scheda del libro: Esecuzioni
sabato 23 marzo 2013
venerdì 22 marzo 2013
24 marzo 2013: Le poesie di Enzo Rega a Cefalù
Domenica 24 marzo si presenta a Cefalù (Palermo), al
Caffè Letterario “La Galleria”, in via XXV Novembre-via Mandralisca, alle ore
17,30, il libro di Enzo Rega, Indice dei luoghi. Poesie da viaggio (e d’amore),
Laceno Edizioni (Atripalda, AV, 2012, pref. di Armando Saveriano; postfaz. Di
Pasquale Gerardo Santella).. A parlarne con l’autore sarà il prof. Mario
Macaluso, direttore di “Cefalunews”. Il libro di Enzo Rega è stato recentemente
recensito anche sulla rivista “Poesia”, con un articolo a firma di Luigi
Fontanella.
“Il luogo, in poesia,
diventa occasione di lascito che restituisce un respiro vasto e meditato alla
ricerca incessabile del significato privato, personale e dunque universale,
dell'esistente nella necessità etica dell'identità umana e culturale. È
attraversamento del più vasto scenario dell'anima, ove vengono stabiliti e
scanditi i segni della trasfigurazione nel rapporto tra senso e suono, emozione
e sentimento, persistenza e slacciamento. Il poeta si aggira, infatti, con
passione ed intelletto per i viali, le piazze, i meandri della città dell'anima
con la sua singolare attitudine ad usare lo sguardo come una parola, che
smembra se stessa, cerca e fornisce indicazioni di vita e di poetica. E se
l'autore si svela e si confessa, il linguaggio scavato, istigante, sofferto,
esaltante, liquido, erotico, vitale, dà vigore alla natura e all'aspetto
strabiliante della parola, quando essa possiede e si fa possedere. Il viaggio
di Rega soprattutto non si limita ad essere percezione, interpretazione,
riconciliazione o reiterabile strappo emotivo-sensorio indubbiamente catarsi
inconscia ma nella calma o nel trasporto esige e offre un tempo senza regole”
(dall’Introduzione di Armando Saveriano)
Nato a Genova nel 1958, Enzo Rega risiede a Palma
Campania (Napoli), con frequenti soggiorni a Siracusa, dopo un decennio
trascorso a Bergamo. Laureato in Filosofia all'Università "Federico
II" di Napoli con una tesi su "Heidegger interprete di
Nietzsche", si occupa di letteratura, filosofia, cinema e critica della
cultura. Insegna Scienze Umane nel Liceo classico "A. Rosmini" del
suo paese e collabora con l'Università di Salerno e ha collaborato con
l'Università "Suor Orsola Benincasa" di Napoli. E redattore di “Gradiva”(State
University of New York) Scrive tra l’altro per le riviste letterarie “L’Indice dei libri del mese”, “Poesia”
e “Italian Poetry Review” (Columbia University), "Yale “OBLIO” e per il
bimestrale siciliano “Le Fate” Tra le ultime pubblicazioni in volume, due libri
con le edizioni l’arca e l’arco di Nola: La
coscienza dell’utopia. Vincenzio Russo, giacobino napoletano (2011) e Derive mediterranee. Immagini letterarie da
Napoli all’altra sponda (2012).
• Cefalù •
La bambina con la gonna scozzese
che giocava sotto la frangetta nera
quasi dirimpettaia,
fatta salva l’estensione d’un mare ch’unisce,
ho ritrovato nel suo passato
e nel nostro presente
dall’altra parte del Tirreno
– fossi io a Genova a Napoli
e con i suoi occhi di allora di oggi
ho visto sotto il monte
(kefalé, testa che sorge dall’acqua)
le guglie del Duomo
nave pronta a essere varata
come quelle di Liguria, diceva il poeta
La bambina con la gonna scozzese
che giocava sotto la frangetta nera
quasi dirimpettaia,
fatta salva l’estensione d’un mare ch’unisce,
ho ritrovato nel suo passato
e nel nostro presente
dall’altra parte del Tirreno
– fossi io a Genova a Napoli
e con i suoi occhi di allora di oggi
ho visto sotto il monte
(kefalé, testa che sorge dall’acqua)
le guglie del Duomo
nave pronta a essere varata
come quelle di Liguria, diceva il poeta
La neve di Francesco Filia a Bologna 4 aprile
Centro di poesia di Bologna - Stella variabile. Programma
Stella variabile – Incontri e laboratorio di poesia
Tutti i giovedì dal 7 marzo al 4 aprile al Menomale, Via De’ Pepoli 1/a - Bologna
Programma
Giovedì 28 marzo o
re 21.00
Corrado Benigni, Bernardo Pacini, Martina Campi
Giovedì 4 aprile ore 21.00
Biagio D’Angelo, Francesco Filia, Domenico Ingenito
giovedì 21 marzo 2013
Nota su Finestra cosmica di Gladys Basagoitia
di Maria Pia Moschini
“… I ponti si costruiscono, a volte, con ragnatele…” questa leggerezza, questa sospensione aerea, rendono la scrittura di Gladys simile a una brezza che sfiora e vivifica il reale, trasportandolo in una dimensione fluida, luminosa “ … c’è bisogno di spazio…” un anelito alla liberazione, alla ricerca di percorsi diversi, di panorami incontaminati, purissimi.
È infatti per G.B. la scrittura un volo, una navigazione, un viaggio in cui le annotazioni si concatenano legate di un filo argenteo come le pagine di un libro etereo, non frammentario ma sinuoso, spiraliforme.
La musica che pervade ogni visione scritta dell’autrice è fortemente annodata alla sua natura profonda in stretta relazione con il cosmo, una musica siderea che è simile a un’assonanza segreta, a un suono armonico complesso e misterioso.
I personaggi che compaiono nella prima metà del libro hanno la dimensione di ritratti dinamici, una visione alla Chagall in cui fluttuano come intravisti dai finestrini di un treno arcaico volti, dettagli, percezioni cromatiche. “… Che forma ha l’impossibile? … aria che non capisci…” ma per G.B. l’impossibile è il suo regno, la dimensione in cui semina parole esatte, ricche di vibrazioni anche quando descrive “la forma cangiante della angoscia, il contorno impreciso della gioia” riesce a non essere vaga, incerta.
C’è una padronanza relativa al riverbero acceso dell’esistenza in questa appassionata scrittrice, al punto che ti senti trascinato nella sua dimensione attenta, nella sua ricerca pittorica che va dalle impronte naturalistiche dei fiori, al mare, al vento, alla notte… Il verde, ad esempio appare come un colore magico descritto mirabilmente a p. 45 (episodio n. 39): “come turchese dovrà essere il colore dell’eternità”.
Le passioni attraversano l’anima di G.B. che combatte con il ricordo, talmente vivo da ricreare le stesse emozioni in un presente attualizzato.
Il desiderio di essere compresa fino alla profondità dell’anima si esprime nella poesia a p. 52:
FORSE
qualcuno commosso
aprirà la sua anima
accoglierà la sensazione vitale
dello spirito delle mie poesie
conoscerà
l'anima dei miei pensieri
qualcuno
abbraccerà le parole
dalle mie emozioni
coglierà l'energia
qualcuno
che mai prima mi aveva incontrato
solo allora mi donerà l'abbraccio
che mai nessuno mi aveva dato
come se io fossi ancora corpo
come se io fossi vicina ancora
come se io fossi vita
“… I ponti si costruiscono, a volte, con ragnatele…” questa leggerezza, questa sospensione aerea, rendono la scrittura di Gladys simile a una brezza che sfiora e vivifica il reale, trasportandolo in una dimensione fluida, luminosa “ … c’è bisogno di spazio…” un anelito alla liberazione, alla ricerca di percorsi diversi, di panorami incontaminati, purissimi.
È infatti per G.B. la scrittura un volo, una navigazione, un viaggio in cui le annotazioni si concatenano legate di un filo argenteo come le pagine di un libro etereo, non frammentario ma sinuoso, spiraliforme.
La musica che pervade ogni visione scritta dell’autrice è fortemente annodata alla sua natura profonda in stretta relazione con il cosmo, una musica siderea che è simile a un’assonanza segreta, a un suono armonico complesso e misterioso.
I personaggi che compaiono nella prima metà del libro hanno la dimensione di ritratti dinamici, una visione alla Chagall in cui fluttuano come intravisti dai finestrini di un treno arcaico volti, dettagli, percezioni cromatiche. “… Che forma ha l’impossibile? … aria che non capisci…” ma per G.B. l’impossibile è il suo regno, la dimensione in cui semina parole esatte, ricche di vibrazioni anche quando descrive “la forma cangiante della angoscia, il contorno impreciso della gioia” riesce a non essere vaga, incerta.
C’è una padronanza relativa al riverbero acceso dell’esistenza in questa appassionata scrittrice, al punto che ti senti trascinato nella sua dimensione attenta, nella sua ricerca pittorica che va dalle impronte naturalistiche dei fiori, al mare, al vento, alla notte… Il verde, ad esempio appare come un colore magico descritto mirabilmente a p. 45 (episodio n. 39): “come turchese dovrà essere il colore dell’eternità”.
Le passioni attraversano l’anima di G.B. che combatte con il ricordo, talmente vivo da ricreare le stesse emozioni in un presente attualizzato.
Il desiderio di essere compresa fino alla profondità dell’anima si esprime nella poesia a p. 52:
FORSE
qualcuno commosso
aprirà la sua anima
accoglierà la sensazione vitale
dello spirito delle mie poesie
conoscerà
l'anima dei miei pensieri
qualcuno
abbraccerà le parole
dalle mie emozioni
coglierà l'energia
qualcuno
che mai prima mi aveva incontrato
solo allora mi donerà l'abbraccio
che mai nessuno mi aveva dato
come se io fossi ancora corpo
come se io fossi vicina ancora
come se io fossi vita
martedì 19 marzo 2013
Chi non vive di poesia muore di noia. Gradara 24 marzo
con la partecipazione di Fara grazie a Guido Passini (il suo reading è alle 17:30)
cliccare sulle immagini per ingrandirle
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lunedì 18 marzo 2013
Tra Terra e Cielo
Mariangela
De Togni, Frammenti di sale, Fara
Editore, Rimini 2013, pp. 56, € 11,00.
recensione di Rosa Elisa Giangoia di prossima pubblicazione sulla rivista Satura
Questa nuova silloge di Mariangela De Togni,
suora orsolina e musicista, che ha ormai alle spalle oltre una dozzina di
raccolte di liriche, è la continuazione di un’incessante salmodia (vocabolo che
è anche il titolo di una lirica, p. 45) che percorre tutto il suo dire poetico,
in cui la sensibilità dell’autrice penetra nello spirito profondo della natura,
nelle sue pluralità fenomenologiche di mare, terra, aria, flora e fauna, per
percepire con immenso stupore (“Rimasi come sospeso / nello stupore della
meraviglia”, Ho
inciampato nel giorno) le sensazioni di manifestazioni del divino ed
esprimerle attraverso parole che abilmente costruiscono le liriche, sempre
pervase da una soffusa musicalità.
