lunedì 31 ottobre 2016

Canti Digitali a Crema 10-11-2016

Giovedì 10 Novembre ore 21

Mondadori Bookstore Libreria Mondadori 

CREMA Via Mazzini 48

presentazione del libro

Canti Digitali

di Alberto Mori



L'autore sarà presente con una performance

Introduzione e conversazione con il poeta ed il pubblico
a cura del filosofo Franco Gallo



venerdì 28 ottobre 2016

La poesia meridiana in classe.

di Vincenzo D'Alessio



 





Si è svolto stamattina , presso l’Istituto Statale Comprensivo “Abate Ferdinando GALIANI” di Montoro (AV), il primo incontro con gli studenti sul tema: “La Poesia Meridiana e i Poeti del SUD”.
L’incontro promosso dalle professoresse Monica Caputo e Valeria Villari, autorizzate dalla Dirigente Scolastica professoressa Raffaela Cirasuolo, ha avuto come tema la poesia del Secondo Novecento italiano attraverso le figure del Premio Nobel Salvatore QUASIMODO e del poeta Rocco SCOTELLARO.
Il tema della riscoperta dei poeti meridionali fa parte del ciclo di studi promosso dallo scrittore Paolo Saggese e dal Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, affinché le giovani generazioni di studenti possano attingere alle tematiche sempre attuali dell’emigrazione, della produzione poetica degli anni del dopoguerra, della presenza della Civiltà Contadina che ha caratterizzato l’economia del Sud della penisola per millenni.
Questo primo incontro ha visto come protagonista la classe terza sezione D, con circa venticinque studenti, preparati all’incontro dalle due professoresse, che hanno letto, commentato e approfondito i temi del triste periodo bellico, nelle poesie di Salvatore QUASIMODO e della difesa costante dell’assegnazione delle terre ai contadini da parte del poeta, Sindaco di TRICARICO, Rocco SCOTELLARO.
Nel dialogo, durato l’intera mattinata, gli studenti hanno visto un DVD dove l’attore e regista Enzo MARANGELO recitava le poesie di SCOTELLARO, in modo da avvicinarli all’uso della giusta dizione e all’armonia della poesia meridiana.
A fine giornata alla Dirigente, alle professoresse e agli studenti, la Casa Editrice FARA di Rimini ha fatto pervenire dei volumi in dono al fine di continuare l’amore per la lettura anche nell’ambito famigliare.

Montoro, 28 ottobre 2016

Nuvole sparse: Valerio Grutt

Le mani di quelli che ami
sono fontane di luce
le tieni strette come appigli
nelle tempeste e nelle cadute.
Le mani di quelli che ami
sono case dove ripararsi
e tubi e cunicoli e cavi
dove corre l’amore
senza fermarsi e rami
che salgono e bucano
nuvole e stelle, sono pane
e minestre, e voli, navicelle.
Le mani di quelli che ami
neanche la morte
te le toglie dalle mani.

(inedito)

Valerio Grutt



mercoledì 26 ottobre 2016

Versi in autostrada

recensione di Vincenzo D'Alessio
Claudio Lamberti, vincitore del Concorso Faraexcelsior 2016


