martedì 29 agosto 2017

L'arte che brucia

di Adeodato Piazza Nicolai


Joseph Mallord William Turner, Incendio delle Camere dei Lords e dei Comuni del 16 ottobre 1834.


RAMBLADERA


La movida spagnola o meglio

della Catalogna sta soffrendo il terrore

del fondamentalismo jihaddista.

La pista della morte si spande per l’Europa

come la peste nera dell’epoca medievale.

Allora non c’erano kalashnikov e cinture

esplosive, soltanto alabarde e topi infetti.

I danni erano lo stesso immanenti senza

Imam radicalizzati alla violenza e con poca

coscienza: allah akbar, allah akbar

le loro urla di odio e vendetta. A questa

sorte vigliacca risponderà una civile

vigilante vedetta…




© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 22 agosto, ore 15,15




PULCINI


Questa notte
ho sognato
un pulcino
smarrito nel bosco.

Impaurito dal casino
ha scoperto la strada
dove un’auto
l’ha schiacciato
sull’asfalto.

Un groppo
nella gola
m’ha svegliato.

L’ho raccolto.
Era morto.

L’ho sepolto
nel muschio
fra licheni
e ciclamini.

Siamo
così bambini
maciullati
dalla suerte?


© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 24 agosto, ore 6:20









ARBEIT MACHT SLAVE



        Senza cuore e senza coscienza

        l’uomo è il peggiore animale…



      Nei lager il lavoro rendeva tutti

      liberi di morire lentamente.

      Arbeit Macht Frei… schiavizzati fino

      alla soluzione finale, orrenda, fatale.

      Schiavi rinchiusi come capri espiatorii

      nei capannoni maledetti, freddi, affollati

      finché le ciminiere sputavano le ceneri

      rosso-sangue. Schiavi visitati dal dolore

      dalla fame e dalla paura senza confine.

      Arbeit Macht Slave: capelli, anelli,

      scarpe, vestiti, scheletri raggrinziti

      ammucchiati

      sono le preghiere al cielo grigiomuto –

      imbuto di vite bruciate nel nulla, culla

      del mare/male…



      © 2017 Adeodato Piazza Nicolai

      Vigo di Cadore, 28 agosto, ore 11:47





ANEMA E CORE, poesie di Arianna



Le emozioni traslate in versi attraverso il sangue nelle vene, le sinapsi del corpo e dello spirito sono il sine qua non che dà forma, cioè “informa” la poetica di Arianna Bidoli Anselmi: quel prezioso “filo di Ariadne” che raccoglie sentimenti, paure, speranze e visioni. Il futuro è partorito nel ventre del passato. S’incarna nei versi dedicati ai figli, a tutte le persone a lei care e vicine ma  anche a quelle sconosciute, ammalate, depistate dai rumori della vita.

Il suo primo volume, Fiori di vetro (2013, Piazza Editore) dipinge ritratti affettivi, come nella poesia “Ai miei figli” --



      Amori miei,

      lo sguardo si posa

      su valli incantate.



      Felicità totale,

      completa, disarmante.

      Siete l’estremo sentire.



      Energia ascendente… (p. 18)



Seguono i versi dedicati al marito:



      Amore senza tempo

      Amore senza spazio

      Amore. (p. 20)



AGAPE (Amore) conquista i dolori, snoda le difficoltà, spiana i sentieri verso l’oltranza mentre viviamo nell’immanente. Anche eros farà la sua parte, tuttavia puntiamo sempre alla perfetta conoscenza dell’Agape anche mentre ci godiamo un’agave, una carezza figliale, una memoria di quando eravamo bambini. La poetessa aggiunge sullo sfondo la bellezza selvaggia della natura in tutte le sue sfacettature (anche quando è madre/matrigna). Basterebbe leggere le due sezioni “Parole confuse” e “Parole taciute” dove l’introspezione si fa parola e il dolore diventa amore:

      



      Alzheimer



      Ti nascondi dietro squalcite vesti.

      Lentamente, piano piano,

      silenziosissimo, ti fai scoprire.