Questa penetrazione della natura in tutta la
sfaccettatura delle sue manifestazioni fa sì che nel dire poetico di MariangelaDe Togni avvengano incontri ed intrecci di aspetti diversi che espressivamente
nelle liriche si traducono in un variegato ed abile gioco di sinestesie, in cui
si combinano soprattutto i piani percettivi, con particolare attenzione ai nessi
dei cromatismi con i piani fonici, in cui la valenza sonora del lessico sa
creare effetti di armoniosa musicalità.
In questa consonante penetrazione delle realtà
naturali l’animo dell’autrice trova risonanze e corrispondenze che i versi
delle liriche sanno trasmettere al lettore in una concentrica dilatazione di
immagini e di sensazioni che permettono di attingere progressivamente alla
percezione dell’infinito, percezione che attrae in una dimensione di acquisizione
del divino, capace di donare sensazioni di pace e di beatitudine, che nascono
proprio dal possesso di un senso di sicurezza nei confronti del trascendente e
dell’eterno. In definitiva l’unitarietà ispirativa di queste liriche comunica
una visione della realtà naturale, percorsa ed animata da una rete di sottili
fili d’infinito e d’eterno, che riescono ad attrarre e coinvolgere il lettore.
A legare la sfera terrestre
a quella celeste è soprattutto il fatto che la natura, epifania divina della
sfera celeste, è pervasa dalla bellezza. La bellezza, d’altra parte, è il
mistero che platonicamente eleva dal piano terreno al mondo celeste (“nello
stupore / della bellezza / d’una goccia di rugiada”), anche tramite le realtà
apparentemente più piccole ed insignificanti. Ma la bellezza non è che un
aspetto del più ampio manifestarsi del mistero, o meglio dei misteri, che
pervadono e si nascondono nella natura e che solo lo sguardo vigile, attento ed
indagatore del poeta sa percepire, anche se non risolvere (Dove nascono gli angeli), per il fatto che la realtà naturale attende il suo teleologico compimento,
per cui “Non è silenzio d’assenza
/ quello che scorre / fra le mura del chiostro”.
In qualche modo, però,
le presenze misteriose si materializzano nella percezione degli angeli custodi.
Uno di loro, sceso sulla Terra, dice: “E mi incamminai / sulle strade degli
uomini. / Capiranno, vedendomi, / che sono l’angelo loro custode? / Raccoglierò
nell’anfora / dell’eterno / le loro pene, le loro gioie, / le loro infantili
paure. / Li guiderò finché / un’altra aurora sorgerà / più splendente del sole:
/ la beatitudine.” (Ho inciampato nel
giorno).
Oltre a quella
degli angeli custodi, pochissime le presenze di persone nelle poesie di
Mariangela De Togni, innanzitutto la madre, già luminosa nella gloria eterna (A mia madre) e poi Yara, la giovinetta vittima di un atroce, ancora insoluto
delitto (A Yara), e forse una persona
amica (Sei tornata), a conferma del
fatto che il mondo è popolato solo di comparse in attesa del loro compimento
nell’eternità, come ci ha insegnato e dimostrato nella sua narrativa Flannery O’
Connor.
La silloge si
conclude con una lirica molto significativa, Perdonaci Signore, in cui la poetessa fa dono della sua voce a
tutti per chiedere al Signore perdono dell’umana inadeguatezza a comprendere
proprio questa dimensione di incompletezza terrena che troverà il suo
completamento nell’eterno, situazione per gli uomini difficile da accettare e
da capire (“ad indicare l’approdo / rimane il cielo la sola meta / a dirci l’infinito”
Il cielo).
Proprio per
questa sua visione di saper collocare la dimensione nella vita terrena in una
prospettiva di attesa di compimento, espressa con liriche di forte suggestione
emotiva, Mariangela De Togni riconferma la validità della sua voce poetica.
La giornata mondiale della Poesia con Rocco Scotellaro e Fara Editore di Rimini
Montoro, marzo 2013, Gruppo Culturale “F. Guarini”
Giovedi 21 marzo, alle ore 10,00, presso l’Auditorum della Scuola Secondaria di 1° Grado “Michele Pironti” di Montoro Inferiore(AV) – www.scuolamediamontoroinferiore.gov.it i giovani studenti delle classi 1° sezione D e sezione A, si cimenteranno con i versi delle poesie di Rocco Scotellaro, in occasione del 90° della nascita e a sessant’anni dalla scomparsa, affrontando con passione i contenuti rivolti al riscatto dei contadini e delle terre del Sud della nostra penisola: problematiche rimaste irrisolte in quella che stancamente viene ripetuta, ancora oggi, come “Questione Meridionale”.
Montoro ha un bacino ampiamente agricolo, con una memoria storica legata al mondo contadino, il quale va lentamente scomparendo sotto l’incalzare del cemento che ha invaso anche le belle colline che conservavano fauna e flora ancora allo stato brado. Poche le colture che sono sopravvissute allo spopolamento dell’aria agricola: fra queste “la cipolla ramata”, rinomata per le proprietà organolettiche legate alla presenza di materiale vulcanico nei terreni montoresi. Sono scomparse invece le ampie colture di pomodori “Sammarzano”, dei carciofi, delle vigne, degli agrumi.
Accanto alla poesia di Scotellaro ci saranno i versi dei poeti inclusi nelle edizioni Fara di Rimini, vicini per tematiche all’emigrazione, alla realtà meridionale, alla sete di Carità e Giustizia che le giovani generazioni cercano in contrapposizione al malessere sociale che gli adulti hanno portato loro, per mera sete di denaro ed esasperato benessere.
Si ringrazia la dirigenza scolastica e l’infaticabile sostegno della professoressa Bernarda Montone che da quasi quarant’anni ha educato gran parte delle generazioni che oggi si distinguono nel Sud e nei paesi lontani dal luogo di origine. Un grazie al dottore Alessandro Ramberti per l’abnegazione dimostrata con i libri di poesia donati. L’augurio sincero è che i giovani studenti si arricchiscano dell’energia della Poesia per essere consapevoli del ruolo che dovranno ricoprire nel tessuto sociale che li aspetta.
Giovedi 21 marzo, alle ore 10,00, presso l’Auditorum della Scuola Secondaria di 1° Grado “Michele Pironti” di Montoro Inferiore(AV) – www.scuolamediamontoroinferiore.gov.it i giovani studenti delle classi 1° sezione D e sezione A, si cimenteranno con i versi delle poesie di Rocco Scotellaro, in occasione del 90° della nascita e a sessant’anni dalla scomparsa, affrontando con passione i contenuti rivolti al riscatto dei contadini e delle terre del Sud della nostra penisola: problematiche rimaste irrisolte in quella che stancamente viene ripetuta, ancora oggi, come “Questione Meridionale”.
Montoro ha un bacino ampiamente agricolo, con una memoria storica legata al mondo contadino, il quale va lentamente scomparendo sotto l’incalzare del cemento che ha invaso anche le belle colline che conservavano fauna e flora ancora allo stato brado. Poche le colture che sono sopravvissute allo spopolamento dell’aria agricola: fra queste “la cipolla ramata”, rinomata per le proprietà organolettiche legate alla presenza di materiale vulcanico nei terreni montoresi. Sono scomparse invece le ampie colture di pomodori “Sammarzano”, dei carciofi, delle vigne, degli agrumi.
Accanto alla poesia di Scotellaro ci saranno i versi dei poeti inclusi nelle edizioni Fara di Rimini, vicini per tematiche all’emigrazione, alla realtà meridionale, alla sete di Carità e Giustizia che le giovani generazioni cercano in contrapposizione al malessere sociale che gli adulti hanno portato loro, per mera sete di denaro ed esasperato benessere.
Si ringrazia la dirigenza scolastica e l’infaticabile sostegno della professoressa Bernarda Montone che da quasi quarant’anni ha educato gran parte delle generazioni che oggi si distinguono nel Sud e nei paesi lontani dal luogo di origine. Un grazie al dottore Alessandro Ramberti per l’abnegazione dimostrata con i libri di poesia donati. L’augurio sincero è che i giovani studenti si arricchiscano dell’energia della Poesia per essere consapevoli del ruolo che dovranno ricoprire nel tessuto sociale che li aspetta.
Su Piano di Alberto Mori
recensione di Antonio Manco
pubblicata su deCOMPORRE - Pubblicazione Letteraria - Marzo 2013 - N. 14
pubblicata su deCOMPORRE - Pubblicazione Letteraria - Marzo 2013 - N. 14
Geometria, Musica, Fisica, Fotografia, Cinema… L’unica parola di cui è
formato il titolo di quest’opera, Piano, trova una sua dimensione in ognuno di
questi ambiti moltiplicando i suoi significati e la sua stessa natura
iconografica, basti pensare a un piano euclideo o a un piano sequenza cinematografico. E
come ci viene insegnato fin da bambini, un titolo è efficace se riesce a
concentrare in sé tutta l’essenza che l’autore ha riservato all’interno dell’opera
e questo obbiettivo è stato raggiunto appieno dal Piano (e di conseguenza da
Mori che l’ha scelto). I versi proposti dall’auotre lombardo a una prima
lettura sembrano monoliti essenziali e minimalisti, immobili nella loro essenza
e di granitico significato che sorprende l’impreparato lettore colpendolo
violentemente con le immagini che vengono evocate. Ma ecco che ad una lettura più
attenta (e preparata) i monoliti, crollano,mutano diventano portali che
collegano letteratura, musica, immagini. Quello che all’inizio sembrava essere un
agglomerato di versi inconsueti appare poi come un mosaico pixel, di immagini e di suoni che assieme formano il mondo
caotico, tranquillo, moderno antico, iperbolico, statico che ci circonda. E Mori
riesce a descrivere il suo (il nostro) mondo in maniera talmente minuziosa da
trasformare la parola su carta in vera e propria fotografia: Quando il
pomeriggio vede quetore / la chiarità dell’ora intaglia l’ombra fresca / obliqua
la staccionata / accompagna i sussurri del perimetro /dall’altra parte della
strada /nella meridiana naturale
del bordo. La parola abbandona la “semplice” funzione semiotica e
semantica per abbracciare quella più complessa dell’empatia che può scaturire
tra caos ed equilibrio, con tutte le costanti gravitazionali che potrebbero
rompere il nostro “piano” facendo crollare il tutto. Ma Mori è estremamente abile
a ritrovare il baricentro per riportare tutto in ordine prima che l’angolo di
capovolgimento faccia il suo lavoro. Ma a volte l’equilibrio non è sinonimo di
serenità, nonostante gli alberi che circondano la grande autostrada piena di
automobili siano perfettamente allineati c’è un leggero malessere, come se ci
fosse qualcosa di sbaglaito. Così com’è in “errore” il SUV ricoperto di polvere
sotto l’arco antico,per ora risultano in equilibrio, ma quanto questa convivenza
sarà serena e pacifica? Potrebbe essere necessario un “piano” di fuga,come
quella che ha portato qualcuno a rompere il vento da frantumare solo “in caso
di emergenza”. L’intera opera
quindi è un concentrato di equilibri, di immagini che vengono proiettate
nella mente del lettore, anzi potremmo dire che la stessa opera è IN
equilibrio, con il componimento iniziale e quello finale a fungere da
contrappesi perfetti. Un libro quindi non solo da leggere ma da RI-leggere più
volte e non meravigliatevi se dopo
l’ennesima lettura il mondo, le persone, la musica, il vostro letto, voi stessi
sembrerete dondolare alla ricerca di una stabilità.
