint Felix
ho incontrato il vecchio prete
con la tonaca sbiadita e
le sue lunghe dita, gli ho
chiesto: come stai?, mi ha
sorriso da lontano era
all’ombra del suo tiglio
per il caldo tropicale
siamo entrati nel cortile
della vecchia chiesa il rito
c’era un Cristo appeso al legno
un bell’organo a sostegno
degli antichi canti corali
gente vecchia che intonava
tragico blues meridionale.

Ho ripreso il mio cammino
con qualcosa che covava
nel mio cuore a dire il viso
di quel Cristo sull’altare
era il segno che ristagna
nelle terre di campagna
la preghiera della sera
quando il buio lega ai piedi
la stanchezza della terra
zappa, semi e il tormento
nell’attesa che accompagna
il nostro viaggio alla montagna
dove dorme il Dio vero:
fame, sete e in vetta neve.

Per il centenario della nascita di monsignor Raimondo Russo (Solofra, 1916 – Montoro, 2007).


Su Ogni istante di Marzia Biondi


 Marzia Biondi, Ogni istante, Albatros 2011

nota di lettura di AR



http://www.unilibro.it/libro/biondi-marzia/ogni-istante/9788856747348

Ogni istante è un libro ricco di misericordia (in Fiato troviamo una splendida definizione del verbo amare: «(…) desiderare che il contenuto / del tuo essere sia donato all’altro», p. 117) . Si riconoscono i propri limiti, sbagli ed errori e quelli degli altri vengono nel tempo riconsiderati fino a farne strumenti di crescita e purificazione personale: «Nel momento di difficoltà fisica e soprattutto quando la libertà del proprio agire viene meno, è il momento che ti accorgi di quello che non sei ma che credi, di chi ti sta accanto e non vedi» (Stecche, p. 31); «Se non ci fosse la paura di conoscere l’altro e scoprire che lo hai già in te, perché ti sei parte di ciò che è in lui, sarebbe possibile vivere quasi quotidianamente la bellezza di sentirsi in armonia (…)» (Venerdì ore 13.00, p. 55).
Un’opera in bilico fra meditazione e diario intimo in cui le prose si accompagnano ai versi tracciando un cammino di vita dove «Ogni flusso è una risposta / (…) / Bisogna solo ascoltare… solo così c’è risposta» (Preghiera, p. 15) e «L’attimo fermato dal un breve pensiero / (…) / Un mondo nel mondo // È di pochi l’arte di viverlo perché / Il dopo è già presente» (L’attimo, p. 20).  L’esistenza è sorprendente ed anche enigmatica: «Il verso “diritto” È quello che È fuori o È il “rovescio”?» (Chiave di lettura, p. 29). C’è la consapevolezza «che Tutto è più grande di quello che è» (Lontano sibilo, p. 59), che a volte è necessario «urlare dentro per poter tacere fuori» (Specchio, p. 104) e le prove possono essere salvifiche: «Grazie di questa “croce”… potrò, se tu vorrai, / vederti più da vicino» (Più da vicino, p. 109).
Un libro in cui ogni lettore può trovare immagini di intensa poesia (profondamente umana ma agganciata fiduciosamente all’Alto): «eppure Lei è, la sua “Impronta” è come un’ombra anche / quando il sole non c’e // (…) // Guardati! È nel Cuore il seme che / nel Tuo rispecchia» (Cannabis, p. 60).

lunedì 11 aprile 2016

Storie di un tempo minore al Teatro Cristallo, Bolzano 19 aprile

Martedì 19 aprile alle ore 18.00 
presso il prestigioso Teatro Cristallo di Bolzano

Angela Angiuli presenta la sua nuova raccolta poetica



il tutto accompagnato da muisca, letture e convivialità!

