martedì 28 marzo 2017

Analisi e commento della lirica nr. 470 di Emily Dickinson


di Thuy Lan Francesca Ritondale

Classe II A
Liceo Classico Omero – Milano
Tema in classe assegnato dalla Professoressa Carmela Fronte – a.s. 2016/2017














Livello semantico di base

Emily Dickinson suppone di essere viva, nel suo palmo i rami sono carichi di campanule e il carminio solletica dolcemente sui polpastrelli delle dita.
Se ella appoggia la bocca contro un bicchiere, esso si appanna, e questa è la prova certa che sia viva.
È viva perché non è in una camera, solitamente la sala, così che la si possa guardare, abbassarsi, osservarla di sfuggita e dire poi quanto sia fredda e chiederle se si è accorta di essere entrata nel sonno eterno.



La poetessa è viva perché non dispone di una “dimora” tutta sua, apposita, fabbricata solo per lei, con sopra inciso il suo nome da giovane, così che chi le venga a far visita, riesca a distinguere senza fallire, utilizzando una chiave diversa, quale sia la sua “porta”.
Per lei è magnifico essere vivi ed è infinito esserlo due volte, una nella vita e adesso anche nella memoria.


Livello ermenetutico-interpretativo

 

L’autrice della poesia allude alla morte negandola e rivelando solo alla fine che stia vivendo una “seconda vita”. Di quest’ultima vi sono due interpretazioni.
La prima è di concepire la “seconda vita” come ricordo e quindi tutto ciò che è legato alla poetessa (… non sono in una stanza-; … non possiedo una casa-) è accaduto nella vita precedente ed ora non c’è più perché è finita la vita terrena e inizia quella dentro la memoria della persona.
Nella seconda l’autrice non vive nel ricordo, ma rinasce nella persona e quindi tutto ciò che è negato non è mai accaduto.


Analisi retorica

La poesia è composta da quartine in versi liberi. È ricca di enjambements (… Nella mia mano i rami / sono ricchi di campanule…; e sulla punta delle dita- / tiepido punge il carminio…; E se contro le labbra premo/ un bicchiere- s’appanna- …; Sono viva- perché/ non sono in una stanza-; … entrare/ nell’immortalità?; … -perché/ non possiedo una casa-; … riconosca/ senza sbagliare- …; … esserlo/ due volte- …) e sono presenti delle allusioni alla morte (… “Quanto è fredda”- …; … di entrare/ nell’immortalità? …) e alla bara (… una casa-/A me unicamente destinata-precisa-/ di misura soltanto mia-/Con sopra il mio nome da ragazza- …; … provando una chiave diversa/ qual è esattamente la mia porta- …).
Nelle prime strofe la poetessa cerca delle prove sul fatto che sia viva, la sua incertezza, nelle strofe centrali, percorre (o forse ripercorre) momenti specifici, oggetti specifici che non ci sono nel presente e la strofa finale è un elogio alla vita e una rivelazione d’immortalità.


Commento personale

 

La lirica nr. 470 di Emily Dickinson esprime un eterno dubbio dell’uomo: la vita dopo la morte.
A mio avviso la poesia è di un’amara speranza, velata sempre dal mistero.
Nulla di ciò che è scritto è certo,è tutto un sospetto.
Leggendo i versi riesco a percepire “il pendolo della vita”, segnato dalla sintassi interrotta, e l’alternanza tra momenti “delicati” come campanule, e altri tetri e cupi.
La strofa finale è per me la più bella e ambigua, e perciò poetica, fra tutte perchè non chiarisce il dubbio , ma lo amplia lasciando il lettore sorpreso e perplesso allo stesso tempo.
 

Secondo la poetessa si vive sempre, anche dopo la vita terrena, ma ciò che conta di più è la vita stessa, perché anche solo essere vivi nel ricordo, essendo vita, è stupendo.
Mi ha colpito come in questo componimento lirico la morte sia solo una linea, un confine e che la vita sia invece infinita.
È questo un messaggio di speranza semplice nella sua complessità.
Anche io penso che le persone possano vivere nella memoria e, anche se non come vorremmo, possano “starci accanto”.
Mia nonna, citando un pensiero del grande Padre Lacordaire, diceva sempre che la vita è l’anima, e l’anima non muore e credo siano profondamente giuste e veritiere simili parole, perché quando due anime si incontrano è difficile che si dimentichino, ed io non l’ho mai dimenticata.