martedì 12 marzo 2013
Gli Epigrammi di Marziale
nella nuova versione di Mario Fresa
nella nuova versione di Mario Fresa
recensione di Enzo Rega
Mario Fresa |
Mario Fresa, raffinato poeta e critico salernitano, dedica un Omaggio a Marziale, scegliendo e traducendo per le Edizioni L’Arca Felice (Salerno 2011: Hermes. Collana di poeti tradotti da poeti) ventiquattro epigrammi del grande autore latino: Marco Valerio Marziale (39 o 40 d.C. -104 d. C. circa), nato e morto nella iberica Bilbili (attuale Catalayud in Aragona), è stato il più importante epigrammista latino.
Ricevuta la prima formazione a Tarragona, in Spagna, si trasferì a Roma nel 64, dove verso l’80 pubblicò i suoi primi epigrammi nel Liber de spectaculis in occasione dei giochi inaugurali dell’Anfiteatro Flavio (ovvero, il Colosseo). Verso l'anno 84 o 85 comparvero altri due libri di epigrammi:Xenia (doni per gli ospiti) e Apophoreta (doni da portar via alla fine del banchetto).
Dopo l’assassinio di Domiziano e sotto Nerva e Traiano, il nuovo clima instaurato a Roma si rivelò poco favorevole al tipo di poesia epigrammatica di Marziale, il quale nel 98 tornò nella sua città natale, dove l’aiuto di una ricca vedova gli permise di vivere agiatamente e di continuare a scrivere. Alla fine, sono quindici i libri di epigrammi pubblicati da Marziale, per un totale di 1561 componimenti.
Il giudizio, non completamente lusinghiero di Plinio il Giovane (Epist. III, 21): «era un uomo d’ingegno, acuto, pungente, che aveva nello scrivere moltissimo sale e fiele e sincerità; […] ma non saranno eterne le cose che scrisse».
Ricevuta la prima formazione a Tarragona, in Spagna, si trasferì a Roma nel 64, dove verso l’80 pubblicò i suoi primi epigrammi nel Liber de spectaculis in occasione dei giochi inaugurali dell’Anfiteatro Flavio (ovvero, il Colosseo). Verso l'anno 84 o 85 comparvero altri due libri di epigrammi:Xenia (doni per gli ospiti) e Apophoreta (doni da portar via alla fine del banchetto).
Dopo l’assassinio di Domiziano e sotto Nerva e Traiano, il nuovo clima instaurato a Roma si rivelò poco favorevole al tipo di poesia epigrammatica di Marziale, il quale nel 98 tornò nella sua città natale, dove l’aiuto di una ricca vedova gli permise di vivere agiatamente e di continuare a scrivere. Alla fine, sono quindici i libri di epigrammi pubblicati da Marziale, per un totale di 1561 componimenti.
Il giudizio, non completamente lusinghiero di Plinio il Giovane (Epist. III, 21): «era un uomo d’ingegno, acuto, pungente, che aveva nello scrivere moltissimo sale e fiele e sincerità; […] ma non saranno eterne le cose che scrisse».
La previsione non s’è avverata, però.
Ecco un assaggio delle versioni in italiano di Mario Fresa:
Ecco un assaggio delle versioni in italiano di Mario Fresa:
I, 30
Faceva il chirurgo, ora il becchino. Poco male:
si vede che gli piace, il cliente orizzontale.
II, 13
Soldi al giudice, e al cancelliere, e all’avvocato.
Ma pagare i creditori, scusa, non è forse più sensato?
II, 88
Non ci leggi mai nulla,
caro Antonello,
ma ti passi per poeta.
Bene, te lo concedo:
a patto che continui
a non leggerci mai nulla.
Sarà più bello.
VII, 16
«Non ho un centesimo, Mario!
Allora, quasi quasi, quei regali
Che mi hai comprato
Me li rivenderei.
T’interessa, per caso, ricomprarli?»
VIII, 51
Ad Aspro, il cieco, Amore finalmente oggi concede
Una magnifica ragazza; e già per lei stravede.
Nella Nota finale che accompagna i componimenti, Mario Fresa precisa le modalità del proprio lavoro: «Le versioni saranno intese come una interpretatio ludica dei testi: la scelta della rima nasce dall’idea di una costruzione burlesco-sintetica della parola tradotta, nell’ipotesi di un travestimento di trasversale giocosità straniante. Non c’è “modernizzazione”, ma, al contrario, una specie di regressione gioiosamente infantile, in cui lo strumento edonistico del suono tende alla demolizione della presenza, e soprattutto dell’autorialità, dello stesso traduttore-giocatore».
Del ludus Mario Fresa beneficia dunque il lettore di questa scelta d’epigrammi. Fresa, che ha esordito nello “Specchio della Stampa”, presentato da Maurizio Cucchi, ha pubblicato in varie riviste prestigiose, da “Paragone” a “Nuovi Argomenti” e nell’“Almanacco dello Specchio” Mondadori. Ha pubblicato i volumi di poesia Alluminio (LietoColle, 2008) e Uno stupore quieto, edizioni Stampa 2009, «La collana», n. 27, a cura di Maurizio Cucchi, Varese, 2012 . ha pubblicato anche diversi saggi.
L’elegante plaquette è ulteriormente impreziosita da due interventi visivi di Carlo Villa, autore romano apprezzato da Sinisgalli e Pasolini.
un disegno di Carlo Villa che illustra la plaquette di Marziale |
L’eredità d’affetti di Aniello DE CHIARA
Martedì 19 marzo, a Solofra (AV): città nota per la concia delle
pelli e unico polo nel meridione d’Italia
in questo settore manifatturiero, nella sede comunale sarà presentata la
monografia dell’onorevole dottore Aniello DE CHIARA, realizzata dalla figlia
Maria, pubblicata dall’Associazione “Aniello De Chiara” .
L’onorevole DE CHIARA nel 1985 diviene
Presidente del Consiglio Regionale della Campania, dal 1990 al 1992 è
Consigliere Regionale, nel 1994 diviene sindaco della città natale, Solofra, e
morirà da sindaco proprio il 19 marzo 2001. La monografia, che verrà presentata
dopo dodici lunghi anni dalla sua scomparsa, rappresenta oggi il primo passo per rimuovere la
polvere che i suoi detrattori hanno sparso alla sua morte.
Inesorabili tornano alla mente i versi “Dei
Sepolcri” di Ugo Foscolo:
Sol chi non lascia
eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra ‘l compianto de’ templi acherontei,
o ricoverarsi sotto le grandi ale
del perdono d’Iddio; ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeger solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
Il volume raccoglie sia il pianto
innamorato della moglie che l’ha amato, sia l’amore profondo dei figli e dei
nipoti, oltre alle numerose testimonianze accorate di affetto e stima di chi ha
vissuto accanto a lui il tempo che Iddio ha voluto donargli. Riemerge il viso
dell’uomo onesto e sincero che ha lottato per anni contro la camorra, contro le
ingiustizie sociali, aiutando i meno abbienti a sollevarsi dal dolore delle
malattie e assistendoli nell’ora triste della scomparsa. Medico, politico e
uomo: lo racconta in modo sincero la figlia Maria, curatrice dell’opera:
“(…) Occhi di un uomo non tanto alto,
anzi diciamo basso, con un naso lungo e sottile che giunge ai suoi bei baffi
neri che rendono quel viso a tratti simpatico e a tratti autoritario. Occhi
ricchi di passione, occhi che guardano la realtà che verrà e non quella
presente, occhi che sanno leggere le persone per quello che sono e capire a
fondo le loro azioni. Quegli occhi castani che ogni giorno so essere parte
integrante della mia vita; bhè, spero amore mio tu possa ereditarli perché prendendo
la loro essenza avrai preso la metà dei pregi che hanno caratterizzato la vita
di tuo nonno.” ( pag. 7, Prefazione)
Pochi sindaci sono ricordati a Solofra
lungo tutto il percorso del Novecento: c’è Vincenzo NAPOLI (Solofra 1882 - ivi 1958) il quale da grande
antifascista restituì alla cittadinanza la sua risorse più grande, l’acquedotto,
caduto nelle mani degli aristocratici locali e risorsa indispensabile per la
concia delle pelli. Accanto a questo illustre figlio del nuovo
Risorgimento c’è la figura di
Aniello DE CHIARA che, grazie a questo libro, si staglia nitida agli occhi delle
nuove generazioni, e a quelle che verranno, grazie alla molteplicità delle
opere civiche realizzate nel tessuto cittadino,alle leggi promulgate alla
Regione Campania, all’amore sincero verso la propria famiglia.