Ingresso libero


giovedì 7 aprile 2016

Come farfalle diventeremo immensità: premiazione a Forlì il 25 aprile 2016




http://www.comune.forli.fc.it/servizi/notizie/notizie_homepage.aspx

Siamo lieti di comunicare i risultati del concorso Come farfalle 3. La mia sfida al male. Complimenti ai vincitori e grazie di cuore a tutti i partecipanti e ai giurati www.faraeditore.it/giurati/farfalle2016.html 

Importante: causa maltempo la premiazione non si tiene più al Parco Urbano ma in Comune, piazza Saffi (pieno centro) a partire dalle 15.30 con la premiazione dei primi classificati da parte del Sindaco per continuare poi la festa con reading degli autori che lo desiderano, musica e spettacolo a cura della Minima Parte e termineremo il pomeriggio con una merenda.  Sarà disponibile in anteprima e a prezzo scontato l'Antologia La mia sfida al male (copertina illustrata da Alessandra Placucci, v. sopra, e testo con le opere di tutti gli autori vincitori, selezionati e segnalati, v. classifica qui sotto). Per chi ama l'arte ricordiamo che ai Musei San Domenico di Forlì è in corso la Mostra su Piero della Francesca.




Opere votate e segnalate dai giurati della terza edizione del Concorso Come farfalle diventermo immensità ideato da Guido Passini per ricordare Katia Zattoni (entrambi appassionati poeti e operatori culturali attivamente impegnanti per il bene comune e per gli ultimi, prematuramente scomparsi a causa della fibrosi cistica). In giuria: Cristina Lega (presidente), Enrico Medri, Federica Fantini, Filippo Amadei, Gaetano Foggetti, Jennifer Ruffilli, Stefania Zanetti, Thomas Casadei, Vincenzo Capodiferro (all’interno del libro i loro giudizi). Ecco la classifica:

Racconti vincitori


1. ex aequo La Biblioteca dei sogni di Ilaria Ceccaroni (Cesena)

«Racconto significativo, ove non manca una cornice storica e sfumature arcane di simbolismo alchimistico. Accanto a un registro tipicamente fantastico, è facile il riscontro di ingorghi sentimentali. La ricerca di un linguaggio di un’immediatezza persino attraente si alterna spesso ad esiti stilistici decisamente lirici. È la tipica ambivalenza del mondo mimico del “fanciullesco”, riscontrabile, in primis nella coppia simbolica “Malatesta”-“Buonatesta”. È questa la coppia di colonne portanti sul cui arco si poggia tutta l’impalcatura narrativa. E dietro traspare il messaggio profondo: il richiamo alla sapienza vera.» (Vincenzo Capodiferro)
«Una favola come quelle di una volta, ma senza cattive matrigne o lupi affamati. Delicatamente ti conduce in un luogo reale ma avvolto nel mistero, ti porta nel racconto dentro al racconto. Una favola dolce e pulita con quella limpidezza degna di un racconto adatto ai bambini.» (Cristina Lega)


“Sono Ilaria, ho 11 anni e frequento la prima media a Cesena dove sono nata e vivo. Adoro leggere e disegnare. Questo racconto è nato un po’ per gioco, ambientato nella Biblioteca Malatestiana di Cesena, perché è un luogo che frequento spesso.”




1. ex aequo Neve di Francesco Filia (Napoli

«Un racconto che cattura e trasporta.» (Jennifer Ruffilli)
«Il periodare pulito e conciso dell’autore rende visivo, quasi tangibile, il paesaggio e l’esperienza narrata. Efficace l’uso di un cromatismo a contrasto: nero/bianco/rosso.» (Thomas Casadei)
 

Francesco Filia vive, insegna e scrive a Napoli, dov’è nato nel 1973. Si interessa prevalentemente di filosofia, poesia e critica letteraria. Sue poesie e note critiche sono presenti in numerose riviste e antologie. Ha pubblicato i poemi in frammenti Il margine di una città (Il Laboratorio 2008) e La neve (Fara 2012, rist. 2013), vincitore del concorso nazionale per inediti “Faraexcelsior” 2012, del concorso nazionale editi Civetta di Minerva 2013 e finalista del premo nazionale di poesia Ponte di Legno 2013. È redattore di Poetarumsilva – poetarumsilva.com/francesco-filia/.