“Non piangete! Vi amerò al di là della vita. La vita è l’anima e l’anima non muore.” (Padre Lacordaire, 1802-1861)



lunedì 27 marzo 2017

Il vernacolo marchigiano. Convegno dei dialetti della provincia di Ancona domenica 2 aprile a Senigallia

I dialetti della Marca Anconitana: un convegno a Senigallia
L’evento promosso dalla Ass. Culturale Euterpe di Jesi


Proseguono gli eventi e le numerose attività letterarie nonché i momenti di incontro della propulsiva Associazione Culturale Euterpe di Jesi che ha organizzato un convegno sui dialetti della provincia di Ancona che si terrà domenica 2 Aprile alle ore 17:30 presso l’Auditorium San Rocco a Senigallia. L’evento, patrocinato dal Comune di Senigallia e dalla Provincia di Ancona, è stato fortemente voluto da Lorenzo Spurio, scrittore e critico letterario nonché Presidente della Associazione e verrà condotto da Mauro Pierfederici.
La prima parte dell’atteso appuntamento vedrà alcuni relatori d’eccezione ad intervenire su alcuni aspetti dei rispettivi dialetti di zona che verranno presi in esame: l’anconitano, il jesino, il fabrianese e il senigalliese. Andrea Scaloni, autore di Grammatica senigalliese (2015) e socio fondatore della Associazione Gent’ d’ S’nigaja parlerà del senigalliese quale “dialetto di transizione” mentre Alfredo B. Cartocci si concentrerà a sottolineare l’isolamento caratterizzante il dialetto anconitano portando anche alcune letture di vernacolari noti quali Duilio Scandali. Il professore Antonio Ramini, che ha tradotto l’opera omnia di Tacito e ha pubblicato un ampio studio su Raphael Sabatini, parlerà del dialetto e della poesia dialettale a Jesi, una delle città in tutte le Marche dove la tradizione vernacolare è sempre stata particolarmente feconda a partire dalla fondazione di riviste dialettali storiche come “Il Pupazzetto”.  Il dialetto fabrianese sarà, invece, oggetto di approfondimento da parte di Teseo Tesei,  poeta noto come Anonimo borghigiano che ha rappresentato anche varie commedie sempre in vernacolo.
La seconda parte sarà dedicata a un recital poetico durante il quale interverranno vari poeti a declamare poesie proprie rigorosamente nei quattro dialetti che contraddistingono la Provincia di Ancona. Il senigalliese sarà rappresentato da Edda Baioni Iacussi, Franco Patonico, Letizia Greganti e Maria Pia Silvestrini, l’anconitano vedrà succedersi Maria Luisa D’Amico, Umberto Emili ed Anna Maria Ragni. Per lo jesino ci saranno Marco Bordini che ha recentemente pubblicato Jesi ieri (Le Mezzelane, 2016), Marinella Cimarelli, Massimo Fabrizi e Patrizia Pierandrei; per il fabrianese il già citato Teseo Tesei mentre Giovanni Ricciotti porterà un ricordo del poeta fabrianese Giuseppe Terenzi, recentemente scomparso, e la figlia di quest’ultimo, Adriana Terenzi, leggerà suoi testi.
La serata sarà allieta dagli interventi musicali dei Maestri Massimo Agostinelli ed Andrea Zampini che proporranno un percorso suadente al ritmo di suoni caldi del loro repertorio “Musiche e danze dell’America Latina e della Spagna”. Verranno proiettate immagini e cartoline storiche delle quattro città di riferimento: Ancona, Jesi, Fabriano e Senigallia.

Info:

Tel. 327 5914963

martedì 21 marzo 2017

Diploma d'onore del Premio Michelangelo Buonarroti a Il mio Delta e dintorni di Colomba Di Pasquale


La Giornata Mondiale della Poesia con Carmine TROISI


Vincenzo D’Alessio & G.C. “F. Guarini”


Questa mattina, nel complesso scolastico di via Fratta, in Solofra (AV) il Gruppo Culturale “Francesco Guarini”, con il Patrocinio della Casa Editrice Fara di Rimini e l’autorizzazione della Dirigente Scolastica della Direzione Didattica della Città, con la partecipazione attiva di cento alunni delle classi quarti dei vari plessi sul territorio, hanno celebrato la Giornata Mondiale della Poesia.
Le voci argentine dei giovanissimi cittadini hanno declamato i sonetti più belli del loro conterraneo Poeta, primicerio Carmine TROISI, richiamandolo dall’eternità del silenzio al fuoco della loro conoscenza.

Bellissimi interventi hanno caratterizzato il dialogo tra il Poeta (interpretato da Vincenzo D’Alessio) e le nuove generazioni (gli scolari) ansiose di conoscere la vita, i desideri, l’inizio e le passioni poetiche, che hanno animato l’esistenza del Poeta fino a pochi mesi fa conosciuto solo da pochi.
Le insegnanti hanno svolto un lavoro impegnativo, forgiando i giovanissimi alla lettura dei sonetti, alla conoscenza dei luoghi richiamati nei componimenti, alla resa in prosa degli stessi.
La generosità di questi giovani apprendisti poeti si è rivelata in tutta la sua bellezza quando tutti in piedi hanno gridato il proprio nome a sostegno dei tanti nomi dei ragazzi come loro scomparsi a causa delle guerre, dalla fuga dai luoghi d’origine per fame o carestie, in fondo al “ Mare Nostrum ” che ha unito nei millenni le civiltà di tutto il mondo.