I suoi detrattori, il 19 marzo prossimo,
saranno sconfitti definitivamente e il volto del Nostro risplenderà di quel
sole che egli tanto decantava nei suoi discorsi rifacendosi alla paternità dell’
illustre politico, meridionale, Francesco DE MARTINO (Napoli 1907 – ivi 2002).
lunedì 11 marzo 2013
Libri di D'Alessio in Biblioteca
www.faraeditore.it/html/siacosache/valigiamerid.html
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Su Verticali di Bruno Galluccio
Einaudi, 2009
recensione di Dante Maffia
Si è vociferato per lungo tempo sulle pagine dei giornali, soprattutto negli anni cinquanta, sessanta e settanta che molta della poesia e della narrativa italiana, che avevano importanza, era frutto di uomini di scienza e della tecnica. E giù i nomi di Sandro Penna (ragioniere), di Leonardo Sinisgalli (ingegnere), di Salvatore Quasimodo (perito agrimensore), di Eugenio Montale (studente delle scuole professionali), di Carlo Levi (medico), di Carlo Emilio Gadda (ingegnere). Naturalmente l’elenco si allargava coi nomi stranieri con in testa Celine. Un vezzo che conteneva qualche verità? Un caso? Una verità che svezzava dagli eccessi del classicismo la scrittura? Forse tutte questa cose insieme, ma ce ne corre poi dall’affermare, in maniera categorica, che il Novecento italiano si sia mosso in una sola direzione, anche perché a guardare bene poi il classicismo di ritorno è stato adoperato proprio dai così detti tecnici, Quasimodo e Penna in testa.
Premessa doverosa per poter entrare senza pregiudizi e senza convinzioni errate nel libro di Bruno Galluccio che, essendo un fisico ed avendo lavorato per anni in un’azienda tecnologica, si è tentati di “schedarlo” come frutto di quella stagione complessa a cui ho accennato.
Bruno Galluccio è poeta con e senza la sua fisica, con e senza il suo linguaggio improntato alla scienza, perché vive intensamente le angosce del nostro tempo nel quale non trova la chiave di volta per scoprire i misteri che accompagnano l’uomo e se il suo linguaggio, apparentemente fiorito di nessi e di sconnessioni, sembra deviare dal percorso, è perché la rincorsa per focalizzare certezze non trova slarghi, non trova traguardi e apoteosi. Egli cerca di focalizzare il nonsenso del fluire del tempo e delle cose per far scoppiare la sua angoscia in frantumi dinanzi al fluire degli eventi.
Non c’è idillio, non c’è lirismo giocato sull’armamentario della tradizione e non c’è ricorso ad attributi del serbatoio degli archetipi, ma c’è la forza del canto, un canto che sa guardare alla fermezza di Rilke, per esempio, e che quindi non divaga, non concede al gratuito, al sentimentale.
Eppure se si entra dolcemente nella sintassi di Verticali, nella sua necessità di chiarire e di capire che chiarendo tuttavia non si va da nessuna parte, anzi… si capirà che Galluccio non forza le metafore e che le pone in essere per farle fermentare, consapevole che si riparte sempre e che gli approdi sono momentanei ed effimeri.
Da qui l’angoscia ancestrale che serpeggia nelle pagine, quel mistico e ombroso dubbio che sfoglia i significati e li sparge come semi che però delirano e delirando si tuffano in altro senso. Il poeta ci fa entrare in un ruotare infernale di accensioni che si sfaldano e si ricostruiscono, che lacerano le apparenze e subito dopo le riverniciano di nuova approssimazione semantica. Un andare rutilante, un’orgia di sogni che s’avviluppano e scantonano, che riordinano il passo e subito dopo lo spingono nel baratro.
In questo modo Galluccio ha l’agio di disseminare di enigmi sogni e realtà in modo da crearsi l’illusione che prima o poi arriverà a un poggio da cui sarà possibile vedere, proprio come è detto nell’Aleph di Borges, presente, passato e futuro.
Intanto è inchiodato a percezioni scomode, a un dolore sordo che spesso non sa nemmeno da dove arriva e quando e per quale ragione finirà E così rincorre il mutevole, il fuggevole, l’imponderabile e per salvarsi si dilata e si trasforma “in simboli capaci di spostare verticalmente le immagini, le distanze, i nodi irrisolti”.
Siamo dinanzi a una poesia che mi verrebbe di chiamare mutevole, che si “adatta” alla temperatura del lettore ed è perennemente pronta ad essere duttile e malleabile. Ciò significa che Galluccio sa assegnare alla parola una dose di energia che non si disperde in cunicoli aridi, ma che diventa lievito e proposta di nuove essenze. Così si giustifica l’appassionato uso dei termini matematici e fisici, i concetti che nell’impatto respingono fino a che non si stabilisce la sintonia, perché “i residui cercano ogni occasione per abitarci”.
domenica 10 marzo 2013
“Racconto della Riviera” di Gianfranco Lauretano. (Raffaelli 2012)
recensione di Cinzia Demi
Con la poesia si può raccontare un fatto, una storia, un accadimento? Si può parlare di ciò che abbiamo visto succedere, di ciò che ci ha colpito come fosse una cronaca in versi ed elevare la narrazione tanto da portarla verso il sacro ? Evidentemente sì. Gianfranco Lauretano lo ha fatto, e in modo esemplare. Ha in fondo lanciato un messaggio, una sfida: guardate, poeti dal verso incomprensibile, dalla metafora oscura, dal significato che lascia incompiuto il suo ruolo, guardate come si racconta una storia in poesia. Con quale arte si possono trasmettere le immagini, disegnare i personaggi, descrivere le sensazioni, i colori, gli odori, la vita, la morte… con quale poesia, figlia dei nostri padri, nostra sorella di sangue si può imprimere nella mente un semplice ragazzo, Marco, e renderlo attraverso il suo calvario e la sua resurrezione, una figura cristologia. E’ così: il protagonista di Raccontodella Riviera fugge da un padre che non sente tale, quasi putativo; si butta nel branco, tra la gente, ma se ne estranea, li guarda quei suoi compagni come dall’alto di un’altra dimensione e in fondo li accetta, senza giudicarli; sa riconoscere il bello, ciò che lo avvicina al divino e lo sente suo ma, prima di raggiungere quello stato di grazia, dovrà avere la sua crocifissione, per poi tornare di nuovo dal padre. Intanto, intorno a lui la vita scorre come sempre, il tempo non ci pensa neanche a fermarsi, la notte si alterna al giorno, la discoteca allo jogging, la birra alla droga, le parole alle botte… Cambiano i miti, invece, non ce n’è più uno che duri un po’ a lungo, che lasci un reperto, una scia sulla terra da seguire, un rifugio sicuro. Tutto è veloce e crudele, neanche l’amore sopporta quel ritmo, si ritira, si annulla, si fa da parte per non disturbare. E la poesia lo raccoglie e lo racconta, tutto questo. Si mette in gioco per cantare ancora una volta coi suoi legami di assonanze, con le parole che crea come nuove ciò che sente dell’uomo. Questa volta tocca al branco, allo spazio di cui si appropria nella vita di un Marco qualunque, di questo Marco che subisce,che soffre, che muore dentro per rinascere una mattina.
Con la poesia si può raccontare un fatto, una storia, un accadimento? Si può parlare di ciò che abbiamo visto succedere, di ciò che ci ha colpito come fosse una cronaca in versi ed elevare la narrazione tanto da portarla verso il sacro ? Evidentemente sì. Gianfranco Lauretano lo ha fatto, e in modo esemplare. Ha in fondo lanciato un messaggio, una sfida: guardate, poeti dal verso incomprensibile, dalla metafora oscura, dal significato che lascia incompiuto il suo ruolo, guardate come si racconta una storia in poesia. Con quale arte si possono trasmettere le immagini, disegnare i personaggi, descrivere le sensazioni, i colori, gli odori, la vita, la morte… con quale poesia, figlia dei nostri padri, nostra sorella di sangue si può imprimere nella mente un semplice ragazzo, Marco, e renderlo attraverso il suo calvario e la sua resurrezione, una figura cristologia. E’ così: il protagonista di Raccontodella Riviera fugge da un padre che non sente tale, quasi putativo; si butta nel branco, tra la gente, ma se ne estranea, li guarda quei suoi compagni come dall’alto di un’altra dimensione e in fondo li accetta, senza giudicarli; sa riconoscere il bello, ciò che lo avvicina al divino e lo sente suo ma, prima di raggiungere quello stato di grazia, dovrà avere la sua crocifissione, per poi tornare di nuovo dal padre. Intanto, intorno a lui la vita scorre come sempre, il tempo non ci pensa neanche a fermarsi, la notte si alterna al giorno, la discoteca allo jogging, la birra alla droga, le parole alle botte… Cambiano i miti, invece, non ce n’è più uno che duri un po’ a lungo, che lasci un reperto, una scia sulla terra da seguire, un rifugio sicuro. Tutto è veloce e crudele, neanche l’amore sopporta quel ritmo, si ritira, si annulla, si fa da parte per non disturbare. E la poesia lo raccoglie e lo racconta, tutto questo. Si mette in gioco per cantare ancora una volta coi suoi legami di assonanze, con le parole che crea come nuove ciò che sente dell’uomo. Questa volta tocca al branco, allo spazio di cui si appropria nella vita di un Marco qualunque, di questo Marco che subisce,che soffre, che muore dentro per rinascere una mattina.
Ma i versi di Lauretano, se pure raccontano un
fatto, non si limitano a descriverlo estraniandosi dall’evento, come se in
questo teatro di strada il poeta fosse un attore – descrittore di metodo
brechtiano, non propongono una realtà come mero accadimento, lasciando che il
lettore giudichi la situazione secondo i dati rappresentati. Lauretano non ce
la fa a non essere partecipe di ciò che mostra, le sue emozioni sono forti,
toccano il lettore e, aristotelicamente,
gli propongono la catarsi finale dove l’immedesimazione nel protagonista
consente, attraverso il suo desiderio di salvezza, di avere una possibilità di
scelta.
Riuscita la partitura del testo nei titoli lapidari:
Partenza, Branco, Chiara…, Amore e morte, Musica!, Un mare di guerra, Sogno
e non sogno. I titoli, infatti, segnano la scansione e il ritmo di questa
breve ma intensissima raccolta, di questo poemetto incalzante che rende conto
delle problematiche dell’adolescenza, ma che rende giustizia alla mente umana,
a quei giovani che sanno fermarsi al momento giusto. Perché non è vero, e non è
stato mai vero, che “i giovani sono tutti uguali” come si sente dire da un
certo paternalismo esasperato. La poesia, per fortuna, sa dire anche questo e
lo dice, quella di Lauretano in particolare, usando al tempo stesso toni forti
e pacati, crudeli ma sinceri, costruendo parole che si fanno significato, oltre
che significante, e che amplificano quel significato per mostrarsi portatrici
di realtà senza moralismi, di comprensione senza pietismi. Per offrire con
l’arte più antica del mondo, una via di fuga, come spiegano semplicemente i
versi finali:
[…]qualcosa si è rotto, qualcosa/di infernale che
non fa paura/una mano buona tiene/fermo il cuore, l’ha capito/ciò che è stato
non va via/andrà a casa a mangiare/a casa a riposare a lavorare/e chissà magari
sulla porta/con la faccia preoccupata/e gli occhi grandi, amabili/che aveva,
certo, aveva/suo padre lo sta aspettando.
giovedì 7 marzo 2013
Sono usciti i Frammenti di sale di Mariangela De Togni
Mariangela De Togni
Frammenti di sale
€ 11,00 pp. 58 (Sia cosa che # 96)ISBN 978 97441 22 9
“Chi mi spazierà il cuore?” (La tua ombra).