      [...]

      

      L’impotenza mi avvolge, mi incatena.

      E un pensiero: tu sarai lì fino alla fine.

      Dovrò...forse potrò...amare anche te. (p. 35)



Ma la vita ci riporta faccia-a-faccia anche con altri sentimenti, come il panico: “Rubi il respiro, i battiti, la vita. / Nemico invisibile / arrivi all’improvviso ...” (p. 34) Ci salva la natura, con “Parole incantate”. Leggete “Primavera” –



      Petali di cristallo,

      girotondo di velluto

      intorno a sogni leggeri.



      […]



      L’anima si riempie,

      si dipinge,

      si rallegra festosa. (p. 58)



Segue la sequenza “Parole variopinte”, con la poesia Fiori di vetro che da il titolo al volume –



      Di porpora il velluto

      di petali carnosi,

      riflessi luminosi

      al sole mattutino. (p. 68)



La silloge chiude i battenti con un’ode-preghiera a papa Francesco:



    Croce di ferro e anello d’argento nella mano amorosa:

    tenera sequenza di pace futura.

    Umiltà e promesse nell’ermellino lasciato.

    Cosparsi di sogni gli sguardi fedeli. … (p. 84)



L’arco esistenziale del poeta è racchiuso e condiviso in questi umili, preiosi versi. Non resta che ringraziare il poeta per il dono che mette nelle nostre mani e nei cuori amorosi ed aperti.



© 2017 Adeodato Piazza Nicolai

Vigo di Cadore, 23 agosto, ore 14:23

Diritti Riservati dal poeta, dall’editore e dall’autore di questo saggio







AMICO MIO



      hai rosicchiato

      e maldigerito poi

      sei sbiadito come

      una nebbia ancora

      ben prima di approdare.

      Peccato…

      Hai perso fiato

      oppure la quota?

      Il lasstricato graffia

      la pelle ma le paure

      spesso sono

      così  bugiarde;si

      ficcano nei buchi

      della conoscenza e noi

      e noi ci caschiamo,

      la testa allingiù,

      finché qualunque

      domani suonerà

      l’ultima campana.

      Goodbye my friend,

      and so much more ...



      © 2017 Adeodato Piazza Nicolai

      Vigo di Cadore, agosto, ore 815






PASSIONE ARTE MESTIERE DEL TRADUTTORE



I.        

In Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione Umberto Eco scrive: “È vero che, nell’interpretare il mondo che ci circonda (e quelli reali o possibili di cui parlano i libri che traduciamo), ci muoviamo già all’interno di un sistema semiotico che la società, la storia, l’educazione hanno organizzato per noi. Tuttavia se fosse soltanto così, allora la tra-duzione di un testo che provenga da un’altra cultura dovrebbe essere in teoria impossibile. Ma se le diverse organizzazioni linguistiche possono apparire mutualmente incommensurabili, esse rimangono peraltro comparabili.” [1]

Un esempio di comparabilità che viene in mente è quello di un vinaiolo francese esperto nel coltivare un ottimo cabernet sauvignon mentre l’esperto italiano produce un magnifico sangiovese. Un poeta d’oltralpe, attraverso la sua educazione ecc., ha imparato a infondere un boquet particolare ai suoi versi che differisce alquanto da quello di un poeta italiano. Un esperto di vini sarà capace di “comparare” la fragranza particolare dei due vini. Lo stesso vale per il traduttore. L’aroma parti-colare di ciascun vino viene anche modificata dal “contenitore” del parti-colare vino: se il produttore francese imbottiglia il suo cabernet in un contenitore di ceramica mentre quello italiano lo conserva in una bottiglia di particolare vetro fumè, il prodotto verrà alquanto “condizionato” dalla “forma” e dal “materiale” del contenitore adottato. Se traduco Dante in inglese, sia contenuto che forma saranno “comparabili” cioè “quasi la stessa cosa” anche se mai potrà essere “la medesima cosa”. Perciò l’arte, il mestiere la passione del tradurre è comparabile a quello del “travasare” da un contenitore (la lingua originale del poeta) a quella di un simile contenitore (cioè la lingua ricevente — l’inglese).