Un grazie di cuore alle Edizioni Fara di Rimini, da anni vicine agli studenti del Nostro Sud mediante il dono di pubblicazioni idonee alla continuità della lettura nelle proprie famiglie, alle insegnanti, alla Dirigente Scolastica, ai genitori.
 21 marzo 2017
                                             

venerdì 17 marzo 2017

Il tempo nei versi di Bruna Cicala

Tra dune di lava antica  di Bruna Cicala, edizioni I Rumori dell’Anima

recensione di Claudia Piccinno

http://www.irumoridellanima.com/2015/07/tra-dune-di-lava-antica-libro-di-bruna.html

Ho letto e riletto queste pagine di Bruna e sono rimasta affascinata dal protagonista principale dei versi, che  a mio  avviso è il tempo, sia nella sua accezione cronologica che nella sua accezione meteorologica. È incredibile, infatti, come “il tempo torna tempo nell’unica canzone”, per citare dei versi della stessa autrice. È un viaggio temporale leggere questo libro, e si rimane un po’ sorpresi, non tanto dai ricordi dell’infanzia, dei tempi che furono, che sono tematiche  generalmente abbastanza diffuse nella poesia, quanto dall’improvviso alternarsi di scrosci di pioggia, fulmini, tempeste, grandinate, neve, gelo, brina… Ecco, il tempo è presente, in tutte le sue varianti meteorologiche, in ogni verso, in ogni componimento della poetessa.
Altra caratteristica originale di questi componimenti, è quella sonorità che a volte diventa ritornello, stornello tipico della canzone: Di cenere e d’oro, ad esempio «Pugni di cenere,/ abbandonati ai fianchi di tortuosi silenzi./ Di cenere e d’oro rifulge l’intreccio in spazi senza tempo./ Ciechi gli occhi tra le dita imbrattate,/ cristalli gelati. È nota suadente, quel raggio intrigante che svela poesia./ Artigli tatuati sui palmi di cera,/ già pronti a volare. La notte dispiega le ali,/ tatuando sul cuore due pugni d’amore», è una canzone che diventa tale per le assonanze ripetute, per la sonorità diffusa, per quelle allitterazioni sempre presenti nei versi di Bruna. Pensiamo ancora a Sussurri «Nel tremulo silenzio di cerchi dilatati,/ rivesto incandescenze di lune troppo usate./E la sera cala ancora sul giorno dell’inizio», o, ancora, in She «Lui la vuole e lei non conta,/ lei lo vuole e lui rallenta./ Poi il gioco si fa acceso/ sullo scoglio scivoloso». 
Ci sono vari giochi di parole ed escamotage linguistici in più componimenti e ne consegue un ritmo a volte lento, a volte sincopato, ma senza mai incidere sulla musicalità. La poesia di Bruna è una poesia di attese. Di attese, sì,  aspettando che si esprima la stessa indole della poetessa. Nel frattempo, nei vari momenti della giornata, c’è sempre l’aurora… che, come dice la Nostra, scroscia la vita. Anche le scansioni dei ritmi del giorno vogliono significare per la poetessa qualcosa: inizi, aperture al nuovo, attesa dell’imprevedibile. È come se la poetessa avesse sempre un piano B nel cassetto, per affrontare i dolori, i dispiaceri, ma anche le gioie che la vita riserva.
Un libro da leggere e rileggere, perché dietro la filosofia di vita apparentemente spicciola si nasconde una grande saggezza.

martedì 14 marzo 2017

Apollinaire nella nuova lettura di Mario Fresa

Recensione di GIUSEPPE MANITTA


Siri Nergaard nell’introduzione al volume miscellaneo “Teorie contemporanee della traduzione”, uscito per Bompiani in ristampa nel 2014, sostiene che sia opinione di molti considerare la traduzione alla stregua di una riproduzione identica dell’originale. Leggendo le traduzioni di Mario Fresa confluite nel suo recente libro “In viaggio con Apollinaire” (con disegni di Massimo Dagnino, edizioni d’arte L’Arca Felice), ci viene in mente per contrasto il passo appena citato e, in contemporanea, un’operetta un po’ più antica: il “De interpretazione recta” di Leonardo Bruni. A distanza di oltre cinquecento anni (l’opera bruniana è databile tra il 1420 e il decennio successivo), il problema-traduzione come fedeltà e interpretazione permane e, in alcuni casi, con i medesimi termini. I testi di Mario Fresa, dunque, prima ancora che essere letti come semplici traduzioni debbono essere considerati secondo il loro valore letterario, individuando il “senso” che l’autore ne vuole dare. Sarei molto cauto nel definire “tra-ductio” quanto Mario Fresa ci offre, ma mi riferirei ai suoi testi nel termine di imitazioni, come riappropriazione di Apollinaire, perché non possiamo sottovalutarne la correlazione con altri testi e il ripensamento in un contesto altro (Bachtin). I versi vanno oltre, dunque, il “trans-ducere”, ma vivono di una luce propria, potremmo dire cogliendo l’anima del loro archetipo. Questo è il valore che Mario Fresa ci permette di cogliere, a mio avviso.