Questa domanda è uno dei saporosi frammenti lirico-religiosi, quindi ricchi di stupore e tremore (ma un tremore pacificato, affidato), che come grani di sale grosso compongono questa raccolta. Sì, perché anche gli aspetti più dolorosi dell’avventura umana (si veda, ad esempio, la poesia A Yara) sono trattati con la fiducia in un Altro che salva, conforta, illumina, condivide, ascolta. Camminare fra questi versi musicali e vibranti è come percorrere un sentiero di montagna meravigliati dalla bellezza di un panorama (“Alte cime guardano / con occhi di neve e sole”, Autunno) e percepire il vento come un balsamo, quasi il suono di un flauto dalle note tese, dolci e abissali che allargano l’anima immergendola “Nel silenzio profondo / del cuore / dove nascono le attese” (Intrisi di beatitudine). Mariangela De Togni si affaccia sul mistero, gioisce del bello, accetta l’inevitabile fatica dell’esistenza, offre umilmente il suo empatico abbraccio “Come la vite appesa alla luce” (Trasfigurami), sapendo che “L’amore richiede luce, / come le costellazioni spazio” (Notturno). Facendoci suoi compagni di viaggio, potremo anche
noi dire: “Ho regalato i miei sandali / sulla scorciatoia del cielo. / E il cuore s’è fatto leggero / come una felicità” (Abbandono).
Mariangela De Togni è nata a Savona. È suora orsolina. Insegnante, musicista, studiosa
di musica antica, membro della Accademia Universale “G. Marconi” di Roma. Ha pubblicato, tra il 1989 e il 2011, undici sillogi poetiche. Tra i titoli (per i dettagli si rimanda al Profilo bio-bibliografico): Non seppellite le mie lacrime, Nostalgia, Una Voce è il mio silenzio, Chiostro dei nostri sospiri, Profumo di cedri, Un saio lungo di sospiri, Nel sussurro del vento, Flauto di canna, Nel silenzio della memoria, Cristalli di mare, Fiori di Magnolia. È presente in vari e accreditati studi critici su antologie e riviste letterarie, anche on-line (bombacarta.com - flannery.it - farapoesia - inpurissimoazzurro.it - lastanzadinightingale.blogspot.it).
Ha ottenuto numerosi premi e segnalazioni di merito in concorsi letterari. Tra i più recenti: “Le Stelle” (Savona), “Abbazia del Cerreto” (Lodi), “Borgo Ligure” (La Spezia), “Premio alla Carriera” (Santuario Madonna di Gaggio), “Val di Magra - Roberto Micheloni” (La Spezia), “Borgo Ligure” (Santa Margherita Ligure), “Città di Salò”, “Portus Lunae” (Sestri Levante), “Satura - Città di Genova”, “Versi di mare” (Roma), “Il Golfo” (La Spezia), “Ibiskos” 2011 per un Racconto breve. Le è stata dedicata la «Lettera in versi» n. 21 a cura di Rosa Elisa Giangoia, gratuitamente scaricabile nel sito: bombacarta.com
Federica Galletto le ha dedicato il blog La mia contempazione all’indirizzo www.mariangelade.blogspot.it
L’Opera incontra la Poesia
Nella saletta del Bar Italia di Solofra, dedicata alla memoria del giovane poeta Antonio D’Alessio, scomparso prematuramente, è avvenuto oggi 6 marzo 2013, l’incontro con il soprano Carmen GIANNATTASIO, figlia della terra del Sud, incantevole interprete delle opere dell’intramontabile Maestro Giuseppe VERDI, a pochi giorni dal compleanno di Antonio. La grande artista, reduce da una splendida prova al Teatro “La Fenice” di Milano lo scorso 3 marzo in collaborazione con Veronica Simeoni, si recherà a breve a Roma dove si imbarcherà per Hong Kong dove l’attende dal 19 al 21 marzo proprio in occasione del Bicentenario della nascita del grande maestro “G.VERDI”, il pubblico cinese per godere della sua insuperabile interpretazione de “La Traviata”. Il successo ottenuto al Teatro “San Carlo” di Napoli, lo scorso 6 dicembre, fa ben sperare in un altro grande trionfo della Nostra nell’interpretazione di quest’opera sublime.
La Nostra ha ricevuto in dono le poesie di Antonio D’Alessio, e nell’incontro le è stata conferita la nomina a Socio Onorario del Gruppo Culturale “F. Guarini” che opera da 1976 nel territorio della Regione Campania, specialmente in Irpinia. A consegnare la pergamena è intervenuta la figlia dello scomparso sindaco di Solofra, dottore Aniello De Chiara, che da anni sostiene come Socio Onorario le attività della stessa Associazione. Sono intervenuti inoltre il fratello Giuseppe e il cugino Eugenio.
Il papà di Antonio, Vincenzo D'Alessio, ha fatto dono al grande soprano della raccolta La valigia del meridionale e altri viaggi (Fara Editore, 2012) quale segno di riconoscenza e profonda stima per l’artista che ha voluto conoscere il giovane poeta e la sua esistenza attraverso le sue opere.
Marzo 2013 Gruppo Culturale “Francesco Guarini”
mercoledì 6 marzo 2013
Concorso Letterario “Premio B-Side” Prima edizione
L'associazione culturale B-Side
Indice il Concorso letterario
nazionale “Premio B-Side”
I° Edizione (2013)
INDIRIZZO SPEDIZIONE
DEGLI ELABORATI:
Gli elaborati devono essere spediti
entro e non oltre il 30 Aprile 2013, previa iscrizione al sito
www.radiobside.it all'indirizzo emaiL amministrazione@radiobside.it
Per completare il caricamento basta seguire le indicazioni presenti sul sito. Si prega cortesemente agli autori di non attendere l'approssimarsi della scadenza del premio, ma di anticipare, se possibile, l'invio delle opere
in modo tale da agevolare il lavoro della segreteria.
REGOLAMENTO:
Art. 1
Sono ammessi al concorso tutti i cittadini residenti sul territorio nazionale.
Art. 2
Sono previste quattro sezioni:
Aforismi (tema libero)
Poesia (tema libero)
Prosa (tema libero)
Testi per canzoni (tema libero)
Art. 3
Ogni autore potrà partecipare alla Sezione Poesia/Aforismi con un minimo di 1 componimento ed un
massimo di 3 componimenti.
Le singole poesie in gara non possono superare i 30 versi.
Art. 4
Ogni autore potrà partecipare alla Sezione Prosa con un solo racconto della lunghezza massima di 6
cartelle (Times New Roman, grandezza carattere 12, interlinea 1, nessun rientro).
Art 4 bis
Ogni autore potrà partecipare alla Sezione Testi per canzoni con un solo testo
Art. 5
Tutte le opere devono essere tassativamente inedite.
Art. 6
L’autore deve inviare all'indirizzo
amministrazione@radiobside.it
ogni opera in 2 file word: 1 senza
firma o altro segno di riconoscimento ed 1 con dati anagrafici, numero di telefono, indirizzo e-mail,
dichiarazione esplicita e firmata in cui si affermi che l’opera è originale e inedita ed (eventuale) curriculum
letterario.
Art. 7
Per partecipare al concorso, è necessaria l'iscrizione al sito
www.radiobside.it nella sezione REGISTRATI. Per concorrere in una delle due sezioni, è previsto un versamento (per iscrizione associativa /rimborso spese di segreteria) di 10 EURO. Per partecipare a entrambe le sezioni di 15 EURO.
Vincitori del Concorso Pubblica con noi 2013 XII edizione
Fara Editore e i giurati Anna Ruotolo, Elena
Varriale, Davide Valecchi, Gianluca D’Andrea, Laura Corraducci e Teresa
Armenti sono lieti di premiare per la
Sez. B – Silloge poetica
per la Sez. A Racconto v. qui
v. scheda libro
Esercitazioni
in giorni di neve, per preparare quelli di sole.
Chiudete la finestra con determinazione,
dimenticate il ghiaccio sul balcone.
Acceso il bollitore elettrico potete aspettare un
buon tè,
immaginare un mattino sulla sabbia del Mare del
nord,
che per lo meno ad agosto dovrebbe essere estivo.
Non temete il nevischio (passaggio ai giorni di
pioggia)
che la settimana prossima vi sorprenderà per
strada,
e senza un berretto perderete il tram notturno
e andrete a piedi a casa.
Apprezzate il letargo che previsto si ripete:
la sontuosa solitudine esamina le forze,
le concentra grado a grado,
le prepara per l’estate.
***
Nella città del Perugino
Nella fontana
maggiore restaurata
non ci sono più piccioni.
Prima andavano col telo da mare
tutti i giorni a fare i bagni.
Ma le portatrici d’acqua
che Rosso Padellaio fuse
per Nicola Pisano,
sono al sicuro se l’orda tornasse,
ellenizzanti di grazia antica
nella Galleria nazionale dicono:
“Il medioevo
non c’era nemmeno
nell’era di mezzo”.
Tuttavia è piena di piccioni la Galleria,
dallo Spirito Santo affilati come lampi
pronti a colpire il cuore di Maria.
Hanno un nido nella enne
a due passi da San Giorgio,
i piccioni di Ferrara.
Nella enne della Banca
Nazionale del Lavoro.
Esaltatore di
sapidità
Nel volgere del giorno fino a noia
corteccia densa e dura mi separa,
con vivo senso dissennato e forte,
dal senso della vita come gioia.
In festa il mio pensiero mi addolora,
mirando tutto quello che non trova
misura per millimetri le lacrime
che l’anima non versa ma divora.
Consueto stato la sete costante
ai piaceri del sapore si fa muro:
che manchi glutammatomonosodico
alla mia percezione dell’istante?
Giudizi
C’è una perizia da
equilibrista, in questa raccolta. Nel senso proprio del termine, nel senso –
intendo – dell’atleta che si mantiene in perfetto equilibrio e, sebbene si
sbilanci pericolosamente ora verso un lato ora verso l’altro, tiene una
posizione elegante ed eretta; e nel senso grammaticale, per così dire, del
termine. Sia “equilibrista”, sia “atleta”, infatti, sono sostantivi capaci di
indicare sia il genere femminile che maschile, così generali, così aperti,
piccoli affascinanti distrattori, a volte, e gusci aperti a mille possibilità.