http://www.faraeditore.it/html/filoversi/piccolecose.html

La raccolta di poesie, Le cose piccole non si vedono in autostrada, Fara 2016, di Claudio Lamberti pone al lettore la percezione degli eventi vissuti dall’Autore e mediati dalla poesia nella quotidianità del viaggio esistenziale.
Le quattro sezioni della raccolta si aprono con un Prologo: La creazione; seguono: L’assordante beat della speranza; Elementi; Umani e l’Epilogo.
La poetica dell’Autore è in formazione. Egli nell’attimo della sua “creazione” richiama il lupo, totem di antiche paure notturne, animale solitario e predatore ostinato, là dove il nulla scatena i suoi elementi primordiali: “(…) Siamo nulla / perciò esistiamo” (pag. 15) è la chiusa della poesia che dà voce al Prologo.
L’intero viaggio dell’Autore si snoda lungo l’autostrada, che è metafora esistenziale interna ed esterna, aratro per aprire solchi nella musica, negli elementi che compongono i codici dell’inconscio, negli umani ai quali è rivolto l’invito a guardare bene i particolari del viaggio, nell’epilogo arricchito dall’unica medicina che accarezza l’anima degli uomini: i Miti! Come sostiene Paolo Caruso nel suo bel testo Vivere senza dio (Newton Compton 2011) la ricerca del divino è l’energia sostanziale che accompagna il genere umano, nel vivere con o senza la presenza di dio.
La scrittura poetica del Nostro si avvale di alterne figure retoriche, in primo luogo l’enjambement realizzato nelle chiuse per legare il verso all’intero racconto poetico; poi gli ossimori: “l’allegra noia” , “rotolare fermo”, ecc.; ancora il richiamo a poeti del Novecento: “(…) E sangue siamo noi / sul cuore della terra a tre colori” (pag. 53, si veda Salvatore Quasimodo).
Più di ogni altra virtù poetica raccolta, l’accostamento dei versi dell’Autore è alle tematiche del Manifesto del Surrealismo (legate alle figure di André BRETON e per l’Italia a Massimo BONTEMPELLI) dove il comporre era quasi automatico, spinto tra veglia e sonno, nel credere fermamente all’illimitato mondo dell’inconscio.
Ho avvertito in questo modo la prova poetica di Claudio Lamberti.
L’autostrada che attraversa la città vissuta realmente, e quella immaginata dalla forza del desiderio di un altrove che rechi serenità e allontani dai “rottami” si legge in questi versi: “(…) Ho sentito rumore di passi / e non so nemmeno / se è notte o giorno” (pag. 46).
Il richiamo al sogno è presente in quasi tutti i componimenti. Si leggano le poesie Gocce a pag. 31 e la poesia Il me più grande sogna a pag.56.
L’Autore sta costruendo sé stesso attraverso il beat dell’esistenza, accentuando i movimenti deboli, le cadute, le interferenze esistenziali. Temi ricorrenti sono: il sentimento dell’Amore; il desiderio di purificazione, le energie e i profumi naturali; figure ricorrenti sono il sole, il mare, la luna, le terre emerse, i Miti e le leggende del mondo greco, musica e pensiero filosofico.
Resto della convinzione che nascere al SUD di questa penisola resti una condanna e al tempo stesso un’infinita gioia, poiché il pensiero filosofico greco ci pervade da millenni. Si pensi alla città di Elea e alla filosofia eleatica (oggi Casal Velino in provincia di Salerno), ai miti costieri di Palinuro e di Leucosia. Alle bellissime lastre tombali greche della città di Paestum, tra le quali primeggia quella detta “del Tuffatore”.
L’Autore avverte e utilizza il senso ludico del verso per vincere l’infelicità quotidiana. Lo dice nella prefazione il poeta e giurato Luca Cenacchi: “L’autore sembra ricercare nella forza di esperienze forti e traumatiche un intimo stimolo alla vita (vedi: Sogno di gravità, Tsunami) che, per inciso, è composto da due tanka. Vero è che si può notare una tendenza di “mutaforma”: l’autore avverte la necessità di scomporsi in altro da sé, sovente in elementi della natura, per cercare di pervenire a una quiete armonica in cui riposare (vedi: Immortale, Armonie di silicio, Gocce, Selvatico, Clorofilla, Liquefarsi, ecc.)” (pp. 8-9).
Il cammino sull’autostrada iniziato dall’Autore a suon di musica e con gli occhi dell’indagatore, deve: “Creare la condizione ideale / per godere di qualcosa / prima della fine” (pag. 72).

mercoledì 19 ottobre 2016

Le cose piccole non si vedono in autostrada

intervento di Claudio Lamberti, vincitore del Concorso Faraexcelsior 2016, alla kermesse faentina Umiltà e letizia (qui un fotoracconto)

http://www.faraeditore.it/html/filoversi/piccolecose.html





 


La creazione




Lupi nelle nebbie fredde

non siete soli

non siete soli!