2. L’aria porta notizie  di Angela Angiùli.

«C’è un senso di divinità e anche di laicità in questo racconto. Viene in mente il Siddhartha con la sua illuminazione, ma anche San Francesco con la sua misericordia e la sua semplice povertà. Nonostante tutto, l’amore e il bene infine danno all’uomo la ragione  e lo scopo, per vivere appieno la sua vita. Non c’è maledizione o fatalità neppure nella malattia e nella sofferenza… va tutto bene…» (Enrico Medri)

Angela Angiùli è nata in provincia di Bari nel '71, ma vive da molti anni a Bolzano con la famiglia. Coltiva da sempre in parallelo le sue due principali passioni: la formazione del gusto di vivere negli adolescenti marginali o “difficili” (a scuola o nel volontariato) e la scrittura creativa e poetica. Ama le parole, la Parola, i libri, le chiacchiere, le canzoni e tutto ciò che crea legame e solidarietà tra gli esseri umani. Scrivere è la sua maniera più intensa di stare al mondo. Di recente ha ricevuto diversi consensi (premio S. Sabino di poesia religiosa e premio Mario Luzi per la silloge allora inedita Storie di un tempo minore, Fara 2016). Alcuni suoi componimenti sono presenti nella raccolta di Autori Vari Le parole dell'anima ed. Appunti di Viaggio. È fra i vincitori del concorso Pubblica con noi 2016 con la silloge Per il tuo amore non tacerò.
  
Racconti selezionati 

Il folletto filosofo (Nicoletta Mari, Montoro, AV)
Smetto quando voglio (Paolo Calabrò, Sant'Antimo, NA)
La fessura (Adalgisa Zanotto, Marostica, VI)
A forma di mezzaluna  (Mariangela De Togni, Piacenza)
È male o effetti collaterali? (Marta Rago, Montoro, AV)
Fragili Fiori (Nadia Levato, Roma)
Indicazioni agli attori (Massimo Sannelli, Genova)
La mappa e l'uomo (Farhad Bitani, Torino).

Racconti segnalati 


Una corsa lungo il fiume (Subhaga Gaetano Failla, Follonica, GR)
L'incontro (Teresa Armenti, Castelsaraceno, PZ)
Dove vai, Samir? (Enzo Rega, Palma Campania, NA)
 

Poesie vincitrici





 1. Elegia del silenzio di Valentina Meloni (Castiglione del Lago, PG)

«È veramente profonda questa Elegia del silenzio. Con toni solenni, che quasi riecheggiano i poeti-profeti, come Rumi e Gibran; l’autore carpisce il senso autentico della vita: … ed è poesia anche la morte / che lo vogliate o no – quando / un poeta muore perisce insieme a lui / il cuore di ogni uomo. È quell’heideggeriano grido, che risuona come vox clamantis in deserto: “Zum-Tode-sein”! Si avverte sibilante tra gli sparsi versi sciolti la forte riscossa degli intellettuali: il poeta vate, guida del popolo, tramontato con l’ultimo eroe: Gabriele D’Annunzio! E poi risuona un’aurea di misticismo incomparabile, tanto che pare riassaggiare quel “silenzio felice” di Angelus Silesius. Il talento dell’autore si nota anche nella successiva Anima Mundi, che ricorda l’anima copula mundi di Marsilio Ficino (Theol. Plat., III,2).» (Vincenzo Capodiferro)
«Un poetare delicato che affronta temi che riguardano tutti, come il viaggio dell’anima Anima mundi ti conduce in percorsi sconosciuti che alla fine ti ricongiungono con l’universo. Molto toccante anche Haiku (del risveglio).» (Cristina Lega)
 

Valentina Meloni ama scrivere poesie e racconti, ha il pallino degli alberi. È mamma e, nel tempo libero, infaticabile lettrice. Redattrice editoriale per la rubrica interviste su Euterpe, rivista di letteratura, scrive anche su L’area di Broca, Diwali-rivista contaminata e altre riviste. Cura da molti anni un blog di poesie ed eco-poesie sulla natura e sugli alberi – poesiesullalbero.blogspot.it . Ha pubblicato la raccolta di haiku Nei giardini di Suzhou (FusibiliaLibri) e una raccolta di poesie da lei stessa illustrate Le regole del controdolore (Temperino Rosso Edizioni, in uscita).  