Ed è per questo che nel cambio repentino di metrica, registri semantici,
ispirazioni, deduzioni, slanci, ci troviamo coinvolti in una Spoon River al singolare, fatta di un
solo personaggio pieno di così tante alterità da non aver bisogno di inventare
nomi e città che non siano quelle sue proprie, reali, conosciute, quand’anche
si presentino sopra le righe, ironiche all’inverosimile, lati del suo non-luogo
onirico, vicine allo zero nel senso di rese all’osso con una capacità davvero
accattivante: Che non sono una grande, lo
sapevo. / Ma nemmeno una donna, / non ne avevo idea. (Anna Ruotolo)
Una discreta pertinenza metrica convive con l’ironia piuttosto amara
di un comune disorientamento. Esiste una ricerca sonora, anche se a volte
degrada in virtuosismo; l'incarnato dei testi è lieve e aspro. In nuce si
verifica un racconto, una trasmissione: la freschezza di qualcosa che si
affaccia, giovane. (Gianluca D’Andrea)
Biografia
Vincenza Scuderi è
nata a Catania nel 1972, dove vive e dov’è germanista presso l’università. È saggista, traduttrice, e defilatamente ma
fortemente poeta. La sua raccolta Accade soprattutto per la strada,
prima classificata nella sezione poesia del concorso “Pubblica con noi 2013” di
Fara Editore, ha visto una tranquilla gestazione d’anni. Sta lavorando
a una seconda, forse meno lenta raccolta, e ad ulteriori cose di cui dirà poi.
Nelle sue vesti germanistiche si occupa di poesia contemporanea (in particolare
poesia austriaca sperimentale), cultura visuale, gender studies, traduttologia,
e qualcos’altro. Fa parte dell’associazione-casa
editrice
incerti editori
(www.incertieditori.it). enzascu@tiscali.it
2° ex aequo Sguardi
dentro e fuori di me di Ernesta
Galgano (Genova)
ARRENDERSI
Arrendersi.
Non combattere.
Non difendersi.
Lasciarsi portare
da una corrente
di misericordia
e di perdono.
Arriveremo al mare
dove ogni goccia
è vivo oceano
e ride e salta
sugli spruzzi dell’onda
e pensa e crea
mondi sommersi,
ignoti e ricchi di colori,
assolutamente veri,
anche se sconosciuti.
Solo la luce può rivelarli,
come solo l’amore
può svelare
il mistero del cuore.
CELESTE NASCOSTO
Sì lo so
cos’è
lo struggimento
che può dirsi
amore
e la pietà
di tenerlo nascosto.
Chiuso nel cuore,
nonostante,
canta.
Brilla
come puro azzurro
di laghetto alpino.
E’ una goccia
di tutto il celeste
dell’universo.
Mi illumina.
Ci credo.
E la dolcezza
supera la pena.
GRAZIE A TE
La mia persona si annulla,
ma lo spirito ascolta
armonie di emozioni
misteriose e difficili
e ti è sempre vicino
come una piccola porzione
della tua stessa ombra.
Mi hai consolata
quando cominciavo a morire.
Si apre, improvvisa,
una voragine in ombra,
non si vede il fondo ,
ma si sente
mugghiare l’Infinito,
e si scivola giù.
Un ramo del tuo albero
ha fatto appiglio
alla mia mano.
È solo un arbusto,
è scosso dal vento
e rabbrividisce anche lui,
ma ho potuto fermarmi
su una sporgenza di prato.
Un raggio di sole
ha illuminato le tue foglie,
iridescenza di colori
su un velluto verde,
ho sentito il canto
dell’aria tiepida
cullare un usignolo,
che solfeggiava sicuro
accordi di Speranza
Sto bene adesso
in questa nicchia di luce
e mi riposo,
attenta ad essere leggera.
Lacrime di riconoscenza
innaffiano le radici
per dare più energia
alla bella pianta
della tua Vita
ed è un grazie di Gioia.
Giudizio
Scorrono leggeri, i versi, come tanti fotogrammi immersi
nell’azzurro, percorsi da una luce che emana scintillii di gioia e proviene da
un cuore verde-smeraldo, vibrante di Speranza, che invita a respirare la vita,
camminando come un’equilibrista sul filo nel Circo del mondo. C’è un’immersione
nella semplicità dell’Amore, dove l’anima galleggia serena e si lascia
trasportare dall’onda della Fede, facendo riposare lo sguardo nelle acque
limpide e chiare. (Teresa Armenti)
Biografia
Ernesta Galgano dice di sé: «Ho sempre
avuto l'istinto e il piacere di trascrivere in versi le mie emozioni. Una
professione molto impegnativa mi ha assorbita completamente. Sono un medico, ho
fatto il chirurgo, quello vero, sul campo, in ospedali italiani e in paesi
emergenti come volontaria. Con la pensione e con nuove emozioni ho ripreso a
scrivere. Ho avuto riconoscimenti per poesie e racconti in concorsi nazionali
ed internazionali. Continuo ad emozionarmi con la musica, con i viaggi, con il
desiderio di capire e consolare chi incontro sulla mia strada, anche con le
parole, assolutamente sincere.»
2° ex aequo Tredici meno di Luca Carboni (Pesaro)
I – Silvia
A Silvia F.
Silvia è una donna
esile,
dal fragile, limpido
sguardo,
smarrita per la
demenza degli anni,
una donna bella, che
dice a me
sconosciuto di
passaggio:
«Scusi, sa a che ora
viene a prendermi la mamma?»
“Noi siamo un
colloquio”,
diceva un poeta
vero,
non monadi fatte
per il proprio ego.
Siamo creature,
Figli di un Creatore.
E il bisogno di
aiuto per la debolezza,
è invece un Dono,
perché ci ri-dice
ciò che siamo.
Siamo Figli.
Da giovani lo
dimentichiamo:
sogniamo, il mondo è
avanti,
le mani nel denaro,
il potere, le donne.
Ma viene il tempo di
impotenza e povertà,
che è davvero tempo
di Misericordia.
Tempo per ritornare
ciò che siamo.
Tranquilla, piccola
Silvia,
“la mamma certo
arriverà, prima di sera, a prenderti”.
E io attenderò
insieme a te.
II – Di grezze stelle
Di grezze stelle
piange il firmamento.
Il loro raggio è
sale
una luce che sa di
mare.
E io nato senza
perle
sono una conchiglia,
un torrente che un
argine imbriglia.
Tu che ignori
questa luce dei
sensi
sei un lutto
d’amara innocenza.
I sogni imprigiona
una dura fatica,
il fuoco delle
parole
per questa carcassa
è il solo lenimento.
Ma quest’amore pure
senza di me
t’avrà sempre.
III – […]
Corroso dai sogni
tutto il giorno
contemplo la bellezza.
Ma io divento
vecchio in mezzo ai sogni
alle musiche alle
tempeste
e toccò a te, ultima
ventata,
sradicarmi da
dov’ero a dimora
Le vetrate rifulgono
dolci
con echi affievoliti
di luna.
Un sudario, lasciami
sospirare.
La sera io mi
vergogno,
si, mi vergogno di essere cosa di poeta.
si, mi vergogno di essere cosa di poeta.
Dell’invisibile
intatto dentro il visibile devastato.
Giudizi
Poesia come risposta urgente al dialogo con il Divino, nel
quale non si cerca un ristoro facile o scontato ma soprattutto uno sguardo
nuovo sulla realtà. L’elemento dolore su cui l’autore, però, poggia con forza
il desiderio di speranza, quasi come grido di rabbia al male e alla cecità
umana, sembra essere il filo che lega tutti testi, sia quelli esplicitamente
religiosi, che quelli in cui la tematica assume contorni più esplicitamente
legati alle relazioni e alla fugacità dolorosa degli incontri. Queste ultime
poesie risultano più centrate, più libere dall’artificiosità che a volte lega e
appesantisce certi passaggi, ma l’atmosfera che avvolge l’insieme dei testi è
espressione continua di un’urgenza del dire e dello svelare, fosse solo in
impercettibile parte, la bellezza di un tu che è sempre meraviglia e buio di un
mistero infinito. (Laura Corraducci)
La ricerca o il bisogno d’amore e di risposte in un mondo che celebra
Caino piuttosto che Abele sono evidenziate dalla compattezza e geometria del verso e dalla forza
icastica delle allegorie. (Elena Varriale)
Biografia
LucaCarboni è nato a Fano (PU) nel 1973 e risiede a Pesaro. Dopo aver conseguito la
Laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna e l’abilitazione
all’esercizio della professione, lavora da più di dieci anni presso l’Inail di
Pesaro, lavoro che rivendica orgogliosamente essere analogo a quello svolto dal
suo idolo letterario, Franz Kafka. Ha preso parte ai corsi di Poesia tenuti
all’Università dell’Età Libera di Pesaro dal Prof. Gianni D’Elia. Sta ora
frequentando i corsi di Filosofia Teoretica, Storia della Filosofia antica e
medioevale e Teologia Fondamentale presso l’I.S.S.R. di Pesaro. Sue opere sono presenti in antologie on
line e blog di poesia, ma sicuramente il momento culmine della sua breve
carriera poetica è rappresentato dalla partecipazione a “Primavera di Poeti”,
con letture tenute nella fascinosa Cripta di San Biagio, nelle immediate
vicinanze dell’Eremo di Fonte Avellana.
2° ex aequo La semplicità dell’immenso di Michela
Zanarella (Roma)
Viviamo
Viviamo
dove si uniscono
elementari polveri
a linguaggi
materni,
ascoltando le
diverse identità del cielo
e le rotte di
secoli disinvolti.
Parliamo di
brezza, fatiche
e scogliere,
trasportando
l'ombra del destino
nei colori e
nelle ossa
della terra.
Dietro silenzi
compatti
in corpi di
luce ed aria,
nelle fronti
limpide
di un mondo
antico,
siamo fino
alla fine
fedeli
benedizioni del tempo,
sudore e
segreto
di
un'esistenza che si ripete.
Nelle stoffe
di un quartiere (Monteverde)
Nelle stoffe
di un quartiere
il sole
setaccia
trame di verdi
rossori
e negli strati
di storia
infila
ingenuità di silenzio,
fiati zuppi di
pasoliniani
orizzonti.
Sotto le
pietre Monteverde
mescola
vetri e
detriti di poesia.
Non ho ancora
imparato
a forzare
intime gerarchie
di glicine.
Potrei indossare
nudità
di marciapiedi
e smorzare
avidità di luce,
dove hanno
radice
fibre d' umane
rivelazioni.