Innegabili le varianti della storia, lingua, educazione cultura ecc. di ogni poeta. Resta essenziale riconoscere la sua particolare “voce”. Oltre alle tematiche, le strutture semantiche, i stili del periodo storico, rimane la “voce” a distinguere un poeta da un altro. La “voce” di Dante è asso-lutamente distinguibile da quella del Petrarca, e così via. Pensiamo alla voce di Ungaretti messa a fianco di quella di Saba o di Montale.

Il traduttore (che sia anche lui/lei poeta oppure no) assolutamente deve conoscere e riconoscere la voce del poeta che sta traducendo, oltre che a tutte le varianti sopraindicate. Ma questo non basta. Deve essere conscio di come la propria voce andrà ad impattare su quella del poeta che sta traducendo. Diventa una operazione difficile tanto quanto quella del travasare dall’originale a un altro contenitore linguistico. Essere poeta/ traduttore diventa così un vantaggio/tranello: dissociarsi dalla propria voce ed ascoltare quella del poeta che sta traducendo rimane la vera sfida. Forse in questo senso un traduttore che non è poeta e/o scrittore viene avantaggiato.

Tuttavia la sfida suprema per il traduttore è immane: essere fedele alla voce dell’originale, travasare le opere in un diverso “contenitore” (lingua) cercando di tradire il minimo possibile. Not a small challenge!



II.

La seconda parte propone di tracciare un breve sommario storico delle traduzioni statunitensi della Divina Commedia dantesca, concentrandosi specificamente nel rintracciare come “la voce” del traduttore produca un notevole impatto sulll’opera tradotta. Il poeta, critico e romanziere Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882) è stato il primo americano che ha tentato di “travasare” la Divina Commedia in anglo-americano (1867). Il suo linguaggio facilmente comprensibile, le storie pure e gentili dalle quali sono bandite le forti passioni, il tono dolce e rassicurante delle sue poesie vengono trasmesse nella sua versione della Commedia. Qualità queste identificate con il periodo storico del trascen-dentalismo che non si addicono al crudo realismo del linguaggio dantes-co, specialmente nell’lnferno.  Forse il miglior traduttore di Dante del ventesimo secolo, John Ciardi (1916-1986) dirà che la versione di Long-fellow “era incapace di offrire sia la voce della poesia moderna americana sia il vero senso del mondo dantesco.”[2]

Seguendo Longfellow, vari autori inglesi hanno tradotto la Com-media, come Lawrence Binyon nel 1933 e Dorothy Sayers nel 1949 ma con evidenti forzature nei loro tentativi di trasporre la terza rima dan-tesca nella lingua inglese, assai più povera dell’italiano nel costruire versi in rima. Tuttavia anche in questi autori/traduttori la propria “voce” si inserisce e a volte domina il mestiere di tradurre l’originale.

Negli anni ’40 John Ciardi, lo sconosciuto ma talentuoso poeta/tra-duttore, si impegna nella “trasposizione” dell’Inferno in anglo-americano. Infatti è convinto che una traduzione è attualmente una “trasposizione.” [Vedi le sue “Note del Traduttore”]. Intraprende questa difficile sfida poiché, come professore a Harward nel dopoguerra, è sempre più insoddisfatto delle versioni da usare come testi base per l’insegnamento della Divina Commedia. Fin dall’inizio ha capito l’impossibilità di fare una traduzione “word-by-word”, cioè ricostruendo parola per parola in ingle-se i versi danteschi.  Questa procedura falsificherebbe la vera natura della poesia, perciò la “trasposizione” è l’unica cosa che si avvicina alla “tradu-zione”. Per illustrare la sua teoria usa una splendida metafora musicale: “Quando il violino ripete le note appena suonate dal piano, non può ricreare gli stessi suoni, può soltanto avvicinarsi alle stesse corde.” [3]. E in questo caso pure la vasta conoscenza poetica di Ciardi, in combina-zione alle sue opere di poesia, inserisce sfumature della sua “voce” nei versi danteschi tradotti.