Fratelli

in cerca di anime

si scontrano

puro disordine

di chi ha voglia di vivere



È mio ogni atomo

ogni attimo di respiro



Vicino

a me l’universo

ti è amico

ti ama

ti è padre

la madre dell’ombra infinita



Siamo nulla

perciò esistiamo





Con questo componimento si apre la raccolta dal titolo Le cose piccole non si vedono in autostrada. Suona quasi come un assioma, come una coordinata unica su cui stabilire una rotta, ma proprio qui viene il bello, poiché l’intento di questa raccolta è esattamente l’opposto, ossia la rottura di ogni coordinata prestabilita. Esiste un luogo, fisico e poetico, che ogni poeta e ogni persona devono raggiungere per ottenere un appagamento interiore: ebbene, il “viaggio poetico” che io ho immaginato è fatto di deviazioni, di piccole cose che si contrappongono alle grandi: è in un certo senso un viaggio fatto di umiltà, giacché bisogna farsi umili per vedere le cose piccole fuori dall’autostrada della vita, cambiare il proprio punto di vista e posizionarlo più di lato rispetto ai paraocchi che l’esistenza ci obbliga talvolta ad indossare. 
Già dal titolo si può intuire la presenza forte della componente del viaggio, inteso non come lo spostarsi da un punto a un altro, bensì come libertà di “lateralizzare” la linea retta che ognuno di noi, a suo modo e con ostacoli diversi, percorre. Come ogni viaggio fisico, in questo viaggio fatto di poesie esistono delle tappe, nello specifico quattro sezioni (“Note”, “Elementi, “Umani”, “Essendo”) che non vogliono essere camere a tenuta stagna, bensì checkpoint dove componimenti accomunati da visioni simili si incontrano. Il tutto incorniciato da un prologo (partenza) e da un epilogo (arrivo). Il prologo di cui sopra segna la “creazione”, per l’appunto, di questo mondo parallelo, venuto alla luce grazie alla mia volontà di espettorare la voglia di nuovo, di diverso, un’esigenza che tutti nella vita arrivano a provare.

La sezione “Note” raccoglie poesie accomunate da “visioni sonore”, dalla presenza o assenza di rumore: in particolare, la prima poesia di questa sezione prevede l’avvento di qualcosa di assordante, un beat al cui ritmo partecipa ogni singola anima, un grido di speranza che parte per chi vuole un vero cambiamento, in sé e/o nel mondo che lo circonda, un suono immenso e straziante che avvolge inesorabilmente ognuno di noi in un solo grande movimento.





L’assordante beat della speranza



L’alta marea dell’oceano di luci

arriverà

senza particolari lune

senza altisonanti preavvisi



Così



Guarderemo

mettendo punti a casaccio

sulle nostre vite

così sottovalutate



Sotto un firmamento di perché

di miriadi

di rumori inascoltati



L’assordante beat della speranza

arriverà

anche per noi





La seconda sezione è “Elementi”, una tappa dove viene attuata a più riprese la scomposizione biochimica dell’essere, necessaria affinché possa avvenire una completa fusione con l’elemento naturale, vivente o inerte. Potremmo parlare, in questo senso, di visione panistica. La poesia che più rappresenta questa visione è una poesia onirica in cui viene dipinto il passaggio fra la vita e la morte e dove la scomposizione dell’essere diventa massimale: difatti, non esiste più un Io vero e proprio, ma milioni di Io che si confondono e vanno a far parte di un’unica marea, costituita da ogni molecola presente nell’universo.





Gocce



Non sto sognando
 
Colpi nella notte
e le linee dentro il cielo
non illuminano niente

 
Non sto sognando

 
Luci che corrono
dritte
verso mattine inesistenti

 
Un raggio mi tocca

 
il tocco s'espande
su pelli di corpi
che non sapevo di abitare

 
Un'onda

 
Grondante su quelli
le gocce del mondo

 
Oceani di orgasmi di parti di me

 
Ma io
non sono

 
Non sto correndo
nei visceri
dei figli della Terra

 
Li nutrono
raggi di tutto
e parti di me





Il panismo (definito nella Prefazione “panismo urbano”) è presente anche nella sezione “Umani”, nella quale cerco di descrivere l’umanità che mi circonda, i suoi effetti, il suo straniamento e le sue contraddizioni. A più riprese è presente l’elemento-città. La poesia che forse più rappresenta questo straniamento, però, ha come oggetto la tecnologia, e vede la lenta e progressiva trasfigurazione dell’essere umano in un essere inumano, un soggetto imploso in sé stesso, un errore di sistema.