Continua a leggere l'articolo qui





Sopra, un calligramma di Apollinaire tradotto e disegnato da Mario Fresa (2016)











lunedì 13 marzo 2017

Primavera del poeta cinese Máng Kè tradotta da Ardea Montebelli

芒克 (Máng Kè)


春天

太阳把它的血液
输给了垂危的大地
它使大地的躯体里
开始流动阳光
也使那些死者的骨头
长出绿色的枝叶
你听,你听见了吗?
那些从死者骨头里伸出的枝叶
在把花的酒杯碰得叮当响
这是春天

(1983年)


 

Primavera

Il sole diffonde
la sua linfa vitale
per la terra agonizzante:
spande i suoi raggi,
da ossa di morti
fa crescere rami e foglie verdi.

Senti, hai sentito?
Rami e foglie
che si allargano
toccano e fanno risuonare
calici di fiori.

Questa è primavera.

(1983)


traduzione di Ardea Montebelli (qui sotto a sinistra il nome cinese di Ardea e a destra il carattere “chun” (primavera): calligrafie della stessa Ardea)

 

La Giornata Mondiale Della Poesia 2017

di Vincenzo D’Alessio & G.C. F. Guarini

Quest’anno la Giornata Mondiale Della Poesia verrà celebrata all’insegna della Pace e della Solidarietà per coloro che fuggono dalle Guerre, dalla Fame, dalle persecuzioni razziali nei propri continenti.
Sponsor ufficiale della Giornata sarà la Casa Editrice Fara di Rimini guidata dal dottore Alessandro RAMBERTI che ha donato ai giovani lettori un volume a testa al fine di invogliarli alla lettura al di fuori delle aule scolastiche.
Ad accogliere l’invito del Gruppo Culturale “Francesco GUARINI”, per la celebrazione della Giornata, è stata la Direzione Didattica di SOLOFRA (AV) guidata dalla dottoressa Antonella AMBROSONE.
Circa novanta alunni delle classi quarte, dei plessi di Fratta, Cappuccini, Sant’Agata e Sant’Andrea, hanno iniziato lo scorso novembre 2016 le attività connesse alla manifestazione guidati dalle loro insegnanti che hanno scelto il tema del “ Sonetto” in occasione del Centocinquantesimo anniversario del sacerdote e poeta Carmine TROISI (1866- 1948) che ha cantato la “ Pace” quale strumento solidale per raggiungere la dignità nel lavoro e nell’esistenza.
La Giornata si preannuncia carica di entusiasmo da parte dei giovanissimi partecipanti, coadiuvati dalle loro famiglie, come è possibile rilevare dalla foto che una folta rappresentanza ha realizzato ai piedi della lapide, disposta dal Comitato per le Celebrazioni del Cinquantesimo delle nascita(1916) del Sacerdote Poeta, sulla parete che sovrasta il sagrato della Collegiata di San Michele Arcangelo, Patrono della Città:


 








Il mio Delta 2^ finalista al Premio Astrolabio

La pluripremiata raccolta Il mio Delta e dintorni di Colomba Di Pasquale è risultata 2^ finalista al  PREMIO NAZIONALE DI POESIA “ASTROLABIO 2016/17” In memoria di Renata Giambene, 7° edizione del Terzo Millennio, Presieduto e diretto da Valeria Serofilli




Verbale di Giuria
 
PRIMA SEZIONE: VOLUME EDITO DI POESIA (56 partecipanti)
In Giuria, presieduta da Valeria Serofilli, Presidente del premio, Ivano Mugnaini, Andrea Salvini, Antonio Spagnuolo
1° Classificato – Ubaldo de Robertis, Parti del discorso (poetico), Marco Del Bucchia Editore 2014
2° Classificato – Gianpaolo G. Mastropasqua, Danzas de Amor y Duende, Enkuadres 2016
3° Classificato – Filippo Ravizza, Nel secolo fragile, La Vita Felice Edizioni 2014
4° Classificato – Franco Casadei, La firma segreta, Itaca Edizioni 2006

PREMIO ALLA MEMORIA
Narda Fattori, Dispacci, L’Arcolaio Editore 2016
Veniero Scarselli, La suprema macchina elettrostatica, Genesi editrice 2010

