giovedì 5 gennaio 2017

Il bisogno del pieno che riduce l’impotenza del nulla

recensione di Elena Varriale 
alla raccolta Ani+ma di Marco Colonna

http://www.faraeditore.it/html/filoversi/ani+ma.html


Il dolore della morte scava, svuota, solca la pelle e la mente. L’assenza di chi ami, soprattutto se è la madre si fa seme che moltiplica radici nella carne. È l’ineluttabilità del non c’è più a risuonare nel vuoto, l’assenza del corpo amato che preme e si addensa nelle vene, nei pensieri, nel ventre. La morte si fa allora “un baratro lineare / che si percorre ad occhi chiusi” precipitando nel distacco, nella mancanza, nell’impalpabile distanza.
È questo l’humus emotivo e psicologico su cui si dipanano i versi di Ani+ma, la silloge d’esordio di Marco Colonna, segnalata al premio Faraexcelsior e pubblicata da FaraEditore, 2016. “Preme sul costato il ferro dell’addio / e spinge fino a che sia morte viva/e incandescente” scrive l’autore. Il suo è un bisogno di dialogare, al di là della vita e della morte, con colei che “vita mi ha donato partoriente”. Il dolore conduce per mano nei palpiti sanguigni del cuore che solo la poesia può consolare, dipanare o soltanto attenuare.
Quasi fosse un respiro trattenuto troppo a lungo, prende corpo, accanto alla consapevolezza dell’impotenza, il rimorso: “io che non ti ho trattenuto / e non ti ho salvata”. Un grido intimo del figlio alla madre, un tentativo di riannodare il cordone ombelicale tagliato per sempre: “Madre, il letto della dimenticanza / era vuoto delle cose di te. Mi vedi?”
La madre, presenza assenza che “non spira mai, ma lascia traccia / liquida di sé, goccia che precede / con l’essenza, sopravvissuta / a infiniti sacrifici e battiti”. Ecco, dunque la privazione, l’assenza farsi essenza che accompagna i gesti ed i pensieri del vivere quotidiano. Quasi una carezza che viene dal profondo e rassicura il disperato mi manchi: “Mi è cara questa quantità / possibile di silenzio / per contenere / della tua presenza il pieno”.
“A un cuore in pezzi” ha scritto Emily Dickinson “nessuno s’avvicini / senza l’alto privilegio / di avere sofferto altrettanto.” 
Bisogna aver vissuto l’afflizione del distacco dalla persona amata, conoscere la perdita e lo spasmo della mancanza per sentire tutta la contrizione e la disperazione dei versi di Marco Colonna. Perché fare i conti con la morte non è mai facile, ci pone innanzi alla nostra stessa finitezza di esseri viventi sulla terra: “Seminiamo dubbi e speranze in acque fonde/e nulla cresce all’orizzonte mai/che non sia un’alba che non ci compete/ripetuta all’infinito finché il respiro ci sia dato”. 
Non a caso il viaggio interiore di Marco Colonna continua nella ricerca di radici e di significati nella Vita, nella Terra, ma soprattutto nell’Amore, lì dove risiede il senso più profondo dell’essere: “il nostro amore mangiato come pane / e mentre il mondo muore, / ancora sconosciuti, abbiamo fame”.
Un amore di carne, d’intesa, di desiderio e di anima. Il bisogno del pieno che riduce l’impotenza del nulla. Un amore che unisce, che si concede, che dà gioia e riempie di sé il mondo: “Di te” scrive Colonna “mi resta addosso / il sapore del tuo cuore”.

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