Finestre



Nuovo giorno:

suona
risuona
il grigio tamburo di morte

è il mio riflesso
che picchia
ripesca in quel nero
una voglia

Nuovo giorno:

occhio
già stanco
ed il crampo alla mano

non so dove sei
sei oltre quel vetro
a non fingere d'esser felice

Nuovo giorno:

il grigio tamburo mi dice
qwertyuiop

lo so dove sei
sei dentro quel vetro
la mano si stacca di un po'

Nuovo giorno:

non occhi
né mani
ma crampi ai circuiti

non sei qui a salvarmi
non avverto odore

Nouvo girnoo:

io snoo sotlntao
l'esnneimo erorre





L’ultima sezione, “Essendo”, è una tappa intima, dove sono presenti insieme tutte le componenti sopracitate a servizio della mia crescita personale, una crescita volta, per l’appunto, a “essere” davvero. Il confronto fra il piccolo e il grande, il panismo, l’onirismo, finanche l’amore, sono presenti nella poesia seguente: un luogo surreale, ma che meglio di altri descrive la vera personalità del viaggiatore.





Il me più grande sogna



Palazzi di ghiaccio
e neve
galleggiano a testa in giù
sul sole
animali fantastici
vengono a me dicendo
è la luna

Rido

Comete dalla bocca
collidono
formano un me
più grande
mi prende e mi mangia
lo stomaco è fatto
di carta

Piango

Le dita sono matite
disegno
la cosa più verosimile
all’idea di bellezza

Disegno
lacrime
fiocchi di neve
capovolto
su quei palazzi
amo

dove dovrei digerirmi
Il nemico occulto
mi dorme accanto russando

Mi sveglio





L’epilogo segna l’arrivo di questo viaggio virtuale (epilogo che dà il nome all’intera raccolta, rappresentando così piuttosto la chiusura di un cerchio; quindi, si può considerare il viaggio non solo come A --> B ma come A --> B --> A): non la partenza, non il ritorno, ma “le canzoni sulla via”, altro modo per dire “tutto ciò che si può frapporre fra noi stessi e la strada”, sono motivo di godimento e di forza per affrontare viaggi in infiniti mondi.





Le canzoni sulla via del ritorno

sono le più belle da ascoltare



Creano la condizione ideale

per godere di qualcosa

prima della fine.



Rosarium

intervento di Silvia Castellani (ideatrice della rubrica foto-poetica Le nuvole che sono) alla kermesse faentina Umiltà e letizia (qui un fotoracconto) 




https://youtu.be/pRtwIh1okTs

Il video al link qui sopra mostra il “Rosarium” o meglio, il cuore del progetto fotografico intitolato Rosarium, iniziato oltre due anni fa. 

Il cuore del “Rosarium” consta di dieci rose speciali, dieci fotografie.
Due anni fa, a primavera, iniziai a fotografare le rose lungo le strade, nei giardini, nei parchi, financo negli orti altrui e arrivata circa a mille scatti mi venne un'idea. Fu quasi un'illuminazione, mi verrebbe da dire oggi. Ebbe inizio, all'epoca, nella mia mente, l'avventura di Rosarium (Rose e Misteri. Come i misteri che si meditano durante la recita della preghiera del Santo Rosario). Rosarium voleva diventare un insieme di “rose sante”, la cui visione avrei voluto condividere con altre persone. Lo scorso anno ho iniziato a farlo, a condividere questa mia “preghiera visiva”. L'ho chiamata così, perché di questo in sostanza si tratta.
Le rose sono dieci come le dieci Ave Marie del Rosario che si recitano dopo ciascun Mistero. Ad ogni rosa ho abbinato un santino raffigurante la Madonna sono nove Madonne + San Michele Arcangelo. I dieci santini abbinati alle dieci fotografie di rose del “Rosarium” sono in originale, facenti parte di una collezione privata, messa insieme tra gli anni Settanta e Novanta. Le rose essiccate, presenti a loro volta nei dieci quadri del Rosarium, sono state essiccate da me dopo averle fotografate e recise in un andirivieni di vita, morte e vita immortalata per sempre.
 