Premio Speciale per l’originalità del testo
Sandro Pecchiari, L’imperfezione del diluvio, Samuele Editore 2015
Premio Speciale per la forza espressiva del volume
Lorenzo Spurio, Tra gli aranci e la menta, PoetiKanten Edizioni
Premio Speciale della Giuria
Annalisa Ciampalini, L’assenza, Giuliano Ladolfi Editore 2014
Premio Speciale del Presidente di Giuria
Vivetta Valacca, La danza delle onde, Campanotto Editore 2016


https://www.faraeditore.it/html/filoversi/mioDelta.html
Finalisti in ordine di graduatoria
1° Marco Onofrio, La nostalgia dell’infinito, Edizioni Ensemble 2016
Colomba Di Pasquale, Il mio Delta e dintorni, FaraEditore 2014
Giancarlo Baroni, Le anime di Marco Polo, Book Editore Poesia 2015
4° Stefano Massetani, Invidio il vento, Giovane Holden Edizioni 2016
5° Marica Larocchi, Grandangolo, Edizioni Joker 2015
6° Cristiana Vettori, Se qualcosa ci salverà, Edizioni Helicon 2015


Menzione Speciale in ordine di graduatoria
1° Marco Baiotto, L’eredità della scienza, Campanotto Editore 2014
2° Maria Velia Lorenzi Bellani, Il nome, Titivillus 2008
3° Alfredo Rienzi, Notizie dal 72° Parallelo, Joker Edizioni 2015

venerdì 10 marzo 2017

La cautela sta nel dirsi le cose / un po' a metà…

Colomba Di Pasquale: Circostanze certe, FaraEditore 2017

recensione di Vincenzo D’Alessio


 
https://www.faraeditore.it/html/filoversi/circostanzecerte.html

Esce con i tipi delle edizioni Fara di Rimini la raccolta poetica di Colomba Di Pasquale che reca come titolo: Circostanze certe.
Andare a fondo sulle “circostanze”, nell’armonia del mondo femminile, è sempre complesso, multiforme. Lo dicono i versi della composizione La cautela, a pag. 33, nella prima delle tre sezioni in cui è suddivisa la raccolta “del ricordare”:

“(…) La cautela sta nel dirsi le cose / un po’ a metà / perché tutte intere significherebbe / non essere cauti ma vulnerabili.”

Un mondo raccontato in versi sciolti con qualche frammento di rima alternata anche nel corpo della poesia; versi ricchi di similitudini, di anafore; armonizzati dalla mancanza di punteggiatura per rendere lieve la lettura; mondo prettamente votato alle circostanze contrastanti del reale, dell’immaginario collettivo, dell’insostenibile leggerezza dell’esistenza.

Il testamento del dettato poetico è esplicito nella poesia eponima della raccolta a pagina 43, che nel finale recita:

“ (…) e perdersi senza disancorarsi / dalle obbligatorie certezze, / quelle che ci riportano ai giorni uguali. / Perché sì, / si può volare, / si può sognare, / ma poi c’è sempre da atterrare, / nell’atterrare evitare di cadere.”

La condizione che le certezze obbligano all’attenzione per non farsi male, in un mondo condiviso con gli uomini, impongono di valutare attentamente le circostanze per atterrare senza cadere:

“(…) si vive per tentativi / per restare vivi” (pag. 47)

Due poesie mi hanno colpito molto per la bellezza che promana dal modo di raccontare la felicità.

La prima è a pag. 25, Elogio dei tuoi piedi: versi che scivolano nella descrizione del soggetto (vedi anche la poesia a pag. 60, Da Viv, e la dedica all’inizio della raccolta: “a Vivian e alle persone gentili della mia vita”), nella tenerezza dell’imprimere a parti del corpo una autonomia giocosa: “(…) Li sposo i tuoi snodati piedi / ogni alba e ogni tramonto / e li passeggio nella veglia / del mio guardarti. / Mi sorrido dentro”. La metafora albero/corpo contenuta in questa stessa poesia.

Ammetto che è particolare l’accostamento di una parte del corpo dell’amato con la callida iunctura: “li passeggio nella veglia”: l’astratto reso concreto.
Bello anche l’accostamento dove la forza dei piedi, che reggono il corpo e permettono i movimenti importanti del moto, viene comparata a quella dell’amore:

“(…) e forte riluce il mio amore per te / e per i tuoi fecondi piedi.”

La seconda poesia è a pag. 31 della raccolta: A contrario, dove l’adesione alla certezza delle circostanze permette un barlume di differenza e di felicità:

“(…) Felice pensai / che bastava cambiare direzione / per vedere più chiaramente, / ossia a contrario.”

Nella raccolta sono elencate molte altre motivazioni con forte tenuta con il titolo.