Il noto dantista Archibald MacAllister, professore sia all’Università di Yale che alla Brown, ha confermato che “la scelta di Ciardi nell’adottare una versione originale della terza rima (cioè far rimare il primo e il terzo verso di ogni stanza) riproducevano più fedelmente il senso e suono dell’originale.  Ha anche apprezzato come Ciardi usa un linguaggio di alto e di basso tono che rispecchia l’originale dantesco.” [4] E rinomati traduttori come Dudley Fitts, Richmond Lattimore, il poeta-e-critico Randall Jarrell e il poeta John Crowe Ransom hanno tutti elogiato la bravura, il virtuosismo ciardiano di traduttore o, usando la sua stessa terminologia, di “traspositore”.

Robert Pinksy (1940), poeta, critico e traduttore statunitense la cui versione della Commedia ha suscitato scalpore, ha optato per una sintesi dell’approccio di Ciardi con la propria “voce” e stile, prevalentemente free verse. A mio parere nessun poeta/traduttore è sempre esonerato dall’influenza della propria voce nel “ricreare” le opere di altri autori.



III. 

Come “travasare” e/o “trasporre” metafore, simili, immagini ecc., presenti nella lingua originale ma non perfettamente corrispondenti nella lingua tradotta? Lo stesso per strutture linguistiche, morfologiche ecc.? È proprio qui che il “traghettatore” dev’essere attento a non diventare “tra-ditore”. Analizziamo l’esempio offerto dal poeta e critico Giorgio Lingua-glossa nel caso specifico di una poesia di Samuel Beckett (1906-1989).

Vorrei attirare l’attenzione dei lettori sulla problematicità del tradurre questa poesia che, apparentemente, sembra semplice, e invece nasconde grandi difficoltà per il traduttore. Ecco qui due altre traduzioni (di cui una mia) molto diverse da quelle di Frasca. Io nel mio modesto tentativo di rendere la quartina originale in italiano ho puntato sulla forza dei verbi italiani declinati al gerundio… ma, ovviamente, ci possono essere una infinità di altre soluzioni espressive… Questo per rispondere indirettamente a chi ripete meccanicamente la tesi del Beckett minore in poesia, quando invece bisognerebbe leggere la poesia di Beckett come a se stante, come una modalità espressiva diversa da quelle del teatro e del romanzo…

A Francesca Diano (se ci legge) esperta traduttrice dall’inglese, sarei curioso di conoscere il tuo parere circa questa traduzione. Analogo invito lo rivolgo a Steven Grieco Rathgeb, se ci legge.

«Un giorno, studiando la filosofia del ’600, [Beckett] ebbe un’illuminazione – simile al lampo remoto perso in una notte profonda. Sfogliò le opere del filosofo belga Arnold Geulincx (1624-69) e vi trovò scritto: «Ubi nihil vales, ibi nihil velis» ossia, facendo eco allo stoicismo di Epitteto: dove nulla puoi, niente devi volere. Fu una grande scoperta: il modo migliore per non suicidarsi era non volere. Il modo migliore per affrontare i conflitti della volontà (compresi quelli di emancipazione personale) era l’abolizione stessa della volontà. Si applicò a questo credo da giovanissimo e così l’ebbe vinta sulle pulsioni suicide».**

Gnome

Spend the years of learning squandering
Courage for the years of wandering
Through a world politely turning
From the loutishness of learning


Traduzione mia:

Gnomo

Scorrono gli anni dell’esperienza dissipando
il coraggio per gli anni vagabondando
attraverso un mondo che gentilmente ruotando
dalla volgarità dell’apprendimento

Traduzione di Frasca:

Passano gli anni dell’apprendimento
A dissipare il coraggio per gli anni
In cui vagabondare dentro un mondo
Che con garbo si libera ruotando
Da ogni grossolano apprendimento

Altra traduzione:*

Gettar via gli anni di apprendistato nello scialacquio
del coraggio al posto di anni di vagabondaggio
attraverso un mondo che educatamente gira attorno
la volgarità d’imparare.[5]



Gnomo



Anni spesi imparando a sprecare

il coraggio per anni girovagando

in un mondo che fugge con garbo

dal grezzo imparare.