“ROSARIUM” – SIGNIFICATI DELLE ROSE

(cosa vedo e sento nella mia mente)
La prima rosa è rossa, simboleggia la carne e il sangue. Ci sono piccoli schizzi, nella fotografia, sul muro bianco che tiene per il collo la rosa; la purezza è stata macchiata dal desiderio dell'uomo, dalla sua bramosia di elevarsi a dio. La rosa è quasi strozzata tra le colonnine del muro, come l'anima nel corpo preda delle passioni, delle sofferenze a cui per natura tende. 



La seconda rosa è bianca e trasuda lacrime per la purezza perduta, per la freschezza ricordata e trattenuta in qualche parte, in mezzo al nero, al buio che tutto inghiotte. Una scia leggera, come di rugiada, dopo che ha appena piovuto, e le rose accarezzate da un vento fresco. E' questa la rosa della purezza, mai compresa fino in fondo dall'uomo, ma in qualche modo agognata e immaginata e poi perduta per sempre. Il santino (abbinato e contenuto nel quadro stesso), è bianco e nero, perfettamente abbinato cromaticamente alla rosa della fotografia.



La terza rosa cela un significato profondo, intenso, alto. La fotografia è di una rosa azzurra, corolla di petali, piccolo bocciolo al centro, quasi un padre, si potrebbe dire, che abbraccia e veglia il proprio figlio, rosa aperta, braccia grandi che proteggono dal vortice e insieme con lo stesso si amalgamano. Rosa azzurra, di spirito santo, spruzzi di bianco, di pace e una croce che lega il piccolo al grande e lo rende perfetto solo insieme. Padre, figlio, spirito santo.




Quarta rosa è la madre, la natura, la luce, la bellezza semplice. Il colore rosa, come il nome della rosa e un'ombra che dalla stessa si alza, ombra di donna, figlia e madre insieme, anima piccola e insieme grandiosa. Nel pieno della sua fioritura, a maggio, e in un campo di grano. Rosa gialla essiccata, applicata sul gambo verde sulla fotografia, perché così diventerà in un'altra stagione della vita, ma sempre bella e attaccata alla linfa vitale, nonché debitrice al ricordo della vita che fu. Rigogliosa, forte, amat
a.



La quinta rosa è quella della speranza che si leva imperterrita dal dolore, dalle spine della vita, inevitabili e così crudeli spesso. è la rosa della rinascita perché dove vi è stato dolore e male, nascerà di nuovo più forte il bene e l'amore. E chi sarà chiamato a guardare, vedrà il bene e solo un pallido riflesso del male che fu. Il bene sarà così forte e luminoso che non ci sarà niente altro intorno, a parte il se stesso bene. Sarà di nuovo luce e speranza. Sullo sfondo della rosa che emerge quasi fosse un faro, vi è un tappeto verde scuro, macchiato di rosso sangue, a ricordare che il male è stato e non può essere dimenticato, solo superato. Questa è la rosa più grande di tutte - anche per cornice che la contiene - è la rosa centrale dell'opera, è dedicata in particolare a M. (a cui tutto il progetto Rosarium è dedicato), alla Speranza.





Rosa numero sei: la morte del figlio. Cupezza, viola, erba come filo spinato. Il dolore non si affronta da soli, il dolore è intimo, ma va condiviso, altrimenti finisce che ti uccide dentro, ti rende sterile, ti prosciuga fino all'ultimo respiro e poi cadi per sempre, svanisci a te stesso. Lo scarafaggio succhia, gira, su e giù, per il fiore ancora tenero, ma ormai caduto, reciso dalla sua linfa di vita. La morte del figlio, il dolore più grande, quello che la Madonna dovette affrontare, con coraggio e amore, Madre infinita, come tutte le madri degne di questo nome grande, Madre. 