Ad esempio la poesia a pag. 27, Non sapeva nuotare: è descritta la tragedia dell’immigrato venuto dal Senegal e scomparso nelle acque del mare perché non sapeva nuotare. La poesia Compro oro, a pg.12, che apre la raccolta, dove si specchia la condizione degli immigrati chiamati ad esercitare questo antico mestiere.

Il tema della mancanza di lavoro e della crisi incombente da troppi anni, che sta distruggendo la vita, le speranze e le famiglie di tanti nostri connazionali, viene ripreso nelle poesie a pag. 14, Concorso; Il venditore di telefonini a pag. 19; Crisi econimica a pag. 36; e altri temi ancora.

Chiude la raccolta di Colomba Di Pasquale, risultata tra i vincitori del concorso poetico indetto dalla Casa Editrice Fara di Rimini, Versi con-giurati, la raccolta della poetessa, e in questo caso componente della Giuria del concorso, Anna Ruotolo dal titolo Un cuore e la Balena.

Come la raccolta che precede, il dono dei versi che Anna Ruotolo fa alla Nostra ha tre sezioni: “Prima” , “Dopo” e “Infine” (da pag. 67 a pag. 72). Versi che affrontano la certezza del dolore, le circostanze dell’esistenza universale, mediandole nella metafora della grande “Balena bianca” del racconto di Herman Melville.

Giusto accostamento tra due poetesse che traducono il mondo al femminile con versi carichi della sacralità che compete a chi crea continuità di vita nella maternità, nell’Amore vero verso l’Umanità sofferente continuamente vessata dall’invidia verso la bellezza e la felicità dei più deboli:

“Nella storia, / ogni tanto, / passa enorme / una balena. / A me fa paura. / Ma lei / del mio cuore / paura / non ne aveva.”

La balena ha il dolore delle guerre. Il dolore di chi non ama la diversità umana. Il dolore che manda in frantumi il piccolo cuore azzurro dei Poeti:

“Il mio cuore è lanciato / dentro al mare. Lo vedi, / e non lo vedi più. / Ma chi può sapere fino alla fine… / lascialo andare / e dì solo grazie… grazie…” (pag.70).

Come ogni forza vitale i versi di Ruotolo dichiarano il dolore ma sublimano anche le speranze di chi legge, di chi leggerà questi versi:

“(…) Balena che inghiotti con disgusto / prendi nel vuoto il leggero retrogusto / del raro momento di allegrezza. / La pietra era rossa. / Rossa e carne era la pietra. / Qua il blu è tutto ciò che si vede. / Ma che fosse rossa… / anche la balena, ora, lo crede.” (pag. 72).

Il rosso è il colore del sangue versato, della passione per la continuità della vita, la volontà di restare a combattere in quell’immenso mare che è l’Umanità, tentando di contenere le Circostanze certe.

Nuvole sparse: Adalgisa Zanotto

dire cielo


in fondo al cielo
una canzone si connette
alla pelle
poi di colpo inventa
un prato in girotondo
che non capisci ancora
come ha fatto il celeste
a crescere così in fretta


***

cielo fedele
al cielo luminoso di grida nomi stelle
non fuggire
ti troverò anche nei luoghi banali
tanta la nostalgia del chiarore
s’annida nelle pupille
sulle guance sulle gambe
nel ventre s’attacca
in cerca di pace sdraiata

toccami di nascosto
come adesso
io e te in volteggio d’amore
tinto da un’onda
difendi negli occhi il colore


***

chi cerca giorni benedetti
sulle labbra e nelle orecchie
il gusto fresco di quando si è vivi
allunga al cielo mani sorelle
non dimentiche del nome
di padre e madre visti partire

al cielo porge un latte tiepido
inzuppato di carezze a respiro lento
nella tazza sbeccata del mattino
davanti la porta in movimento
a conferma che tra terra e cielo
non c’è maniglia che chiude


***

che non ti salti in mente
di non guardare il cielo ogni sera
sentirlo nido di salti e capriole
prima d’ogni favola sotto le lenzuola
annusarlo un letto grande
che ti accarezza senza mani
e due cuscini​_giocattoli da lanciare
in alto come ostaggi
di tenerezza d’aggiustare

il cielo scorre intorno ore
con nome di madreperla
una lingua dimenticata chiama
parole nuove di cui non ricordi
il senso_ muove la tela bianca
davanti la finestra fino al mattino


Adalgisa Zanotto

(inediti)






martedì 7 marzo 2017

Al Dio del caos

Gabriele Via,  7 marzo 2017


Al Dio del caos


Cosa dicono i tuoi piedi,

e la loro antica mancanza di parole

incamminata alla cieca verso la luce?

Non basteranno i soli respiri della vita.



Ti amo anche per questo silenzio

davanti alla fragilità corporale delle cose:

respiro che permette il respiro del respiro.