La vita ha
bisogno del verbo
La vita
ha bisogno del
verbo
della luce.
Aprirsi nel
verde di terra
è ciò che il
midollo umano
cerca sulle
guance del cielo.
E forse nelle
crepe
di un
orizzonte
sosta un
chiarore cerebrale
che matura
per amore
in polvere di
destino.
Giudizio
Silloge organica che scava nei meandri del cosmo, della luce, del verbo
e dell’essere con intensità espressiva ed una ben riuscita cadenza allegorica
del verso. (Elena Varriale)
Biografia
MichelaZanarella è nata a Cittadella, Padova, il 01-07-1980. Vive e lavora a Roma.
Inizia a scrivere poesie nel 2004, e la sua poesia è ora tradotta in inglese,
francese, spagnolo, arabo. Ha pubblicato sei libri Credo (ed. MeEdusa), Risvegli
(ed. Nuovi Poeti), (Vita, infinito,
paradisi (ed. Stravagario), Convivendo
con le nuvole (ed. GDS), Sensualità
(Sangel Edizioni), Meditazioni al
femminile (Sangel Edizioni). È Premio Speciale “Poeti per la Repubblica”
nella 23^ Edizione Premio Nazionale di Poesia “Rosario Piccolo” 2012. È tra i
vincitori del Premio Internazionale di poesia
Tredici, indetto dal Centro di Poesia Roma.
3° ex aequo Mi hai
lasciato uno scrigno di parole di Mariagnela
Ruggiu (Suni, OR)
SLA
Dio, ti parlo con gli occhi che
diventano
questa voce stridula che non mi
appartiene
dimmi di questa vita, qual è la
vita,
quella che hai soffiato dentro
corpi perfetti,
questa che hai messo in questa
prigione
senza darmi di evadere?
Tanti guardiani mi hai messo
accanto
che si fingono te e mi dicono:
vivi!
tu dove sei? hai lasciato
deleghe in bianco
guarda, guardami ora,
sono la tua immagine, ti
riconosci?
sono fatto di macchine che
respirano,
che mangiano, che parlano per
me,
ed io vorrei farmi leggero
e uscire da queste mani
inchiodate,
senza aspettare che il cuore mi
ami,
fermandosi.
la poesia più bella
La poesia più bella l'ho scritta
di te
senza cercare parole
per ogni respiro che abbiamo
confuso
per ogni pensiero che abbiamo
diviso
per mille voli nel cielo più alto
e poi le cadute a scoprirci di
pianto,
per le distanze che abbiamo
colmato
di dubbi scavando certezze
di fame inventando carezze
di impronte sul tempo trascorso
di figli che abbiamo cullato
di gioie che abbiamo rincorso
per farne oggi questa collana di
perle.
è ancora tempo
Ne ho visti soli volgere al
tramonto
con dubbio di un'alba possibile,
ho vibrato al brivido della
paura
poi mi ha trattenuto la tua
mano,
mi hai abbracciato come quercia
e ho sentito le tue radici
sicure sulle mie incertezze.
Le tue dita come foglie nuove
a inventare carezze sconosciute
le tue braccia come rami
intricati
che mi hanno portato in cielo.
fiori e frutti abbiamo maturato
al sole,
è ancora tempo di colorare
foglie
e aspettare insieme
quest'inverno da passare.
Giudizio
È un unico, prolungato, lacerante grido di dolore, che
diventa singhiozzo, spasmo, silenzio soffocante. Viene lanciato al cielo e
rimbalza sulla terra, irrorandola di copiose gocce di sangue. È la Passione di
Cristo che si rinnova all’ennesima potenza. Sono tanti i punti interrogativi
che attendono risposte. E bisogna fare i conti con i sorrisi di circostanza, di
compatimento, mentre si coltiva il dolore indeclinabile, compagno inseparabile
di una vita. (Teresa Armenti)
Biografia
Mariangela Ruggiu dice di sé: «Sono insegnante di
discipline scientifiche, amo la poesia da sempre, ma ho ripreso a scrivere da
pochi anni, sono solo dilettante nella poesia cercando di non mancare mai di
rispetto a quest’arte. Non ho molto da raccontare,
di me, penso che le poesie, una volta scritte, diventino autonome dal loro
autore, per questo sono felice di lasciarle qui, perché vadano da sole.
Intanto io
continuo a vivere la mia normale vita.»
3° ex aequo L’angelo morto di Mario
Campanino (Santa Maria a Vico, CE)
I.
Ho visto un angelo sul marciapiede
in mezzo a tante irrilevanti cose
come apparso all’improvviso
in mezzo a tante irrilevanti cose
come apparso all’improvviso
ma non come una sorpresa
o una cosa serbata
o una cosa serbata
né come un enigma
apparso lì semplicemente
come in un’epifania
apparso lì semplicemente
come in un’epifania
non di cosa violata
ma di cosa che si svela
.
.
II.
Era qualcosa come un segno
come un annuncio o un messaggio
ma non in codice e non da interpretare
non certo un’altra annunciazione
non certo un’altra annunciazione
e nemmeno una buona novella
ma qualcosa soltanto da vedere
in effetti solo un corpo tra altri
ma qualcosa soltanto da vedere
in effetti solo un corpo tra altri
senza nemmeno la portata di un mistero
se non perché era morto e giaceva
se non perché era morto e giaceva
come la più scontata delle cose
.
.
III.
Giaceva a capo chino
annerito di morte e di fumo
ed era senza volto
annerito di morte e di fumo
ed era senza volto
sotto le palpebre senza occhi
senza i due buchi delle narici
senza bocca e senza orecchi
senza i due buchi delle narici
senza bocca e senza orecchi
e un’unica lunga cicatrice
verticale dalla fronte al mento
verticale dalla fronte al mento
col vecchio filo di sutura ancora teso
in un cappio attorno al collo
.
in un cappio attorno al collo
.
Giudizio
Ciò che colpisce di
questa raccolta è l’impoeticità apparente di una fiaba moderna e cruda e subito
dopo questa sorta di resoconto che oscilla tra lo scientifico e l’emozionale
non mieloso (limitatamente all’emozionale mi riferisco, soprattutto, alla fine
della storia). Il merito è quello di incollare il lettore a un’osservazione
partecipata, esterna, interna, superiore… Non c’è scampo. Come alla morte, a
ben vedere. (Anna Ruotolo)
Biografia
Mario Campanino è nato a Milano nel 1967 e si è trasferito a
Napoli all’età di dodici anni, pochi mesi prima del terribile terremoto del
1980. Musicista e musicologo, appassionato di volo, da sempre alla ricerca della
“verità in scrittura” – per parafrasare Cézanne e Derrida – ha già pubblicato
alcune raccolte poetiche su temi diversi. La vita concentrata in 1 moglie, 2
figli, 3 tartarughe, 2 cani e 1 criceto, tutto a Santa Maria a Vico (nella
provincia di Caserta) dove vive e legge pochissimo, e oramai solo opere di
Joyce.
3° ex
aequo Mangrovia di Luca Immordino (Albenga,
SV)
L’Aria.
I
è assolata e rovente l’oscurità della mia fragile
stanchezza,
avvolta in coincidenze da circo, attanagliata da paure di
strada.
infondo alla piazza circolare tutti stanno mimando i
passanti e le lenzuola penzolano piano
inermi dai portoni; è un silenzio falcidiato da plumbei
sorrisi e sbiechi movimenti di massa.
qualcuno ha pronunciato il mio nome in fondo al vicolo, è il
senso di accerchiamento
che mi porto arpionato dietro alla cintura: smarrimento
distrettuale plurimo.
sei stata la prima a pugnalarmi frontalmente e l’ultima a
farmelo notare
in un’orgia di tensioni e fugaci brandelli di crepuscoli
troppo stretti per farti respirare
sotto un roteante desiderio di fuga, breccia di angosce,
campionario di fazioni.
sbiadite ormai ai lati del ciottolato si stringono le
gerarchie emozionali:
strali di passioni male amalgamate si fanno largo a spallate
improvvise
nel notturno delle nostre menti, folli di inutili minuti
passati.
è un parallelo di paure a compartimenti stagni, imperniati
su una leva
dileguabili quando la diga perderà la tenuta e si
abbandonerà sulla pianura
seminando detriti sulla tua visuale lineare e talmente poco
geniale.
screpolate da un millennio di buone intenzioni camuffate, le
ansiose dita
si allargano fino a toccarmi le spalle, fino a graffiarmi la
fronte
assolata e rovente la mia ora del crepuscolo crea una rima senza
pietà.
sei rimasta a tenermi la mano anche durante la terza guerra
e hai preso posto
oltre le staccionate issate mentre eravamo distratti dalla
luce:
hai attraversato la stanza così piena di persone con il
passo fiero e scalcinato
accompagnata da un sorriso che era anche un’autoaccusa
straziata
germogli di veleno e un siero di naftalina da supermercato,
restano laggiù
nella tempesta delle tue labbra, folli di inutili minuti
passati.
è la quinta ora
le decisioni scarpinano sul pavimento
grattano alla porta:
cedi il passo a sua altezza.
verso le ventidue s’è udito un crepitio sordo, da distanza
siderale
la camicia dimenticata, poggiata sullo schienale della
sedia,
la bottiglia poggiata stancamente sul lavabo sorride alla
luna che filtra dalla finestra semiaperta;
priorità e paralleli si aprono un varco fra le tue
intenzioni
ben lontane dall’essere innocenti come lo sguardo che ora
stai indossando
il viandante che canta sotto la tua finestra ha le scarpe
che vorrei io:
due misure più strette di quelle che volevi impormi tu.
sensoriale e notturna la tua paura crolla sovrana
micromacerie d’amore lambiscono il muro:
ho separato l’amore dall’odio,
stanotte
e non ti ho trovata da nessuna
parte.
Giudizio
Un
fluire magmatico che investe il lettore come un torrente in piena, tra
aulicismi dal sapore ironico, mimesi del parlato, versificazione del quotidiano
vivere dove una miriade di linee narrative, riferimenti alla cultura popolare,
alla filosofia e alla letteratura si intersecano e si intrecciano proprio come
nelle radici di una mangrovia, pianta che non a caso è stata scelta per dare il
titolo a questa silloge. Talvolta vicini al flusso di coscienza i testi offrono
molti spunti che rischiano di perdersi in un oceano di materia troppo densa per
essere colta nella sua interezza ma che, nonostante tutto, conferiscono a
questa scrittura-limite un fascino incontestabile. (Davide Valecchi)
Biografia
Luca Immordino nasce nell'autunno del 1974 in
Italia, da madre italiana e padre italiano: primi indizi di una coerenza che lo
porterà a scrivere per poter leggere e leggere per poter scrivere. Appassionato
di musica, poesia e arte è ancora oggi alla ricerca del vero senso
dell'esistenza; sembrava averlo trovato nella pioggia, fino al giorno in cui
scoprì gli ombrelli. Le sue poesie sono dedicate quasi esclusivamente a
sconosciuti/e, per cui sentitevi pure tirati in ballo, se vi va.