Rosa numero 7: una visione piccola, di natura, di acqua e terra, una rosa chiara, bianca e verde, con le sue radici salde nella propria terra, che cresce fiera del suo essere Regina di tutti i fiori. Questa piccola rosa è forte in se stessa, padrona della sua semplicità. 





L'ottava rosa simboleggia la luce che squarcia le tenebre, la luce nuova che abbraccia chi vuole avere fede, chi prega, chi spera, chi ha conosciuto il buio, ma sa che anche nelle oscurità più profonde, esiste un barlume di...
La luce, dono del padre ai figli che trovano il coraggio di farsi illuminare. 





Questa nona rosa santa è dedicata ai malati, alla grazia che alcuni hanno dono di ricevere, la grazia per coloro che vivono la loro vita nelle infermità, piccole e grandi, la grazia di una preghiera detta col cuore, la grazia di avere un amore, di un figlio, di una famiglia, di un amico. La grazia concessa ad alcuni perché altri possano così credere in ciò che è detto miracolo.





Decima rosa, fine del percorso, fine di questo viaggio nel cuore del “Rosarium”, con le preghiere nella mente a far da compagnia a uno spettatore che mi immagino “in ascolto”, come la sottoscritta. Non è uno spettatore perfetto, è peccatore come gli altri, è lontano dalla luce, dalla grazia, dalla speranza ma è uno spettatore che per queste, sempre, ogni giorno lotta, tendendo la propria mano e il proprio cuore al Cielo, per quello che può, per quello che sente. E questo suo cammino costellato di petali di rosa ogni volta gli ricorda che la strada è giusta, anche se ancora non riesce a vedere bene, né ad occhio nudo né, nel mio caso, attraverso l'obiettivo fotografico. Così si limita con pazienza a raccogliere le tracce, i resti di memoria, i racconti di quanti l'hanno preceduto e porta a suo modo la sua testimonianza, piena di ricordo, fatta di rose, di preghiere, di colori, di passione. In attesa di divenire più degno dell'amore di quanti lo amano dal profondo, in Cielo e così in Terra.

martedì 18 ottobre 2016

La meccanica dell’esistenza

intervento di Luca Cenacchi (autore de Gli Specchi Critici) alla kermesse faentina Umiltà e letizia (qui un fotoracconto)