2. ex aequo Non tu di Angela Caccia (Cutro, KR)

«Per la ricerca curata della parola e le dense figure retoriche che portano con forza a galla in modo originale il tema dell’amore nelle sue diverse fasi.» (Filippo Amadei)
«Una poesia profonda che tocca dolcemente i sentimenti.» (Cristina Lega)


Angela Caccia, funzionaria in un ente pubblico, matura la giusta dose di frustrazione che si sublima poi in qualche squarcio di creatività. Abita una zona del meridione molto legata alla tradizione – la sua Calabria Saudita – che cura morbosamente le radici e… perde il fiore, i tanti talenti di cui brulica. In questo suo piccolo mondo, vagola vive verseggia. Ha vinto, fra gli altri, il concorso Insanamente 2012. Con Fara ha pubblicato le raccolte pluripremiate Nel fruscio feroce degli ulivi (2013) e Il tocco abarico del dubbio (2015). Web: ilciottolo.blogspot.it 

2. ex aequo Le madri del Sud di Rita Pacilio (San Giorgio del Sannio, BN)

«Un argomento così profondo e sofferto e così difficile da descrivere… Il poeta garbato e lieve nell’affrontare una tematica delicata fende parole nell’aria e sul foglio a descrivere un dolore di popoli interi attraverso coloro che ne sono radici e proprio per questo prime vittime.» (Stefania Zanetti)
«Profumi e colori si fondono perfettamente in un testo di versi tersi e cristallini in cui si stagliano, orgogliose, le madri del sud.» (Thomas Casadei)


Rita Pacilio è nata a Benevento nel 1963, si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di letteratura per l’infanzia e di vocal jazz. Ha vinto il Primo Premio Poesia Edita della XXVII edizione del Premio Laurentum con l’opera Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice 2012). Sue recenti pubblicazioni: Quel grido raggrumato (La Vita Felice 2014, I Premio Poesia Edita Tra Secchia e Panaro 2014 e I Premio Poesia Edita Città di Mesagne XII ed. con cui conclude il discorso sulla denuncia dei corpi emarginati e violati, iniziato con il libro in prosa poetica Non camminare scalzo (Edilet Edilazio Letteraria 2011) vincitore del I Premio sezione Narrativa Edita Premio Terzo Millennio 2012; Il suono per obbedienza è il suo lavoro poetico sul jazz (Marco Saya Edizioni 2015); La principessa con i baffi è il titolo della nuova fiaba edita da Scuderi nel 2015.

3. Tienimi di Laura Mazzotti (Forlì)



«Testo ben strutturato grazie a un efficace scelta lessicale che lo rende melodioso, quasi cantabile: una sorta di preghiera laica.» (Thomas Casadei)

Bancaria per necessità, Laura Mazzotti vive a Forlì. Ama la letteratura e il teatro: dirige e recita in svariati spettacoli cercando di unire arte e valori sociali.



 

Poesie selezionate
 
Nell'oro grano, un rivolo di miele (Nunzio Industria, Napoli)
Per te (Claudio Biondi, Forlì)
Armonia dei non vedenti (Vincenzo D’Alessio, Montoro, AV)
Hai dovuto lasciarlo (Luca Ariano, Parma)
È questa la sera (Annalisa Ciampalini, Empoli, FI)
La coperta (Sandro Serreri, Tempio Pausania, OT)
La perla (Luca Cenacchi, Forlì)
Ad ogni angolo (Caterina Camporesi, Rimini)
Facciamo che ti amo (Alfonso Nannariello, Calitri, AV)
Passeggiata sull'arcobaleno (Alessandra Placucci, Cesena)
Potresti attraversare la vita con noi? (Carla De Angelis, Roma)
Il suo sorriso (Salvatore Ritrovato, Urbino) 

Poesie segnalate
 
La casa di guardia – Poesia di Valle (Colomba Di Pasquale, Recanati, MC)
Sperduta – Captive Spring (Bianca Nunziatini, Forlì)
Il Sì di Maria (Elena Nardo, Bolzano)
Tu che ascolti da vicino (Laura Parolini, Trento)
Fai che sia domani (Valeria Tolino, Montoro, AV)
Cammina con me (Andrea Parato, Riccione, RN)