Opere segnalate con
pubblicazione di estratti e giudizi in questo blog
Esodo. Sentieri in estate (2010-2012) di
Annarita Zacchi (Firenze)
Natrum
isola universale
I
si apre nell’occhio un nuovo sentiero
la frana del tempo ti ha
condotto al monte assoluto
declivio
attrezzi di lieve lavoro
la baia scorre via
acqua del mondo di sotto
la retina senza memoria
aggancia il mare
salpa ogni risacca.
Immersa, avviti
fasci di luce trascini
erbe lucide e in vita
rimani e parte del fondo.
II
si sposta nei talloni l’estate
polpacci signori, vie di lucertole
il sentiero muore nel caldo
non scavalca se non
luce
scorda conforto
e macchie scure,
nel sole esaurire
come ramarri cambiare
l’estate cola
senza imbuto
straripa di famiglie animali
sulla polvere, senza suono.
Giudizio
Una silloge che
disegna con un taglio stilistico tra il lirico e il prosastico una cosmogonia
rurale fatta di piante, animali, luoghi e voci in un orizzonte geografico ben
definito della campagna toscana. Flashback di scenari pre-tecnologici e
richiami alla vita contadina passano attraverso i nomi di attrezzi da lavoro e
termini regionali (o gergali) in un flusso di scambio fra il presente di un
viaggio (o di una permanenza estiva) e il passato dei luoghi evocati da ciò che
di essi rimane oggi. Un’operazione piacevole che pecca un po’ di eccessivo
ricamo linguistico quando sottende a tematiche che avrebbero trovato forse una
miglior collocazione in testi di tipo lineare e narrativo. (Davide Valecchi)
Biografia
Annarita Zacchi dice di sé: «Sono nata a Castelnuovo di
Garfagnana, vivo e lavoro a Firenze, dove insegno italiano e tengo laboratori
di scrittura a stranieri. Mi sono laureata in Filosofia ed ho un Master di
Lingua Italiana a Stranieri. Di una mia raccolta poetica abbiamo realizzato con
Leonardo Gandi una lettura scenica, Lavoro
e antilavoro. Sogno dell’insegnante errante, replicata più volte a Firenze
e a Pieve di Compito, Lucca. Miei testi si trovano in alcuni volumi collettivi, tra cui Varianti urbane. Mappa poetica di Firenze e
dintorni, Damocle editore. Partecipo a laboratori e Festival per promuovere
la poesia e la lettura. Ho vinto due premi di scrittura, uno nazionale per
poesia inedita a Jesi nel 2005.
La Vocazione della Balena di Claudio Pagelli (Rovello Porro, CO)
And that is Jacob’s ladder (Jack Hirschman)
Il fischiare è questo
voler ammutire i cani (Luigi Di Ruscio)
Ormai è un furto ogni
prospettiva di fuga (Simone Cattaneo)
DON CHISCIOTTE ALL’INFERNO
“tatuaggi”
per un filo
sbilenco d'inchiostro
s'insegna
l'antica disciplina -
una benda di
sassi agli occhi,
in gola la
pietra più nera.
è nel buio, si
dice, che s'affilano
i ferri del
sangue, che s'impara
il mestiere
feroce dell'inganno.
eppure la luce
persiste scaltra,
mondo dopo
mondo,
a tatuare di
stelle la schiena della notte...
“call
center”
ora che tutto riparte
in questa selva lampeggiante
di voci,
le cuffie come meduse leggere
sulla teste degli operatori
e le bocche tritate di parole,
promesse d'occasioni nel mercato virtuale,
l'abbonamento migliore alla
novità in visione -
l'estrema spremitura della
buona volontà...
“gli schiavi”
sette contatti
utili l'ora, mi raccomando,
che il cliente va
soddisfatto ad ogni costo,
soprattutto
contratti - da bravi - anche
slogando un poco gli arti,
che senza fatica
la lingua non trotta il mercato non tira
e non per
cattiveria ma per nesso causale -
sapete, la tediosa
legge per cui ad ogni causa
seguirebbe scaltro
un effetto....
noi certo ci
troveremmo culo all'aria
e voi schiavi
bradi senza neanche un padrone a cui leccarlo…
Giudizio
Ci sono un paio di versi, forse quattro, che dicono tutto e
di più, nonostante il resto della raccolta sia perfettamente dosato e
necessario alla comprensione ampia, totale: “l’umana commedia che riapre il
sipario”, “è così che si va, nel viaggio dritto
alla Bovisa / come il plancton in bocca alla balena...”, “e come pesci non si
domanda, / s’entra a branchi involontari”.
Quel titolo che inserisce un’opzione di significato, in realtà, è così
familiare al/col mondo che, in chiusa, diventa tutto questo e il suo contrario:
la “vocazione della Balena” (che ingloba) ricomprende anche la vocazione
propria delle cose che entrano (secondo la loro azione) dentro di lei, a volte
inconsapevolmente, a volte con coscienza arresa, a volte con lucida previsione
degli effetti. Buoni gli slanci meno controllati, quelle ispirazioni che danno
aria al contesto a volte attestato su premesse sin troppo chiare e
incontrovertibili. Bello quel “qualche lisca di sogno” (non a caso messo alla
fine), sebbene tenga a denunciare il suo sapore di involontaria “sbandata”. (AnnaRuotolo)
Biografia
Claudio Pagelli nasce a Como nel
1975. Pubblica alcuni libri di poesia ("L'incerta specie" con
LietoColle, "Le Visioni del Trifoglio" con Manni, "Papez"
con L'Arcolaio). Premiato e segnalato in una cinquantina di concorsi letterari
di interesse nazionale. Dal 2004 è Presidente dell'Associazione Culturale
Helianto (www.helianto.it).
Altre info: www.claudiopagelli.weebly.com
Torpore di Martino
Feyles (Roma)
I sapienti che
parlano al plurale
spiegano l’uomo
con una teoria
e mettono in
scatola il reale;
ma la pietà non
sanno cosa sia.
Sono falsi, una
razza maledetta!
chi crede in loro è
solo e dispera
La Pietà è l’unica
parola vera
che sia mai stata
detta
Gli uomini per
bene hanno paura
di guardare in
faccia il dolore,
la distrazione è
cieca e rassicura
sembra rendere il
male minore
Ma questa miseria è
familiare
come la compagna
di una vita
ed inevitabilmente
riappare,
inattesa perché a
lungo sopita
Prima che la
maschera dell’orgoglio
sia calata sugli
affanni del viso
dissimulando
dietro a un imbroglio
la paura e un
rammarico impreciso
Prima che la vita
di società
restituisca ad
ognuno il suo ruolo
e di conseguenza
la dignità
lasciando ogni
attore da solo
Prima che la vanità
tiri a lucido
l’argenteria dei
sorrisi splendenti
inghiottendo un
conato di acido
che dallo stomaco
sale tra i denti
Prima che l’ideologia
personale
che misconosce le
più gravi offese
e che giustifica
il proprio male
abbia ricostruito
la sue difese
c’è un attimo, un
breve momento
in cui l’io più
vero prende coscienza
di sé stesso e
della sua esistenza:
sbalordito, in
silenzio, sgomento
È allora che di
nuovo si sente
sepolta nelle
proprie interiora
una voce flebile
ma insistente
che senza sosta
implora
Ore 8:00. Di nuovo
nel traffico
Grigio come l’asfalto
il mattino
risveglia dentro a
stanche giornate
la cadenza delle
solite angosce
Vedi? Guarda fuori
dal finestrino:
questa gente ha delle
povere mete
e aspirazioni.
Eppure non riesce
Quell’uomo che s’aggiusta
la cravatta
è sempre preciso e
puntuale
ma in ufficio
nessuno l’aspetta
e se non andasse
sarebbe uguale.
Quella donna, lì
dietro, che si trucca
si è messa addosso
troppo rossetto
e nervosamente
arriccia la bocca
davanti allo
specchietto
Guarda fuori
durante il cammino
Guarda gli uomini
e il loro destino
Questa strada
intasata si gonfia
come un’arteria
ostruita
e accumula l’ansia
di ogni destinazione
impedita
Giudizio
La raccolta è la fotografia della società di oggi: inquieta,
malata, disorientata, ansiosa, diffidente, multietinica. Vengono colti con
piacevole ironia i vari momenti di vita: in casa, nel traffico, in ascensore,
sulla metropolitana, sul treno, per strada. Vengono presentati in rima: la
solitudine della vedova, la stanchezza abitudinaria dell’adolescente, i volti
muti di uomini come fantasmi, con sguardi che fissano il vuoto, la ressa degli
immigrati e delle badanti, le urla di un folle, dall’aspetto elegante. C’è una
carrellata di uomini così vicini e così
estranei / compagni momentanei di un muto tragitto. I saltelli spensierati
ed incoscienti di un bimbo danno un po’ di euforia, che viene subito repressa
alla vista di un mendicante seduto su un cartone. (Teresa Armenti)
Biografia
Martino Feyles è nato a Torino, il 10/07/1981 e risiede a
Roma, ha studiato filosofia presso l’università di Roma La Sapienza e si è
laureato in Estetica con 110 e lode nel 2006. Ha conseguito il dottorato di
ricerca in Filosofia e Studi Teorico Critici presso l’università degli studi di
Cassino nel 2010. Durante il dottorato ha studiato a Parigi presso l’École des
hautes études en sciences sociales (E.H.E.S.S.). Nel 2007 ha vinto la borsa di
studio del CUC, Centro universitario cattolico. A partire dal 2008 collabora
con la cattedra di Estetica dell’università di Roma La Sapienza. Attualmente è
professore incaricato di Filosofia della Religione presso L’Istituto teologico
San Pietro di Viterbo. Ha pubblicato diversi articoli scientifici di filosofia
in riviste italiane e internazionali e ha curato il volume Memoria, immaginazione e tecnica (Neu, Roma 2010). È autore di due
studi monografici di filosofia: Studi per
la fenomenologia della memoria (Franco Angeli, Roma 2012) e Ipomnesi. La memoria e l’archivio (Rubettino,
Soveria Mannelli 2013, in corso di stampa). È giornalista pubblicista e
attualmente è responsabile di redazione del magazine mensile Laurentum.
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