lunedì 10 aprile 2017

Farla finita

poesia di Gabriele Via per il Giovedì santo.


Mantegna: Orazione nell'orto


Farla finita

Finalmente dormire, quando è tempo
dormire nel tempo che viene, da sé.

Sapere cerca di ordinare le cose;
ma è non sapere che riconosce la verità.
E dormire a clausola del giorno
dormire nel tempo che viene da sé e che va.

Le cose a parole si possono solo complicare.

Eppure nella loro immediata semplicità
andrebbero colte al volo, col nome
di colpo e cantate, sollevate
dallo spirito che tutto pervade
e lì riconosciute, come il pittore
che tra la materia e la luce smuove realtà
che a parole si possono solo complicare.

Dormire anche senza la finta dieta
dello sciamano finto, nel finto villaggio.
Dormire per davvero. Dormire a prova del cosmo.
E farla finita, nel silenzio di una palpebra
e tutto intero il mondo licenziare:
per Adamo, Caino, Narciso e Amleto,
dormire veramente nell’acqua del Lete.
Tanto, di norma, tutto è già successo:
e manchi solo tu, ora, qui:
novità del giorno che attende nome.
Non è un’esagerazione. Bada bene. Anzi
è proprio il suo contrario. Se ci pensi:
qui, ora, manchi solo tu. Niente altro.
Resta un mistero: come mai ciò, anziché
dare la misura, finisca col montarci la testa.
Io ho sempre sostenuto che il difetto è di fabbrica:
la cosa è ben documentata…

L'uomo che giovedì passa da qui
sembra non appartenere alla storia
di questa residenza, se non appunto
per quel suo passare di qui, giovedì.

Gli alberi a quest'ora avranno messo già
la chioma. È così bello stare vicini,
che sembra tutta la vita. Non sempre
le parole raggiungono ciò che diventa
corpo luminoso dell'esperienza.
E noi cerchiamo, se viviamo.
Le stesse parole che dicono albero
come faranno a dire radice e cielo?
Eppure ci crediamo fino al punto
di scatenare ancora un’altra inutile guerra.
Guardare e ricordare come va a finire
la sera nella morsa buia della notte.

L'uomo che giovedì passa da qui
sembra non appartenere alla storia.

Le cose a parole si possono solo complicare.

Ci sono morti che vivono ancora
negli occhi dei più fragili
qui sopravvissuti
e questa loro voce
che non conosce luce
nel sole di quest'oggi,
ma l'affanno rumoroso,
di stremate lacerazioni
per quel mistero che non permette
loro essere qui, mangiare del pane.
Questa voce loro, muta e densa
e che urta fredda sul nostro cuore
ci visita come quello straniero
che arrivi dagli abiti stravaganti
in mezzo alla nostra quotidianità.

Cosa volete dirci, amici andati?

L'uomo che giovedì passa da qui
sembra non appartenere alla storia
forse ha qualcosa da dire, ma non a te.

Un silenzio che sembra ripetuto
pare quasi un suono che non ha nome.

L'involontaria fascinazione dell'eterno
che aveva a lungo abitato
nel quotidiano ignaro gli oggetti,
un bel giorno si sveglia, ed ha una voce.

La segreta gioia della ricerca è fermarsi,
farla finita: alzare lo sguardo, finalmente
sapere guardare, e sapere che basta
questo meraviglioso
inspiegabile guardare e vedere
nel sentire che tutto pervade
senza potere effettuare nessuna misura
salvo la parola, che ti salva
e procede, per ogni altra procura.

La parola, la stessa diversa parola
che minaccia al cuore il risveglio
dell’uomo che giovedì passa da qui. 

 

9 aprile 2017


 

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