Delle volte un passaggio a livello

risuona nella mia memoria

e un cancello, e l'odore selvatico

e pungente della mentuccia

calpestata e una luce fresca

di colori e ombre dolci

e tutto vive nel nome

impronunciato del presagio.



C'è un’età nei giorni della vita

che ti guardi attorno da ogni parte

e da ogni parte, attorno, altri giorni,

altre vite, la tua compresa,

saldato anello di fuoco e desiderio

e dolore in un provenire di voci

abbracci, sorrisi, slanci e strappi.



Poi subito chiude gli occhi Narciso

e dorme, egli pur nato,

figlio del Cristo implicito.

Dorme Narciso, non la notte che attende

il giorno: e nessun incantesimo.

Dorme prima delle domande,

e dopo le luci delle rivelazioni.

Dorme

quando i vent'anni

hanno sapore di eternità.



Così nel silenzio di tutte le cose

la vita si affaccia nuda sul futuro

anteriore dei colori ignoti

del suo tempo crepato

che si manifestano

misteriosamente

solo nel remoto di sé stessi, lì,

quando il suono dei nomi

ancora non poteva essere.



Non basteranno i soli respiri della vita:

ti amo anche per questo silenzio

davanti alla fragilità corporale delle cose.

E quel respiro che permette il respiro

del respiro visto, meravigliosamente:

il tremore che precede le cose.



E che nome avrà assunto il tempo

se non sarà più popolato dal ricordo?



Ci deve essere qualcosa di più

della sola forza di volontà;

qualcosa di più

del ritaglio volgare del mondo

ad opera della paura;

qualcosa di più degli indizi

seminati nel cuore della carne,

della memoria emotiva di alcuni dettagli

che ti inchiodano al respiro dell'estasi;



qualcosa di più della stanchezza

e del riposo; e delle mere cose nell'incomprensibile obbedienza

stipulata della loro universale rassegnazione,

e dell'impari lotta che la stessa vita affronta

da perdente, ogni giorno andando

alla cieca sull'orlo delle dominazioni,

per il miracolo assurdo

di donna speranza e disperazione.



Ci deve essere qualcosa di più, qui,

finché siamo qui, dove tutto pare

prenderci in giro. Qui dove tutto è

il dato puntualmente contraddetto

per luci, per ombre ed echi di nomi.



Qualcosa in più della promessa di un dopo

che archivia, assolve, distribuisce alibi

e manda in vacca ogni altra cosa.



Ci deve essere qualcosa in più,

o in meno, capace di mettere

la parola fine alle sottili differenze,

al vaglio di ogni contesto,

fra le diverse religioni

e le molte filosofie.



Ci deve essere, scritta

nell'intimo ventre del nostro sangue,

la sequenza completa della rivelazione

che risolva per sempre

questa angoscia profonda che dorme

al fondo del respiro della vita .



Esaurito il mondo,

incantesimo di rugiada,

riconosciuto l'uguale dolore,

resta il mistero del volto

che nessun catechismo,

nessuna scienza,

nessuna cultura,

nessuna mistica

e nessuna evoluzione

ha nemmeno soltanto sfiorato.



Resta per noi sola e tremante

la parola viva di Gesù, l'uomo.



L'incomunicabile mistero dell'incontro

e ciò che ancora avviene, qui

libero dal reticolato paranoico delle parole

dove la bellezza quasi vale un perdono.



Dietro il velo dell'ignoranza,

la tigre della paura.

Dietro la tigre della paura,

il serpente che torna corda.

Dietro la conoscenza della corda,

ancora la paura del vuoto.

Dietro la paura del vuoto la presenza

estatica della sola paura

che danza sospesa nel vuoto.



Il frutto della conoscenza:

non c'è forse mito più potente,

dietro cui, semplicemente,

non c'è più niente...



Gìrati, guarda la voce. È tutto finito.

È tutto finito. Respira. Lo senti?

L'intero mondo geme sulla croce.

Non lo sa, non si vede, non ci crede.



È tutto finito. Solo mistero

della gratitudine infinita

meravigliosa libertà di camminare,

e nella roccia ancora l'acqua sarà

spacco capace e vita a sgorgare.

lunedì 6 marzo 2017

Giornata internazionale della donna

di Vincenzo D'Alessio




 



8 marzo 2017


Ho desiderato questo amore

Ché durasse oltre la morte,

È finito prima di arrivare

A cent’anni: spentosi dell’ardore

È sceso nel suo destino

Dimenticato dagli occhi umani

L’ha colpito un maleficio,

Ed io non so se è stato amore.