Un sera ero uscito con degli amici, ambedue molto più grandi di me, e ci trovavamo a discutere della strage di Bologna del 1980. Più andavamo a fondo nel discorso, più mi accorgevo della profonda differenza che intercorreva fra noi. Io non riuscivo ad avere alcuna partecipazione emotiva che andasse fuori dall’empatica tristezza, un po’ circostanziale, per delle vite spezzate prematuramente. Riflettendo su questo fatto a lungo, la mia attenzione venne portata sulle questioni, lontane, ma neanche troppo, dell’identità poetica in relazione al luogo. Mi sono reso conto, anche guardandomi attorno, che non riuscivo a sviluppare quel tipico senso del luogo che le generazioni prima di me, invece, non hanno faticato ad avere. Quella sera nacque, così, poesia punto 0 da cui, poi, è derivato tutto il resto della progetto, che vorrebbe essere, idealmente, la sutura ma anche la divisione, il passaggio, la differenza fra i miei istinti emotivi e quelli della generazione che mi ha preceduto; ovvero quello di non potermi più identificare in un luogo e dunque costruire una poetica attorno ad esso (ciò che è stato perno poetico di molti). Mi sono accorto in quel momento che, per me, indugiare su di esso avrebbe, dunque, portato a una poetica stereotipata, ovvero incapace di affermare una propria autonomia. A questa presa di coscienza segue, naturalmente, un ovvio spaesamento. In quel momento di stasi s-quilibrata, tuttavia, ho intuito come il non aver un luogo fosse il seme di un nuovo equilibrio identitario. La mancanza di quelle fondamenta, di quel legame particolare, ha fatto sì che vedessi l’intreccio di possibilità latenti, implicite, che si stendevano davanti a me in un rapporto con il mondo e la molteplicità delle sue culture che potevo legare intuitivamente. 
Perché il disequilibrio, il precariato che investe un po’ i giovani e dunque l’impossibilità di una immediata sistemazione, mi ha impedito e mi impedisce, da una parte, di radicarmi propriamente; allo stesso tempo ha evidenziato ai miei occhi le possibilità al di là della frontiera non solo geografica, ma culturale. Il luogo, se così lo possiamo chiamare, si fa/farà, spero, meno geografico e più culturale nella rete tutta intuitiva dell’innesto letterario, figurale e tematico. In questo si spiega anche il rapporto tra la poesia e certe suggestioni che ho preso dalla meccanica quantistica. Nella teoria degli autostati dell’elettrone si evidenziava bene, secondo me, questa gamma, questa sovrapposizione teorica di valori possibili che rappresenta un po’ lo stato dei più fortunati precari. La meccanica quantistica, in generale, mi pare si possa dire che abbia eroso la concezione di determinazione e esattezza di quella precedente, quella classica, ed è diventata un po’ la mia agrodolce identità poetica, e a questa mia caratteristica identitaria ho cercato di confare anche un linguaggio, tematiche e modi, adatti a questa graduale decontestualizzazione, per evidenziare, appunto, non tanto soluzioni nuove quanto una gamma di possibilità simultanee. Anche per questo desidero sempre interiorizzare all’interno della poesia, suggestioni molto diverse, cercando di mantenere un organicità di fondo. Il linguaggio desidera e continua a cercare una immediata flessione che mi auspico imprevista, non tanto a livello strutturale, ma soprattutto attraverso la sua decontestualizzazione (decontestualizzazione o camuffamento tanto di espressioni scientifiche sia letterarie sia associazioni banali). Esso è simile alla luce scomposta che, filtrata da un cristallo, si divide nei vari colori che prima la componeva, esplicitando così la simultaneità che vado ricercando.



Punto 0

Non posso,
forse,
non possiamo più vivere
misurando ogni cosa con la precisione
delle vecchie coscienze,
come si faceva prima.
Ci schiacciano fra ciò che dovrebbe essere fatto
e ciò che non è stato,
mentre l’eredità delle strade
si dissolve
nell’orizzonte degli eventi.
 


Endimione
A Filippo poeta e sognatore

Ognuno ci mette sempre un po’

per disintossicarsi
dai paradisi artificiali,
precipitando,
a gravare sull’esistenza
con la massa dei sogni, suggeriti dalla terra.

Mentre la schiena incuna
lentamente tutto lo spazio,
il capo si appoggia sulla spalla

Per ascoltare

le orbite liriche delle tombe
che gli hanno insegnato
a non amare la Luna.
O come non sia peccato
dormire sull’erba
col Mercurio nelle vene,
mentre gli occhi piangono simultaneità
sulla desolazione delle strade,
che inspiegabilmente,
germogliano occasioni in titanio.




Persefone

Pacifici Usignoli gocciano
la notte sui muri, che versano
voragini ai piedi del letto
e incupiscono tutti i lenzuoli,

mentre le pieghe impallidiscono
sul viso aurorale di Persefone
stesa sotto le trasparenze
appena fuse dal suo seno.

I capelli sepolcrali abbracciano
il ventre in cui l’io esula,
e sfiora il flusso primordiale,
per esalare la sua morte.

Ma è quando i silenzi collassano
a frantumare il tempo che emergono
le attese in cui si svuota
tutto l’obbligo di essere umani.



Apnea

Chiudo gli occhi, svuotando il respiro dal corpo.
Quando si rompono i cieli di abissi

Sotto i piedi si abbuia il mattino, e imbeve le stelle
ferme ai bordi del suo orizzonte,

che sprofondano insieme a me verso il centro dell’ombra,
mentre dimentico nella marea

l’identità dei contorni, per prendere ancora il fiato.