venerdì 1 settembre 2017

Riflesso e rifratto: i raggi della poesia di D’Alessio

recensione di Elena Varriale

http://www.faraeditore.it/html/filoversi/immagineconvessa.html



Dopo aver letto il bel libro Immagine convessa del poeta irpino Vincenzo D’Alessio si ha la sensazione precisa di un lampo di luce che attraversa l'aria, si specchia nel mare e si scinde in due raggi: uno riflesso dalla superficie e l'altro rifratto dalla profondità.  

Nel raggio riflesso, il verso si fa eco di paesaggi, di solitudini e di assenze, il ritmo è incalzante, musicale, p. 14: “Tornano i lupi / sulle montagne / ovili vuoti si cibano / di miti, muoiono solitari / nei boschi di faggi, strilla / la campana nel borgo / sveglia nidi di passeri / unico residuo di fede”. C’è tutta la consapevolezza dell’anima che si è specchiata in sé stessa, che ha sfiorato la carne, la pelle, gli abissi e le risalite, nutrendosi solo di elementi naturali, p. 62: “Respira in me il falco / con il cuore di uomo / l’urlo della tempesta / il fuoco nel sole / saetta nelle nubi / dove il mondo mostra / un limite di luce”.

Lo scrittore catalano Joan Fuster ha scritto:Perché l'occhio possa vedere sé stesso ha bisogno di uno specchio. Anche la coscienza ne ha bisogno. Noi vediamo e conosciamo noi stessi solo guardandoci negli altri.”   
E in questo gioco di riflessi, il verso di D’Alessio dialoga e cerca gli altri per rivelare il senso proprio della vita e della storia, p. 20: Ti vide salire i gradini / del ritorno l’uomo nuovo / l’ombra di tuo nonno”. La circolarità dell’esistenza che si rinnova donando la vita.

Infine, nel riflesso del verso c’è sempre il riverbero di un dolore che trafigge senza dare pace: la perdita del figlio a cui il libro è dedicato, l’innaturale destino che Dio ha consegnato al poeta, p. 34:  “Ho spento un mare / di lacrime nel vuoto / della solitudine e tu / hai sorriso sul filo / del tramonto / dal suolo sono nati / figli i tuoi suoni”.

Nel libro prende poi forma, consistenza un raggio rifratto che si spezza, devia, si espande e sfiora i confini del mondo, dove il verso si fa specchio del reale. Le immagini convesse raccontano allora il tormento di chi non sa dare spiegazione all’orrore umano dei campi di concentramento, p. 40: “Non ho mani / d’argento e cumuli / di stelle per accoglierti / bambino di Auschwitz / vulcano di cenere”, all’ingiustizia di chi è nato nel Sud e deve convivere ogni giorno con l’impotenza, l’immutabilità del sistema sociale e di potere, con la bellezza struggente di una terra abitata anche da demoni, ombre, paure, silenzi. Si fa un vero e proprio grido o canto dell’anima, p. 22: “c’era un Cristo appeso al legno / un bell’organo a sostegno / dagli antichi canti corali / gente vecchia che intonava / tragico blues meridionale”.

Ma il Sud, non può che richiamare il pensiero di un altro Sud: quello dei disperati, quello di chi non ha nulla oltre la sabbia e la violenza tribale, quello di chi affronta i pericoli di una traversata su uno scafo o su un gommone, con la speranza nel cuore e la paura negli occhi. Il verso di D’Alessio si riempie così d’umanità, di amore, di rispetto e si fa richiesta, preghiera, anelito, speranza nella speranza, p. 36: “Ti chiedo un sogno / che sfiori le cime / si tuffi negli occhi / di cristallo del fiume / abbracci gli ordini / diroccati delle chiese / un soldo di sogno che / sfami il terrore di chi / viene dal mare”.


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