[“trasposizione”  di A.P. Nicolai ]



La “voce” del traduttore/traduttrice senza dubbio impatta ogni versione citata. Come dice sopra l’autore: “ci possono essere una infinità di altre soluzioni...” Per esempio, ho scelto di tradurre “politely turning” con “fugge con garbo”: “turning from” può essere interpretato come fuggire; la frase “the loutishness of learning” con “dal grezzo imparare”. [6] 
Tuttavia è facile individuare la voce, il timbro di ogni “travasatore” di questa quartina beckettiana . Questo non diminuisce le tante difficoltà, le insidiose sfide affrontate da ogni traduttore/traspositore. Anche questa è la bellezza dell’arte, del mestiere e della passione del tradurre.



© 2017 Adeodato Piazza Nicolai

Vigo di Cadore, Domenica 6 agosto 2017



NOTE

1. Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, p. 350-1. Studi Bompiani. Il campo semiotico, a cura di Umberto Eco. © 2003 RCS Libri S.p.A., Milano.
2. John Ciardi, commenti, The Inferno, p. 293 (Signet Classics, published by New American Library, a Division of Penguin Books, New York). © 1982 John Ciardi.
3. Ibid., p. 294.
4. Ibid., p. 295.
5. Ringrazio Giorgio Linguaglossa editore/traduttore,“La Scialuppa di Pegaso”, come pure gli altri traduttori citati (Frasca, Diano e Rathgeb), per la loro gentile concessione di usufruire delle loro versioni.
6. Applicando gli insegnamenti di John Ciardi, nella mia variante ho seguito “my gut feelings” (i miei istinti) oltre che l’esperienza di traghettaore/travasatore per più di quaranta anni.


L’ARTE CHE BRUCIA



   Da quando l’uomo delle caverne

   graffiò con rami appuntiti nel fuoco

   i primi disegni di animali e altre cose

   l’arte è sempre rimasta quel fuoco

   scoppiettante anche sotto la brace.

   Sono passati millenni e millenni ma

   La spinta creatrice resta la fiamma

   incandescente, incompresa, nell’anima

   e sulle dita dell’artista. Ispirazione

   esasperazione infinita che spacca cuore

   mente e le mani incallite dall’intemperie.

   Vedo da Vinci, Botticelli, Buonarroti, Vecellio,

   Caravaggio Vermeer Modigliani, Picasso,

   de Chirico, Klimt Mondrian Munch, Segantini,

   la Georgia O’Keefe e tutti gli altri curvi sulla tela,

    sul marmo sulla pietra e con le altre materie -

    sudare, sognare, urlare, graffiare senza tregua,

   insoddisfatti, in cerca della perfezione inesistente

   diventata la contaminzione che li ha maledetti

   fino alla fine…



   © 2017 Adeodato Piazza Nicolai

   Vigo di Cadore, 27 agosto 2017, ore 16:20





  RALPH ELLISON, THANKS



  Another invisible man dies

  & is reborn every night.

  Thank you, dear Ralph.

  Invisibility is not gift not curse

  for any Nemo profeta in patria

  who roams the stars in search

  of the self who doesn’t show up.

  Welcome to nada, my friend,

  I hope to meet you some time

  at the corner of Sunlight & Wine.

  If you won’t come it’s all the same.

  I heard you sing at Andromeda’s

  String. It wasn’t too bad, it wasn’t

  so sad, only too far from the heart

  to record. Send me another cd when

  you can. Tonight the moon is too

  cold in my head. It makes me sad but

  the song is the same. O my dear son,

  where is the sun? I heard your son cry

  into the night. What is the motive?

  was there some reason? Don’t roam

  trasparently into the dark.

  It is far too long and too wide…



  © 2017 Adeodato Piazza Nicolai

  Vigo di Cadore, 19 August, 2017, at 02:15


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