venerdì 3 marzo 2017

Su Quasi Partita di Alberto Mori

recensione di  Andrea Rompianesi 

https://www.faraeditore.it/nefesh/quasipartita.htmlAlberto Mori in un suo testo di poesia del 2010, “Performate”, aveva sviluppato una particolare interpretazione del gesto fisico, della corporeità creativa. Oggi, questa espressione si decide per un’applicazione tangibile in Quasi Partita, la più recente novità poetica dell’autore, dove il gesto si identifica, apparentemente, con una teatralità rappresentata da una “quasi”, appunto, partita di tennis. La pagina si fa campo di gioco ma, in realtà, spinge l’osservatore/ lettore a ben altra indagine. L’occhio osserva con pietà e riconoscenza, citando Camus, dove l’esistenza è segno grafico che si ritraduce in voce. L’elasticità è sinuosa ipotesi di ampliamento sensoriale, come il destino quotidiano che non tarda a deviare dal nostro progetto. Obliquo diviene l’accorto accorrere delle visite accelerate e deterse. C’è forte un sentimento di liberare i confini in modo netto e inesorabile, senza ignorare il fragile indizio di ricerca che si contiene, smarrito. I componimenti, spesso di quattro o cinque versi, inducono a percepire, nel timbro dei colpi inflitti dalla vita, sudore frutto dello sforzo battente; così come le parabole disegnate nell’aria ricaduta divengono schemi analitici di geometrie inconfessate. Virgulti taumaturgici di esplicate sinestesie ove l’incrocio delle traiettorie diviene poiesi, nella lunghezza imprevista di un invio imprendibile. L’immagine conduce al ritratto della vita stessa che implica l’accettazione dei confini entro i quali agire, cogliere, pensare, amare. Il movimento vince la sua sfida inesausta; condensa nei segni il punto / regola della trattazione imminente. Non è il gioco ma “si” è in gioco, quotidianamente, applicando allo spazio una “strategia naturale”, sempre dal fondo delle nostre inquietudini. “Al momento del fato / … la velocità slitta”, mentre “la pausa vola via” come la sussistente iterazione concordata dalle regole dell’inizio. Certo, nella sfida esistenziale raffigurata nella metafora tennistica, Alberto Mori ci riconsegna l’emozione di una sfida performativa “dove impatti assordati / raddoppiano e muoiono attutiti”.

mercoledì 1 marzo 2017

Il poema di Griselda

Griselda Doka, Solo brevi domande esiliate, testo in albanese a fronte, pref. di Pierino Gallo – postf. Di Angela Caccia, Rimini, Fara, ristampa 2016, pp. 96, € 9.00

Nota di lettura di Maria Lenti 

https://www.faraeditore.it/html/filoversi/Griselda.htmlUn poema: per la madre, la sua terra,  le origini e per ciò che, lontano nel tempo e distante nello spazio, vive dentro di sé come valori, etica, memoria. In una vicinanza mai svanita: «Non posso immaginare un cammino / senza scorgere le montagne / busti eretti a vigilare sulla mia attenzione / così come non potevo correre via / senza inciampare sui sassi / (peccato solo per quei fiori di mandorlo calpestati / dovevano profumare la tomba della nonna)» (XX, p. 57).
Griselda Doka si veste del suo passato per ritrovarsi e abitare il presente. Ne rilascia acquarelli a volte, altre volte pennellate intense di un sé non schermato, altre ancora quadri di una comunità, di una società, nativamente,  acqua fresca in pieno deserto, innervati nel suo intimo: interni familiari, in cui la madre vi emerge a rimpianto, il padre a ricordo e a confronto, mentre l’intorno si fa prato calato in soluzione di continuità.
Un soggettivo vivere l’oggi, dunque, tra esilio e nuova appartenenza. Nell’indietro irremeabile va da sé la malinconia, se non il dolore (XXXI, « pensieri… che scavano la gola / e picchiano la testa», p. 83), così come nel quotidiano indistinguibile non si trovano ragioni per ridere. Ma è altrettanto vero che non si vuole «restare un pugno in faccia / o quella porta sbattuta / non lo senti il vento / come mugola all’orizzonte?» (XXX, p. 81). Ed è chiaro che non ci si attesta sull’immobilità: «Chi eravamo ieri? / Dove siamo oggi? / … Vorrei plasmare ancora speranze / e tessere le glorie / senza scontare i conti» (XXIII, p. 65).
Si presume, non essendoci indicazione, che i testi in italiano siano della stessa Griselda Doka. Fissati in una lingua flessibile, duttile, che ridà limpidi i “moti dell’anima”, il sentimento della perdita e il sentire il nuovo in ingresso. “Elementi”, questi, del vissuto e della vita stessa della poetessa: nata a Terpan, Berat (Albania), attualmente è dottoranda di studi letterari e linguistici all’Università della Calabria. Ha ideato e portato avanti il concorso internazionale di poesia della migrazione.
(In cauda: Un solo sgomento, per me lettrice: non conoscere l’albanese per capire la dinamica della traduzione. Avverto, per tratti e in brevità, dall’altra all’una lingua, uno scorrere fluido: me lo dice un dizionarietto acquistato per una vacanza in Albania.)